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Effetti della cannabis sativa sul sistema nervoso




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EFFETTI DELLA CANNABIS SATIVA SUL SISTEMA NERVOSO


INTRODUZIONE

La canapa indiana, o Cannabis indica, è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle urticacee, originaria dell' Asia, si è diffusa nel corso dei secoli quasi dappertutto, superando ogni tipo di avversità ambientali; è alta 1-2 metri ed è munita di foglie lunghe e frastagliate.

Confrontando il significato dei termini che indicano il nome della pianta nei gruppi linguistici Indoeuropeo, Finnico, Turco, e Semitico, è sempre presente la radice "kan", con il doppio significato di "erba" e "canna". Il suffisso "bis" deriva invece dall' evoluzione linguistica del termine ebraico "bosm" e dall' aramaico "busma": odoroso, dal buon profumo, aromatico.

La Cannabis è una pianta dioica, ovvero esistono separatamente il maschio (che produce il polline) e la femmina (fecondata, produce fiori o semi). Solo in ambienti particolarmente ostili (oppure per via di forzature o per necessità di coltivazione) possiamo trovare infiorescenze maschili e femminili sulla stessa pianta.

Accompagna da sempre la storia dell' uomo ed è stata sempre al centro di polemiche più o meno accese fino ai giorni nostri, ed ancora adesso gli addetti ai lavori sono perplessi, e molte volte divisi, sugli usi che le si possono attribuire.

CENNI STORICI

L' antico preparato chiamato marijuana possiede proprietà sedative, euforizzanti e, a forti dosi, allucinogene. La pianta della canapa, Cannabis sativa, dalla quale si ottiene la marijuana cresce in tutto il mondo e fiorisce nella maggior parte delle regioni tropicali e temperate. L' ingrediente psicoattivo più importante della pianta della Cannabis sativa è il delta - 9 - tetraidrocannabinolo o THC.

Tre varietà sono note: il bhang, la ganja e la charas; il bhang è il preparato meno potente (1-4 % di THC) e si ottiene da un impasto di foglie, semi e steli essiccati e macinati. La ganja è preparata con le cime fiorite della pianta femmina coltivata; è 2-3 volte più forte del bhang. La charas è la resina pura, conosciuta anche come hascisc (7-14 % di THC). Ciascuno di questi preparati può essere fumato, mangiato o usati per preparare bevande.

L' uso della Cannabis sativa risale al 2700 a. C.; la marijuana in tempi remoti fu usata principalmente come blando intossicante e fu argomentato di controversie perfino in quei giorni.

Nella seconda metà del XIX secolo, la Cannabis raggiunse la sua massima popolarità; alla fine di questo periodo, però, l' uso medico della Cannabis era in declino; la potenza dei preparati era troppo variabile e le reazioni alla Cannabis ingerita per via orale sembravano variabili ed imprevedibili. Inoltre l' invenzione della siringa ipodermica e l' introduzione dell' uso degli oppiacei rese possibile l' iniezione diretta di queste droghe nel circolo sanguigno per un rapido sollievo del dolore. La produzione di "droghe" sintetiche come l' aspirina, l' idrato di cloralio e i barbiturici, tutti più stabili chimicamente della Cannabis indica, accelerarono il declino della marijuana in campo medico, anche se queste "droghe" comportavano problemi impressionanti.

Nel 1937 venne approvata una legge che rese praticamente illegale qualunque uso della marijuana; si fece credere all' opinione pubblica che la marijuana inducesse dipendenza e provocasse comportamenti violenti e criminali. Nel corso di pochi anni la Cannabis sativa incominciò ad essere considerata uno stupefacente. Verso la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, la marijuana e altre sostanze psicoattive divennero estremamente popolari tra la gioventù delle classi medio-alte e accompagnavano successivamente i movimenti giovanili che contraddistinsero quegli anni.

