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Il reinserimento lavorativo di affidati e semiliberi. Una ricerca nella realtà veneziana.




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Il reinserimento lavorativo di affidati e semiliberi. Una ricerca nella realtà veneziana.


Il percorso per arrivare all'intervista


Dopo aver analizzato l'evoluzione normativa del lavoro in ambito penitenziario, e aver messo in luce le esperienze più significative di reinserimento lavorativo dei detenuti, si arriva alla ricerca vera e propria. Realizzare una ricerca sul carcere vuol dire, di per sé, avvicinarsi a scoprire un mondo ai più sconosciuto, volutamente dimenticato, ove i termini sofferenza e solitudine sono le parole che più sintetizzano quest'ambiente. La prima cosa che stupisce quando si inizia ad interessarsi di carcere, di detenuti, è la durata del tempo, che chi ha vissuto il carcere sostiene rappresenti la grande differenza tra il mondo "normale" e la vita in carcere. Il tempo infinito della detenzione, ove anche ogni minuto sembra eterno, è la sensazione che esterna chi ha dovuto fare i conti con la cella. Poi la solitudine, la distanza dalle persone più care, la distanza dalla vita di normali cittadini. Comprendere in primo luogo queste fondamentali questioni non è un'impresa semplice per chi in carcere non c'è mai stato. Ecco perché, seguendo il suggerimento di Greganti, il quale afferma "Non si può parlare del carcere se del carcere non si ha esperienza. Bisogna entrare e vedere. Non occorre restare, ma bisogna entrare e rendersi conto di persona"[1], ho chiesto di poter entrare in carcere. Dopo essere entrato in un istituto penitenziario sono convinto dell'importanza di queste affermazioni e della forza che un'esperienza di questo tipo può dare. Un argomento così difficile, che cerca di capire ed analizzare l'esperienza dell'esecuzione penale, non si può limitare ad una conoscenza teorica, poiché rappresenterebbe una mancanza difficilmente sostituibile. La scelta personale che mi ha indirizzato a proporre e poi realizzare una tesi sui detenuti e l'attività lavorativa, è stata dettata da queste intenzioni che ho cercato di comunicare anche a coloro che si sono visti protagonisti in questa ricerca. E' grazie a coloro che hanno aperto la porta della loro esperienza che ho potuto conoscere alcuni piccoli tasselli d'un puzzle così intricato come quello carcerario. Perché, entrare ad osservare il pianeta carcere, analizzando il reinserimento lavorativo? Poiché il lavoro nella società "dei liberi" e per la nostra società rappresenta un elemento primario della vita di ogni persona, tanto che la Costituzione Italiana all'art. 1 stabilisce che "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro". Il lavoro essendo quindi un elemento cardine della vita dell'uomo libero, come viene vissuto dall'uomo carcerato? Ha la stessa importanza, dovrebbe averla almeno teoricamente? E se rappresenta veramente un elemento primario sia per chi sta all'interno del carcere, che per chi sta all'esterno del carcere, mio interesse è capire quali sono le analogie e le differenze analizzando l'attività lavorativa attraverso la voce di chi la vive con l'esperienza delle misure alternative alla detenzione.

Per poter realizzare una ricerca qualitativa sull'inserimento lavorativo di persone in affidamento in prova ai servizi sociali e di detenuti in semilibertà, ho preso contatto con la direzione degli istituti penitenziari e con la direzione del Centro di Servizio Sociale per Adulti, entrambi di Venezia. Dopo aver ottenuto le dovute autorizzazioni da parte della direzione carceraria, del Provveditorato Regionale e della direzione dei Servizi Sociali per Adulti, ho proceduto a preparare una scheda di presentazione che spiegasse i motivi della mia ricerca ed il contenuto delle interviste che mi dovevo accingere a sottoporre, e desse la possibilità all'intervistato di scegliere se effettuare l'intervista con l'utilizzo di un registratore vocale o senza l'ausilio di questo supporto. Per poter intervistare gli affidati ho avuto la possibilità di svolgere degli incontri preparatori con le assistenti sociali del CSSA per spiegar loro le linee generali dell'intervista affinché, nel tentativo di chiedere la disponibilità agli affidati a partecipare all'intervista, avessero chiare finalità e struttura del lavoro in corso. A fronte di una richiesta di venticinque interviste mi è stato possibile intervistare diciotto persone, ossia coloro che si sono dimostrati disponibili all'intervista. Tutti gli affidati sono stati intervistati nella sede del CSSA di Venezia con appuntamento concordato a partire da novembre 2003, per terminare poi, la prima quindicina di dicembre 2003. Per intervistare i detenuti in semilibertà ho dovuto procedere in maniera diversa. Dopo aver preso contatto con la direzione degli istituti penitenziari di Venezia, per poter intervistare un congruo numero di semiliberi, mi sono avvalso della disponibilità delle assistenti sociali del CSSA che seguono le persone in semilibertà, dell'educatore delle carceri veneziane, del comandante del carcere a custodia attenuata di Venezia SAT, del presidente della Cooperativa Sociale "Il Cerchio" di Venezia. Queste persone mi hanno consentito di coinvolgere nella ricerca dieci persone in semilibertà, ossia coloro che si sono dimostrati disponibili a partecipare all'intervista. Alcune persone sono state intervistate all'interno del CSSA previo appuntamento concordato, altre all'interno del SAT di Venezia, altre ancora sul posto di lavoro o nei pressi del luogo di lavoro. La ricerca effettuata ha quindi coinvolto 28 persone tra semiliberi e affidati pari al 33% del totale dei detenuti in affidamento o in semilibertà a disposizione, che con grande disponibilità, anche se non sempre con la dovuta tranquillità, si sono sottoposte all'intervista. Al momento della ricerca, all'inizio di settembre 2003, i detenuti in semilibertà erano venti, mentre gli affidati in prova al servizio sociale erano sessantacinque, per un totale di ottantacinque persone che usufruivano di queste due misure alternative alla detenzione.

Metodologia delle interviste


Per svolgere una ricerca di tipo qualitativo si è ritenuto opportuno usare il metodo dell'intervista aperta sulla base di una traccia che delineasse per gruppi tematici, e successivamente per punti fondamentali, tutte le informazioni necessarie ad avere un quadro completo della persona intervistata, sul lavoro e vita extralavorativa, e sulla misura alternativa in atto. Lo scopo dell'intervista era quello di ottenere più informazioni possibili sull'esperienza del soggetto cercando di caratterizzare il colloquio con aspetti soggettivi in grado di far emergere ogni singola particolarità. Parlare del lavoro in termini di reinserimento ha consentito alla persona intervistata di esternare valutazioni, oltre che sull'attività lavorativa vera e propria, anche sulla funzione rieducatrice attribuitale dalla legge, e dare il proprio giudizio su una misura alternativa, che egli stesso vive in prima persona quotidianamente. L'intervista è stata suddivisa in cinque classi tematiche: la prima riguardante tutti gli aspetti del condizione lavorativa attuale, come la trafila burocratica, la mansione, le esperienze precedenti, lo stipendio e il grado di soddisfacimento, il rapporto con i colleghi, le aspettative e le prospettive di lavoro, la seconda in merito alla vita sociale extralavorativa ed al percorso di reinserimento, le relazioni sociali, la famiglia e gli affetti, le aspettative sul percorso di reinserimento, la terza concernente la condizione di semilibero o di affidato in prova ai servizi sociali, la quarta che riguarda la possibilità di esprimere delle proposte per migliorare la misura alternativa in atto, e per ultima la richiesta di anamnesi, finalizzata ad avere un quadro preciso del campione intervistato, dati generali, scolarizzazione e formazione professionale. Nello svolgimento dell'intervista le domande riguardanti i dati sensibili dell'intervistato sono state formulate al termine dell'intervista affinché l'intervistato non si sentisse sotto interrogatorio e potesse cominciare l'intervista da un argomento di più facile colloquio come il lavoro. L'ordine delle domande è stato pensato affinché il soggetto, pur affrontando argomento delicati, potesse sentirsi a proprio agio, e fosse nelle condizioni di dire veramente ciò che pensava. Il primo ostacolo da risolvere consisteva nel cercare di eliminare l'idea dell'intervistato che l'intervistatore facesse parte in qualche modo del sistema penitenziario e che le affermazioni fatte potessero influire sul trattamento o in qualche modo ritorcersi contro il soggetto. Posso affermare che nella maggior parte dei casi gli intervistati sono riusciti ad eliminare le diffidenze nei miei confronti "aprendosi" ad un colloquio presumibilmente sincero. Forse in alcuni casi non è stato possibile attivare tutti quegli accorgimenti utili a realizzare una situazione di tranquillità, poiché la circostanza di certo non giovava a questo fine. E' stato importante l'uso del registratore vocale perché consentiva di parlare faccia a faccia con l'intervistato ed osservare espressioni ed elementi di gestualità corporea utili a capire anche eventuali difficoltà a rispondere ad alcune domande, o eventuali incomprensioni verso alcuni termini utilizzati, e molti altri elementi che arricchiscono il contenuto verbale di alcune frasi che sarebbero state difficilmente comprensibili attraverso lo strumento del questionario. Presumendo di trovarmi di fronte a persone con un basso livello di istruzione, ho formulato le 35 domande che compongono l'intervista in modo che fossero comprensibili anche a chi possiede un basso grado d'istruzione e non costituisse un ostacolo, capire la domanda posta dall'intervistatore. Il tempo di durata di ogni intervista è variato dai venti ai quarantacinque minuti, ove le interviste più brevi sono state realizzate con persone di nazionalità non italiana che non parlavano correttamente l'italiano e presentavano difficoltà ad esprimere alcuni concetti tecnici legati alla misura alternativa o all'attività lavorativa.

Non sono stato interessato a lavorare su grandi numeri, poiché l'obiettivo consisteva nel puntare sulla qualità delle risposte, sulle esperienze dei singoli soggetti, cercando di carpirne le diverse problematicità.


Le ipotesi e le domande iniziali


La ricerca parte da delle ipotesi iniziali che ne hanno stimolato la realizzazione. L'ipotesi principale riteneva che, per coloro che si trovano ad usufruire di una misura alternativa alla detenzione, l'attività lavorativa fosse possibile unicamente in una condizione protetta, come può essere ad esempio il lavoro presso una cooperativa sociale, disponibile a dare lavoro ad un detenuto in semilibertà o in affidamento. Ritenevo importante verificare se fosse corretto fare le stesse considerazioni per tutti i detenuti che usufruiscono delle suddette misure. Ecco perché fin dall'inizio si è provveduto a cercare di intervistare due tipologie di detenuti in misura alternative, al fine di evidenziarne analogie e differenze. Partendo da questa valutazione iniziale mi interessava capire se il carcere, in quanto istituzione, contribuisce a questa difficoltà, e vedere se può essere o meno considerato un fattore che provoca handicap nel reinserimento lavorativo, oppure un fattore che aiuta efficacemente, orienta al lavoro. Appare indispensabile confrontare la storia di chi ha alle spalle diversi anni di detenzione con quella di chi ha ottenuto la misura alternativa direttamente dalla libertà e non ha precedenti penali. Un altro elemento utile a stimolare ipotesi è l'organizzazione del mercato del lavoro. Come influisce il mercato del lavoro, con le sue esigenze di flessibilità, forte mobilità lavorativa, costante necessità di formazione, alta specializzazione del lavoratore, elasticità contrattuale, sulla possibilità di trovare lavoro, in una azienda con fini di lucro, di chi si trova nella condizione di "svantaggiato"? E' l'organizzazione del lavoro a costruire una barriera nei confronti di chi sta scontando una pena, o ha dei precedenti penali, oppure è il soggetto dopo il carcere che è diventato inabile al lavoro? In quest'ottica la cooperativa sociale è in grado di riabilitare al lavoro produttivo, mira a reinserire il soggetto in una realtà con fini di lucro? Oltre ad esser stimolato da riflessioni in merito al lavoro come strumento, ed al carcere come istituzione, destinati dalla legge al reinserimento, l'ipotesi iniziale prevedeva un confronto anche sulle questioni extralavorative tra semiliberi ed affidati. Come si differenziano nelle possibilità di reinserimento sociale affidati e semiliberi? Il rientro serale a casa è comparabile al rientro serale in carcere, se no per quali motivazioni? La vita affettiva, le amicizie, le relazioni sociali, sono possibili in egual misura sia per i semiliberi che per gli affidati, oppure ci sono delle differenze sostanziali tra le due tipologie di intervistati?

Una domanda cruciale nel lavoro d'intervista dalla quale mi aspettavo molto, riguardava le proposte per migliorare l'istituto dell'affidamento in prova ai servizi sociali o della semilibertà. Ho caricato di aspettative questa domanda poiché ritenevo gli intervistati soggetti deputati a fare delle considerazioni valide sulle misure alternative, in quanto protagonisti quotidiani degli aspetti positivi e negativi. Dal punto di vista teorico questa rappresentava una domanda difficile, poiché, essendo l'unica propositiva, per rispondere sarebbe stato necessario da parte dell'intervistato fare una riflessione, un ragionamento, ed argomentarlo. Nell'ipotesi iniziale mi aspettavo che l'intervistato potesse vedere nell'intervista un mezzo per far conoscere all'interno dell'istituzione penitenziaria, e all'esterno, come si potrebbe migliorare la misura alternativa della semilibertà o dell'affidamento, e questa domanda rappresentava il mezzo più chiaro per rappresentarne l'ottica di fondo.

Ciò che emerge dai risultati risponde in modo relativamente esaustivo ai grossi interrogativi posti prima dell'intervista. Questo perché un colloquio di trenta minuti circa, non sempre in condizioni di tranquillità psicologica, non è in grado di far luce su tutte le complesse problematiche che riguardano l'efficacia di un percorso di reinserimento. Il contributo proposto, quindi, non ha la pretesa di rispondere a tutti gli interrogativi posti nelle ipotesi di partenza, ma ha la consapevolezza di rappresentare un campione importante nella realtà veneziana, in grado di stimolare ulteriori approfondimenti e far riflettere su alcune importanti affermazioni.


I dati emersi dalle interviste


Le interviste hanno interessato 10 semiliberi e 18 affidati in prova al servizio sociale.


Sesso


Su 10 semiliberi intervistati il 100% è costituito da individui maschi. Diverso il dato dei 18 affidati, che per il 94,4% (17 persone) sono rappresentati da uomini, mentre per il 5,6% (1 persona) da donne. Confrontando il dato del campione intervistato con la presenza all'interno delle carceri veneziane, ultimo dato ufficiale disponibile 30 giugno 2003 , si può affermare che il campione denoti le stesse caratteristiche, poiché, se pur con un rapporto 88,4% uomini e 11,6% donne, si evidenzia comunque che il numero dei detenuti maschi all'interno degli istituti penitenziari rappresenta la quasi totalità dei reclusi. Di conseguenza, questo dato si ripercuote anche sulla presenza femminile tra gli affidati in prova ai servizi sociali e i semiliberi. Si possono fare le stesse considerazioni sul dato veneto e quello nazionale che vedono rispettivamente una presenza maschile all'interno delle carceri pari al 93,8%, e al 95,5%. La presenza femminile aumenta in particolare ove sono presenti strutture ricettive esclusivamente per donne come nel caso di Venezia.


