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Il rapporto di lavoro




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IL RAPPORTO DI LAVORO


1. Generalità

Il rapporto costituisce la fase esecutiva del contratto, di particolare e autonoma rilevanza nell'ambito di un contratto di durata com'è quello di lavoro. Due modi di intenderlo:

- complessità del rapporto di lavoro: questo si compone di una pluralità di posizioni giuridiche delle parti, attive e passive

- unitarietà del rapporto, con riferimento al rapporto fondamentale (Suppiej); il rapporto fondamentale come relazione "neutra", non costituito da una relazione fra una posizione attiva e una passiva, ma da un legame sottostante sul quale si innestano poi le varie posizioni giuridiche. Applicazione concreta per spiegare la maturazione dell'anzianità di servizio, la prosecuzione del rapporto anche in assenza di prestazione, la distinzione fra diritto alla qualifica e singoli crediti retributivi ecc.


2. L'obbligazione di lavoro

Per le caratteristiche dell'obbligazione, vedi sopra in tema di contratto

L'obbligazione di lavoro come obbligazione di attività, o di contegno, o di mezzi e non di risultato inteso come risultato ulteriore rispetto alla prestazione stessa: il lavoratore è tenuto solo a lavorare con diligenza e questo è anche il risultato atteso dal datore di lavoro creditore, senza che abbia rilievo il "valore" ulteriore della prestazione combinato con gli altri fattori produttivi

Obbligazione di lavoro e "messa a disposizione" (di energie lavorative): in linea di massima con la semplice messa a disposizione non vi è adempimento dell'obbligo di lavoro, che consiste in un "fare"; ma ci sono situazioni nelle quali è lo stesso datore di lavoro che richiede comportamenti di questo tipo, che possono configurare un rapporto di disponibilità che, seppure concettualmente distinto da quello di lavoro, è strettamente legato ad esso


3. Mansioni

-Mansioni: sono ciò che il lavoratore deve fare, i compiti, le "operazioni" da svolgere, in sostanza, l'oggetto del contratto; parlare di mansioni significa parlare di un elemento di fatto

- l'erronea contrapposizione fra mansioni contrattuali e mansioni effettive (le mansioni contrattuali ben possono essere, anzi normalmente sono, le mansioni effettivamente svolte); la contrapposizione è, semmai, tra mansioni contrattuali fittizie (scritte nel contratto) e mansioni contrattuali effettive, cioè realmente volute, alle quali soltanto occorre guardare; se poi c'è discrepanza fra le mansioni effettivamente volute (cioè dovute) e quelle in concreto svolte, ciò dipenderà o da inadempimento del lavoratore o da una modifica delle mansioni dovute.

- genericità delle mansioni e successiva individuazione da parte del datore di lavoro con l'esercizio del potere direttivo


4. Qualifiche e categorie

- Qualifica: è l'insieme del trattamento giuridico spettante al lavoratore in base allo svolgimento di determinate mansioni; dunque si tratta di elemento di diritto

- - è la contrattazione collettiva che stabilisce la qualifica, cioè il trattamento giuridico, cioè il valore della prestazione di lavoro (la contrattazione collettiva come il mercato delle qualifiche)

- Categoria: è in sostanza un raggruppamento di qualifiche omogenee; anch'essa serve a definire il trattamento giuridico

- art. 2095 c.c. e distinzione in 4 categorie (operai, impiegati, quadri dirigenti); la distinzione, o meglio, i criteri di appartenenza alle singole categorie sono stabiliti dalle leggi speciali o dalla contrattazione collettiva

- - per gli impiegati: la legge sull'impiego privato del 1924 (gli impiegati collaborano all'impresa, gli operai collaborano nell'impresa predisposta dai primi; criterio ormai inadeguato);

- - la contrattazione ha stabilito il c.d. inquadramento unico: divisione in livelli (retributivi) a prescindere dalla distinzione operai/impiegati; l'inquadramento unico produce effetti solo nell'ambito degli istituti regolati dallo stesso contratto che lo ha introdotto, non ad effetti diversi (ad es. se la legge pone differenze, queste restano)

per i quadri, la legge n. 190 del 1985 ha posto una definizione, rinviando però ancora alla contrattazione per ulteriori specificazioni

- - per i dirigenti c'è solo il contratto collettivo: prima criteri soggettivi (attribuzione della categoria da parte del datore di lavoro), poi criteri oggettivi (importanza delle mansioni, autonomia, poteri decisionali ecc.); il dirigente alter ego e il dirigente "minore"

- difficoltà nell'individuazione di criteri costanti di diversificazione, a causa delle frequenti innovazioni organizzative e teconologiche