Meccanismi d'Azione ed Effetti

ASPETTI CHIMICI

La marijuana e i suoi principi attivi (principalmente il THC) sono stati classificati come un blando farmaco sedativo-ipnotico (almeno a dosi basse o moderate), con effetti clinici rassomiglianti a quelli dell' alcol e dei farmaci ansiolitici; dosi maggiori di THC possono produrre euforia, allucinazioni ed intensificazione delle sensazioni, cioè effetti simili ad una blanda esperienza con LSD. Poi, a differenza dei sedativo-ipnotici, dosi molto elevate di THC non producono anestesia, coma o morte. Pertanto la marijuana, sebbene sembri possedere una rassomiglianza superficiale sia con i sedativi che con gli psichedelici, è diverso da entrambi i gruppi di farmaci.

Nella sua struttura chimica, il THC non somiglia né ai sedativi né agli psichedelici (fig. 1), né ricorda alcun neurotrasmettitore conosciuto o supposto.

Fig. 1: struttura chimica del THC

Howlett e collaboratori dimostrarono nel 1986 che il THC inibiva l' enzima intracellulare adenilato ciclasi e che questa inibizione richiedeva la presenza di un complesso proteico legante, il nucleotide guanina. Il THC non inibisce direttamente l' enzima, ma agisce invece su di un recettore specifico, non identificato, in maniera tale che, da ultimo, l' enzima viene inibito.

Matsuda e collaboratori studiarono in seguito questo recettore dei cannabinoidi; essi riuscirono ad isolare e a clonare, dalla corteccia cerebrale di un ratto, un recettore proteico complesso che aveva la proprietà sia di inibire l' adenilato ciclasi, sia di legare i cannabinoidi.

Essi, in seguito, determinarono la sequenza aminoacidica della proteina: è una catena di 473 aminoacidi con sette regioni idrofobe. Howlett e collaboratori nel 1991 affermarono che il recettore di membrana che lega i cannabinoidi comprendono sette regioni che attraversano la membrana cellulare a tutto spessore; ogni regione è composta da un dominio idrofobo. Quindi il THC si lega alla porzione più esterna del recettore, il sistema di secondo messaggero del nucleotide ciclico viene attivato per inibire l' adenilato ciclasi. Gli effetti del THC non si esercitano tramite azione sui recettori del GABA né tramite alterazioni della liberazione di dopamina.

Restano però da dimostrare due punti:

l' identificazione di un ligando che si trovi in natura, o di un neurotrasmettitore agonistico che si leghi al recettore dei cannabinoidi e quindi possa funzionare come "THC naturale";

la localizzazione dei recettori del THC nel cervello, con la correlazione di questa localizzazione con gli effetti comportamentali e cognitivi della marijuana.

Devane e collaboratori nel 1992 hanno isolato dal cervello di un maiale un derivato dell' acido arachidonico, chiamato anandamide (dal sanscrito "ananda": beatitudine; fig 2), il quale si lega specificatamente al recettore dei cannabinoidi e produce effetti farmacologici simili a quelli dei cannabinoidi. In effetti l' anamdamide sembra possedere il criterio essenziale richiesto per essere classificato come agonista del recettore cannabinoidi/andamide.


Fig 2: struttura chimica dell' anandamide

La maggior parte della marijuana disponibile ha una concentrazione di THC intorno al 3-4 %  e comunque raramente supera il 7%; nel caso di una "sigaretta" di marijuana

contenente circa 1,5 grammi di infiorescenze e foglie e con un contenuto di THC del 3,5 % risulterebbe avere circa 50 milligrammi di THC.

Il THC che è contenuto nella marijuana si assume di solito fumando e la quantità di farmaco che è relativamente assorbito dal torrente circolatorio varia considerevolmente a seconda della precedente esperienza di chi fuma, della quantità di tempo durante il quale il fumo viene trattenuto nei polmoni e dal numero di altre persone che fumano la stessa sigaretta. In pratica, la quantità di THC che si assorbe nel torrente circolatorio a seguito di una fumata in gruppo di una sigaretta è probabilmente in un intervallo di 0,4 - 10 milligrammi.

L' insorgenza degli effetti comportamentali del THC nella marijuana fumata si presenta di solito nel giro di pochi minuti da quando si inizia a fumare e corrisponde al rapido raggiungimento del picco di concentrazione nel plasma (fig. 3); a meno che non si fumi ulteriormente, gli effetti di rado durano più di 3-4 ore (fig. 4).


Fig 3: concentrazioni plasmatiche di THC (0/65 minuti). Fig 4: concentrazioni plasmatiche di THC (0/7,5 ore).


