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Gli orientamenti strategici e l'orientamento di fondo dell'impresa




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La strategia e le politiche di gestione




In questa parte del lavoro si analizzerà la gestione dell'impresa, ossia il complesso di decisioni e di operazioni mediante le quali si cerca di raggiungere gli obiettivi visti nei due capitoli precedenti. I comportamenti di gestione si possono tuttavia analizzare secondo una prospettiva di lungo periodo e con riferimento all'intera attività aziendale, oppure nel breve termine e rispetto a particolari aree decisionali. Nel primo caso l'esame investe il piano propriamente detto strategico ; nel secondo l'analisi concerne in prevalenza sub - strategie, o meglio politiche perseguite nei singoli campi gestionali quali la produzione, vendita e finanza.

Si è accennato a questa distinzione poiché, durante la vita dell'impresa, non sempre viene definito un quadro di sviluppo a lungo periodo, ma sovente la gestione è orientata su brevi periodi di tempo quali l'esercizio infraannuale. In questo modo si finisce quasi inevitabilmente col trascurare il rapporto tra l'impresa e l'ambiente, con la conseguenza che si decide considerando più le condizioni interne all'azienda che non le esterne di natura economica, politica e sociale. A tale orientamento si associa però un elevato coefficiente di rischio poiché l'impresa, in seguito al modificarsi dell'ambiente esterno, può trovarsi improvvisamente fuori mercato. E' già stato ricordato in precedenza che il mutare delle condizioni dell'ambiente genera per l'impresa opportunità ma anche problemi. Questi, se non avvertiti tempestivamente, possono tradursi in vere e proprie minacce per il prosieguo della vita aziendale.[194]


Possibili strategie del management


In linea generale, nei confronti dell'evoluzione dell'ambiente esterno il management o il gruppo imprenditoriale in genere può adottare tre differenti tipi di atteggiamenti :

un atteggiamento di attesa, che consiste nell'aspettare il verificarsi di fenomeni evolutivi nel mercato e nel suo ampio contesto, per promuovere - solamente dopo che essi si sono chiaramente affermati - gli opportuni adattamenti alla gestione ;

un atteggiamento anticipatorio, che si concretizza nell'attuazione di uno sforzo incessante di previsione dei mutamenti ambientali, con lo scopo di poter realizzare, in anticipo e tempestivamente, le necessarie modifiche nei comportamenti di gestione ;

un atteggiamento attivo, che si traduce nella promozione di azioni tendenti ad influenzare l'ambiente nel senso più favorevole alle prospettive di sviluppo aziendale.

Questa classificazione individua tre diversi modelli gestionali : il primo configura uno schema di comportamento quasi esclusivamente ripetitivo, in cui gli adattamenti sono solo la conseguenza dei mutamenti
ambientali ; il secondo si pone piuttosto come uno schema difensivo con il quale si cerca di rispondere in anticipo alle presumibili modificazioni del contesto ambientale ; il terzo, infine, è uno schema di comportamento proprio di un modello di sviluppo fondato sull'innovazione quale sforzo autonomo dell'impresa in vista del conseguimento di obiettivi strategici di mutamento dei rapporti con l'ambiente. Si passa allora da un modello con scarsi contenuti innovativi, in cui prevale l'adattamento e l'imitazione dei comportamenti altrui, ad uno fortemente innovativo o di "leadership" nei confronti dell'ambiente nel suo complesso.

Per inciso è opportuno forse ricordare che l'adozione di certi atteggiamenti dipende non solo dalla qualità del gruppo imprenditoriale, ma anche dalla dimensione aziendale e dalla posizione che l'azienda occupa nel mercato ; la nostra attenzione, come dovrebbe essere oramai chiaro, si concentra qui però solo sulla prima variabile. A parte questa considerazione, che si è ritenuto di dover svolgere, è importante sottolineare la distinzione tra il modello di attesa, qualificabile altrimenti anche come "passivo", e gli altri due. Da un lato si denota la mancanza di un quadro strategico di sviluppo e si intravvede un orientamento scarsamente innovativo delle politiche di gestione, - situazione questa, che caratterizza prevalentemente imprese di piccole dimensioni che operano secondo modelli generalmente ripetitivi - al lato opposto si trovano invece le aziende orientate, come detto, ad anticipare o addirittura influenzare gli eventi esterni e che in genere si muovono in funzione di piani più articolati e secondo prospettive temporali di più lunga durata.

Detto questo si comprende come non si possa studiare la gestione d'impresa senza tener presente che la sua qualità è misurabile considerando la capacità, che la programmazione possiede, di configurare chiaramente gli obiettivi di espansione del sistema aziendale e di ordinare, in una visione d'insieme, le sequenze di decisioni e operazioni necessarie per dar corso alla gestione. Spiegandosi con altre parole, l'elemento che più di ogni altro denota il grado di avanzamento del processo di gestione aziendale è rappresentato dall'orientamento strategico delle decisioni imprenditoriali. Ciò in quanto la formazione di piani di lungo termine consente di inquadrare più correttamente le relazioni tra l'impresa e l'ambiente, secondo quel rapporto di interdipendenza che si è cercato di illustrare nei due capitoli precedenti.


La strategia d'impresa. Evoluzione degli studi


A questo punto è necessario definire il concetto di strategia d'impresa. Tale concetto, mutuato dal linguaggio militare, in economia è estremamente controverso e ad esso la letteratura aziendale ha associato significati molto diversi ; il campo di applicazione, gli obiettivi e il ruolo della strategia sono oggetto di ampie e accese critiche tra gli assertori di diversi filoni di studi. Sotto questo profilo, per le ricadute che produce sul piano dell'analisi dei processi decisionali, la distinzione tra piano progettuale e piano attuativo della strategia d'impresa traccia una prima determinante divisione all'interno degli studi di strategia. Si possono riscontrare approcci interpretativi che adottano una visione ex - ante, ossia relativa al piano dell'intenzione strategica o della strategia decisa, e posizioni  che si soffermano, invece, sul piano analitico a posteriori, relativo alla strategia attuata ossia al piano dell'osservazione del comportamento strategico dell'impresa.

Il concetto di strategia come progetto o disegno, relativo ad obiettivi di collocamento e di competizione , può essere ritrovato già nelle prime interpretazioni fornite da Drucker e Chandler.