5. Il mutamento di mansioni

Necessaria adattabilità della prestazione di lavoro e opportunità che le mansioni vengano modificate in corso di rapporto

a) Il problema della fonte del possibile mutamento

a1. Testo originario dell'art. 2103 c.c.:

- uno ius variandi in presenza di determinati limiti (esigenze dell'impresa, non mutamento della posizione sostanziale del lavoratore, temporaneità, non diminuzione della retribuzione);

- libertà nelle modifiche consensuali (rilievo dei comportamenti concludenti; la prassi del recesso modificativo)

a2. Testo attuale: non si allude più ad un potere e i limiti sembrano ridotti

a3. Due tesi:

- la modifica è possibile solo consensualmente, nel rispetto dei limiti previsti;

- la modifica è ancora possibile per atto unilaterale del datore, oltre che consensualmente (argomento ex 2°comma circa la nullità dei patti contrari; ma quali sono i patti contrari? I patti modificativi delle mansioni o i patti con i quali si regola in modo diverso ciò che è regolato dalla norma?)

La tesi assolutamente prevalente è comunque la seconda

b) I tre gruppi di mansioni di cui all'art. 2103 c.c.: quelle contrattuali (di partenza) e quelle modificate

b1. le mansioni di assunzione, necessariamente contrattuali; qui non c'è modifica; c'è un "diritto" ad essere adibito a quelle mansioni? In che senso?

b2. le modifiche: le mansioni equivalenti (mobilità orizzontale) alle ultime effettivamente svolte

- equivalenza retributiva? No, ha solo un valore indicativo, perché la conservazione della retribuzione suppone che, se non ci fosse la norma, la retribuzione sarebbe inferiore

- si tratta di equivalenza professionale: il valore della professionalità:

- - professionalità in senso statico: le mansioni che il lavoratore è in grado di fare in relazione alle sue esperienze, capacità, conoscenze (il patrimonio professionale)

- - professionalità in senso dinamico: rilievo delle capacità potenziali, della possibilità di carriera (vedi i casi di rotazione delle mansioni nel settore bancario); ma è difficile sostenere un diritto alla carriera

b3. mansioni superiori (mobilità verticale)

- diritto ad essere adibiti alle mansioni corrispondenti alla categoria superiore acquisita (con promozione); in altre parole, non si può essere promossi e continuare a svolgere le mansioni precedenti (e inferiori)

- assegnazione a mansioni superiori senza corrispondente inquadramento: diritto da subito al trattamento corrispondente, non c'è diritto alla promozione;

- assegnazione di cui subito sopra: promozione automatica se l'assegnazione (prevista come provvisoria) si protrae per più di tre mesi (o il minor periodo stabilito dalla contrattazione); eccezione: caso di sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (modalità di computo dei tre mesi, possibilità di frodi)

b4. mansioni inferiori: la norma non ne parla, dunque:

- illegittimità di dequalificazione

- eccezioni espresse (accordo sindacale in sede di procedure di mobilità, lavoratrice madre, lavoratore divenuto inidoneo); eccezione in base ad un principio generale per cui l'interesse alla conservazione del posto prevale rispetto a quello alla tutela della professionalità. Dubbi su questa tesi, che è della giurisprudenza

c) La retribuzione: principio di irriducibilità

- in senso rigoroso: è eccezione al principio di corrispettività

- in senso più morbido: distinzione fra voci retributive essenziali per la posizione professionale (aspettativa di carriera e di guadagno) e voci non essenziali, che, se legate alle peculiarità "estrinseche" delle mansioni precedenti, non dovrebbero essere conservate dopo la modifica

c) La tutela giudiziaria: i danni alla professionalità


6. Il trasferimento

a) La fonte: rientra nel potere direttivo; ci può essere però un patto di non trasferibilità

b) la nozione: spostamento da una unità produttiva ad un'altra, dunque non il mero mutamento del luogo; occorre dunque definire l'unità produttiva: articolazione interna dotata di autonomia produttiva o almeno funzionale (si realizza una specifica funzione dell'impresa), non necessariamente caratterizzata da unità di tipo spaziale (l'unità produttiva può essere caratterizzata dall'insieme di diverse articolazioni, come ad es. punti vendita, per cui uno spostamento interno è mutamento di luogo, ma non trasferimento in senso proprio)

c) i presupposti: le ragioni tecniche, organizzative e produttive; non necessità di una contestuale motivazione (analogia con il licenziamento); prova in giudizio a carico del datore (in quanto titolare del potere)

d) la posizione del lavoratore di fronte al trasferimento; varie soluzioni:

- necessaria obbedienza (l'atto produce effetti fino al suo annullamento)