Il THC si assorbe anche dopo somministrazione per via orale, ma l' assorbimento è lento e incompleto. L' insorgenza dell' azione di solito richiede 30-60 minuti e gli effetti massimi si presentano dopo 2-3 ore; i suoi effetti persistono per 3-5 ore o anche più a lungo.

Il THC è circa tre volte più attivo quando viene fumato di quando viene assunto per via orale.

Poiché la marijuana non è solubile in acqua, l' iniezione di un prodotto della Cannabis sativa è estremamente pericoloso.

Poiché solo piccolissime quantità di THC si ritrovano nelle urine delle persone che fanno uso della sostanza, i test di rilevazione del THC si indirizzano principalmente all' isolamento dei metaboliti; questi test sono complessi e richiedono tecniche chimiche specializzate come il dosaggio radioimmunologico, la cromatografia e la spettrometria.





ASPETTI NEUROFISIOLOGICI

Gli effetti comportamentali del THC nell' uomo variano con la dose, la via di somministrazione, il luogo, l' esperienza e le aspettative di chi ne fa uso e con la vulnerabilità individuale alle alterazione del S.N.C..

Nella sua forma più comune consiste in uno stato di tranquillità e di blanda euforia nel quale il tempo sembra scorrere più lentamente e la sensibilità alle immagini, ai suoni e al tatto si accentua.

Il fumatore può sentirsi allegro e anche esaltato; i pensieri si susseguono rapidamente e la M.B.T. si indebolisce. L' immagine corporea di sé e la percezione visiva subiscono sottili cambiamenti.

Spesso è come se l' adulto inebriato dalla marijuana percepisse il mondo con un po' della meraviglia e della curiosità di un bambino; dettagli che di solito passano inosservati ora catturano l' attenzione, i colori sembrano più brillanti e intensi, e più capitare di rivalutare opere d' arte (es. quadri) e anche melodie che prima sembravano avere scarso significato.

La sensazione di "high", o euforia, è seguito di solito da un periodo di sonnolenza o sedazione. Gli effetti soggettivi includono dissociazione delle idee; illusioni e allucinazioni non avvengono frequentemente.

A dosi più elevate di THC, il soggetto prova una intensificazione della risposta emotiva e un' alterazione delle sensazioni, che può consistere in blande distorsioni sensoriali o anche blande allucinazioni. Con dosi più elevate, sono state osservate reazioni acute di depressione, reazioni acute di panico o una leggera paranoia.

Queste reazioni possono essere attribuite alle alterazioni della percezione prodotte dal THC. Solo a dosi di THC psicotossiche si riscontrano idee deliranti, paranoia, allucinazioni, confusione e disorientamento, depersonalizzazione, alterazione delle percezioni sensoriali e perdita dell' insight. Queste reazioni sono inusuali e comunque di breve durata.

Gli effetti della marijuana sulla conoscenza, l' apprendimento e l' attenzione sono stati l' oggetto di studi significativi. L' uso acuto condiziona l' abilità di svolgere compiti complessi che richiedono attenzione e coordinazione mentale, mentre le semplici attività riflesse sono meno influenzate.

In misura degna di nota, la marijuana altera i processi associativi, incoraggiando associazioni mentali più inusuali.

Dopo aver fumato marijuana, seguiva un flusso di pensieri più libero, meno controllato logicamente, mentre meno influenzati risultano essere l' astrazione e il vocabolario.

L' alterazione del comportamento che si presenta in conseguenza dell' intossicazione costituiscono il principale effetto collaterale.

La marijuana altera le capacità del soggetto di guidare una autovettura in modo sicuro, almeno quanto l' alcol; esiste però una differenza significativa: nel caso della marijuana un individuo può non sentirsi intossicato anche quando lo è. La compromissione persiste per 4-8 ore, ben oltre il tempo durante il quale il soggetto avverte gli effetti soggettivi del farmaco.








AZIONE DEL THC SUL S.N.C.