Età


Gli affidati intervistati hanno un'età compresa tra i 28 e i 59 anni. L'età media è di 39,4 anni. La classe con la percentuale più alta di presenze è quella compresa tra i 31 e i 40 anni ove ci sono il 55,6% degli intervistati. Non si discosta di molto il dato dei semiliberi che vede un'età compresa tra i 24 e i 50 anni d'età, con una età media di 38,3 anni. Le classi con la più alta frequenza di intervistati sono quella comprese tra i 31 e 40 anni e quella tra i 41 e i 50 anni di età.



Affidati

Semiliberi

Classe età

N.


N.


Da 18 a 30 anni





Da 31 a 40 anni





Da 41 a 50 anni





Da 51 a 60 anni





Oltre 60 anni





TOTALE






Dai dati rilevati si può evidenziare che rispetto agli affidati i semiliberi sono tendenzialmente più giovani. Se si raggruppano le classi di età si può notare che entrambi i campioni, il 77.8% degli affidati e l'80% dei semiliberi, hanno un'età compresa tra 31 e 50 anni. Interessante vedere che la classe d'età compresa tra i 18 e i 30 anni è cospicuamente rappresentata nella tipologia semiliberi mentre assume una rilevanza minore negli affidati, in quanto ha la stessa percentuale di presenze della classe tra i 51 e i 60. Questo dato rispecchia la tendenza anche della popolazione carceraria veneta e italiana. In Veneto i detenuti con età compresa tra i 18 e i 30 anni sono il 32.3% della popolazione carceraria, mentre a livello nazionale rappresentano il 27.8%. Rispetto al nostro campione sono quasi un terzo dei detenuti. Le classe più rappresentate rimangono quelle tra i 31 e i 40 anni e i 41 e 50 anni ove le percentuali sommate arrivano al 57% in Veneto e al 59.1% in Italia. Da quanto risulta poi dalle interviste, si può supporre perché sia per i semiliberi che per gli affidati questa classe di età abbia una frequenza così elevata. Tenendo conto dei tempi della giustizia italiana, le persone tra i 31 e i 50 anni d'età sono le più numerose poiché si trovano a scontare la pena per reati commessi diversi anni fa e hanno atteso diversi anni di procedimenti giudiziari prima della condanna definitiva, che è uno dei requisiti per poter accedere alle misure alternative. Inoltre gli affidati si trovano in una situazione socialmente più stabile rispetto ai semiliberi, come potremo confermare successivamente.


Comune di nascita e Comune di residenza


Comune di nascita

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Nati a Venezia






Nati all'estero





Nato fuori della Provincia di Venezia, in Italia





Nati nella Provincia di Venezia





TOTALE






Comune di residenza

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Residenti a Venezia





Domiciliati fuori della Prov. di Venezia






Residenti fuori della Provincia di

Venezia





Residenti nella Provincia di Venezia





TOTALE






Osservando le tabelle relative al Comune di nascita e di residenza di semiliberi e affidati si osservano delle sostanziali differenze tra i due campioni. Per quanto riguarda gli affidati le percentuali più alte riguardano persone che sono nate e attualmente risiedono nella provincia di Venezia. Esiste per loro un rapporto di vicinanza con la famiglia che potrebbe rappresentare anche uno dei motivi che hanno condotto il Tribunale a concedere l'affidamento. Solo una persona risiede al di fuori della provincia di Venezia, e da quanto risulta dalle interviste per espressa volontà del Tribunale che ha richiesto all'affidato di allontanarsi da un territorio considerato sfavorevole al percorso di reinserimento e allo svolgimento della misura alternativa. Altro discorso per i semiliberi, ove esiste una consistente presenza di stranieri (marocchini, albanesi e indiani), quasi la metà, mentre tra gli italiani la maggior parte è nata ad di fuori della provincia di Venezia. Nel loro caso la lontananza dalla famiglia ha influito sulla possibilità di ottenere una misura alternativa diversa dalla semilibertà. Questa impossibilità vale soprattutto per i detenuti stranieri che non avendo un alloggio sicuro e una famiglia che contribuisca al controllo trattamentale, molto difficilmente possono ottenere l'affidamento. Il problema della distanza dalla famiglia è un problema molto sentito tra i semiliberi come avremo modo di sviluppare più avanti. Il dato dei semiliberi in riferimento al Comune di nascita segue la tendenza veneta e italiana dei detenuti presenti nelle carceri. Si calcola che in Veneto i detenuti stranieri siano il 49% sul totale, mentre in Italia rappresentino il 31% dei presenti. E' chiaro che in questo caso il paragone tra i detenuti ordinari e i detenuti in misure alternative alla detenzione deve tener conto della distinzione tra coloro che nello scontare la pena mantengono un contatto diretto con il carcere, e coloro che nell'esecuzione della pena non hanno mai avuto a che fare con il carcere o comunque non ne sono più direttamente legati. Emerge chiaramente che per gli stranieri non esistono possibilità di rientrare tra le ultime due categorie poiché mancanza di vicinanza della famiglia, mancanza di un alloggio sicuro, mancanza di un permesso di soggiorno regolare, mettono queste persone in una condizione di irreperibilità e quindi difficilmente controllabili, per cui vengono più facilmente reclusi.


Stato civile


Stato civile

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Sposato/a





Libero/a





Convivente





Separato





Divorziato





TOTALE






Contrariamente a quanto si poteva supporre, la misura alternativa dell'affidamento vede un numero nettamente inferiore di persone sposate rispetto ai semiliberi. Se l'unione familiare costituisce uno degli elementi che facilita il controllo per gli affidati perché la percentuale di sposati è così inferiore rispetto invece ai semiliberi per i quali questa variabile risulta indifferente al fine della concessione del beneficio? Si presume che questo avvenga poiché una buona parte degli affidati, pur avendo in molti casi superato i trent'anni d'età vive ancora con i genitori o, come evidenzia il dato dei conviventi, ha scelto di non sposarsi. Questa tendenza è rappresentata anche dal mutamento dei rapporti affettivi nella società, ove il matrimonio ha perso quell'indiscusso primato di unico vero vincolo affettivo tra due persone. Il numero di persone celibi/nubili, come emerge dalla tabella, varia dal 20% dei semiliberi al 28% degli affidati. Guardando il dato veneto ed il dato nazionale si evidenzia una maggioranza di detenuti celibi/nubili che si attesta in Veneto al 63% mentre 56.4% in Italia. Il nostro campione sullo stato civile si discosta molto dai dati dei detenuti presenti in carcere; si potrebbe ipotizzare che la misura alternativa abbia positivamente influito sulla costruzione di un legame affettivo più solido in vista della scarcerazione, realizzato o con il matrimonio o con la convivenza; oppure che, in particolare per i semiliberi, lo stato civile abbia uno stretto legame con la cultura del territorio di provenienza, ed emerga che stranieri e persone originarie del Sud Italia abbiano una marcata tendenza a sposarsi.

Numero di figli


Numero di figli

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Non ha figli





Ha un figlio





Ha due figli





Ha tre figli





Ha quattro figli





TOTALE






Raggruppando i dati di coloro che hanno almeno un figlio emerge che gli affidati padri/madri sono il 55.6%, mentre tra i semiliberi si passa addirittura all'80%. Alta è la percentuale di coloro che non hanno figli tra gli affidati, mentre per i semiliberi questa percentuale scende fino al 20%. Quindi pur avendo alle spalle diversi anni di detenzione coloro che si trovano in semilibertà, contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, hanno più figli. Per poter spiegare questo dato è opportuno confrontarlo con altri dati, in particolar modo il luogo di nascita e lo stato civile. La consistente percentuale di stranieri e di persone provenienti dal Sud Italia, sposate, indica una tendenza culturale ad avere molti figli, escludendo la variabile detenzione tra gli ostacoli. Le statistiche sui detenuti veneti e italiani vedono tra i detenuti presenti una percentuale di padri/madri del 30,5% in Veneto e del 36,7% in Italia, percentuali decisamente distanti da quelle che rappresenta il nostro campione. In questo confronto emerge comunque la tendenza territoriale del sud Italia e degli stranieri ad avere più figli rispetto ai detenuti nati e residenti nel nord Italia. Si conferma uno stretto legame tra il territorio e la famiglia d'origine, che condiziona sia il dato sullo stato civile che quello sul numero di figli. Si può affermare anche che la famiglia rappresenta un elemento a favore della concessione della misura alternativa alla detenzione, poiché condiziona il percorso di reinserimento del detenuto.


Titolo di studio


Titolo di studio

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi


Licenza elementare





Licenza media inferiore





Qualifica professionale





Diploma/maturità





Laurea





TOTALE





Scuola superiore incompleta





Studi in corso






* Diploma conseguito all'estero, non equiparabile in Italia come titolo di studio


Come si può facilmente evidenziare il titolo di studio che possiedono in maggioranza semiliberi e affidati è la licenza media inferiore, in alcuni casi conseguita attraverso il corso di 150 ore in carcere, questo dato si può pensare sia supportato della marcata tendenza nazionale dei detenuti presenti ove il 37.8% ha terminato gli studi in terza media. Soprattutto per i semiliberi il basso livello di istruzione raggiunge il 90%. C'è da far notare che in un caso un detenuto straniero possiede il diploma conseguito nel proprio paese d'origine, ma in Italia, non essendo equiparabile si è dovuto accontentare della licenza media. Tra gli affidati, pur rimanendo dominanti coloro che possiedono un titolo di studio di licenza media, è rilevante il 27.8% di persone che hanno ottenuto una qualifica/diploma. Il titolo di studio rappresenta, come potremo verificare di seguito, uno degli elementi che incidono sulla ricerca del lavoro e quindi sulla condizione professionale. Nella maggior parte dei casi le uniche competenze spendibili sono rappresentate dalle precedenti esperienze lavorative che nella migliore delle ipotesi hanno consentito al detenuto di conseguire una specializzazione come operaio.


Studi o corsi di formazione in corso


Attualmente tra i semiliberi nessuno sta seguendo studi o corsi di formazione. Questo perché come emerge da alcune interviste il programma di semilibertà non consente di seguire attività al di fuori dell'orario di lavoro, diversamente da quanto si potrebbe pensare. Tre semiliberi dichiarano di aver seguito in carcere dei corsi di tatuaggi, cucina, restauro, serigrafia, pelletteria. Tra i semiliberi stranieri emerge la volontà di imparare bene l'italiano e di seguire dei corsi di informatica. Simile la situazione degli affidati ove 15 persone attualmente non stanno seguendo corsi di studio o di formazione professionale. Una persona sta conseguendo il diploma di geometra, un affidato sta seguendo un corso professionale come giardiniere, mentre un'altra persona sta seguendo un corso d'informatica di base. Ben sette affidati hanno seguito dei corsi di formazione, chi all'interno del carcere, chi come formazione professionale utile al proprio lavoro. Se la formazione professionale rappresenta un elemento decisamente importante per la ricerca del lavoro e utile ad un reinserimento lavorativo, perché non è incoraggiata soprattutto tra coloro che si trovano in semilibertà? Da alcune interviste emerge una perplessità sull'utilità dell'alternanza rigida lavoro/carcere che avremo modo di approfondire.


Condizione professionale attuale


Condizione professionale

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Lavoratore subordinato





Soci di cooperativa





Dipendenti cooperativa

sociale





Lavoratore Co.co.co





TOTALE






Dall'analisi di questo dato emerge la sostanziale differenza tra i semiliberi e gli affidati soprattutto per quanto riguarda l'attività lavorativa. Mentre i semiliberi sono occupati per lo più attraverso le cooperative sociali, e quindi in condizioni lavorative cosiddette protette, create per poter dare lavoro a soggetti "svantaggiati", gli affidati svolgono la propria attività lavorativa in aziende con fini di lucro come lavoratori dipendenti, soci di cooperativa e anche come lavoratori atipici, come vedremo negli stessi posti di lavoro che occupavano prima dell'esecuzione della pena. Questo particolare rappresenta un punto di divergenza sostanziale tra semiliberi e affidati. Perché? In molti casi di affidamento appare inutile parlare di reinserimento lavorativo, poiché il lavoro che veniva svolto prima dell'esecuzione penale, rimane lo stesso anche durante l'esecuzione e probabilmente, come si evince dai dati sulle prospettive lavorative, anche in futuro. Per i semiliberi questo tipo di ragionamento è impensabile, poiché l'esperienza carceraria ha troncato l'attività lavorativa precedente nel 90% dei casi, e nel periodo di semilibertà viene vissuta un'esperienza di lavoro nuova, in un contesto diverso, mirata a reinserire il semilibero al lavoro. Lo stigma del carcere impedisce l'inserimento, limita le possibilità di trovare un lavoro e costringe il semilibero a cercare riparo in una condizione lavorativa protetta, come quella rappresentata dalla cooperativa sociale. Tra i semiliberi esiste una sola persona che svolge un'attività lavorativa presso una ditta. Questo soggetto possiede, a differenza degli altri semiliberi, un titolo di studio e una professionalità di settore, che gli consente di essere appetibile per l'offerta di lavoro altamente specializzata. Nel caso degli altri semiliberi la professionalità è quasi inesistente e, come evidenziato in precedenza, non possiedono titoli di studio che certifichino competenze teoriche. Il 33.3% degli affidati che lavora in cooperativa sociale è composto in prevalenza da persone che hanno alle spalle alcuni anni di carcere e hanno ottenuto l'affidamento come misura alternativa anche perché vicini al fine pena. Quanto il marchio di carcerato influisca sulla condizione professionale attuale e sulle prospettive future emergerà da diverse considerazioni.


Mansione attuale



Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Capocantiere, lavoro d'ufficio





Giardiniere, addetto alla manutenzione del verde





Trasportatore, carico-scarico merci





Lavoro di manutenzione varia





Magazziniere





Addetto alle affissioni comunali





Addetto ponteggi ACTV





Operaio in fabbrica





Conduttore macchine operatrici





Segretaria





Custode palestra





Mulettista





Operatore ecologico, spazzino





Costruttore navale, imbarcazioni





TOTALE






Le mansioni svolte da semiliberi e affidati sono facilmente collegabili al dato sulla condizione professionale. L'operaio generico e non specializzato che attualmente è occupato presso ditte esterne e attraverso la cooperativa sociale, è l'esempio tipico del semilibero. Le mansioni svolte dal nostro campione sono in maggioranza legate alla manutenzione e cura dell'ambiente (operatore ecologico e giardiniere) e alla manutenzione generica. Unica eccezione riguarda un operaio specializzato che svolge la mansione di costruttore di imbarcazioni e conduttore di barche, lavoro legato al titolo di studio conseguito prima della detenzione. Tra gli affidati emerge una maggioranza di mansioni operaie che sono decisamente più varie rispetto al lavoro dei semiliberi (condizionato dalle commesse della cooperativa sociale). Particolarmente interessante è il dato che riguarda il 16.7% degli affidati, che li vede impiegati in attività di capocantiere o in lavori d'ufficio legati ad una mansione di responsabilità. Per quale motivo pur essendo in una condizione di esecuzione penale questi affidati svolgono incarichi di responsabilità e gestione? Il motivo è che i rapporti professionali e di fiducia costruiti prima della detenzione e/o dell'affidamento sono rimasti tali e la condizione vissuta da queste persone non ha influito sull'attività lavorativa.