Per Drucker con la dizione "strategia d'impresa" si intenderebbe non solo il campo di attività in cui l'impresa stessa risulti impegnata, ma anche l'area d'affari nella quale essa intenda posizionarsi : da ciò si evidenzia anche il connotato progettuale.[196] Chandler interpreta invece la strategia come il processo di determinazione di fini generali e obiettivi di lungo termine, di scelta dei criteri di azione e di allocazione delle risorse per la realizzazione degli obiettivi. Tale Autore è quindi tra i primi a sottolineare il contenuto decisionale della strategia, introducendo in una considerazione unitaria i due momenti della pianificazione e della gestione strategica, ritenendo, cioè, la strategia insieme progetto e anche azione. Il concetto è stato poi sviluppato presso la Scuola di Harvard, uno dei principali laboratori di studi strategici, ove si sviluppa la tesi secondo cui la strategia rappresenta << lo schema di decisioni in un'impresa che determina e rivela i suoi obiettivi, intenti e scopi e definisce il campo d'affari servito, il tipo di organizzazione umana che essa è o intende essere e la natura del contributo economico e non economico che intende apportare agli azionisti, ai dipendenti, ai consumatori ed alla comunità >> .

Successivamente si giunge a definire due filoni di studi, quello della pianificazione strategica e quello sulle strategie competitive per il quale Porter M., coi suoi studi sui comportamenti competitivi d'impresa, costituisce un punto di riferimento fondamentale,[199] mentre i contributi di Lorange, di Vancil, e di Ansoff sono sostanzialmente orientati ad affermare la rilevanza del sistema di pianificazione strategica per la direzione dell'impresa e i principi di integrazione e sequenzialità dei piani di sviluppo e di quelli d'azione.

La rilevanza della strategia.

Significato qui assunto e caratteristiche principali


Con la crescita del grado di complessità delle condizioni ambientali e di instabilità dei mercati in cui operano le imprese, diventa sempre più preminente la capacità di scelta strategica da parte dei decisori rivolti continuamente a modificare le combinazioni di prodotto - mercato. Un ambiente complesso spinge dunque alla varietà e variabilità di forme e di scelte : acquista quindi significato la possibilità di scegliere tra diverse alternative, poiché si abbandona il principio del one best way - derivazione di un concetto di razionalità assoluta - secondo cui il dominio del patrimonio informativo consentirebbe al decisore di giungere ad una scelta obbligata e ottimizzante. Ora piuttosto, se le imprese possono seguire molteplici sentieri strategici tutti potenzialmente di successo, allora acquista senso importante lo studio di analisi e di scelte strategiche.

La nozione di strategia che qui si intende adottare individua un disegno concepito dal gruppo imprenditoriale per modificare il programma di attività correnti. In questo modo si esclude che una strategia abbia come obbiettivo il mantenimento della combinazione produttiva già in essere, per porre in risalto che una strategia dovrebbe tendenzialmente mirare piuttosto al suo cambiamento in termini quali - quantitativi, in risposta alla naturale evoluzione del mercato e dell'ambiente. Comunque sia, una strategia rappresenta sempre un comportamento di lungo termine rivolto a perseguire obiettivi primari della gestione, che si caratterizza per tre elementi fondamentali : a) la formazione a livello alto - direzionale ;

b) la proiezione a lunga scadenza ;

c)  la priorità dei traguardi da raggiungere.

I comportamenti di tipo strategico si caratterizzano allora non tanto per l'orientamento a lungo termine, quanto piuttosto per lo scopo di modificare il preesistente equilibrio aziendale, in modo da portare l'impresa su livelli di efficienza organizzativa e di mercato più soddisfacenti. Oltre a quanto appena detto, non è escluso che la strategia possa avere come scopo il garantire la sopravvivenza dell'impresa mediante processi di ristrutturazione e di riconversione delle attività svolte, ma queste strategie, che si possono definire difensive, dovrebbero rappresentare comportamenti eccezionali e patologici dovuti a situazioni di crisi aziendale e/o di mercato. In questa sede, per limitare il campo d'analisi, si è scelto di occuparsi solo delle strategie di sviluppo dimensionale.

Altri elementi fondamentali di ciascuna strategia, oltre agli obiettivi, sono le politiche, intendendo con tale termine definire delle guide di carattere generale per la formulazione di future decisioni.[200] Una strategia, in quanto rivolta anche al raggiungimento di obiettivi di lungo termine, si basa inevitabilmente su politiche, che dunque sono gli strumenti mediante i quali l'impresa si prefigge di raggiungere i traguardi stabiliti. In questo senso, allora, mentre il concetto di strategia implica un disegno globale con mete da raggiungere e direttrici da seguire, quello di politica invece sottintende scelte funzionali in rapporto al disegno strategico e vincolanti per le decisioni da assumere nel corso della gestione. Nel significato qui attribuito allora una politica si caratterizza per il più limitato campo di riferimento e per il maggior livello di analisi rispetto alle scelte strategiche. Altro elemento cruciale risiede nel fatto che l'impresa deve muoversi secondo sequenze di decisioni e operazioni strettamente interrelate nel tempo e nello spazio, la cui formulazione andrà guidata dalla strategia definita preventivamente.

Durante la gestione allora, si dovranno assumere decisioni non solo strategiche, ma anche tattiche. Il rapporto tra strategia e tattica infatti è lo stesso che esiste nell'uso militare, ove la tattica rappresenta la traduzione sul piano operativo della strategia, in quanto mira a definire i comportamenti da attuare nel breve periodo, per ottenere gli obiettivi di tipo strategico. Strategia e tattica fissano dunque le direttrici di marcia dell'impresa, orientandone l'azione in funzione sia degli obiettivi prestabiliti che dell'evoluzione delle condizioni ambientali e di mercato. A questo riguardo è emblematica la raffigurazione proposta da Porter[201] e riportata qui di seguito in figura 1.1.


Figura pag. 4 Porter 338. 604 8 por c  La ruota della strategia competitiva.

Figura X. X. La ruota della strategia competitiva.

Attento perché la descrizione della foto resta fuori.


La cornice no si vede comunque.


Figura 1.1 La ruota della strategia competitiva.

Tale "ruota strategica" rappresenta in modo sintetico uno spettro delle variabili strategiche. Al centro si collocano gli obiettivi, cioè il modo in cui si vuole competere e gli specifici obiettivi economici e non economici. I raggi della ruota rappresentano le politiche funzionali o tattiche più importanti attraverso le quali si realizzano gli obiettivi. A seconda della natura delle varie imprese, la direzione può specificare in diversa misura le linee di sviluppo delle diverse politiche funzionali ; soddisfatta questa condizione il concetto di strategia competitiva può essere utilizzato per orientare il comportamento globale dell'impresa. Come in una ruota, poi, i raggi (le politiche o tattiche) devono derivare e riflettere gli obiettivi generali e al tempo stesso essere collegati fra loro.