Alla fine degli anni Ottanta era stato ipotizzato che l' ippocampo, la corteccia cerebrale, il cervelletto e i gangli della base (il corpo striato) fossero i siti d' azione del THC e degli altri farmaci cannabinoidi, in quanto queste strutture sono coinvolte nella cognizione e nella memoria, nell' umore e nelle più elevate funzioni intellettuali come anche nelle funzioni motorie.

In primo luogo, un grande numero di recettori sono stati trovati nei gangli della base e nel cervelletto, i quali sono coinvolti in molte forme di controllo del movimento influenzate dall' assunzione di marijuana. In altre, la corteccia cerebrale, specialmente il lobo frontale, è ricca di recettori di cannabinoidi.

I recettori per cannabinoidi/anandamide sono inoltre densi nell' ippocampo; questo fatto può spiegare la disorganizzazione, indotta dal THC, della memoria, dell' immagazzinamento della memoria e della codificazione degli stimoli sensoriali. Siccome le strutture del tronco dell' encefalo non legano i cannabinoidi, il THC non influisce sulle funzioni di base dell' organismo, inclusa la respirazione. Infatti, la mancanza di recettori dei cannadinoidi/anandamide nel tronco dell' encefalo spiega la non letalità del THC, il quale è un farmaco notevolmente non mortale.

Una volta assorbito, il THC si distribuisce ai vari organi dell' organismo, specialmente a quelli che hanno concentrazioni significative di grassi. Perciò, il THC penetra rapidamente nell' encefalo; la barriera emato-encefalica, a quanto pare, non ostacola il suo passaggio.

Analogamente, il THC attraversa prontamente la barriera placentare e raggiunge il feto.

Il THC influenza principalmente il funzionamento del sistema cardiovascolare e del S.N.C.. Un aumento della frequenza cardiaca è l' effetto fisiologico del THC osservato più frequentemente, mentre la pressione sanguigna e poco influenzata. I vasi sanguigni della sclera possono dilatarsi e ciò porta all' arrossamento degli occhi che si può osservare nelle persone che hanno appena fumato marijuana.

Chi fa uso di marijuana presenta di solito un aumento dell' appetito, secchezza delle fauci, talvolta capogiri e leggera nausea. Di solito non si nota depressione respiratoria.

Sebbene l' aumento della frequenza cardiaca possa essere un problema per le persone che soffrono di disturbi cardiovascolari pericolose reazioni fisiche alla marijuana sono totalmente sconosciute. A quanto si sa nessun essere umano è mai deceduto per sovradosaggio.

Dopo il periodo iniziale di intossicazione, i livelli di THC diminuiscono rapidamente in circa 1 ora ad un livello basso, a causa dell' elevata solubilità del THC nei grassi dell' organismo, che persiste per giorni. Il metabolismo del THC è abbastanza lento; generalmente si considera un emivita di eliminazione di circa 30 giorni, sebbene alcune fonti indichino un periodo più ridotto (circa 4 giorni).

Perciò il THC persiste nell' organismo per svariati giorni o addirittura per settimane. Questa eliminazione lenta tende ad intensificare l' effetto della marijuana successivamente fumata e perciò può, parzialmente, spiegare perché coloro che fanno uso regolare di marijuana raggiungono lo stato di ebrezza più rapidamente, più facilmente e con un quantitativo del farmaco rispetto a coloro che ne fanno un uso intermittente.

Gardner e Lowinson hanno esaminato recentemente le interazioni della marijuana con i sistemi cerebrali di ricompensa, in particolare con i loci nella proiezione dopamina-mediata del fascicolo proencefalico mediale. Questi autori hanno rilevato che un potenziamento acuto del meccanismo cerebrale di ricompensa appare essere il singolo elemento comune essenziale dei farmaci che si prestano ad abuso; l' ipotesi che i farmaci ricreativi e d' abuso agiscano su questo meccanismo del cervello per produrre la ricompensa soggettiva che costituisce l' high provato da chi usa la droga e, tutt'oggi, la più stringente ipotesi disponibile sulla neurobiologia dell' uso e abuso dei farmaci ricreativi.

Sono coinvolte anche le interconnessioni sinaptiche che si avvalgono dei neurotrasmettitori oppioidi. Gardner e Lowinson pensano che il THC agisca su questo sistema allo stesso modo di altri farmaci d' abuso, inducendo la liberazione di dopamina nei loci della ricompensa, compresi i gangli della base, il nucleus accumbens e la corteccia prefrontale. I loro dati, tuttavia sono stati ottenuti in un singolo ceppo di topi quindi l' estrapolazione di dati per analizzare l' abuso umano è solo un tentativo.