- autotutela come eccezione di inadempimento o rifiuto per carenza di potere

- la verifica a posteriori della legittimità del rifiuto

- opportunità della procedura d'urgenza


7. Il potere disciplinare

a) L'origine è nei fatti, nella realtà aziendale: il potere di supremazia del datore di lavoro si ritiene debba essere munito di uno strumento sanzionatorio specifico (autotutela)

b) problema: potere e contratto (che è relazione fra eguali); destinazione ad interessi oggettivi più ampi come criterio per garantire la non violazione del principio di eguaglianza; necessità di una norma che preveda il potere; non assimilabilità alla clausola penale, perché qui non viene forfetizzato un risarcimento

c) fondamento: la funzione organizzativa e la funzione "esemplare" e punitiva:

- inadeguatezza delle normali sanzioni civili in caso di inadempimento (da un lato non soddisfano il requisito dell'immediatezza della reazione all'inadempimento, d'altro lato possono essere eccessive);

- assimilazione alla sanzione penale

d) La regolamentazione

d1. L'art. 2106 c.c.: fondamento e principio di proporzionalità

d2. L'art. 7 dello statuto:

- predeterminazione (grado di specificazione); assimilazione alla sanzione penale

- pubblicità "vincolata": affissione in luogo accessibile a tutti: non la conoscenza, ma la conoscibilità (riguarda l'esercitabilità del potere)

- rinvio al contratto collettivo

- procedura endoaziendale (è giustizia "domestica")(riguarda il concreto esercizio del potere):

- - contestazione dell'addebito (immediatezza, specificità)

- - audizione a difesa (garanzia contraddittorio, termini)

- limiti alle sanzioni

- impugnazione extraaziendale


8. Il potere direttivo

Significato e ampiezza del potere (no ad altri poteri non nominati dalla legge)

Limiti:

- interni (o funzionali): l'interesse dell'impresa o il rispetto della razionalità organizzativa

- esterni:

- - principio di non discriminazione, cioè di trattamenti diversificato in relazione ai singoli fattori di discriminazione previsti dalla legge (non c'è invece un principio di parità di trattamento, nel senso di obbligo di trattare in modo eguale a prescindere dalle ragioni di diversificazione);

- - libertà di opinione (art. 1 e 8 statuto: divieto di indagini sulle opinioni e limiti al divieto); la tutela della privacy: non occorre la notifica al Garante se il trattamento dei dati personali è imposto per legge, per i dati sensibili ci sono provvedimenti di autorizzazione generale del Garante, fermo il consenso del lavoratore

- - vigilanza e controllo (art. da 2 a 6 statuto); il problema della sussistenza di un potere di controllo (non è previsto, è solo la facoltà di controllo che spetta a ogni creditore; ma si tratta di valutare le conseguenze dell'eventuale rifiuto del lavoratore)


9. La retribuzione


- Corrispettivo della prestazione di lavoro in un rapporto di scambio; principale obbligo del datore. Secondo i contratti collettivi matura dopo la prestazione dell'attività lavorativa (postnumerazione)

- Principio di corrispettività: applicazione "attenuata" in alcune ipotesi di sospensione. Ha infatti anche funzione "sociale" (art. 3 e 36 Cost.). Non sempre però ciò il lavoratore sospeso riceve è retribuzione, bensì prestazione previdenziale. E' infatti retribuzione solo ciò che al prestatore è dovuto dal datore di lavoro (es. no assegno per il nucleo familiare; no mance).

- Art. 36 Cost. (norma immediatamente precettiva): principio di sufficienza e principio di proporzionalità. Il primo serve ad attribuire "di fatto" efficacia erga omnes ai contratti collettivi, in base alla giurisprudenza sui minimi retributivi, la quale garantisce anche una sostanziale unità retributiva in tutto il paese. Ultroneo a tal fine è il passaggio attraverso l'art. 2099 c.c. Il principio di proporzionalità è riferito alla quantità (durata o risultato della prestazione) ed alla qualità (mansioni, valore, difficoltà del lavoro): è ancora la contrattazione collettiva ad articolare la R. in funzione di questi parametri. Si pone il problema della sindacabilità giudiziale di questa parte del contratto collettivo, ma comunque dall'art. 36 non si può dedurre un diritto ad eguale retribuzione a parità di mansioni.

- Art. 2099 c.c: rinvio ad altre fonti. Importantissimo ruolo del contratto collettivo (di categoria e di secondo livello). Contrattazione individuale per trattamenti migliorativi.

Complessità del sistema delle fonti → complessità di struttura della retribuzione: R. "base" più trattamenti accessori previsti da diverse fonti (es. vari tipi di indennità).