Alcune strategie competitive di base


Prima di proseguire nell'analisi è opportuno porre in risalto due elementi centrali nelle strategie competitive, che sebbene probabilmente intuibili si spiegheranno comunque con due brevi esempi, per poi proseguire con più scioltezza.

Il primo suggerimento che si intende proporre è di ricordare che, pur con una medesima strategia competitiva, una diversa struttura del settore industriale può influire sull'equilibrio tra domanda e offerta e quindi pure sui profitti e di rimbalzo sulla gestione. Detto in altro modo, l'equilibrio tra domanda e offerta a lungo termine è fortemente influenzato dalla struttura del settore industriale, che di riflesso influenzerà pure gli effetti dell'equilibrio sulla redditività. Se così è, allora anche se le oscillazioni a breve termine di offerta e domanda possono influire sulla redditività nell'immediato, la struttura del settore industriale sta alla base della redditività a lungo termine. Nell'industria delle petroliere per esempio, ove le barriere all'uscita sono molto alte a causa della specializzazione delle attrezzature, si possono notare brevi periodi di prezzi alti e lunghi periodi di prezzi bassi. La struttura del settore determina allora la redditività della domanda eccedente, ed è fondamentale sia per la velocità di adattamento dell'offerta alla domanda, sia per il rapporto tra utilizzazione della capacità e redditività. Durante un boom, per esempio, con una struttura favorevole le aziende possono mietere profitti straordinari, mentre se vi è una struttura differente che vede presenti fornitori potenti o loro sostituti, i frutti del boom possono passare ad altri.



Un secondo fattore importante da considerare è la posizione relativa di un'azienda all'interno del proprio settore industriale, in quanto un'impresa che riesca a collocarsi bene può ottenere elevati margini di profitto anche se la struttura del settore è sfavorevole e la redditività media dello stesso modesta.

Porter ancora, propone un quadro di riferimento per la formulazione della strategia competitiva, in cui mostra che la formulazione strategica richiede l'apprezzamento di quattro fattori essenziali che determinano i confini della possibile attività dell'impresa.

Le forze e debolezze sono elementi che caratterizzano il profilo delle capacità dell'impresa rispetto ai concorrenti, le sue risorse finanziarie, le competenze tecniche, l'immagine e così via. Gli orientamenti della direzione derivano dalle idee e dalle motivazioni dei vertici aziendali e di altri responsabili di area che devono sviluppare la strategia. Forze e debolezze combinate con gli orientamenti direzionali rappresentano i limiti interni al tipo di strategia che si può adottare. I limiti esterni sono determinati dal settore di attività e dal più vasto ambiente economico - sociale in cui opera l'impresa. Le minacce e opportunità del settore definiscono l'ambiente competitivo con i rischi e i risultati potenziali. Le aspettative dell'ambiente riflettono l'impatto esercitato sull'impresa dalle politiche governative, dalle istanze sociali e via di seguito. Questi fattori devono essere tutti esaminati prima di poter fissare una combinazione realistica di obiettivi e di politiche da parte dell'impresa.

Grafico pag. 5 Porter


Figura 2.1 Quadro di riferimento per la formulazione della strategia competitiva.


Dalla strategia al vantaggio competitivo, alcune strategie di base


Inquadrata velocemente la strategia competitiva occorre comunque ricordare che la base fondamentale di una prestazione a lungo termine, superiore alla media, è il vantaggio competitivo sostenibile. Un'impresa fondamentalmente può possedere due tipi di vantaggi competitivi : costi bassi oppure differenziazione. Questi due tipi di vantaggio competitivo, combinati con l'ambito delle attività per le quali un impresa cerca di ottenerli, porta alla formulazione di strategie di base per poter ottenere prestazioni superiori alla media quali : la leadership di costo, la differenziazione, la focalizzazione. La strategia della focalizzazione ha poi due varianti illustrate nella figura che segue, ove si può vedere che ogni strategia di base implica un cammino sostanzialmente diverso nei confronti del vantaggio competitivo. Occorre infatti scegliere sia il tipo di vantaggio competitivo a cui si aspira come pure l'ambito dell'obiettivo strategico nel quale il vantaggio competitivo, deve essere ottenuto. Le strategie della leadership di costo e della differenziazione tendono ad ottenere il vantaggio in una vasta gamma di segmenti del settore industriale, mentre le strategie della focalizzazione mirano al vantaggio di costo alla differenziazione in un segmento ristretto.

Dalla tabella che segue in figura 3.1 si ricava quanto qui ora descritto.


VANTAGGIO COMPETITIVO


Diminuzione costi Differenziazione






AMBITO



Obiettivo specifico



1. Leadership di costo





2. Differenziazione




COMPETITIVO




Obiettivo generale



3A. Focalizzazione sui costi



3B. Focalizzazione

sulla

differenziazione



Figura 3.1 Strategie di base.


Alla base del concetto di strategia di base v'è l'idea che il vantaggio competitivo sia al centro di ogni strategia, e che ottenere tale vantaggio implichi una scelta da parte dell'impresa. Se un'azienda vuole ottenere un vantaggio competitivo, deve scegliere quale tipo di vantaggio perseguire e l'ambito in cui desidera raggiungerlo ; essere "tutto per tutti" è una ricetta per la mediocrità strategica e per prestazioni al di sotto della media :[202] ciò sovente significa che l'impresa non avrà alcun vantaggio competitivo.