EFFETTI COLLATERALI SULL' ORGANISMO

Conseguenze serie per quanto riguarda la salute fisica associata all' uso di marijuana sembrano relativamente scarse.

Per quanto riguarda la tossicità associata all' uso cronico di marijuana, sono state riscontrate alcune prove di alterazioni del sistema riproduttivo, del sistema immunitario e dei polmoni. Tuttavia prove convincenti che la marijuana sia l' unica responsabile di ogni alterazione osservata in questi sistemi debbono ancora emergere da studi condotti in maniera ben controllata.

Tabella 1: composizione dei componenti gassosi e particolati nel fumo di marijuana e di tabacco.





SIGARETTA DI MARIJUANA

SIGARETTA DI TABACCO













ANALISI DELLA FASE GASSOSA








monossido di carbonio (vol %)








(mg)











anidride carbonica (vol %)









(mg)











ammoniaca (mcg)










HCN (mcg)










isoprene (mcg)










acetaldeide (mcg)










acetone (mcg)










aldeide acrilica (mcg)









acetonitrile (mcg)










benzene (mcg)










toluene (mcg)










dimetrilnitrosamina (ng)









metiletilnitrosamina (ng)




















ANALISI DELLA FASE PARTICOLATA







fenolo (mcg)










ortocresolo (mcg)










metaparacresolo (mcg)









2,4 e 2,5 - dimetilfenolo (mcg)








cannabinolo (mcg)









delta - 9 - tetracannabinolo









nicotina











naftalene (mcg)










1 - metilnaftalene (ng)









2 - metilnaftalene (ng)









benzo(a)antracene (ng)









benzo(a)pirene (ng)
















EFFETTI POLMONARI

Si noti dalla tabella 1 che, salvo il fatto che nella marijuana è presente THC e nel tabacco è presente nicotina entrambi gli inalanti sono significativamente simili. Nel determinare il significato delle tossine nel fumo di marijuana, dobbiamo ricordarci che la quantità di tabacco usata da un fumatore medio di sigarette è da 10 a 20 volte quella usata da un fumatore medio di marijuana.

I resoconti sulle alterazioni della funzione polmonare dovute al fumo di marijuana forniscono prove di irritazione e di infiammazione bronchiale, restringimento delle vie aeree con aumento della reattività agli irritanti (come nell' asma), riduzione dell' attività ciliare e di quella dei macrofagi (con conseguente riduzione della capacità di eliminare dai polmoni il materiale particolato inalato) e segni di stati precoci di enfisema.

A parte i suoi effetti irritanti, la domanda ovvia è se il fumo della marijuana possa causare cancro polmonare. Attualmente nessuna prova diretta indica che fumare continuativamente marijuana provochi cancro polmonare; tuttavia in persone che fumavano marijuana sono state rilevate neoplasie delle vie respiratorie superiori e della lingua. Modificazioni cellulari che sono compatibili con stati cancerosi precoci si ritrovano in biopsie dei bronchi di forti fumatori di marijuana e in svariati modelli animali.

EFFETTI SUL SISTEMA IMMUNITARIO

Vi sono prove che hanno chiamato in causa l' uso cronico della marijuana in un certo grado di immunosoppressione, il quale può rendere il fumatore suscettibile a infezioni, malattie o persino tumori. Sebbene i dati in questo campo siano controversi e le implicazioni non siano state provate, fumare marijuana, in certe circostanze può sopprimere parzialmente l' immunità. Il significato clinico di questa evenienza non è noto, ma si dovrebbe notare anche che anche altri farmaci deprimenti come l' alcol, i barbiturici, le benzodiazepine e gli anticonvulsivanti condividono questa azione immunosoppressiva.