Lavori effettuati in precedenza


Lavori più frequenti

Affidati freq.

Operaio


Barista


Imprenditore


Cuoco


Commesso


Operaio spec.Settore edile


Muratore


Trasportatore merci



Lavori più frequenti

Semiliberi freq.

Cameriere


Pizzaiolo


Cuoco


Barista



Per quanto riguarda i lavori effettuati in precedenza (prima della condanna) dai semiliberi e dagli affidati, emergono, osservando le tabelle, alcune analogie e differenza. Per i semiliberi il cameriere rappresenta il lavoro con la più alta frequenza, mentre tra gli affidati l'operaio generico costituisce l'esperienza lavorativa prevalente. Tra gli affidati diverse persone hanno svolto attività imprenditoriali, incarichi di responsabilità lavorativa, come dirigente o direttore d'albergo, mansioni ad alta specializzazione, come il saldatore o l'idraulico. Ci sono anche esperienze molto particolari come l'operatore televisivo, il carabiniere, il vigile urbano o il costruttore di biciclette. Si può affermare che tra la popolazione degli affidati si registra una consistente variabilità delle esperienze. Anche i semiliberi hanno avuto esperienze lavorative variegate, caratterizzate dalla manualità e dal lavoro subordinato e poco qualificato, come ad esempio l'addetto alle pulizie, il camionista, l'addetto al volantinaggio, imbianchino. Esistono tre casi di attività con incarichi di responsabilità come commerciante, imprenditore e coltivatore agricolo. Le esperienze particolari consistono nel lavoro di venditore ambulante e di costruttore di letti. Appare chiaro che il grado di scolarità di entrambe le categorie ha influito negativamente sulla possibilità di svolgere alcune mansioni, in prevalenza le attività sono subordinate, ripetitive, talvolta poco qualificate e poco gratificanti, sicuramente creativamente limitate. Pochi e limitati sono i casi di soggetti che ricoprivano cariche di rilevo, fortemente responsabilizzanti, gratificanti, decisamente non ripetitive, come nel caso di un dirigente di un'impresa di costruzione edile e bonifica ambientale, attualmente quadro nella stessa impresa, oppure di un direttore d'albergo in una località turistica del litorale veneziano, attualmente cuoco nello stesso complesso.

Come ha ottenuto il lavoro attuale


Utilizzati + strumenti

Affidati freq..

Semiliberi freq..

Famigliari



Amici-conoscenti



Assistenti sociali



SerT



Rapporti professionali precedenti



Domanda



Annuncio



Cooperativa sociale



Educatore-insegnante carcere




La stessa differenza evidenziata nel contesto della condizione professionale precedente, emerge anche su come hanno ottenuto il lavoro attuale affidati e semiliberi. Gli affidati hanno confidato sulle proprie amicizie e relazioni sociali che in 10 casi sono state utili a trovare lavoro. Questo implica un buon rapporto con la famiglia e con gli amici che si è mantenuto anche durante l'esecuzione penale. Inoltre si può pensare che, sia i famigliari, che i conoscenti, siano ben radicati nella realtà veneziana, abbiano molti contatti e relazioni, siano ben inseriti nel contesto sociale nel quale vivono e lavorano. Queste deduzioni derivano anche dal fatto che gli affidati in prevalenza sono nati e cresciuti all'interno della provincia di Venezia e sono riusciti a mantenere un legame utile anche ai fini del reinserimento lavorativo. Un'altra buona parte degli affidati è stata in grado di ottenere il lavoro attuale attraverso una ricerca personale, attraverso le proprie competenze e le relazioni professionali precedenti la condanna. Solo in quattro casi sono dovuti ricorrere all'aiuto di assistenti sociali, cooperativa sociale, SerT. Si tratta di persone che hanno alle spalle alcuni anni di carcerazione e hanno avuto maggiori contatti con queste strutture anche per problemi legati all'abuso di alcool o sostanze stupefacenti, questo campione avremo modo di confrontarlo in seguito. Per i semiliberi si mette in luce un situazione opposta. La maggioranza ha ottenuto il lavoro attuale grazie all'aiuto dei volontari in carcere e della cooperativa sociale, che oltre a rappresentare il datore di lavoro attuale, è stata anche il tramite tra il carcere e l'opportunità di lavoro, assieme alle assistenti sociali, all'educatore e all'insegnante del carcere. Il supporto di amici e conoscenti e di famigliari rappresenta un contributo poco utilizzato dai semiliberi, poiché molto spesso le famiglie vivono al di fuori della provincia di Venezia e anche all'estero, e si presenta un'impossibilità oggettiva di aver delle relazioni o dei rapporti lavorativi utili da farsi aiutare da amici o famigliari a trovare lavoro. I semiliberi in maggioranza non hanno un bagaglio di esperienza professionale o una rete di relazioni personali consolidate che consenta loro di ricevere delle proposte di lavoro. Così l'iniziativa personale risulta in due soli casi, realizzata a colpo sicuro, presso la cooperativa sociale. Dice un intervistato: "Prima di avere questo posto in cooperativa sono andato a domandare in giro, ma già per una persona normale è difficile trovare lavoro a 50 anni, figuriamoci per uno che ha problemi con la giustizia, io non l' ho trovato. Se avessi avuto un curriculum forse qualcosa avrei trovato, anche se i datori di lavoro una volta sanno che sei detenuto non ti assumono. Ci sono anche gli amici, ma quando si parla di lavoro si parla di concretezza, un datore di lavoro è responsabile del dipendente, quando ha davanti un detenuto evita di crearsi problemi. Fortunatamente la cooperativa sociale mi ha assunto". Questa testimonianza sintetizza le tre maggiori difficoltà che il semilibero, ma anche un affidato, con molti anni di detenzione alle spalle, ha nella ricerca del lavoro: il marchio di pregiudicato, l'impossibilità di contare su un curriculum di esperienze lavorative professionali, il fatto di ritrovarsi solo nella ricerca del lavoro. Per alcuni conta anche l'età, che influisce pesantemente sulla possibilità di essere appetibili all'offerta del mercato del lavoro, in particolare se buona parte della propria vita è stata passata in carcere. Se per la maggioranza degli affidati, che scontano pene inferiori ai tre anni, che ha avuto un breve periodo di detenzione oppure non è mai stata in carcere, la possibilità di trovare lavoro è legata alle relazioni sociali e alle relazioni professionali; emerge che coloro che sono in affidamento dopo una lunga detenzione e coloro che si trovano in semilibertà c'è un comune denominatore. Questo comunanza il comune denominatore è il carcere. Può essere il carcere in quanto tale l'elemento che impedisce, a coloro che scontano buona parte della pena con la detenzione, di trovare lavoro? Sicuramente non è l'unico elemento, considerato che le esperienze lavorative di coloro che scontano molti anni di carcere sono per lo più in occupazioni momentanee, stagionali, poco qualificate, che non possono considerarsi significative per un curriculum, manca inoltre un titolo di studio che certifichi almeno delle competenze teoriche. Se è appurato che non è il carcere a costituire l'unico elemento di interdizione nell'appetibilità al mercato del lavoro, perché in carcere non ci sono iniziative utili a supplire il problema della competenza lavorativa riconosciuta, per chi sconta molti anni di detenzione? O meglio perché non si mira a fare in modo che la detenzione prolungata sia utilizzata per acquisire competenze professionali utili a trovare lavoro, per usufruire di una misura alternativa, o al termine della pena? Dal contributo dell'intervista emerge anche come il preconcetto del datore di lavoro nei confronti del pregiudicato, che comunque è l'elemento determinante al fine dell'assunzione, influisca o meno il carcere a facilitarne la possibilità d'inserimento. A supplire questo problema si inserisce la cooperativa sociale che assume il detenuto per consentirgli di lavorare in semilibertà o in affidamento e attivare un percorso di reinserimento lavorativo. La cooperativa sociale assume il detenuto affinché egli possa usufruire della semilibertà nel 90% dei casi e dell'affidamento nel 33.3%. L'esperienza in cooperativa è in grado di offrire competenza per consentire un reinserimento lavorativo a fine pena presso un qualsiasi datore di lavoro? Avremo modo di approfondire questo ragionamento quando svilupperemo la domanda sulle possibilità reinserimento lavorativo al termine della pena.


Inquadramento contrattuale


Tipologia contrattuale

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Ha un contratto a tempo indeterminato





Ha un contratto a tempo determinato





TOTALE






Ha un contratto come operaio IV,V livello 





Ha un contratto come quadro aziendale





Ha un contratto come impiegata





Ha un contratto di Cooperativa Sociale





Ha un contratto come CO.CO.CO.





E' socio di cooperativa





Borsa lavoro





Contratto ancora da firmare





TOTALE






Prima di entrare nel merito del tipo di contratto stipulato dagli affidati e dai semiliberi salta agli occhi un dato opposto sulla durata del contratto del campione. Tra gli affidati ben il 77.8% ha un contratto cosiddetto a tempo indeterminato, mentre tutti i semiliberi hanno un contratto a tempo determinato. Questa opposta situazione deriva da due motivazioni di fondo: il contratto firmato dai semiliberi è un contratto siglato per consentire al detenuto di uscire in semilibertà ed è consuetudine della cooperativa sociale, stipulare un contratto di lavoro con scadenza a fine pena, nel caso degli affidati la durata contrattuale è indipendente dall'esecuzione penale e consente agli affidati una maggior sicurezza sul futuro lavorativo indipendentemente dai propri obiettivi e volontà. La tipologia contrattuale della maggioranza degli affidati è operaio di quarto o quinto livello con le mansioni che abbiamo potuto evidenziare in precedenza. Anche se il contratto è stipulato per la stessa mansione, molto spesso le categorie contrattuali sono diverse poiché come prevedono i Contratti Nazionali di Categoria, ogni settore presenta le proprie tipicità. Alcuni affidati, anche se in numero esiguo, hanno tipologie contrattuali cosiddette atipiche, ultimamente molto frequenti nel mercato del lavoro, come ad esempio i CO.CO.CO. I semiliberi, se pur accomunati dalla stessa tipologia contrattuale, hanno condizioni di lavoro variegate a seconda della ditta presso la quale lavorano. Altra differenza tra le due tipologie riguarda il livello contrattuale, come si evince dalla tabella. La maggioranza degli affidati ha un contratto di quarto o di quinto livello, mentre i semiliberi possiedono un contratto di cooperativa sociale di livello decisamente inferiore. Questa differenza risulterà assai sentita tra i semiliberi, che vedono in questa tipologia contrattuale, una discriminazione rispetto ai loro colleghi di lavoro non detenuti. Svolgere le stesse mansioni lavorative e lo stesso orario di lavoro, e avere un inquadramento contrattuale e uno stipendio differenziato, risulta agli occhi del semilibero come una discriminazione.


Conoscenza e presa visione dei termini del contratto


Livello di conoscenza

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi


Insufficiente





Sufficiente





Buono





Ottimo





Ancora da visionare





TOTALE






Tra gli affidati più della metà conosce molto bene il proprio contratto di lavoro e soltanto una persona non ha una conoscenza sufficiente Questo affidato svolge un'attività lavorativa imprenditoriale parallela all'attività lavorativa dichiarata, e considera irrilevante la conoscenza del contratto. Anche tra i semiliberi c'è una almeno sufficiente conoscenza e presa visione del contratto, ma appare rilevante anche la totale ignoranza contrattuale di due intervistati. Entrambi hanno dichiarato di non aver mai visto il contratto, sia per disinteresse personale che per mancata visione da parte del datore di lavoro. Appare chiaro che per i semiliberi esiste la volontà di dimostrare al datore di lavoro la massima fiducia, considerato che viene ritenuto l'unico referente possibile.


Iscrizione ad organizzazioni sindacali


La totalità degli intervistati, affidati e semiliberi, dichiarano di non essere iscritti ad organizzazioni sindacali. Due soli affidati dicono di essere stati iscritti in passato, ma ora non sono interessati. Nei pochi casi nei quali l'intervistato si è dilungato su questa domanda emerge una generale disaffezione nei confronti delle tradizionali rappresentanze dei lavoratori, una sfiducia generalizzata verso questi organismi. Come evidenziavo poco sopra la volontà dei semiliberi di conquistare e dare la massima fiducia nei confronti del datore di lavoro contrasta con l'adesione sindacale.


Orario giornaliero


Orario di lavoro

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


8 ore al giorno, 40 settimanali lun-ven





Minimo settimanale 20 ore





30 ore settimanali lun-ven





36 ore settimanali lun-sab





31 ore e 40 minuti lun-ven





42 ore e 30 minuti lun-ven





45 ore lun-ven





50 ore lun-ven





55 ore lun-ven





57 ore 30 minuti lun-sab





65 ore settimanali lun-sab





TOTALE






Al fine di facilitarne la comprensione e la schematizzazione ho raggruppato gli orari di lavoro con il quantitativo di ore effettivamente svolte durante la settimana. Risultava poco utile elencare l'orario di inizio e di conclusione della giornata lavorativa di semiliberi e affidatati, anche se è emerso che si tratta di orari nella maggior parte diversi e soprattutto per i semiliberi si esce e si dovrebbe rientrare a orari diversi. Per la maggioranza degli affidati la giornata lavorativa consiste in otto ore di lavoro, interrotte da una pausa pranzo generalmente di un'ora, con un orario quindi full time da 40 ore settimanali, sabato e domenica riposo. Un gruppo consistente di affidati, invece, ha un contratto di tipo part-time che implica un orario settimanale di 30 ore dal lunedì al venerdì, con riposo il sabato e la domenica. C'è un affidato che nell'arco di una settimana svolge 57 ore e 30 minuti di lavoro, con riposo domenicale. Questa persona svolge due attività lavorative durante la giornata poiché lo stipendio di una sola attività lavorativa non gli consentirebbe di mantenere gli standard di vita precedenti all'esecuzione penale. Per i semiliberi invece il contratto di cooperativa sociale prevede un orario di lavoro giornaliero di sei ore dal lunedì al sabato, con riposo domenicale. Uniche eccezioni sono rappresentate da un persona che svolge un lavoro part-time con 30 ore settimanali e un'altra persona che dichiara di lavorare 65 ore settimanali. Quest'ultima persona, poiché per un semilibero rappresenta un problema effettuare straordinari per un semilibero con un orario standard di 8 ore giornaliere, ha preferito stabilire addirittura un orario lavorativo elevato. Oltre a questo motivo emerge dall'intervista che il lavoro consente al semilibero di stare lontano dal carcere più tempo possibile e questo viene visto in modo estremamente positivo, tanto da giustificare anche un carico di lavoro considerevole. Si può affermare che l'orario di lavoro degli affidati si avvicina molto all'orario tipico di un qualsiasi operaio e quindi tipico del settore secondario, mentre l'orario dei semiliberi ha dei connotati più vicini all'orario dei dipendenti di enti pubblici, uffici, del settore terziario sia pubblico che privato.