Leadership di costo


Tale tipo di strategia è forse la più chiara fra le strategie di base, in quanto con essa un'impresa si propone di diventare il produttore a più basso costo nel proprio settore industriale. Le fonti di tale tipo di vantaggio sono vaste - e dipendenti dalla struttura del settore come detto poco prima - ma fra di esse si possono includere il perseguimento di economie di scala, l'utilizzazione di tecnologie esclusive, l'accesso preferenziale alle materie prime e altri fattori ancora. La situazione di produttore a basso costo implica ben più della sola discesa lungo la curva di apprendimento, include anche lo sfruttamento di tutte le sorgenti del vantaggio di costo, quali per esempio il commercializzare prodotti standard o lo sfruttamento massiccio dei vantaggi di costo assoluti o di scala. Se un'azienda riesce a raggiungere e mantenere una leadership generale di costo, allora, a prezzi equivalenti o più bassi di quelli dei concorrenti, tale posizione si traduce in maggiori profitti. Anche se così è, tuttavia, un leader di costo non può ignorare le basi della differenziazione. Se il suo prodotto non sarà percepito dai clienti come paragonabile o accettabile, esso sarà costretto a tenere i suoi prezzi al di sotto di quelli della concorrenza per riuscire a vendere : ciò, come si capisce può annullare i benefici della sua favorevole posizione. Un leader di costo allora deve raggiungere la parità o la prossimità nella base di differenziazione, rispetto ai suoi concorrenti, per avere prestazioni al di sopra della media, anche se conta sulla leadership di costo per il suo vantaggio competitivo. La parità nella base di differenziazione allora permette a un leader di costo di trasformare direttamente il suo vantaggio di costo in profitti più alti di quelli della concorrenza.

La logica strategica della leadership di costo richiede di solito che un'impresa sia il leader di costo, non una fra le diverse aziende che competono per raggiungere questa posizione. Quando c'è più di un aspirante leader di costo, la concorrenza è di solito spietata e, a meno che un'impresa non riesca a persuadere le altre ad abbandonare le loro strategie, le conseguenze per la redditività e la struttura del settore industriale possono essere disastrose. Tale strategia dunque dipende in modo fondamentale dal diritto di prelazione, ossia dal raggiungere per primi la posizione di leader, a meno che un cambiamento tecnologico decisivo permetta a un'azienda di cambiare radicalmente la propria posizione in rapporto ai costi.


Differenziazione


In questa seconda strategia di base un'azienda mira ad essere unica nel proprio settore industriale in rapporto ad alcune variabili ritenute importanti dai clienti. Essa sceglie le caratteristiche che sono percepite come le maggiormente richieste in un settore, e si mette nelle condizioni di soddisfare quei bisogni in modo preminente. Tale atteggiamento univoco viene ricompensato con prezzi superiori alla media.

I metodi per la differenziazione sono specifici per ciascun settore industriale e possono basarsi sul prodotto stesso, sul sistema di consegna con cui viene distribuito, sul tipo di approccio al marketing e su una vasta gamma di altri fattori. L'impresa che riesca a realizzare e mantenere la differenziazione otterrà risultati superiori alla media nel proprio settore se il margine sui prezzi resterà superiore ai costi extra, sostenuti per rendersi unica. Chi intende differenziarsi allora dovrà sempre cercare metodi che portino ad un vantaggio, in termini di prezzo, maggiore del costo di differenziazione ; non può però ignorare la propria situazione in relazione ai costi, poiché i suoi premium price verrebbero annullati se fosse in una situazione sfavorevole in termini di costi. Pertanto, per chi si differenzia, è bene mantenere una parità o somiglianza sui costi in relazione ai concorrenti, riducendo i costi in tutte quelle aree che non riguardano la differenziazione. La logica di questa strategia richiede che l'impresa, per differenziarsi, scelga caratteristiche diverse da quelle dei concorrenti. L'azienda deve veramente essere unica in qualcosa, o essere percepita come tale, se vuole che siano accettati i premium price. Contrariamente a quanto affermato relativamente alla leadership di costo, però, in un settore ci possono essere più strategie di differenziazione ben riuscite, se le caratteristiche apprezzate dai clienti verosimilmente sono numerose.


Focalizzazione


Questa strategia di base si differenzia dalle due precedenti in quanto si basa sulla scelta di un'area ristretta di competizione entro un settore industriale. Chi si focalizza sceglie un segmento o un gruppo di segmenti nel settore e adatta la propria strategia per servirli ad esclusione degli altri, cerca di ottenere un vantaggio nei segmenti prescelti anche se non possiede un vantaggio competitivo generale. Questa strategia si poi articola in due varianti : la focalizzazione sui costi, in cui un'impresa persegue un vantaggio di costo nel segmento prescelto, e la focalizzazione sulla differenziazione, in cui un'impresa persegue la differenziazione nel segmento prescelto. Ambedue le varianti si basano sulle differenze tra il segmento prescelto e gli altri segmenti di quel settore industriale, solo che focalizzandosi sui costi si cerca di sfruttare le differenze di comportamento dei costi in alcuni segmenti, mentre focalizzandosi sulla differenziazione si sfruttano le speciali esigenze dei clienti in altri segmenti. L'essenza della focalizzazione è allora lo sfruttamento delle differenze di un obiettivo ristretto rispetto alla media del settore industriale. Chi si focalizza approfitta delle sub - ottimizzazioni da parte di concorrenti che hanno obiettivi a largo raggio ; se il segmento scelto per la focalizzazione non è però diverso da alti, tale strategia non funzionerà. Speso in un settore c'è spazio per diverse strategie di focalizzazione sostenibili, a patto però, che coloro che si focalizzano scelgano come obiettivo segmenti diversi.


Strategie di base e struttura organizzativa


Ogni strategia di base, come si è cercato di mostrare, implica capacità ed esigenze diverse per riuscire, e ciò normalmente si traduce in diversità nella struttura organizzativa e nella cultura aziendale. La leadership di costo, per esempio, implica efficaci sistemi di controllo, riduzione al minimo delle spese generali, perseguimento di economie di scala e costante interesse alla curva d'apprendimento. Le esigenze organizzative normalmente associate a ogni strategia di base, poi, comportano un certo numero di implicazioni. Non è desiderabile per esempio che la struttura organizzativa sia sub - ottimizzata, giacché potrebbe accoppiare metodi di lavoro alternativi. E' divenuto quasi usuale, invece, legare la motivazione dei dirigenti alla "missione" di una unità di business, ancora più importante è armonizzare la selezione del personale e la motivazione dei dirigenti alla strategia di base che viene seguita.

Ancora si vuole brevemente evidenziare come la strategia di base possa avere implicazioni anche per il ruolo della cultura aziendale nel successo competitivo. La cultura, quale insieme di norme e atteggiamenti difficili da definire, che comunque aiutano a dar forma a un'organizzazione, è oramai considerata come elemento importante per il successo di un'impresa. Tuttavia, strategie di base differenti implicano culture diverse, in quanto se la differenziazione può essere facilitata da una cultura che incoraggi l'innovazione, l'individualità e la capacità di assumersi rischi, la leadership di costo può essere facilitata dalla parsimonia, dalla disciplina e dall'attenzione per i dettagli. La cultura, allora, può consolidare notevolmente il vantaggio competitivo che una strategia di base cerca di realizzare, anche se non esiste una cultura di per sé giusta o sbagliata ; essa va valutata solo in relazione al vantaggio competitivo.