Siccome sia la milza sia i linfociti sono organi importanti nella risposta immunitaria dell' organismo, essi sono stati studiati per determinare in che modo vengono influenzati dai cannabinoli. Kaminski e collaboratori hanno identificato recettori di cannabinoidi legato a proteine nella membrana di cellule della milza. Quando vengono attivati dal THC, questi recettori inibiscono l' adenilato ciclasi intracellulare del sistema del secondo messaggero e quindi riducono la capacità di queste cellule della milza di funzionare adeguatamente durante la risposta immunitaria.

EFFETTI SULLA RIPRODUZIONE

Si vanno raccogliendo prove della soppressione del THC - indotta della funzione sessuale e della riproduzione. L' uso cronico della marijuana da parte dei maschi può ridurre i livelli dell' ormone testosterone e inibire la formazione di spermatozoi. Tuttavia, non è stata segnalata una riduzione della fertilità e della potenza sessuale maschile. Nelle femmine, i livelli di ormoni FSH (ormone follicolo - stimolante) e LH (ormone luteinizzante) vengono ridotti dall' uso di marijuana.

I cicli mestruali possono venire influenzati e sono stati segnalati cicli anovulatori. Tutte queste azioni sembrano essere reversibili quando si interrompe l' assunzione del farmaco.

Il THC influenza la riproduzione sia tramite il cervello (a livello dell' ipofisi e dell' ipotalamo) sia tramite effetti non specifici, non mediati da recettori, su testicoli e ovaie.

Infine, come tutti gli altri farmaci psicoattivi e come detto in precedenza, la marijuana non dovrebbe essere usata in gravidanza, in quanto attraversa senza ostacoli la barriera placentare. Danni fetali dovuti all' uso di marijuana sono difficili da stabilire in quanto le donne in gravidanza che usano marijuana in genere usano anche altri farmaci (specialmente alcol, caffeina e nicotina).





DIPENDENZA E TOLLERANZA

La tolleranza alla Cannabis è ben documentata e si ritiene che sia la conseguenza di un adattamento dell' encefalo alla presenza continua del farmaco. Si ritiene generalmente che una dipendenza fisica da THC non si sviluppi; è ben assodato che l' uso cronico in maniera pesante di marijuana non porta ad una sindrome di astinenza con sintomatologia grave. Tuttavia, la comparsa di una certa forma di dipendenza psicologica per il farmaco è più probabile della comparsa di dipendenza fisica.

L' interruzione dell' assunzione del farmaco può essere accompagnata  da irritabilità, irrequietezza, nervosismo, aumento di rimbalzo del sonno REM, tremori, brividi ed aumento della temperatura corporea.

Globalmente, la sindrome è relativamente lieve, incomincia alcune ore dopo la cessazione della somministrazione del farmaco e dura circa 4-5 giorni. Quindi lo sviluppo di tolleranza e dipendenza fisica è una possibilità teorica, ma il suo significato pratico è con molta probabilità, scarso.

USI TERAPEUTICI

CHEMIOTERAPIA NEOPLASTICA

La chemioterapia è una delle più importanti cure contro il cancro sviluppate nei decenni scorsi. Somministrati per via endovenosa una o due volte al mese, gli agenti chemioterapici sono tra i prodotti chimici più potenti e tossici usati in medicina.

L' effetto collaterale più comune, e per molti pazienti anche il più fastidioso, di queste sostanze sta nel profondo senso di nausea e nel vomito che esse provocano. Le crisi di vomito (conati a secco) possono durare ore o addirittura giorni dopo ogni seduta, seguiti da giorni o addirittura da settimane di nausea. Nel vomitare i pazienti possono fratturarsi un osso o spezzarsi l' esofago. Il senso di perdita di controllo può essere devastante sul piano emotivo.

Oggi lo Zofran è considerato il più efficace degli antiemetici ordinari, ma deve essere somministrato per alcune ore tramite fleboclisi al costo di cifre abbastanza esose.

Il Marinol (che è una preparazione di THC in olio di sesamo) e il Cesamet (che è un cannabinoide sintetico) sono disponibili per l' uso nel trattamento della nausea e del vomito che accompagnano la chemioterapia neoplastica.