Problema dell'onnicomprensività della R. (se la legge o la contrattazione collettiva parlano tout court di retribuzione, bisogna farvi rientrare tutte le voci previste dalle varie e fonti e percepite dal lavoratore?). Secondo la giurisprudenza se la legge non si pronuncia sul punto, spetta alla contrattazione collettiva modulare la base di computo di ciascun istituto.   

- Forme della retribuzione: a tempo (forma consueta; è anche indice di subordinazione) e a cottimo (di solito non puro; problema di rispetto dell'art. 36 Cost.; obbligatorio nel lavoro a domicilio o se il lavoratore è vincolato ad un certo ritmo produttivo; vietato nell'apprendistato); altre tipologie di compensi variabili: a provvigione, legati alla produttività (individuale o collettiva).


10. Il trattamento di fine rapporto (TFR)


- Attribuzione che spetta alla cessazione del rapporto.

- Originariamente premio di fedeltà, a carattere di liberalità; poi obbligatorio per gli impiegati (per contratto collettivo e l. sull'impiego privato del 1924), non dovuto in caso di cessazione per colpa.

- L'indennità di anzianità del codice civile: estesa a tutti i lav. a tempo indeterminato; esclusa se dimissioni volontarie o licenziamento per giusta causa (v. però Corte cost. n. 75/85: illegittime le esclusioni, per la natura retributiva del trattamento). L. 604/66: è dovuta in tutti i casi  → se ne afferma la natura retributiva, accanto alla funzione previdenziale. Criteri di calcolo: ultima retribuzione moltiplicata per il numero di anni di servizio: non riflette l'evoluzione del rapporto, dà luogo ad abusi (superliquidazioni negli e.p.e.) ed a tentativi di elusione (frazionamenti fittizi del rapporto); incrementa l'inflazione → l. n. 91/77 e successivo referendum abrogativo.

- Il trattamento di fine rapporto (TFR): modifiche al c.c. realizzate con la l. 297/82: nuovo sistema di calcolo, che riflette fedelmente l'evoluzione retributiva del rapporto. Accantonamento (contabile, non reale) di circa una mensilità per ogni anno di lavoro, soggetta ad un meccanismo di rivalutazione. Di fatto fonte di autofinanziamento per le imprese. La retribuzione annua presa a base per il calcolo è definita dall'art. 2120, 2° comma, c.c. (criterio della "dipendenza" dal rapporto di lavoro; criterio della non occasionalità). Non è nozione inderogabile (sì a previsioni diverse della contrattazione collettiva); è inderogabile il divisore (13,5).    

Ha funzione previdenziale, ancor più dopo le ultime riforme: d.lgs. 124/93: il TFR può finanziare le forme pensionistiche complementari; d.lgs. 252/05 e l. 296/06: scelta del lavoratore se destinare il TRF che maturerà dopo il 1°/1/07 ai fondi pensione o "lasciarlo" al datore di lavoro (con meccanismo di silenzio-assenso entro sei mesi a favore della prima opzione). Nelle aziende con più di 50 dipendenti comunque il datore di lavoro deve versare le quote annuali in un Fondo gestito dall'INPS → il TFR tende a divenire una prestazione previdenziale.

Problema del momento di maturazione del diritto: due tesi: 1) maturazione pro quota nel corso del rapporto, cessazione è solo condizione di esigibilità; 2) maturazione alla cessazione del rapporto (importanti conseguenze in caso di trasferimento d'azienda). E' comunque problema semplificato se le quote sono versate all'INPS.

Le anticipazioni: una sola volta nel corso del rapporto; lavoratore con almeno 8 anni di anzianità; 70% del "maturato" fino a quel momento. Causali: 1) spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle strutture pubbliche; 2) acquisto prima casa per sé o per i figli; 3) spese per fruire dei congedi parentali (d.lgs. 151/01) o formativi (l. 53/00). No anticipazione se azienda in crisi ex lege su CIGS. Le richieste vanno soddisfatte annualmente entro i limiti del 10% degli aventi titolo e del 4% del n° totale dei dipendenti. Problema dell'eccesso di richieste: opportuno un intervento del contratto collettivo per definire criteri di priorità (es. criterio cronologico o maggiore rilevanza della causale).

Ambito di applicazione della disciplina del TFR: è generale, vale anche per il pubblico impiego per gli assunti dopo il 1996, attraverso la mediazione della contrattazione collettiva.

Se il datore di lavoro è insolvente, interviene il Fondo di Garanzia costituito presso l'INPS, a cui vanno contributi posti integralmente a carico del datori di lavoro.      



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