Strategia e finalità dell'attività d'impresa


Uno dei principali problemi aperti dalla definizione del concetto di strategia d'impresa, come si è visto, è relativo al fatto di stabilire se in essa debba essere o meno ricompresa anche la formulazione dei fini generali e degli obiettivi di fondo. La questione, come si può comprendere è di notevole rilevanza in rapporto alle conseguenze sul processo decisionale e in particolare sul contenuto di analisi, valutazioni e scelte.

Da un lato si pone l'interpretazione ristretta, secondo la quale definizione dei fini aziendali e formulazione della strategia rappresentano processi distinti anche se interdipendenti. I fini aziendali, che si riferiscono alla missione e al sistema dei valori di fondo per il management e per l'impresa, non sono misurabili e quantificabili, per cui non trovano collocazione nel processo di formulazione della strategia. Essi sono dati per esogeni, acquisiti, in quanto la loro formazione dipende da un processo di sedimentazione storica del sistema di valori propri di imprenditori e manager è non può dunque essere legata a un processo decisionale e a un sistema di scelte. I fini generali dell'attività d'impresa costituiscono l'oggetto principale del campo di ricerca sulle teorie d'impresa, rappresentate dagli approcci che mirano a definire le caratteristiche sostanziali che differenziano le imprese dalle altre forme organizzative, sulla base dell'individuazione di principi generali e universali di orientamento. La massimizzazione del reddito, la sopravvivenza, la creazione di valore - solo per citare i principali - costituiscono tutti esempi di principi generali di orientamento dei comportamenti imprenditoriali. Questi fini generali non si modificano per effetto di un processo di decisione, ma sono oggetto di lenti processi di cambiamento del sistema dei valori di fondo, propri di ciascuna impresa. La formulazione strategica nell'interpretazione ristretta dunque, coincide col processo di definizione di obiettivi quantitativi e misurabili di lungo termine e con la selezione, tra le alternative potenziali, dei comportamenti che consentono il raggiungimento di tali obiettivi.



Secondo l'interpretazione ampia, invece, il legame tra fini generali d'impresa e strategie è indissolubile ; viene a perdere senso la separazione tra determinazione dell'orientamento di fondo e formulazione delle scelte strategiche, che trovano origine comune nello stesso sistema di fattori d'innovazione. << I fini e le politiche volte a perseguirli non possono formularsi in modo separato, ma si determinano congiuntamente in un processo unitario che definisce l'identità complessiva dell'impresa sul triplice piano dei fini cui l'attività aziendale è indirizzata, del campo in cui si esplica, delle direttive gestionali e organizzative cui si uniforma >>[203]. Inoltre, l'orientamento strategico di fondo ed i progetti strategici in cui si manifesta - a livello aziendale o di area d'affari - si modificano solo in base a processi di apprendimento organizzativo, nei quali la storia dell'impresa, dei soggetti che la compongono e le variabili organizzative assumono un ruolo determinante. L'interpretazione ampia è dunque più vicina ad una concezione organicistica dell'impresa, che la assimila ad un sistema vivente orientato verso determinati fini generali. In questo modo si mette in discussione la natura logico - processuale della formulazione e attuazione delle strategie, a cui fa riferimento l'interpretazione ristretta del termine ; l'intenzionalità del processo, la sequenzialità delle fasi e la facoltà di scelta dei decisori, secondo l'interpretazione ampia, divengono principi privi di validità generale e di valore scientifico. Tale distinzione tra le due interpretazioni sottintende allora differenti visioni circa il processo di gestione strategica e comporta effetti importanti in merito alla risoluzione del problema delle scelte e del sistema decisionale che ne costituisce l'ossatura.

E' prioritario, allora, nell'ambito della direzione d'impresa definire obiettivi strategici e sviluppare analisi e valutazioni preventive per la selezione delle traiettorie innovative più adeguate. La strategia così è oggetto di processi decisionali compositi, che richiedono la partecipazione dei soggetti d'impresa  e presentano specifici contenuti analitici e valutativi. Per poter sostenere tale tesi con argomentazioni più approfondite, è necessario allargare leggermente lo studio anche alle teorie sui processi decisionali strategici. A questo scopo ci si collega al lavoro di Ansoff il quale rileva come, al mutare dei livelli di turbolenza il management abbia sviluppato degli approcci sistematici per gestire le sempre crescenti imprevedibilità, innovazioni e complessità. Mentre il futuro diviene sempre più complesso, nuovo e imprevedibile, i sistemi diventano altrettanto sofisticati, complementari e migliorativi rispetto ai precedenti. In particolare Ansoff ritiene che i sistemi possano essere raggruppati in quattro precise fasi di evoluzione :

a)       Management per controllo della prestazione, adeguato quando il mutamento era lento.

b)       Management per estrapolazione, quando il cambiamento diventò più rapido, ma il futuro poteva ancora essere previsto estrapolando il passato.

c)       Management per anticipazione, quando le discontinuità cominciavano a essere presenti, ma il pur rapido cambiamento era ancora così lento da consentire tempestive anticipazioni e risposte.

d)       Management per risposta flessibile/rapida, attualmente emergente, in condizioni nelle quali molte grosse sfide si sviluppano troppo rapidamente per permettere una tempestiva anticipazione.


Dall'analisi di tale evoluzione Ansoff ne ricava che la pianificazione strategica potrebbe essere validamente utilizzata solo per gradi di turbolenza che lascino margini di prevedibilità delle minacce e opportunità derivanti dall'ambiente esterno. In situazioni più realistiche di complessità che si caratterizzino per forte imprevedibilità dei fenomeni, la gestione dovrebbe essere basata su risposte rapide e flessibili, garantite da più evoluti sistemi di pianificazione e controllo, come la "gestione per problematiche strategiche basate su segnali deboli" oppure la "gestione per imprevisti". Continuando in questa direzione però si capisce che ci si sta orientando verso altre problematiche che seppur connesse con quella che si desidera analizzare, si distinguono in maniera sostanziale. E' opportuno ora cercare di recuperare il filo della presente analisi, senza dimenticare le considerazioni di integrazione qui proposte, per capire quale possa o debba essere l'orientamento strategico di fondo che possa favorire una gestione etica dell'impresa.


Tabella pag. 24 Ansoff.