Tempo di percorrenza casa-lavoro o carcere-lavoro


Durata tragitto

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Fino a 10 minuti





Da 11 a 30 minuti





Da 31 a 60 minuti





Da 1 ora a 2 ore





Non si sposta





Variabile





TOTALE






Diversamente da quanto si può pensare non sempre un elevato tempo di percorrenza corrisponde ad una grande distanza tra l'abitazione o tra il carcere ed luogo di lavoro, spesso il problema riguarda i collegamenti. Soprattutto per quanto riguarda i semiliberi è importante ricordare che l'ubicazione del carcere SAT, all'interno del quale sono ristretti i detenuti in semilibertà, si trova nell'isola della Giudecca a Venezia, che è collegata al centro storico, alle altre isole e alla terraferma unicamente dai vaporetti pubblici ACTV, a meno che non si disponga di barche private. Altra osservazione indispensabile riguarda la possibilità, negata ai semiliberi di utilizzare mezzi propri per lo spostamento, che vincola la mobilità delle persone agli orari dei mezzi pubblici. Circa un terzo degli affidati raggiunge il proprio posto di lavoro in pochi minuti generalmente con mezzo proprio, mentre l'altra percentuale elevata riguarda coloro che impiegano tra la mezz'ora e l'ora di tempo per arrivare a lavoro dalla propria abitazione. Lo scarto di tempo in genere è considerato tenendo conto del traffico che nelle ore mattutine e serali attanaglia le nostre città, considerato che tra gli affidati si predilige il mezzo proprio. Casi singolari riguardano un affidato che dichiara di lavorare in casa e quindi non ha uno spostamento per arrivare al lavoro, e il caso di una persona che svolge la mansione di capocantiere per il quale il tragitto tra la propria abitazione e il luogo di lavoro varia a seconda dell'ubicazione del cantiere. La metà dei semiliberi impiega tra l'ora e le due ore per arrivare al lavoro. Coloro che hanno un tempo di percorrenza così elevato lavorano o nell'Isola di Pellestrina o nel litorale veneziano del Comune di Cavallino Treporti, raggiungono il luogo di lavoro con i mezzi pubblici che impiegano molto tempo per arrivare a destinazione. Esiste un solo semilibero che impiega tra la mezz'ora e l'ora, che sono i tempi di percorrenza tra l'Isola della Giudecca e la terraferma mestrina. Altra cosa interessante, è che nessuno nel dichiarare il tempo di percorrenza tra abitazione o carcere e il lavoro, da dei tempi precisi, poiché in alcuni casi la variabilità dipende dal traffico, in particolare per gli affidati, e in altri casi dai ritardi dei mezzi di trasporto, in particolare nel caso dei semiliberi. Dai tempi di percorrenza emerge anche la concentrazione dei posti di lavoro di semiliberi e affidati. Per quanto riguarda i semiliberi, la maggior parte di loro lavora a Venezia o nella isole della laguna, una sola persona lavora al di fuori del Comune di Venezia. Gli affidati lavorano in prevalenza nei Comuni periferici della Provincia di Venezia; alcuni hanno la possibilità di spostarsi per lavoro anche nella provincia padovana. Si tratta di coloro che svolgono mansioni legate al settore edile.


Mezzo di trasporto utilizzato


Mezzo utilizzato

Affidati N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi


Automobile





Camion-furgone





Scooter-moto





Bicicletta





A piedi





Abbinamento Bus+Vaporetto





Abbinamento Piedi+Vaporetto





Abbinamento Treno+Vaporetto





Abbinamento Piedi+Bus+Vaporetto





TOTALE






Come accennato in precedenza dalla tabella, si può notare come la maggioranza degli affidati utilizzi mezzi privati propri. Inoltre la maggioranza utilizza un unico mezzo di locomozione per raggiungere il luogo di lavoro. Tutti i semiliberi sono costretti ad utilizzare più mezzi a prescindere da dove si trovi il posto di lavoro, poiché, come osservavo in precedenza, il carcere si trova su un'isola collegata a Venezia e alla terraferma dal vaporetto. Ecco che la questione del tempo di percorrenza si collega necessariamente al mezzo di trasporto perché l'abbinamento soprattutto di due mezzi pubblici diversi spesso vuol dire anche sottostare alle possibili coincidenze.


Considerazioni sull'adeguatezza dello stipendio, per sé e per la propria famiglia



Affidati N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi


Adeguato





Inadeguato





n.c.





TOTALE






L'argomento stipendio ha rappresentato durante l'intervista una delle tematiche più delicate da affrontare con gli intervistati. Quasi tutti gli intervistati a prescindere dalle considerazioni in merito, hanno manifestato la centralità di questo tema in un ragionamento completo sul lavoro. Il peso dello stipendio in riferimento al lavoro è considerato il più consistente, poiché spesso è quello che determina la permanenza o meno in un determinato posto a prescindere dal lavoro in sé. Gli elementi espressivi degli intervistati alle domande sull'adeguatezza e soddisfacimento dello stipendio hanno contribuito a far emergere una generale preoccupazione sul caro vita e sul valore reale del denaro, che prescindono dalla condizione di detenuto e sono comuni ad una grossa fetta di cittadini, che attualmente esternano il problema di arrivare a fine mese. Per quanto riguarda i risultati emersi dalle interviste, come si può vedere nella tabella soprastante, tra affidati e semiliberi emergono considerazioni opposte. La maggioranza degli affidati considera il proprio stipendio adeguato. Verificando le interviste emerge che tra coloro che ritengono adeguato il proprio stipendio solo per la metà degli intervistati uno stipendio è più che adeguato alle esigenze del soggetto e della propria famiglia. L'altra metà di coloro che considerano adeguato il proprio stipendio lo fanno in ragione di un contributo sicuro di altri membri famigliari, generalmente moglie o compagna oppure genitori o attività extralavorative, e in riferimento alla condizione dell'affidamento che, concedendo una libertà parziale limita anche le spese. "Lo stipendio è adeguato, perché lavora anche mia moglie" dice un affidato, "Considero lo stipendio adeguato alle esigenze odierne, considerato che sono in affidamento e che attualmente vivo con i miei genitori", "C'è mia moglie che lavora e una delle mie figlie, delle due che sono a casa, è adeguato, basta per le spese lo stipendio, con quello che prende non riesco a risparmiare", sono alcune delle considerazioni di coloro che sostengono l'adeguatezza dello stipendio. Entrambi gli affidati che considerano inadeguato lavorano presso una cooperativa sociale e svolgono la mansione di giardiniere. I motivi dell'inadeguatezza dello stipendio sono diversi: uno sostiene ".molte sono le spese che devo sostenere anche per le pratiche giudiziarie e lo stipendio che percepisco sicuramente non è adeguato in questo momento", l'altra persona invece ritiene che "assolutamente inadeguato è lo stipendio, se non contribuissero i miei genitori e la mia compagna attuale non riuscirei a sostenere gli elevati costi del trasporto per andare da casa al lavoro.più che uno stipendio, sembra uno stipendio di cortesia ossia non per il lavoro vero e proprio che si svolge.". Dalle considerazioni di questi ultimi due affidati emergono le similitudini con la maggioranza dei semiliberi che considera lo stipendio inadeguato per sé e per la propria famiglia. Tra i semiliberi che considerano lo stipendio inadeguato c'è chi ha dovuto ". mandare al mio paese la mia famiglia perché non riuscivo a mantenerli qui. Sono dovuti tornare in India perché con lo stipendio che percepisco non riusciamo a vivere in tre", altri invece giustificano questa risposta dicendo "non mi serve a niente lo stipendio, devo anche passare gli assegni familiari, riesco a mala pena a sopravvivere", oppure "ho due figli piccoli e uno che lavora, lo stipendio è pochino ma fortunatamente mia moglie lavora in nero così riusciamo a tirare avanti". Emerge in particolare che l'inadeguatezza risulta soprattutto nella possibilità di mantenere dignitosamente la propria famiglia e questo rappresenta un elemento significativo per il semilibero. Coloro che considerano adeguato il proprio stipendio, e si tratta di due semiliberi, lo sostengono in ragione della mansione svolta e dell'orario di lavoro, oltre alla capacità di adeguamento soprattutto in una condizione di semilibertà. Coloro che, semiliberi e affidati, non si sono espressi sullo stipendio lo hanno fatto poiché devono ancora ricevere la prima busta paga e non si sentivano in grado di fare delle considerazioni nel merito. Si può affermare che la mansione e la condizione professionale giocano un ruolo rilevante sull'adeguatezza dello stipendio. La grossa fetta di affidati che lavora in qualità di operaio specializzato considera adeguato il proprio stipendio in funzione anche del tipo di lavoro svolto e del livello contrattuale. Per i semiliberi l'inadeguatezza è riferita in particolare al rapporto tra il tipo di mansione e il livello contrattuale, che di conseguenza si ripercuote sullo stipendio. Questo emergerà con forza anche nella risposta successiva

Soddisfazione data dello stipendio



Affidato N.

Affidato %

Semilibero N.

Semilibero %

Soddisfacente





Non soddisfacente





n.c.





TOTALE






Attraverso questa domanda ho voluto indagare su quanto affidati e semiliberi siano soddisfatti del proprio stipendio e perché. Emerge che gli affidati sono soddisfatti del proprio stipendio, mentre i semiliberi sono in maggioranza insoddisfatti. Gli affidati si considerano soddisfatti perché lo stipendio rappresenta il giusto compenso per l'attività lavorativa prestata, la mansione svolta e il tipo di livello contrattuale del lavoratore. Per i semiliberi valgono le considerazioni opposte: per loro lo stipendio è inadeguato rispetto all'attività lavorativa svolta e al tipo di mansione. Il livello contrattuale di questi soggetti, ed il confronto con lo stipendio dei propri colleghi di lavoro che non stanno scontando un'esecuzione penale, li rende insoddisfatti. Si nota che, l'essere soddisfatti o meno dello stipendio percepito sembra seguire la stessa dinamica delle considerazioni in merito all'adeguatezza dello stesso, con un'unica eccezione. Mentre quando si parlava di adeguatezza gli affidati che non si erano espressi erano due, a questa domanda uno dei due intervistati si ritiene non soddisfatto dello stipendio, aumentando il numero d'insoddisfatti a circa il 28% degli affidati. Ecco alcuni esempi sulle motivazioni di insoddisfazione per lo stipendio percepito. Per chi lavora in cooperativa sociale, sia affidati che semiliberi, l'insoddisfazione deriva dal confronto con lo stipendio dei colleghi non detenuti "Vedendo il rapporto tra noi e gli operai della Vesta, noi facciamo lo stesso lavoro e qualche volta anche di più per dimostrare che ci teniamo a svolgere bene questa misura, e lo stipendio è completamente diverso", c'è chi sostiene di sostenere un carico di lavoro elevato "non sono soddisfatto perché mi fanno lavorare per tre persone, cuoco, pizzaiolo, barista, e poi prendo meno di uno". Il confronto con lo stipendio "normale" è fonte di insoddisfazione. Una osservazione interessante emerge anche da un affidato che considera lo stipendio soddisfacente "Io prendo gli stessi soldi che prendevo fuori e quindi lo considero soddisfacente. L'unica cosa è che sono poche le trattenute, hai poca pensione poiché lo stipendio lordo è più basso in cooperativa rispetto ad un qualsiasi altro posto di lavoro normale. Sconsiglio di farlo per tutta la vita questo lavoro, lo fai fino a quando hai questi problemi qua". E' chiaro che lo stipendio per chi lavora in cooperativa sociale è un tasto dolente sul giudizio complessivo sul lavoro, vedremo poi quanto questo incida sulla valutazione.


Rapporto con i colleghi di lavoro



Affidati N.

Affidati %

Semiliberi N.

Semiliberi %

Molto buono





Buono





Sufficiente





Cattivo





n. c.





TOTALE






Sia per gli affidati che per i semiliberi il rapporto con i colleghi è da considerarsi in prevalenza più che buono, tra gli affidati si arriva perfino a considerare il rapporto con i colleghi ottimo. Questo è un altro aspetto molto importante per il lavoro, perché lavorare a contatto con persone con le quali non esiste nessun rapporto o un rapporto conflittuale a lungo andare creerebbe un attrito insopportabile. Un solo intervistato ha dichiarato di avere un brutto rapporto con i colleghi di lavoro, egli sostiene "Ho un rapporto negativo con i colleghi di lavoro, c'è poco da fare, non si può puntare su gente inaffidabile come pregiudicati o ex tossici per far funzionare un'impresa. Ci vogliono persone normali", il rapporto con i colleghi viene visto quindi in funzione dell'operatività del lavoro. Tra coloro che sostengono di avere un buon rapporto con i colleghi dice un semilibero: "Come in una famiglia, stiamo tutti là insieme, abbiamo dei buoni rapporti, quando c'è qualcosa che non va ce lo chiariamo, ci confrontiamo, ci tolleriamo". Da parte degli intervistati nel rapporto di lavoro con i colleghi, non emergono problemi rilevanti in riferimento alla condizione di affidato o semilibero; chi lavora con loro conosce la condizione della persona e ha costruito un rapporto senza pregiudizi. Spesso, soprattutto tra i semiliberi, i colleghi si trovano nella stessa condizione di semilibertà, ciò implica una condivisione anche dell'esperienza carceraria, che, pur nella sua negatività, costringe a rapportarsi con gli altri.

Giudizio sul lavoro svolto



Affidati N.

Affidati %

Semiliberi N.

Semiliberi %

Insufficiente





Sufficiente





Buono





Ottimo





TOTALE






Questa risposta sintetizza tutte le riflessioni sugli aspetti lavorativi analizzate in precedenza. Qui si chiedeva all'intervistato di esprimere un giudizio sul lavoro attuale tenendo conto del tipo di lavoro, del rapporto con i colleghi, dello stipendio, degli orari e della distanza. Gli intervistati hanno generalmente espresso in maggioranza un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro, anche se con numerosi distinguo. Solo due affidati intervistati hanno ritenuto negativo e insufficiente il proprio lavoro commentando così "Non sono assolutamente soddisfatto di questo lavoro, lo stipendio è basso e il lavoro è poco qualificato. Prima di entrare in carcere ero riuscito a trovare di meglio sia dal punto di vista economico che del gradimento. Adesso sono costretto ad adattarmi almeno fino a quando finisco la pena." , l'altro affidato sostiene "Negativo, non riesco a capire come si faccia a lavorare con certa gente. Non è possibile puntare su gente inaffidabile, che non ha voglia di fare, non è un lavoro è un passatempo. Poi i discorsi sono sempre quelli, le facce sono sempre quelle, non ci si può migliorare così" . E' chiaro che nel caso di queste due persone la funzionalità attribuita al lavoro dalla misura alternativa, viene considerata in secondo piano, e quindi se il lavoro in sé non è utile, e non è visto positivamente, come può essere funzionale al reinserimento? Si pone in questo caso una riflessione che è emersa anche in precedenza sulla funzionalità appagante del lavoro che possa consentire un vero reinserimento, prima lavorativo, poi sociale. Andando ad analizzare le considerazioni positive di affidati e semiliberi spuntano le diversità, e soprattutto le diverse valutazioni sul lavoro. C'è una risposta interessante che sintetizza alcune considerazioni dei semiliberi che guardano positivamente e considerano sufficiente il lavoro soprattutto nell'ottica del reinserimento, dice l'intervistato: "Per me il lavoro è positivo, sarà perché provengo da un contesto difficile, vedo che in questa maniera sto bene. Io non sapevo, vengo dal sud, sono calabrese, queste cose lì non esistono, li non si parla nemmeno di misura alternativa!! Hai dieci anni di carcere, te li devi fare e basta, è un ergastolo. Qui al Nord, nel Veneto specialmente, il volontariato aiuta la popolazione carceraria a reinserirsi, tipo me, io provengo da un contesto mafioso, ci scommettevano in pochi, però vedendomi hanno capito che si sbagliavano." . Il lavoro viene visto in maniera positiva poiché è funzionale alla misura alternativa e anche alla possibilità di reinserimento, soprattutto per chi ha alle spalle diversi anni di detenzione. Ragionamento diverso viene fatto da coloro che invece si trovano in affidamento e considerano il lavoro come professione a medio lungo termine "faccio quello che mi piace e faccio quello che facevo prima". Il giudizio complessivo sul lavoro svolto per gli affidati ha la valenza più che positiva a prescindere dalla misura alternativa, l'unica cosa è che eventuali problematiche, o volontà di cambiare, devono essere trattenute fino al termine della pena. Si può affermare che mentre per i semiliberi forzosamente il ruolo del lavoro ha una funzione centrale, per gli affidati è un aspetto della vita della persona contornato da altri particolari, come vedremo tra poco.