GLAUCOMA

Il glaucoma è un disturbo che si origina da uno squilibrio di pressione all' interno dell' occhio. Il bulbo oculare deve essere quasi perfettamente sferico per far convergere correttamente la luce sulla retina. La sua forma viene stabilizzata dalla pressione di un fluido interno, l' umore acqueo. Se l' occhio produce quantità eccessive di questo liquido, o se i condotti attraverso i quali il fluido defluisce sono bloccati, la pressione crescente può danneggiare il nervo ottico, che porta gli impulsi dall' occhio al cervello.

Oggi sul glaucoma si interviene principalmente con colliri contenenti beta - bloccanti, che inibiscono l' attività dell' epinefrina (adrenalina). Sono farmaci molto efficaci, ma possono comportare seri problemi collaterali; possono indurre depressione, aggravare l' asma, ridurre la frequenza del battito cardiaco e far aumentare il rischio di infarto. Paradossalmente, anche i colliri a base di epinefrina possono essere efficaci nella cura del glaucoma, ma possono irritare la cornea e aggravare ipertensione e disturbi cardiaci.

La Marijuana riduce la pressione intraoculare per un periodo, in media, dalle 4 alle 5 ore, senza alcuna controindicazione di effetti deleteri sulla funzione visiva o sulla struttura oculare. Sotto l' effetto della marijuana, le pupille rispondono normalmente alla luce; l' acutezza visiva, la rifrazione e la visione periferica, binoculare e dei colori non vengono alterate (almeno con dosi di THC non elevate). I ricercatori hanno concluso che la marijuana può essere più utile dei farmaci convenzionali e probabilmente agisce in modo diverso. Questa conclusione è stata dimostrata da esperimenti successivi su uomini ed animali.



ALTRI USI TERAPEUTICI

Recentemente si è visto che il Marinol stimola l' appetito e l' aumento di peso sia nei pazienti con HIV sintomatico (AIDS) sia in quelli affetti da cancro. Questi effetti, insieme all' effetto antiemetico possono migliorare l' intera qualità della vita in questi malati terminali.

Il THC presenta anche blande proprietà analgesiche, è antiepilettico e può alleviare il broncospasmo negli asmatici. Tuttavia sono disponibili altri farmaci per il trattamento di questi sintomi. Non è probabile, quindi, che la marijuana o il THC sia approvato dai vari organi sanitari dei vari stati nell' immediato futuro.

MARIJUANA E SICUREZZA PUBBLICA

Le reazioni delle commissioni governative nel corso degli ultimi 100 anni hanno tutte concluso che la marijuana non è quel demone che tutti pensano che sia. Senza dubbio le leggi sulla marijuana sono spesso eccessivamente severe, con una marcata discrepanza tra il pericolo reale e il pericolo percepito dalla società. Solo gli sprovveduti, al giorno d' oggi, credono che la marijuana porti alla violenza e al crimine. La marijuana, infatti, ha una probabilità molto più bassa dell' alcol di scatenare un comportamento aggressivo: invece di scatenare il comportamento criminale, la Cannabis tende a reprimerlo. L' intossicazione induce una leggera sonnolenza che non è ottimale per alcuna attività fisica, non parliamo poi del commettere crimini. La liberazione dalle inibizioni influisce sulla fantasia e sulla verbosità piuttosto che sulle espressioni comportamentali.

Durante l' "high" i consumatori di marijuana possono pensare o dire cose che di solito non direbbero o non penserebbero, ma, di solito, essi non farebbero cose che sono estranee alla loro natura. Se non sono già criminali, non commetteranno crimini sotto l' azione del farmaco.

Se esiste una qualche relazione tra uso di farmaci e crimine, quelli più probabilmente responsabili sono i farmaci psicoattivi che producono un comportamento violento (come l' alcol la cocaina e le anfetamine).

Come dovrebbe rispondere la società alla marijuana? Attualmente possediamo informazioni sufficienti sugli effetti farmacologici e tossicologici della marijuana per iniziare a formulare un nuovo indirizzo legislativo. Molti stati, infatti, lo hanno già fatto, depenalizzando il semplice possesso di piccole quantità. Comunque, la marijuana, sebbene non sia un "erba killer", non è una sostanza innocua priva di tossicità. Le norme legali dovrebbero proteggere i consumatori, i non consumatori, e i giovani che potrebbero non essere in grado di prendere decisioni razionali riguardo i rischi e i benefici del farmaco in questione.


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