Figura 4.1 Evoluzione dei sistemi di gestione.

L'orientamento strategico di fondo


L'orientamento strategico di fondo OSF è stato definito da Coda come "la parte nascosta o invisibile del disegno strategico di un'impresa - composta di idee - guida, valori, convincimenti e atteggiamenti di fondo radicati negli attori - chiave - che si esplicita solo attraverso le scelte e i comportamenti che li animano". Vediamo ora di capire il senso di tale definizione partendo proprio dalla caratteristica di "non visibilità" che potrebbe indurre a dubitare della stessa esistenza di un'OSF o al massimo a considerarlo alla stregua di un'ipotesi di lavoro da verificare. Sembra oramai empiricamente ma anche teoricamente evidente che, alla base della trama delle scelte di strategia competitiva, economico - finanziaria e via discorrendo, vi sia proprio una visione di fondo dell'impresa, del suo futuro, di ciò che essa è vocata a fare, dei suoi fini e dei modi stessi di condurla, la quale, anche se raramente esplicitata, discussa e vagliata criticamente informa di sé tutta la realtà e la vita dell'impresa. L'OSF è costituito prevalentemente da idee - guida, valori convincimenti e atteggiamenti di fondo radicati negli attori - chiave dell'impresa e, nelle aziende a cultura forte e coesiva, anche nell'intero personale. Tali idee possono avere radici così profonde nella cultura di determinati soggetti da essere operanti a livello inconscio e ciò accresce di più l'impressione di trovarsi di fronte ad una variabile talora sfuggente, ma non per questo meno reale.


Una gestione etica strategica ?


Per evidenziare la rilevanza dell'OSF nell'ambito della gestione d'impresa e dopo avere cercato di delineare alcuni percorsi strategici generali, si passa ora a valutare il peso, il ruolo e il significato che il risultato economico positivo assume nella gestione dell'impresa, per proporre una sua valutazione alla luce di un nuovo OSF, rispetto a quello consueto. Ciò, si desidera puntualizzare, in quanto la logica sinora perorata può far ritenere forse che l'etica sia stata introdotta nei ragionamenti sulla gestione aziendale solo in via strumentale per consentire il conseguimento del profitto. Se questa è l'impressione che si ricava da quanto fin qui scritto, sarà opportuno prestare attenzione particolare a tale parte del paragrafo, altrimenti questa potrebbe risultare pleonastica.

E' a tutti noto che nessuna impresa, nel lungo termine, può sperare nella propria sopravvivenza se non riesce a realizzare risultati economici soddisfacenti, un profitto minimo.[206] Tale condizione inderogabile non è comunque la sola da considerare come fondamento della definizione della strategia aziendale ; non si può dire allo stesso modo che lo scopo reddito sia la sintesi di ogni altro risultato conseguibile nell'attività d'impresa, ne che esso sia l'unico necessario, ne tanto meno che la sua massimizzazione debba costituire il principale movente dell'agire aziendale. Come noto, esistono infatti ben altre priorità da soddisfare al fine di consentire la sopravvivenza dell'impresa e il loro soddisfacimento determina pure la realizzazione di riflesso di un maggior reddito. << L'impresa deve mirare alla continuità operativa : ad essa non è più richiesto di massimizzare il profitto, ma di adeguare costantemente e con prontezza la sua struttura e i criteri gestionali alle mutate condizioni dell'ambiente onde poter continuare ad assolvere nel tempo, con vantaggio proprio e dell'intera collettività, alla funzione economica assunta. Ciò non significa che le unità produttive debbano abbandonare ogni riferimento al reddito. Ogni volta che qualsivoglia unità produttiva subisce delle perdite essa distrugge ricchezza propria e, in definitiva, ricchezza nazionale >> . Il dinamico mantenimento di un sufficiente livello di profitto potrebbe essere solamente una parte - addirittura meramente strumentale - del continuato conseguimento nel tempo di "altre priorità", potrebbe essere solamente un indicatore dell'avvenuto raggiungimento di un obiettivo tattico, come si evince dalla seguente citazione di Paolo Emilio Cassandro : << il profitto non è fine a se stesso ma è un mezzo Limitare l'obiettivo dell'impresa al profitto e alla sua massimizzazione significa sminuire le fondamentali funzioni economiche e sociali dell'impresa >> , e Vittorio Coda afferma : << il profitto si configura come un fine - mezzo >> .

E' bene proporre dovute e puntuali spiegazioni, desiderando non ingenerare un fraintendimento nel significato di tali affermazioni. Si contrasta qui l'assolutizzazione e il primato del profitto, non perché si voglia procedere ad un'ingenua apologia sul suo "sacrificio", poiché si è ben consci delle devastanti ripercussioni negative che una simile posizione - se perseguita nell'organismo aziendale - comporterebbe sul razionale utilizzo delle preziose quanto scarse risorse collettive. A conferma di questo basti accennare alle deleterie esperienze di numerose aziende pubbliche nelle quali, anche in nome dell'obiettivo << sociale >>di tutela egualitaria del minimo benessere collettivo, è andato vistosamente perso il senso del bene comune e dello sviluppo della ricchezza collettiva di quella stessa comunità in nome della quale si dichiarava di operare.

In secondo luogo, affermare la necessità della conservazione nel tempo di un soddisfacente margine di reddito, pur senza perseguirne la sua massimizzazione, comporta un'azione gestionale attenta e dinamica, costantemente in sintonia con le opportunità e i rischi che accompagnano i mutamenti ambientali. In sostanza quanto si intende sottolineare è l'importanza di un comportamento sinergico, sia della soddisfacente performance economica che di quella "ambientale". Coda scrive autorevolmente : << Il problema di combinare l'economico con il sociale nella realtà dell'impresa non si risolve riducendo l'economicità a un vincolo Si risolve bensì integrando creativamente esigenze sociali e bisogni del mercato all'interno di visioni imprenditoriali vincenti, dotate di una loro intrinseca validità economica Diversamente si formano solo delle impresa asfittiche, handicappate in partenza di fronte alla concorrenza A ben vedere la concezione dell'impresa secondo cui "l'economico" è necessariamente nemico del  "sociale" - e a quest'ultimo quindi deve essere sacrificato - sottende, da un lato, un'idea di economicità che si identifica con la

ricerca opportunistica di un profitto di corto respiro e, dall'altro, un'idea di socialità che prescinde totalmente dal significato sociale della funzione produttrice di ricchezza, propria dell'impresa >>[210].