Possibilità di reinserimento lavorativo a fine pena



Affidati

N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi


Reale possibilità





Forse





Non esiste





TOTALE






La possibilità di reinserimento a fine pena consiste per quanto riguarda questa domanda nel mantenimento del posto di lavoro, a prescindere dalla propria eventuale volontà di rimanere o meno, al termine dell'esecuzione penale. Le risposte sono state classificate in tre categorie: la prima che indica una reale possibilità di rimanere nell'attuale posto di lavoro, giustificata da un contratto a tempo indeterminato o da una esplicita dichiarazione del datore di lavoro, la seconda che indica una non precisata possibilità giustificata dall'atteggiamento nei confronti di altri ex semiliberi o ex affidati da parte del datore di lavoro, la terza quando è chiaro all'intervistato che non esiste nessuna possibilità di rimanere nel posto di lavoro attuale. La maggioranza degli affidati dichiara con tranquillità che la permanenza nell'attuale posto di lavoro dipende esclusivamente dalla propria volontà, poiché sia il contratto a tempo indeterminato che i colloqui con il datore di lavoro non mettono in discussione il rapporto di lavoro dopo il fine pena. Per queste persone parlare di reinserimento lavorativo sembra una forzatura, perché sarebbe sicuramente più appropriato definirlo proseguimento lavorativo. Dice un intervistato "Non penso proprio di aver problemi al termine della pena per quanto riguarda il lavoro, con il datore di lavoro ne ho già parlato, lui conosce chiaramente tutta la vicenda e non mi ha posto nessun problema". Coloro che hanno risposto senza certezze a questa domanda, come indicavo poco sopra, lo hanno fatto poiché non hanno né un contratto a tempo indeterminato, né una certezza da parte del datore di lavoro, ma solo una presunzione di mantenimento del posto di lavoro. Spiega un affidato "Possibilità di reinserimento lavorativo, non te lo posso dire personalmente con certezza, però so con certezza che alcune persone che erano detenute tutt'ora stanno lavorando, tipo il mio collega che era in affidamento ora ha finito ed è rimasto. Se uno si comporta bene appare normale che la cooperativa decida di mantenerlo in quel posto". Coloro che esprimono questa incertezza tra gli affidati sono tutti lavoratori alle dipendenze di una cooperativa sociale con contratto fino fine pena. Come evidenziato nessun affidato ha negato la possibilità di reinserimento nell'attuale posto di lavoro, mentre tra i semiliberi ben il 30% degli intervistati dichiara che non c'è nessuna possibilità. Dice uno di loro "Non penso proprio che ci siano delle possibilità di rimanere dove sono, fine pena, fine contratto, fine lavoro". Coloro che fanno questo tipo di dichiarazione sono tutti stranieri extracomunitari e la loro permanenza in Italia è condizionata dal lavoro e quindi dal permesso di soggiorno. Per loro il reinserimento lavorativo è una questione difficile anche all'interno della cooperativa sociale. La nuova legge sull'immigrazione da delle disposizioni chiare sui rimpatri al termine della pena; emerge che piuttosto di godere dei novanta giorni di liberazione anticipata di diritto, gli stranieri preferiscono lavorare e scontarsi tutta la pena in semilibertà.  Buona parte dei semiliberi che dichiarano una presunta possibilità di reinserimento lavorativo hanno avuto modo di discuterne con il presidente della cooperativa sociale, che coerentemente con le commesse previste, ha dato degli spiragli per un rinnovo contrattuale. Dice un intervistato "Mi hanno detto che potrò rimanere lì per altri sei mesi, loro hanno delle ore da fare e finché possono mi tengono..". Solo tre semiliberi danno una certezza in merito al reinserimento, anche se riguarda attività lavorative precedenti, poiché la loro pena volge al termine e si sono già attrezzati in questo senso. Come si può notare la sostanziale differenza tra semiliberi e affidati che parlano di una reale possibilità di reinserimento consiste nel mantenimento o meno dell'attuale posto di lavoro. Per i semiliberi l'attuale occupazione è vista comunque come un'occupazione transitoria, legata alla misura alternativa, mentre per gli affidati è il proprio lavoro, ed è indipendente dalla misura alternativa. In riferimento alle prospettive e le aspettative di cambiamento questo emerge chiaramente.

Prospettive e aspettative di cambiamento



Affidati N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi


Vorrei rimanere a fare lo stesso lavoro





Vorrei tornare fare il lavoro che facevo

prima della carcerazione





Vorrei fare un altro lavoro





TOTALE






Se per la maggioranza degli affidati, come ho già affermato, la mansione lavorativa attuale rappresenta il proprio lavoro, per i semiliberi è chiaro che è un'esperienza transitoria, soprattutto quando si parla di prospettive e aspettative di cambiamento. Solo due semiliberi vorrebbero rimanere in cooperativa al termine della pena, magari con uno stipendio più alto o con un'altra mansione. Tra gli affidati emerge una certa rassegnazione che spinge a considerare il lavoro attuale l'unico possibile e sicuro. Dice un affidato "Non ho molte aspettative, il mio percorso l'ho già fatto, quello che volevo realizzare l'ho realizzato a prescindere dalla vicenda giudiziaria", un altro affidato afferma "Farsi delle aspettative non fa più parte del mio modo di pensare, cerco di vivere alla giornata e di accontentarmi di quello che vivo in questo momento. Mi considero già fortunato ad avere questo lavoro, se il futuro mi riserverà qualcosa di meglio.", e ancora c'è chi sostiene "Se ci sono delle possibilità di cambiare magari con uno stipendio più alto, sono disposto a cambiare lavoro. Però ho poche aspettative, non so fare molti lavori, ho poca esperienza e con i miei precedenti penali chi mi assume".  Da queste affermazioni esce una figura dell'affidato molto rassegnato, che vede poche possibilità di miglioramento, anche a causa della propria condizione di pregiudicato, e confida più che altro in un miglioramento economico. E' chiaro che la certezza di un posto di lavoro può essere un disincentivo a cambiare lavoro. Ecco perché tra i semiliberi questo atteggiamento è opposto. I semiliberi, in maggioranza, vogliono ritornare a fare il lavoro che facevano prima, ricostruire una condizione lavorativa e ricostruire in una vita normale, attualmente interrotta da un periodo di detenzione. Quello che differenzia le risposte tra semiliberi e affidati è la costruzione di un sogno, una grande aspettativa, un sempre presente progetto di vita e di lavoro ancora da realizzare. Nella quasi totalità delle risposte dei semiliberi emerge sempre questo sogno nel cassetto, che la detenzione sembra non aver offuscato. Ecco perché l'avviare una attività in proprio è una delle aspettative più grandi di chi vuol realizzare un proprio sogno. Aprire un ristorante, una pizzeria, un pub, comunque gestire in proprio un'attività sono alcune delle aspettative che emergono. Questa impostazione accomuna i semiliberi ad alcuni affidati che hanno alle spalle diversi anni di detenzione e in questo forse il carcere come esperienza gioca un ruolo rilevante.


Rapporto con gli altri al di fuori del lavoro



Affidati

N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi


Buoni rapporti





Cattivi rapporti





Non ha rapporti





TOTALE





La maggioranza sia di semiliberi che di affidati al di fuori del lavoro sostiene di aver dei buoni rapporti con gli altri. Molti sostengono che i buoni rapporti costruiti prima della detenzione con amici, parenti, e in particolar modo con i famigliari sono rimasti solidi, anzi, talvolta si sono rafforzati durante l'esecuzione penale. Il sostegno dei famigliari e buon rapporto con alcuni amici sembra anche aiutare a sopportare le limitazioni previste dalla misura alternativa assieme alle persone care. Rilevante appare soprattutto il dato che riguarda coloro che dicono di non avere rapporti con gli altri al di fuori del lavoro; perché, anche in questo caso, rappresenta un'analogia tra semiliberi e affidati, anche se con alcuni distinguo. Dice un affidato "Io ho dei rapporti quasi nulli al di fuori del lavoro e della mia compagna. Questo perché avendo il divieto di frequentare determinate persone ho paura di entrare in contatto con chi potrebbe mettermi nei guai. Così cerco di evitare i contatti", un altro affidato sostiene "Per ora non riesco a costruire dei rapporti al di fuori della famiglia; tra poco inizierò il volontariato e spero di coltivare qualche amicizia, visto che non ho altri modi". Tra le motivazioni che in qualche modo spingono gli affidati ad evitare i contatti con le altre persone al di fuori del contesto famigliare o lavorativo, incidono molto le prescrizioni previste dalla misura alternativa dell'affidamento. Infatti tale misura vieta espressamente all'affidato di frequentare locali pubblici e locali notturni, e luoghi all'interno dei quali si somministrano bevande alcoliche. Inoltre c'è un espresso divieto di frequentare pregiudicati. La paura di vedersi revocare la misura alternativa per aver trasgredito ad una prescrizione, spinge l'affidato a ritirarsi socialmente e passare la maggior parte del proprio tempo in casa. Come fa una persona a reinserirsi socialmente, se non ha la possibilità di frequentare gli altri senza rischiare di contravvenire alle prescrizioni del Tribunale? Questa domanda ricorrente emerge da molte interviste e verrà approfondita quando affronteremo la questione della misura alternativa in sé. Altro discorso per i semiliberi che non riescono ad avere rapporti al di fuori del lavoro. Coloro che hanno dichiarato di non riuscire ad avere rapporti extralavorativi lo hanno fatto in ragione del proprio programma di trattamento che prevede solamente la possibilità di andare dal carcere al lavoro e dal lavoro al carcere, escludendo completamente il tempo extralavorativo. Dice un semilibero "La mia ragazza è l'unica persona che riesco a vedere, questo perché mi viene a trovare sul pontile mentre lavoro e mi fa compagnia, poi quando devo rientrare in carcere la sera fa la strada con me in vaporetto fino al carcere. Questo è l'unico modo che ho per poterle stare vicino e vederci. Pensa che mio figlio lo sento solo per telefono poiché non mi è possibile andarlo a trovare, a Natale gli ho comprato un regalo e non sono nemmeno riuscito a darglielo di persona, ho dovuto far venire mio suocero sul lavoro e chiedergli di consegnarglielo. Ma quali sono i rapporti". Se per gli affidati la misura interviene indirettamente sulla possibilità di rapporti extralavorativi, per i semiliberi l'inesistenza di tempo da trascorrere fuori dal carcere al esclusione del lavoro, costringe a non avere rapporti.


Come impiega il tempo libero extralavorativo


Le risposte in merito al tempo libero extralavorativo sono direttamente collegate ad alcune riflessioni fatte poco sopra. Per gli affidati il tempo libero al di fuori del lavoro viene impiegato, nella maggioranza del campione, all'interno della propria abitazione e con la propria famiglia. Per quanto riguarda i semiliberi, ad eccezione di alcuni degli intervistati che hanno la possibilità di trascorrere parte della giornata a casa con i famigliari, la maggioranza passa il proprio tempo libero in carcere. Le misure alternative in questione, anche se con modalità diverse, inducono i beneficiari a trascorrere le ore libere ad di fuori del lavoro in un contesto vigilato e protetto. Tenuto conto di questa considerazione di fondo, generalmente tra gli affidati la figura più rappresentativa è quella del padre che torna a casa la sera stanco dopo una giornata di lavoro e cerca di passare quel poco tempo prima di andare a dormire con i propri figli e la propria consorte. Chi ha più tempo libero a disposizione lo dedica a coltivare degli hobby, come lo sport, la palestra. Singolari i casi di tre affidati: si dedicano a delle attività quali lo studio, un altro lavoro, il volontariato. Sono queste le attività che impiegano gli affidati al di fuori del lavoro. I semiliberi, che hanno la possibilità di avere alcune ore libere da trascorrere dopo il lavoro prima del rientro in carcere, ossia coloro che hanno un'abitazione all'interno della provincia di Venezia e hanno ottenuto questo tipo di trattamento, generalmente lo passano a casa con i famigliari. L'attività più frequente tra i semiliberi nel tempo libero è leggere o scrivere, passatempi tipici dell'ambiente carcerario indispensabili a mantenere un contatto con il mondo esterno e con i propri affetti. L'immagine del semilibero è quella di colui che al termine di una giornata di lavoro rientra in carcere e prima d'addormentarsi scrive ai propri famigliari, legge, o in alcuni casi guarda la tv. C'è una domanda che sorge spontanea, da dove viene ricavato da semiliberi e affidati il tempo della risocializzazione? Quale spazio reale essa ha nel reinserimento, se nel tempo libero è completamente omessa? Se per gli affidati esiste la volontà di evitare i rapporti con gli altri nel tempo libero extralavorativo, al di fuori della famiglia, volontà come abbiamo visto forzata dalla paura di contravvenire alle prescrizioni della misura stessa, i semiliberi a prescindere dalla propria volontà sono costretti a non avere rapporti extralavorativi, poiché il loro tempo libero dopo il lavoro devono trascorrerlo all'interno del penitenziario.



Come ha conosciuto l'affidamento o la semilibertà



Affidati N.

Affidati %

Semiliberi N.

Semiliberi %

Da solo





Dai detenuti





Avvocato





Educatore





Assistente sociale





Cooperativa sociale





Dal tribunale-giudice





SerT





Parenti





TOTALE






Conoscere una misura alternativa alla detenzione vuol dire sapere che esistono delle possibilità, previste dalla legge, di uscire dal carcere e/o di scontare la propria condanna definitiva fuori dagli istituti penitenziari. La prima cosa che emerge nettamente, è che difficilmente ci si informa preventivamente sulle misure alternative alla detenzione, ed è così che tra gli interrogati traspare come il carcere (tipologia di conoscenza: da solo, dai detenuti, assistente sociale) rappresenti, per la maggioranza degli intervistati, il luogo fisico all'interno del quale si viene a conoscenza della semilibertà e dell'affidamento in prova ai servizi sociali, confermano Nella premessa alla ricerca ho illustrato come il problema carcere il cittadino lo affronti solo dal momento in cui ne è investito personalmente, o ne sono investiti amici, parenti o famigliari. Ci sono alcune sfumature importanti nelle risposte date dagli intervistati a questa domanda sulla conoscenza dell'istituto delle misure alternative. La maggioranza dei semiliberi, e un quasi 30% degli affidati, viene a conoscenza della semilibertà o dell'affidamento in carcere, prevalentemente da soli, attraverso lo studio del codice penale e delle leggi dell'ordinamento penitenziario. Chi si trova in carcere è stimolato a studiare la situazione legislativa che lo riguarda da vicino, e si informa per poter uscire il più presto possibile. Dice un semilibero "Tanti anni di galera, l'esperienza insegna, qualcosa ho imparato. Ho sempre letto il codice penale e il codice di procedura penale, l'ordinamento penitenziario e le ultime norme. Mi sono sempre informato, la cosa mi riguardava", contribuiscono ad aiutare alla conoscenza i detenuti di lungo corso, esiste una solidarietà tra i detenuti per aiutarsi ad uscire dal carcere. Un affidato afferma a questo proposito "In carcere mi sono sempre informato per me stesso e per aiutare certe persone, perché all'interno ci sono persone che non sanno come muoversi, e se stanno ad aspettare gli avvocati, che sanno meno dei detenuto, marciscono in carcere. Ho fatto tante richieste di semilibertà e affidamento per altri..", un altro intervistato sostiene "Quando sono entrato in carcere non sapevo cos'era, come si facesse, sono entrato in cella e ho trovato delle persone che mi hanno aiutato e mi hanno detto le cose che devi fare, avevano un'esperienza di anni e anni di galera. Le stesse cose poi me le ha dette il mio avvocato". Contribuiscono a far conoscere le misure alternative anche l'assistente sociale, l'educatore, i volontari della cooperativa sociale, che aiutano i detenuti a capire i passaggi utili ad ottenere la misura alternativa.

Gli affidati che hanno avuto una breve esperienza carceraria, o non sono mai stati in carcere, hanno conosciuto l'affidamento attraverso l'avvocato e in alcuni casi attraverso il Tribunale o il SerT. In quest'ultimo caso sostiene un intervistato "Il tribunale che mi ha notificato la condanna definitiva mi ha proposto tre possibilità di scelta: la semilibertà, l'affidamento in prova ai servizi sociale o gli arresti domiciliari. L'avvocato mi ha consigliato l'affidamento, anche perché avevo tutti i requisiti, avevo trenta giorni per decidere". Questo aspetto implica una decisione diretta da parte dell'autorità giudiziaria affinché il condannato sconti la pena in modo alternativo alla detenzione. Con sfumature diverse succede al semilibero di venire a conoscenza della semilibertà tramite il Tribunale di sorveglianza "Io non conoscevo nemmeno la semilibertà, ho fatto istanza per ottenere l'affidamento in prova, io ero agli arresti domiciliari. Il giudice che mi ha ritenuto socialmente pericoloso. mi ha dato la semilibertà.". Altro caso particolare riguarda un affidato che è venuto a conoscenza delle misure alternative perché in famiglia un parente aveva già scontato una pena in misura alternativa.


Tempo d'attesa tra la domanda e la concessione della misura alternativa



Affidato N.

Affidati %

Semilibero N.

Semilibero %

Da 0 a 6 mesi





Da 6 mesi ad un anno





Da un anno a due anni





Oltre due anni





Non ricorda





TOTALE






Coloro che hanno ottenuto la concessione della semilibertà o dell'affidamento in prova ai servizi sociali entro sei mesi dalla domanda, oltre il 70% degli affidati e la metà dei semiliberi, provengono generalmente da Tribunali diversi dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia. E' stato evidenziato che nella procedura per la concessione della misura alternativa il Tribunale veneziano abbia tempi di procedura lunghi e, a parità di requisiti, concede con maggior difficoltà la misura alternativa alla detenzione. Questa valutazione emerge dalle dichiarazioni degli intervistati, in particolare da coloro che hanno visto rifiutarsi la domanda più volte, e con la medesima, sono riusciti a farsi approvare la semilibertà o l'affidamento da un altro Tribunale in breve tempo. Dice un affidato "Provengo dal carcere di Bologna e da un tribunale che funziona benissimo, io ero in carcere a Belluno e il Tribunale di sorveglianza di Venezia mi ha rigettato la richiesta di affidamento, sono riuscito a cambiare carcere e andare a Ferrara e il Tribunale di Bologna con le stesse motivazioni me l'ha approvata dopo tre mesi e due permessi premio". E' da evidenziare un elemento chiarificatore per quanto riguarda la concessione delle misure alternative: a requisiti in regola non corrisponde una sicura concessione della misura, poiché sono molti i fattori che contribuiscono all'accettazione della domanda, non ultimo l'andamento delle misure alternative già concesse dal Tribunale, che condiziona pesantemente le nuove concessioni. Emerge inoltre che la concessione della semilibertà ha tempi decisamente superiori rispetto alla concessione dell'affidamento il che penalizza in particolare coloro che si trovano all'interno degli istituti penitenziari. Traspare che nei confronti delle richieste dei detenuti di lunga durata non c'è alcuna attenzione particolare da parte del Tribunale; ad indicare che la misura alternativa, nonostante siano passati trent'anni dalla Legge Gozzini, ancora non rappresenta lo strumento prioritario dell'esecuzione penale.



Pena scontata in semilibertà o affidamento, pena residua, pena totale in esecuzione


PENA SCONTATA

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi %

Da 0 a 6 mesi





Da 6 mesi ad un anno





Da un anno a due anni





Oltre due anni





Non dichiarato





TOTALE






PENA RESIDUA

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi %

Da 0 a 6 mesi





Da 6 mesi ad un anno





Da un anno a due anni





Oltre due anni





Non dichiarato





TOTALE






PENA IN ESECUZIONE

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi


Da 0 ad un anno





Da uno a due anni





Da due a tre anni





Da tre a cinque anni





Oltre cinque





Non dichiara





TOTALE






Per poter avere una visione completa del percorso di esecuzione della pena degli intervistati ho voluto raggruppare questi tre dati significativi: pena scontata in misura alternativa, pena rimanente, e totale pena in esecuzione. Prima di analizzare i dati delle tabelle è opportuno sottolineare che l'affidamento in prova ai servizi sociali è concesso a coloro che hanno una pena inferiore ai tre anni o un residuo pena della stessa durata. La pena scontata, in misura alternativa, non corrisponde necessariamente alla pena scontata, come vedremo. Inoltre il dato di coloro che non dichiarano la pena in esecuzione deriva dall'espressa volontà dell'intervistato di glissare su questo tema. Chi ha manifestato titubanza e difficoltà nel rispondere a queste domande sono in particolare affidati alla prima ed unica condanna, che si vergognano della condizione nella quale si trovano, e preferiscono evitare di parlare di pena, quasi possa cancellarla dalla memoria. Devo affermare che queste domande hanno provocato un cambiamento emotivo da parte di molti intervistati, e volutamente sono state affrontate verso la fine dell'intervista, quando il colloquio appariva più disteso e confidenziale. Nessun problema in merito a queste risposte è stato evidenziato tra i semiliberi. Dalle tabelle emerge una situazione variegata e anche tra gli stessi semiliberi o affidati. La maggioranza dei semiliberi, 8 su 10, sconta una condanna superiore ai tre anni, che in 4 casi supera i cinque anni, 3 dei quali oltre i 10 anni, con un picco di 22 anni. Tra gli affidati 8 su 18 scontano una condanna superiore ai tre anni, con un picco di massimo sette anni. Hanno scontato in semilibertà o in affidamento meno di due anni la maggioranza degli intervistati con punte dell'80% tra i semiliberi. Il dato che appare significativo è il divario tra ciò che è stato scontato e rimane da scontare, ed il totale pena, che sta a significare che buona parte della pena viene scontata in carcere. Diverse sono le motivazioni che costringono a continuare a privilegiare l'espiazione della pena negli istituti penitenziari, piuttosto che attraverso una misura alternativa anche in presenza dei requisiti d'ammissibilità legale. Unica eccezione riguarda coloro che devono scontare pene inferiori ai sei mesi, per le quali nella maggioranza dei casi viene concesso direttamente l'affidamento in prova ai servizi sociali. La ragione principale che costringe a espiare gran parte della pena in carcere piuttosto che in misura alternativa è il tempo richiesto dall'osservazione del trattamento. In questo tempo l'equipe del trattamento dovrebbe valutare se esistono le condizioni affinché il detenuto possa essere avviato al reinserimento sociale esterno al carcere. Affinché si possa procedere alla concessione di una misura alternativa al carcere è necessario che la condanna sia definitiva, ciò vuol dire che la maggioranza dei detenuti sconta la pena aspettando la condanna definitiva. Altro elemento, è l'esistenza di un contratto di lavoro sicuro affinché si possa avviare le pratiche per la semilibertà o l'affidamento. Non ultimi i tempi della giustizia italiana, che a causa del grosso carico di lavoro, non sono in grado di analizzare le richieste dei detenuti in tempi brevi. L'insieme di questi fattori, come emerge dalle interviste, determina un ricorso alle misure alternative, in buona parte quando la pena sta volgendo al termine, il che fa pensare che si tratti proprio di un beneficio, piuttosto che di un diritto sancito dalla legge.

Tipologie di reato


Per non imbarazzare ulteriormente l'intervistato, ed evitare questa domanda potesse aumentare la diffidenza nei confronti dell'intervistatore, ho preferito rinunciare ad avere spiegazioni sulla tipologia di reato. Le tipologie che ho potuto riscontrare sono state esternate nella spiegazione della domanda precedente. Ho potuto notare che coloro che hanno scontato e devono scontare molti anni di detenzione non hanno nessun tipo di problema a parlare dei loro reati. Ho imparato che in carcere spesso si parla dei propri reati soprattutto tra coloro che non sono alla prima condanna, un po' per esorcizzare le colpe, un po' per farsi vedere dagli altri detenuti. I semiliberi, infatti, sono coloro che nella maggior parte delle interviste hanno raccontato dei loro reati senza problemi, mentre tra affidati questa tematica appariva, al contrario, da evitare. Quattro intervistati hanno dichiarato di esser stati condannati per reati legati allo spaccio e alla detenzione di sostanze stupefacenti, due per reati di corruzione nell'ambito dell'inchiesta su tangentopoli, due per rapina e furto, due per truffa, uno per associazione a delinquere nell'ambito dell'inchiesta sulla "mala del brenta", uno per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione di armi, omicidio e rapina, uno per falsificazione di documenti. Molto spesso la pena in esecuzione è frutto del cumulo di più pene e anche di diversi reati.


Condanne precedenti, eventuali revoche della misura alternativa e perché


Condanne precedenti

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi N.

Semiliberi %

Nessuna





Una





Più di una





TOTALE






Sospensioni di precedenti misure alternative

Affidati

N.

Affidati


Semiliberi

N.

Semiliberi %

Nessuna





Si, una





TOTALE






Ho volutamente accostato queste due domande che agli intervistati sono state poste separatamente, per poter analizzare meglio la recidiva, che rappresenta uno degli elementi essenziali in una valutazione sul reinserimento. Da quello che è possibile notare, se per gli affidati il tasso di recidiva si attesta al 30%, il che indica che un affidato su tre è pregiudicato, questo dato arriva al 50%, tra i semiliberi, il che indica che un semilibero su due è pregiudicato e ha scontato almeno un'altra condanna. Tre degli intervistati, un semilibero e due affidati, hanno dichiarato di aver già usufruito di altre misure alternative alla detenzione e di aver subito una sospensione. In un caso si è trattato della violazione della libertà condizionata, in un altro, di mancata presentazione sul posto di lavoro, mentre nell'ultimo caso c'è stata una sospensione poiché, sopraggiunta un'altra condanna definitiva, il residuo pena superava i tre anni. Se si confrontano le esperienze passate e la recidiva in misura alternativa, emerge un dato interessante. Se prima di ottenere la misura alternativa i casi di recidiva per i semiliberi riguardano un detenuto su due, ottenuta la semilibertà la recidiva scende al 10%. Allo stesso modo tra gli affidati si passa dal 33.3% all' 11.1%. Può essere la misura alternativa un deterrente alla recidiva del detenuto? Da quanto emerge dalle interviste, affidati e semiliberi affrontano spesso questa misura come l'ultima e unica chance a loro disposizione per evitare di tornare in carcere, e per potersi ricostruire una vita normale. Dai risultati attuali la tendenza sembra confermare il tentativo di svolgere correttamente le indicazioni previste dalla misura alternativa. Per poter confermare appieno questo dato sarebbe interessante verificare tra i detenuti comuni quanti hanno usufruito in passato dell'affidamento o della semilibertà ed analizzare i perché delle precedenti sospensioni.