Ora ci si avvia alla conclusione del paragrafo rafforzando per l'ultima volta la sensazione che il minimo risultato economico positivo, pur nella sua necessarietà, dovrebbe essere inteso come parte limitata nell'ambito del conseguimento del globale finalismo d'impresa.

In effetti, non è possibile negare che la grandezza economica reddito, il cui conseguimento non è ne necessario né ovviamente sufficiente se riferito solo al breve termine, risenta di alcuni ordini di limiti che ne configurano la significatività a dimensioni talora anguste :

nel suo calcolo, e prima ancora nella sua nozione, non si includono la serie di oneri e di benefici i cui valori non sono tradizionalmente tradotti in termini monetari ; il reddito essendo espresso in termini monetari, è caratterizzato da una capacità informativa limitata, soprattutto in quanto non in grado di individuare la natura, la qualità e la misura della sere di valori non monetizzabili che hanno contraddistinto il suo conseguimento ;

il reddito, poi, non è indicatore di efficienza valido e attendibile, poiché esso non esprime in modo rigoroso le via per mezzo delle quali l'impresa ha svolto la sua attività ;

a riprova di quanto appena sopra la misurazione del reddito e pure la possibilità di verificarne la sua sussistenza è estremamente soggettiva (costringendoci a parlare di assegnazione o attribuzione anziché di determinazione oggettiva) ;

la sua entità non è né direttamente ne proporzionalmente connessa al grado di efficienza con il quale si svolge l'attività d'impresa.

D'altro canto << il reddito, considerato a sé stante, è una grandezza economica di per sé eticamente neutra. Non è infatti possibile stabilire quali siano state le regole del gioco, né come il gioco si è svolto, né soprattutto per quale scopo, semplicemente guardando qual è il guadagno realizzato ; tuttavia,, quando il profitto viene considerato lo scopo principale, esso tende sempre a diventare non solo prioritario, bensì esclusivo. Mentre l'etica è così astratta, esso è invece una grandezza così concreta e "forte", da dominare la riflessione sui valori Lo stress generato da un elevato ritmo di attività d'impresa e le crescenti sfide che si presentano all'attenzione sono potenti destabilizzatori della capacità di articolare analisi e valutazioni etiche, e così portatori di un sistema in cui i valori umani sono subordinati al perseguimento di fini economici >>[211].

Con questo pare di poter trovare in accordo anche il pensiero di Goldmann quando scrive che << la dimensione dell'azienda genera potere sui consumatori che deve essere contrastato dall'accettazione di vincoli morali. Nella misura in cui un mercato non è competitivo, i profitti possono essere massimizzati diminuendo la qualità mentre contemporaneamente si alzano i prezzi. I manager in tali industrie devono riconoscere la responsabilità morale verso il pubblico come una ragione per non farlo. Di seguito poi che la sofisticazione tecnologica dei prodotti aumenta, la conoscenza pubblica delle loro caratteristiche diminuisce. Nella misura in cui le imprese riescono a nascondere al pubblico i difetti, possono massimizzare profitti a spese dei consumatori. Terzo, i costi sociali o i danni al pubblico non figurano sempre nei costi dei produttori o nella domanda prevista per i prodotti. Ci si potrebbe aspettare che il danno diretto derivante dai prodotti stessi influenzi la domanda che li riguarda ; ma il danno può non influenzare affatto al domanda. Quindi, qualche vincolo su basi morali da parte dell'impresa, del tipo di un'astensione dall'inquinare l'ambiente o dall'imporre alti costi esterni sarà una mossa verso una maggiore efficienza per il pubblico. Tuttavia potrebbe non massimizzare il profitto di nuovo vediamo massimizzazione del profitto e utilità pubblica, un divario che potrebbe essere colmato tramite diretta accettazione della responsabilità di evitare un danno al pubblico, anche a spese dei profitti>>[212].



Occorre dunque contrastare ogni tentativo di porre il reddito come valore significativo, attendibile e oggettivo, che pretenda di dimostrare la qualità con cui si è svolta la gestione. Ancor meno esso può essere considerato come un valore etico in sé << sotto un profilo prettamente dottrinale si è sempre più consolidata la convinzione che fine ultimo di una combinazione non è solo conseguire quel risultato (profitto), quanto, piuttosto, arrivare ad una posizione di equilibrio tra esigenze interne e spinte esterne. Da ciò discende che, al contrario del passato, al gestione di un'attività economica è anche un problema sociale >>[213].

In sostanza l'obiettivo di cui al profitto appare estremamente riduttivo e per giunta in grado di mettere a repentaglio il perseguimento degli altri fini. Nella sua dimensione di lungo periodo, esso permane inderogabilmente parte del complesso e sinergico finalismo d'impresa ; il suo ruolo va comunque interpretato sia alla luce dei suoi evidenti limiti di significatività economica e etico - globale appena evidenziati, sia tenendo conto, della congenita fragilità del suo conseguimento in assenza di uno stabile e duraturo sviluppo della caratterizzazione etica della gestione aziendale.

Per concludere si riconosce come l'argomento in esame, a motivo della complessità e della multi - dimensionalità dell'agire aziendale, consenta solo di sviluppare o richiamare osservazioni, piuttosto che proporre conclusioni in modo definitivo e univoco. Lo stesso Vittorio Coda più volte assunto come autorevole esponente di riferimento, avverte che << le imprese hanno un finalismo complesso, che ha a che fare con più dimensioni : la produzione dei beni o servizi per dati mercati, la soddisfazione delle attese di certi interlocutori sociali, A queste, che sono le dimensioni istituzionali del finalismo d'impresa, deve poi aggiungersi una quarta, fondamentale "dimensione", quella dei fini e delle aspirazioni individuali degli attori - chiave dell'impresa, Il modo in cui i fini e gli obiettivi collocantisi lungo le anzi dette dimensioni istituzionali si compongono e si collegano fra di loro, venendo così ad assumere un preciso significato motivazionale per gli attori - chiave - e non soltanto per essi nelle imprese meglio gestite - è ciò che in concreto qualifica il finalismo di una data impresa >>[214]. Secondo l'Autore ci si trova in presenza di una tematica che non è riconducibile a poche elementari proposizioni o affermazioni semplicistiche le quali affermando per esempio che l'impresa deve tendere alla massimizzazione del profitto, erroneamente assumono ci sia un unico modo di concepire, vivere, perseguire e utilizzare il profitto.