Problemi riscontrati in quanto affidato o semilibero


A questa domanda un solo semilibero e sette affidati hanno risposto che per loro non esiste nessun problema derivante dalla misura alternativa. Due sono le tipologie di risposta di chi sostiene di non aver problemi. Il primo gruppo è costituito da coloro che hanno alle spalle diversi anni di detenzione, usufruiscono della prima misura alternativa, e rapportandola al carcere, sostengono che non ci siano reali problemi. All'interno di questo gruppo rientrano un semilibero e cinque affidati, per i quali il carcere ha talmente pesato sulla persona che la possibilità di uscire ha eliminato qualsiasi problematica. Dice un affidato "Mi sento fortunato ad usufruire di questa misura. Non ho problemi particolari, visto che per molti anni ho provato il carcere, e so cosa vuol dire", aggiunge un altro intervistato "All'inizio dell'affidamento non mi interessava, mi bastava uscire, avrei fatto qualsiasi cosa per rimanere fuori. In carcere mi sono trovato spaesato, a Padova ero a contatto con ergastolani, che per me era al di fuori della mia realtà. Se uno viene fuori che vuole ricominciare la sua vita l'affidamento è una cosa bellissima. Certo alcune cose non le ho potute fare, come andare in spiaggia con gli amici. Però nel complessoposso dirmi fortunato". Per queste persone il funzionamento della misura viene rapportato alla condizione carceraria. Un altro gruppo di intervistati che dichiara di non avere particolari problemi in quanto affidati o durante l'affidamento, sostiene che l'affidamento non ha prodotto nessun cambiamento nella loro vita, si tratta di due affidati. Dice una degli intervistati "Io svolgo una vita normale, non ho controlli notturni o orari da rispettare di permanenza in casa. Non vado in locali notturni, ma non ci andavo neanche prima. Tutto come se l'affidamento non ci fosse". Appare chiaro che ciò che condiziona la risposta a questa domanda sono le prescrizioni della misura, come vengono vissute, e quanto incidono sulla vita quotidiana dell'affidato o del semilibero. Il 90% dei semiliberi dichiara di avere dei problemi in quanto semilibero e derivanti dalla misura alternativa della semilibertà, questa percentuale si abbassa tra gli affidati al 60% circa, perché questo divario tra le due misure? Quali sono le motivazioni che differenziano il peso delle problematiche nelle diverse misure? C'è una frase di un semilibero che sintetizza bene la differenza sostanziale tra semilibero e affidato "Non ci sono problemi, basta che rimani dell'idea che sei un detenuto". In queste poche parole si racchiude la grande differenza tra l'affidamento e la semilibertà vista dagli intervistati. Infatti i principali problemi per i semiliberi derivano proprio dal fatto che la misura, anche se ti da la possibilità di lavorare all'esterno, non lascia spazio alla libertà della persona. I problemi più frequenti sono: gli orari eccessivamente restrittivi, il problema del rientro in carcere la sera, ansia di sbagliare, le spese da sostenere e la difficoltà di trovare alloggio, le condizioni del carcere e l'impossibilità di avere rapporti con gli altri, principalmente la lontananza dalla famiglia. Per ciò che riguarda gli orari, solo a tre semiliberi è consentito trascorrere del tempo a casa al termine del lavoro, prima di rientrare in carcere. Tutti gli altri, al termine dell'orario lavorativo giornaliero, devono rientrare immediatamente in carcere, in alcuni casi, seguendo anche un tragitto ben delineato. Considerato che in media l'orario di lavoro è di sei ore al giorno, gran parte della giornata, per i semiliberi, viene trascorsa in carcere. Non sono previste per questo tipo di misura attività correlate a quella lavorativa al fine del reinserimento sociale del soggetto. Dice un intervistato "Dov'è il reinserimento, io lavoro e vado in carcere, ditemi voi come faccio a reinserirmi". Il problema del rientro in carcere la sera avremo modo di trattarlo separatamente di seguito. L'ansia di sbagliare, è un problema che deriva dal fatto che in qualche modo i semiliberi si sento sempre alla prova e un qualsiasi errore potrebbe cancellare in un attimo le speranze di un'alternativa al carcere. Alcuni degli intervistati hanno esternato come problema anche le condizioni in cui si trova la struttura carceraria SAT di Venezia, all'interno della quale sono ospitati i semiliberi. Sostiene un intervistato "..Il carcere dove andiamo la sera è uno schifo, nelle celle cadono i calcinacci, è tutto sporco, poi per andare a fare la doccia la sera bisogna passare 100 metri all'aperto a volte sotto la pioggia. E' una cosa indecente, allora è meglio il carcere normale. Quando sei al SAT, basta, non c'è niente, almeno in carcere ci sono dei corsi.". Ultimo problema riscontrato, e considerato anche tra i più importanti, soprattutto tra i semiliberi stranieri e italiani provenienti dal meridione, è la lontananza dalla famiglia, che si unisce all'impossibilità di avere dei rapporti con gli altri. Alla domanda "Come sono i rapporti con gli altri al di fuori del lavoro?" un terzo dei semiliberi ha esternato un difficoltà a costruire dei rapporti, derivanti dalle prescrizioni della misura alternativa. Non essendoci la possibilità di avere del tempo a disposizione fuori dal carcere, oltre all'orario lavorativo, appare ovvio che non è neppure possibile avere dei contatti con altre persone. La questione si complica se si parla di familiari, e se le persone hanno la famiglia che risiede a centinaia di chilometri di distanza. Questo fattore viene visto dai semiliberi come un controsenso rispetto al concetto di reinserimento sociale, che la misura alternativa cerca di proporre. Si ritiene impossibile arrivare ad un graduale reinserimento nella società al termine della pena, se durante il beneficio della semilibertà non sono attivati dei momenti utili a ricostruire dei momenti di socializzazione per i detenuti semiliberi. Come vedremo tra le proposte, si ritiene importante tanto quanto il lavoro, la possibilità di frequentare momenti di formazione, istruzione, utili alla risocializzazione. Le problematiche degli affidati presentano degli aspetti peculiari, anche se simili a quelli dei semiliberi. Tre sono considerati i principali problemi degli intervistati: gli orari di rientro serale, le possibilità di spostamento-mobilità, i rapporti con gli altri. L'affidamento generalmente prevede l'obbligo di permanenza in casa durante la notte, con controlli frequenti da parte delle forze dell'ordine; uno spazio delineato per la mobilità, che può essere il comune di residenza o la provincia di Venezia, il divieto di frequentare luoghi pubblici e pregiudicati. Queste sono le principali prescrizioni che poi sono modificate a seconda del soggetto. In questa condizione, il rientro serale rappresenta uno dei vincoli più sentiti dagli intervistati. Si considera l'orario controproducente rispetto alla possibilità di reinserimento sociale, tanto quanto il divieto di frequentare luoghi pubblici. Altra difficoltà riscontrata riguarda la possibilità di spostarsi al di fuori del contesto lavorativo. Molti affidati sono vincolati a non allontanarsi dal Comune di residenza se non per lavoro. Questo vincolo è vissuto come un problema soprattutto da coloro che vivono in Comuni molti piccoli della Provincia veneziana, ove mancano anche alcuni servizi essenziali, come ad esempio la farmacia o un supermercato. In merito a questo particolare problema si evidenzia l'assurdità di limitare la mobilità dell'affidato ad esempio al Comune di Pianiga e parificarla alla mobilità di un altro affidato del Comune di Venezia. I rapporti con gli altri sono un altro problema molto sentito dagli intervistati "Ho grossi problemi quando sono in compagnia, devo limitarmi nei rapporti con gli altri per le prescrizioni legate al divieto di frequentare pregiudicati e locali pubblici. Faccio difficoltà a costruire dei legami sociali, cerco spesso di evitare contatti e di inserirmi in contesti sociali dove poi non mi posso mettere", "Se uno ha fatto un errore, la gente è abituata a vedere la brava persona, e improvvisamente vede i carabinieri che vanno a casa tre volte al giorno, c'è una discriminazione da parte del vicinato e delle persone", sostengono alcuni intervistati. Rapportarsi con le altre persone in una condizione di affidato comunque avviene con difficoltà, anche perché il primo problema è fare in modo che l'affidamento non si sappia, e questo criterio vale per molti. Fare finta di vivere una condizione normale in un contesto di misura alternativa, se per il semilibero è praticamente impossibile, per l'affidato è una situazione logorante che spesso lo costringe a chiudersi in se stesso e a stare in famiglia, piuttosto che vivere in maniera problematica questa doppia figura.


Come viene vissuto il rientro in carcere o a casa la sera


Una premessa è senza dubbio doverosa: rientrare in carcere o rientrare a casa, sono due aspetti completamente diversi per una persona, e su questo punto è bene chiarire appieno le diverse valutazioni. Nove semiliberi su dieci vivono il rientro in carcere la sera, o al termine del lavoro, in modo molto negativo. Per un solo intervistato questo rientro è indifferente, perché rientra alle 23.30 ed esce alle 5.30, e dopo aver lavorato per più di 10 ore al giorno l'unica cosa che fa in carcere è dormire. Diversa la condizione degli altri semiliberi che considerato il numero medio di ore lavorative, circa sei al giorno, il tempo rimanente viene vissuto nella struttura carceraria, che come evidenziavo poco sopra, non offre delle attività extralavorative per i reclusi. Questi sono gli aggettivi che descrivono la sensazione del rientro in carcere la sera "Crudo, afflosciato rispetto a quando esci", "Il rientro lo vivo con estrema difficoltà", "Il rientro la sera è una cosa orribile, pesa.. Mi sembra una cosa assurda quando ho la casa a dieci minuti dal lavoro andare a dormire alla Giudecca e tornare la mattina alle cinque", "Mi da fastidio, perché dico la semilibertà a cosa serve. Devo rientrare in carcere alle 23 e dormire cinque ore che senso ha.", "Non vedi l'ora che arrivi la mattina per andare via. Poi le guardie provocano i detenuti, se arrivi prima del previsto ti fanno aspettare perché magari mezz'ora dopo arriva un altro e non hanno voglia di fare due giri. Ma ci rendiamo conto?", "Mio figlio mi chiede, papà perché non ti fermi a dormire a casa? Io non so mai cosa posso fare, devo tornare in carcere e lui non può venire, mi pesa". Il rientro in carcere è come il risveglio dopo un bel sogno: la giornata è stata trascorsa normalmente ed in libertà, quando è ora di rientrare il semilibero si rende conto di essere un detenuto ed il sogno svanisce. Questa doppia sensazione, detenuto e persona in libertà, ha il suo punto di massimo contrasto proprio al momento del rientro serale. Valutazioni diverse sono state fatte dagli affidati in merito al rientro serale. Per 8 affidati su 18, il rientro a casa la sera non è visto come un problema, viene considerata una prescrizione da rispettare nell'ambito del programma di trattamento, e in questi casi è visto tranquillamente. Altra valutazione viene fatta da coloro che vedono il rientro serale come una forte limitazione, qualcosa di obbligato e doveroso, da svolgersi in maniera forzosa al fine di evitare la sospensione dell'affidamento. Dicono gli intervistati "Il rientro a casa lo vedo in modo obbligato, doveroso. Se fosse possibile cercherei di coltivare un reinserimento, dei rapporti sociali, delle relazioni con gli altri", "Il rientro è dovuto per evitare problemi", "La vita è bella in famiglia, ma questa è una limitazione". Il rientro a casa è sicuramente collegato al vincolo degli orari, previsto dalla misura alternativa, che impedisce all'affidato di uscire la sera ad eccezione che per lavoro. Se per i semiliberi, tra i problemi che questo rientro solleva, il luogo ha il ruolo fondamentale, per gli affidati questo fattore risulta irrilevante, e si concretizza invece l'impossibilità di fare altro. Tutti coloro che sentono negativamente il rientro serale, ritengano che limiti la possibilità di svolgere altre attività esterne comunque utili al reinserimento sociale della persona. La negatività consiste proprio nel non comprendere le motivazioni che sacrificano il fine ultimo della misura alternativa, il reinserimento sociale, e obbligano la persona a rimanere in casa. Per gli affidati rientro serale vuol dire anche continui controlli notturni improvvisi da parte delle forze dell'ordine, che verificano il rispetto dell'orario previsto dalla misura. Diversi intervistati giudicano negativamente questa prassi poiché la ritengono forzata nei confronti della famiglia, più che dell'affidato stesso. Come è stato sottolineato anche nelle risposte precedenti, i troppi vincoli previsti dalle misure alternative possono talvolta rappresentare, per i detenuti alla prova, una corsa ad ostacoli, e facilitare la possibilità di sbagliare cancellando l'opportunità di espiare la pena al di fuori del carcere.

Proposte per migliorare la misura alternativa dell'affidamento o della semilibertà


Questa domanda, è l'unica che pone all'intervistato la possibilità di essere propositivo in merito ad una situazione che lo riguarda da vicino. Ho voluto lasciare per ultima questa domanda affinché l'intervistato avesse la possibilità attraverso le altre domande di analizzare bene la propria situazione, e in riferimento alla propria condizione personale, fare delle proposte per migliorare, se possibile la misura alternativa in questione. Devo dire che alcuni intervistati si sono dimostrati perplessi nei confronti di questa domanda e non sono riusciti a maturare delle risposte a loro avviso adeguate. Si tratta di quattro affidati, che ritengono che di non aver nessuna proposta da fare poiché la misura va bene così, e due semiliberi. Come è facilmente intuibile le proposte si collegano direttamente alle problematiche che affidati e semiliberi hanno esternato nelle domande precedenti, anche se con alcune sfumature interessanti. Tra i semiliberi, ben quattro su dieci, sostengono che la misura alternativa sia da eliminare e propongono in alternativa, l'affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari con la possibilità di lavorare. Dice un intervistato " Io la chiuderei interamente, la farei cancellare. Questa servirebbe per rieducare il detenuto, è valida solo per chi non ha una casa, ma per chi ha una casa è inutile. Arresti domiciliari o affidamento, sei molti più controllato. Il giudice mi ha messo in semilibertà perché riteneva che potessi incontrare pregiudicati, mi ci ha mandato lui con chi si è fatto 20 anni di galera, io che ho 24 anni, mi raccontano di rapine.la semilibertà è una spesa di soldi inutile, non serve a niente", aggiunge un altro semilibero "Per raddrizzare di più un detenuto serve maggior libertà, ma anche controllo, la semilibertà è da cancellare, meglio domiciliari o affidamento". Inequivocabile è il giudizio espresso dalla maggioranza dei semiliberi in merito alla misura alternativa, alla richiesta di possibili miglioramenti. Ciò che giustifica questa risposta è l'impossibilità da parte del detenuto di avere dei momenti di libertà al di fuori del lavoro utili al reinserimento. Sostengono i semiliberi che la semilibertà lascia ampio spazio di libertà durante la giornata lavorativa senza nessun controllo, ad esclusione di un colloquio una tantum con l'assistente sociale, e non incentiva dei momenti costruttivi al reinserimento, anche controllati, che facciano sentire il semilibero coinvolto in un percorso di cambiamento. Si propongono gli arresti domiciliari o l'affidamento poiché come trattamento si avvicinano molto alla concezione di accompagnamento al reinserimento e danno l'impressione che il soggetto sia più seguito, oltre che più libero. Tra le altre risposte emerge la necessità di poter vedere la famiglia. Prevedendo turni di lavoro diversi, rientri in carcere diversi, per i semiliberi le occasioni di colloquio con i famigliari, sono molto poche, rispetto ad esempio ai detenuti comuni. Questa problematica allontana il detenuto in semilibertà dalla famiglia soprattutto se la famiglia risiede a centinaia di chilometri di distanza e non è possibile raggiungerla durante i permessi. Cercare di trovare modi e spazi affinché si mantenga unito il legame del semilibero con i propri famigliari, potrebbe secondo gli intervistati essere utile al programma di trattamento. Una proposta non generalizzabile, ma riferita proprio ai semiliberi veneziani, riguarda la possibilità di migliorare la struttura che ospita i detenuti in semilibertà, SAT alla Giudecca. Era stata evidenziata tra le problematiche, in maniera chiara, l'inadeguatezza delle strutture del SAT, che secondo gli intervistati non rispetta i principi minimi di qualità della vita in carcere. Provvedere ad una qualificazione delle strutture consentirebbe di vivere in modo meno traumatico il rientro in carcere dei semiliberi e far apparire in maniera meno netta il divario tra la giornata lavorativa e il rientro serale. Altre due proposte interessanti sono formulate in funzione del principio cardine della semilibertà: il graduale reinserimento sociale del detenuto e la sua rieducazione. Due semiliberi propongono che nel programma di trattamento siano previsti dei momento di formazione professionale, culturale, sociale, all'interno della struttura di permanenza serale, o in alternativa venga concessa al semilibero la possibilità di uscire dall'istituto per frequentare all'esterno eventuali corsi formativo -ricreativi. Altrettanto importante sono i momenti di socializzazione del semilibero che i detenuti propongono possano essere implementati o almeno concessi, visto che, come emerge dalla domanda sui rapporti con gli altri extralavorativi, attualmente sono sostanzialmente negati. Queste ultime due proposte secondo gli intervistati andrebbero ad arricchire la misura alternativa per gradualmente reinserire il detenuto, oltre che in un contesto lavorativo, anche in un contesto sociale.

E' indubbio che dal punto di vista propositivo gli affidati arricchiscono le possibilità di miglioramento della misura, poiché nessuno ritiene l'affidamento una misura alternativa inutile e da cancellare. Tra le risposte più frequenti fuoriesce la necessità di un graduale aumento di fiducia da parte del Tribunale nei confronti dell'affidato, affinché progressivamente conceda, verso il fine pena maggior libertà. Ciò che evidenziano gli affidati è che per molti l'affidamento ha delle prescrizioni stabili, che non tengono conto del comportamento dell'affidato durante il trattamento. L'aspetto meritocratico del trattamento durante l'affidamento, sostengono quattro intervistati, avrebbe il vantaggio di concedere maggior libertà al soggetto che dimostra un reale reinserimento. Altra proposta frequente tra le dichiarazioni degli intervistati interessa soprattutto coloro che risiedono in Comuni molto piccoli della provincia veneziana, i quali hanno esternato in precedenza, una difficoltà a provvedere alle esigenze fondamentali di una persona senza poter uscire dal proprio Comune. La proposta prevede che, in riferimento a coloro che risiedono in Comuni piccoli, la possibilità di avere uno spazio di mobilità più ampio, al fine di soddisfare le normali necessità. L'esempio riportato da un affidato è che si tende a concedere il Comune di residenza come spazio di mobilità per un affidato senza rendersi conto della differenza territoriale tra il Comune di Venezia e il Comune di Fiesso d'Artico. Un'altra valutazione particolare, che deriva proprio dall'esperienza personale degli intervistati, riguarda la richiesta al Tribunale di valutare bene caso per caso prima di commisurare pene e misure, poiché è necessario considerare tanto la specificità dei soggetti, quanto di conseguenza la particolarità delle misure. Questa proposta ha una connotazione polemica nei confronti di giudizi penali, che non ritengo di mia competenza valutare, ma è utile a capire la rigidità della misura dell'affidamento in riferimento ai singoli casi. Emergeva anche in precedenza che manca da parte del Tribunale una personalizzazione della misura che tenga conto, non solo delle condizioni iniziali del soggetto, ma anche del percorso di attuazione dell'affidamento. Quattro proposte in riferimento alle prescrizioni tipiche dell'affidamento chiedono di evitare i controlli notturni, abolire il volontariato obbligatorio, avere maggiori contatti con il servizio sociale, aumentare il personale che esamina le richieste di affidamento. Queste proposte si inseriscono nella naturale valutazione sugli aspetti più o meno difficili della misura alternativa e penso che siano facilmente inseribili in una valutazione che metta al primo posto il reinserimento socio-lavorativo e riconduca a sé tutti gli altri aspetti. C'è un aspetto propositivo che forse analizza la misura alternativa più che nel merito, in un ragionamento più ampio sulla detenzione e sul carcere. Dice un affidato "La misura alternativa dovrebbe divenire lo strumento per risolvere i tanti problemi di reinserimento dei detenuti. Non tutti trarranno beneficio da un'esperienza di affidamento, ma è uno degli unici tentativi possibili per chi è ancora recuperabile. Per chi è irrecuperabile non serve. Tenere le persone in carcere e basta, oltre un certo periodo di un anno, massimo due anni, rischia di avere l'effetto contrario, ciò non migliora la persona, anzi, la rende rabbiosa nei confronti della società, peggiora i problemi, si arrabbia di più, perché si sente abbandonata. Il rapporto così diviene sempre più difficile. Se invece si tenta un percorso, c'è la probabilità di recuperare la maggior parte delle persone ristrette, di consentire loro una prospettiva di vita". In queste poche righe si racchiude un grande interrogativo che abbiamo posto sin dall'inizio della ricerca. Può la misura alternativa, vista attraverso il lavoro essere utile ad un percorso di reinserimento lavorativo e poi sociale? E' sufficiente o dovrebbe essere il carcere ad iniziare un percorso e la misura alternativa completarlo? Dice un altro intervistato "L'inserimento andrebbe fatto a partire dal carcere e poi attraverso le misure alternative, se durante il periodo di detenzione lasciano le persone vegetare, il reinserimento attraverso la misura alternativa non è altro che il tentativo di sfruttare la possibilità di stare fuori, facendo finta di reinserirsi. Diventa un'alternativa per uscire.bisognerebbe consentire di lavorare anche ai non definitivi, perché spesso uno può scontare tutta la pena a vegetare aspettando di poter lavorare una volta definitiva la sua condanna". In queste proposte emerge la difficoltà di rendere il più possibile efficace un percorso di reinserimento, che come ho evidenziato non può limitarsi a partire con la misura alternativa, e forse non può nemmeno terminare alla fine della misura, e in questo semilibertà e affidamento si pongono allo stesso modo. Metter mano all'affidamento o alla semilibertà vuol dire anche metter in discussione un sistema che ha accompagnato il nostro ordinamento penitenziario dalla Riforma del 1975 ad oggi, tra luci ed ombre, tra momenti di più estesa e momenti di più restrittiva concessione. Ridiscutere sulle prescrizioni di semilibertà e affidamento significa inoltre ripensare al carcere in funzione delle misure alternative e valutare appieno la possibilità di rendere queste misure realmente alternative alla detenzione. Dalla voce degli intervistati queste valutazioni sono chiare e sicuramente non fine a se stesse, sono volte a migliorare la condizione di chi vive o vivrà la loro stessa esperienza, e a incoraggiare ad occuparsi di detenuti non ad intermittenza, ma a tempo pieno.


Conclusioni


L'analisi delle interviste proposta ci offre la possibilità di dare risposta alle numerose domande poste all'inizio della ricerca e di confermare o smentire alcune delle ipotesi formulate nel corso del nostro lavoro. Anche se la ricerca è circoscritta ad un territorio ben definito ed è limitata ad un campione, rappresenta sicuramente uno scorcio importante sul mondo dell'affidamento e della semilibertà. Possiamo affermare innanzitutto che la condizione di semilibero e quella di affidato in prova ai servizi sociali sono estremamente diverse.

La figura dell'affidato che emerge è quella di una persona alla prima e unica condanna, che sconta errori commessi diversi anni prima, e che nel frattempo è stato in grado di costruirsi una situazione stabile, sia dal punto di vista affettivo-familiare, che dal punto di vista lavorativo. Pur avendo un basso grado di scolarizzazione, ha una discreta esperienza come operaio nel settore in cui opera. E' nato e cresciuto nella Provincia di Venezia e in questa realtà si sente ancorato ed in simbiosi.

Assai diverso è il profilo del semilibero che si presenta come pregiudicato, con alle spalle diversi anni di detenzione, proviene da una situazione di instabilità lavorativa e insicurezza sociale evidente. Ha un basso grado di scolarizzazione, una formazione professionale insufficiente e prima della carcerazione è stato impiegato per lo più in attività lavorative precarie. E' nato e cresciuto in zone diverse dalla Provincia di Venezia, con la quale si trova solo in esecuzione penale e non ha nessun legame territoriale. Attualmente svolge l'attività di operaio generico per conto di una cooperativa sociale.

Considerati i profili iniziali, affidati e semiliberi vivono le proprie misure alternative in modo diversificato. Questo dipende in particolar modo dalla misura alternativa in sé, dalla prescrizioni e dal trattamento previsto. Semilibertà e affidamento spesso appaiono più come "misure di fine pena" che come vere alternative al carcere. Si sbaglia se si pensa che il lavoro possa essere considerato l'unico agente utile al reinserimento, questo perché un periodo di detenzione ordinaria allontana il soggetto dalla società, dall'attività lavorativa, dagli affetti, costringendolo a recuperare tutto durante l'esecuzione della misura alternativa o dopo il fine pena.

Abbiamo potuto vedere che l'affidamento è visto positivamente quando non interrompe l'attività lavorativa ed i legami sociali, e concretizza una reale alternativa alla detenzione. Quando invece gli affidati vivono una nuova esperienza di lavoro dopo la detenzione, l'attività lavorativa viene considerata utile laddove contribuisce a costruire un futuro professionale, altrimenti viene vissuta come possibilità di evadere dalla realtà carceraria, e fine a se stessa. Tra i semiliberi, questo aspetto emerge in modo prevalente, poiché vedono nell'occupazione la temporaneità del lavoro, poco gratificante dal punto di vista economico e professionale, quindi come un'occupazione momentanea. La cooperativa sociale che da loro la possibilità di lavorare all'esterno, non è in grado di offrire al detenuto una formazione professionale spendibile nel mercato del lavoro non protetto, ma è in grado di riabituarlo al lavoro, ai ritmi della vita lavorativa e a rapportarsi con un'attività economica. Purtroppo questo non sarà sufficiente a trovare un lavoro dopo il fine pena, soprattutto per un pregiudicato che sente addosso lo stigma del carcere, con un basso grado d'istruzione, poco qualificato e con poca esperienza. Solo le competenze professionali abbiamo potuto vedere, sono in grado di abbattere il muro della diffidenza delle aziende che, a parità di capacità, preferiscono assumere manodopera straniera piuttosto che usufruire degli sgravi fiscali previsti per l'assunzione di soggetti svantaggiati.

Osservando la strutturazione rigida della semilibertà, notiamo che si trasforma inavvertitamente in una situazione analoga all'articolo 21, dal momento in cui concede la possibilità di uscire dal carcere solo per lavoro, senza tener conto dell'impossibilità reale per i soggetti beneficiari di costruire un reinserimento sociale.

Diversa è la questione dell'affidamento che dal punto di vista dei principi concede al soggetto una situazione artificiale di normalità, ma mantenendo numerose prescrizioni, impedisce in concreto di costruire dei rapporti sociali. Per colmare questo divario l'affidamento dovrebbe tener conto oltre che delle caratteristiche del soggetto, anche del percorso dell'affidato. In quest'ottica si potrebbe parlare quindi di "misure alternative in progress", ovvero di un percorso chiaro che parta dalla privazione totale della libertà per arrivare progressivamente a fine pena, attraverso un graduale percorso socio-lavorativo. Il mercato del lavoro attuale pretende professionalità, alto grado di istruzione, esperienza e flessibilità. E' chiaro che per chi possiede già queste qualità prima di entrare in carcere, il reinserimento risulta comunque facile e possibile, basta attivare percorsi di alternativa alla detenzione. Per chi invece già prima della detenzione non possiede queste caratteristiche, e si parla della maggioranza dei detenuti, il rientro nel mercato del lavoro risulta difficile e quasi impossibile, ad esclusione del lavoro in cooperativa sociale, e quindi in una condizione protetta. Ecco quindi che partendo dal carcere andrebbe attivata la formazione professionale, spendibile lavorando attraverso la misura alternativa, che consenta di rientrare nel mercato del lavoro con delle competenze acquisite. Come ho evidenziato, accanto al lavoro, sono indispensabili momenti di condivisione affettiva e relazionale dei soggetti. Altrimenti si rischia di illudersi che far lavorare una persona possa risolvere qualsiasi problema di inclusione sociale e possa trasformare la vita di qualcuno dall'oggi al domani.

CONSIDERAZIONI FINALI



La nostra analisi ha cercato di evidenziare, partendo dall'evoluzione della concezione della pena, come si sia arrivati alla produzione legislativa recente, che s'indirizza verso un'apertura del carcere all'esterno. Ai giorni nostri il carcere si diffonde tra la società, e nell'indifferenza generale della gente costruisce delle alternative alla detenzione ordinaria. Succede però che di fronte ad episodi eclatanti di criminalità, l'opinione pubblica si accorge di questa diffusione, ed il carcere torna ad assolvere il suo ruolo punitivo mettendo in discussione quelle esperienze positive che ha costruito. La trattazione proposta ha cercato di focalizzarsi sulle misure alternative alla detenzione, individuate come lo strumento dell'esecuzione penale che mira a costruire il reinserimento del condannato. Al centro delle misure dell'affidamento e della semilibertà si riconosce nel lavoro il mezzo volto a realizzare la misura, caricando questa funzione d'aspettative. Già a partire dal secondo capitolo, questa considerazione viene supportata attraverso l'esplicazione della riforma dell'ordinamento penitenziario del 1975. Nel lavoro, la legislazione individua il mezzo per reinserire il detenuto e abbattere la recidiva. Abbiamo cercato inoltre di verificare dal punto di vista concreto, se e come questa concezione risulti applicata, e quali effetti vive chi in prima persona usufruisce di una misura alternativa. La ricerca si proponeva tra gli obiettivi di verificare l'andamento della misura alternativa alla detenzione-carcere, e di capire se e come il lavoro possa considerarsi il mezzo per il reinserimento, confrontando in quest'analisi, affidamento in prova ai servizi sociali e semilibertà. I risultati raggiunti, anche se frutto di una ricerca territoriale, mettono in luce una realtà diversa da quella legislativa. I principi del diritto risultano disattesi nel concreto. Le misure alternative in questione risultano nell'applicazione "benefici di fine pena", contravvenendo al principio che considera questa esperienza volta a costruire un'alternativa al carcere. In quest'ottica il lavoro, se non supportato da un percorso formativo mirato, risulta un'esperienza temporanea fine a se stessa, che viene vissuta come possibilità di uscire dalla prigione fino a fine pena, incapace di evitare il ritorno in una situazione d'instabilità come quella precarceraria, e aggravata dal marchio di pregiudicato. Questo perché, in un contesto sociale marginale, il basso grado d'istruzione e la mancanza di una qualifica professionale, costituiscono l'humus della precariato lavorativo-sociale che alimenta anche la tendenza al reato. Solo con una formazione professionale adeguata che fornisca ai detenuti competenze realmente spendibili su un mercato del lavoro flessibile, all'interno di una società del sapere, è possibile saldare le basi per un reinserimento nella società. In alternativa, l'efficacia della misura è realizzabile rendendola effettivamente una misura alternativa alla detenzione. Nel caso di alcuni affidati si è potuto constatare che una brevissima detenzione, o una mancata carcerazione e l'assegnazione immediata dell'affidamento, hanno evitato il trauma dell'allontanamento dal contesto sociale e lavorativo del condannato. Parlare di reinserimento per queste persone risulta forzato e inopportuno, poiché si tratta solo di mantenere una situazione di stabilità consolidata. Accanto alla questione lavorativa è necessario non tralasciare l'importanza degli affetti e delle relazioni sociali, che tanto quanto il lavoro rappresentano il tassello che può ricomporre una strada verso il reinserimento. In questo le misure alternative possono giocare un ruolo importante se solo concepissero le relazioni sociali e affettive come elemento di ricostruzione dell'identità di una persona. Questa mancanza viene vissuta in particolar modo nella semilibertà, in modo più accentuato tra coloro che subiscono la lontananza dei famigliari, e sono calati in un contesto territoriale sconosciuto. Per questi semiliberi la misura si riduce all'attività lavorativa esterna, precludendo in concreto un contatto con gli altri in grado di riattivare rapporti sociali in libertà sopiti dall'esperienza carceraria. Questi sono alcuni spunti che la trattazione ha sviluppato, aprendo a sua volta ulteriori momenti di riflessione e studio, che non è stato possibile sviluppare in questa tesi. Il ruolo che affido a questo lavoro è quello di offrire un approfondimento sul pianeta carcere, dando voce a coloro che quotidianamente vivono quest'esperienza. Posso affermare che questa ricerca, già dal punto di vista personale, ha rappresentato un'importante momento di crescita umana, e che un segno indelebile ha lasciato nella mia formazione. Sarebbe banale conservare questo segno senza trasformarlo in una necessaria sensibilizzazione su una problematica che inconsciamente ci riguarda molto da vicino.

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a concretizzare questo lavoro: coloro che si sono fatti intervistare, la dott. Chiara Ghetti, Margherita Benazzato, le assistenti sociali del CSSA di Venezia, la dott. Gabriella Straffi, Gianni Trevisan della Cooperativa sociale "Il Cerchio" ed il prof. Giuseppe Mosconi.

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Fonte D.A.P. al sito internet www. giustizia.it

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