In questo modo l'Autore propone un "circolo virtuoso" di relazioni tra i componenti del finalismo dell'impresa, in cui prosperità dell'impresa e soddisfazione degli interlocutori sociali vengono a saldarsi inscindibilmente, al punto di diventare un tutt'uno. Perché ciò possa realizzarsi però è necessario il rifiuto, da un lato, di qualsiasi concezione della produttività e dell'economicità che sia inconciliabile con il rispetto della persona umana - sia essa quella dei lavoratori dell'impresa o dei consumatori dei suoi prodotti o degli abitanti del territorio in cui sono insediati i suoi centri produttivi - e, dall'altro di qualsiasi concezione dei fini sociali che possa di fatto sfociare in una negazione del ruolo economico dell'impresa In tal modo il profitto non viene più assolutizzato, perché è in funzione del benessere e del progresso umano ; ma neppure viene sottovalutato e sminuito, in quanto elemento essenziale per il raggiungimento di quest'ultimo. Tale concezione oltre ad essere economicamente ineccepibile, è anche moralmente corretta se implica veramente un profondo rispetto delle persone che collaborano e interagiscono a vario modo con l'impresa.

In questa concezione il reddito si qualifica poiché scaturisce da una superiore capacità di servire i bisogni del cliente e alimenta una superiore capacità di soddisfare le attese degli interlocutori sociali, al quale, a sua volta, produce fiducia, dedizione, coesione, spinta motivazionale, elementi questi tutti essenziali ad una superiore performance competitiva.

Figura 3.5 pag. 175 coda

Figura 5.1 Il profitto in una concezione fisiologica

del finalismo d'impresa.


Come si vede dalla figura proposta, all'interno dell'ampio circuito descritto si possono individuare altri due sotto - circuiti. Attuare un circuito quale quello del tipo A significa adoperarsi per sviluppare competenze distintive, quali quelle di tipo tecnico - produttivo finalizzate a conseguire un vantaggio concorrenziale da cui ottenere un maggiore reddito che prioritariamente sarà destinato ad un ulteriore sviluppo delle competenze medesime. Nell'ambito del circuito B, invece, c'è un maggiore coinvolgimento dei dipendenti, con significativi riflessi sulla prosperità dell'impresa e del benessere dei lavoratori stessi, in modo tale da radicare l'impresa in un'eccellenza di tipo diffusivo la quale si fonda proprio sull'impegno di valorizzazione dell'elemento umano dell'impresa, impensabile in assenza di una piena identificazione dei dipendenti tutti con gli obiettivi aziendali, dai quali appunto dipende il soddisfacimento delle loro molteplici attese, da quella della sicurezza di un posto di lavoro a quelle di un continuo miglioramento delle condizioni di partecipazione alla vita dell'impresa e ai suoi fini.

Per concludere in modo da non lasciare spazio a inutili illusioni o scoraggiamenti, è bene precisare che quanto proposto rappresenta una concezione ideale che non può mai dirsi pienamente realizzata, il cui ruolo è di prospettare una situazione desiderabile atta a orientare il cammino delle imprese e a suscitare una tensione costruttiva per avanzare nella direzione da essa indicata.[215]

Secondo questo OSF il reddito non si configura più come il fine assoluto dell'attività d'impresa,[216] bensì come un fine - mezzo che si inanella con altri obiettivi interconnessi e sinergici, dando luogo ad un circolo virtuoso che si manifesta nel perpetuarsi del successo imprenditoriale, il quale poggia sulla combinazione coerente di tutti gli aspetti gestionali.



Ciò vale soprattutto in una situazione di accentuata turbolenza, quale quella propria dell'economia industriale, rispetto alla quale, aggiustamenti successivi, senza una visione globale e di lungo termine, sono destinati più a ritardare che a scongiurare pericolose crisi.

Sergio Sciarelli, Il sistema impresa, Cedam, 1985. Pagine 223 - 228.

Cfr. Drucker P. The Practice of management, 1954.

Cfr. Chandler A. D. Jr., Strategia e struttura : storia della grande impresa americana, p. 48, (ed. originale Strategy and structure, 1962).

Definizione - la cui traduzione è riportata in LACCHINI M., "Strategia aziendale, elementi di teoria", 1988 - è ricavata da Business policy. Text and cases, la cui prima edizione  si fa risalire al 1965 ad opera di Andrews, Learned, Christensen e Guth, e che rappresenta il manuale utilizzato nei corsi di business policy. Il manuale è stato sottoposto a periodici aggiornamenti, senza che tuttavia il concetto di strategia sia mai stato modificato (nella quinta edizione del 1982, firmata da Andersen, Christensen, Bower, Porter e Hamermesh, si ritrova ancora letteralmente la stessa definizione).

Ci si riferisce in particolare ai noti saggi : La strategia competitiva, Il vantaggio competitivo e Competizione globale.

Ibidem.

Michaele E. Porter, La strategia competitiva, (titolo originale : Competitive Strategy - Techniques for Analyzing Industries and Competitors) edizione italiana e traduzione curata da Gianni Lorenzoni, 1982, Editrice Compositori, p. 4.

Michael E. Porter, Il vantaggio competitivo, 1987.

Cada V., 1988.

Mauro Sciarelli 1996, p. 18.

Analisi ricavata dall'Autore coinvolgendo più di 1000 senior management nella valutazione delle future turbolenze nelle rispettive aziende.

Si ricordano le diverse sfumature che si possono attribuire alla dimensione e al calcolo del profitto, nonché, alla sua nozione ; tra queste, il fatto che un risultato economico positivo non individua necessariamente la presenza di un profitto realmente conseguito. Si chiamerà comunque per una maggior chiarezza espositiva "profitto minimo" il risultato economico necessario per coprire gli oneri figurativi.

Catturi, 1989, p. 170 ; si confrontino anche Catturi, 1984, vol. I, pp. 562 e ss.

Cassandro 1969.

Coda 1988, p. 91.

Ibidem, p. 172 - ns. corsivo.

Nash 1990, pp. 170 - 171, da P. d. Toro.

Goldmann, 1989, pp. 16 e ss. Da pdt pag 162.

Terzani, 1989, p. 258.

Coda 1988, p. 160.

In tali considerazioni si è ripreso il pensiero di Coda, principalmente attraverso le opere del 1988, 1985.

Si veda quanto citato nella sezione 1 in relazione agli imprenditori tesi a realizzarsi nel prodotto, in risposta al loro "anelito all'Essere".

Coda L'orientamento strategico dell'impresa, 1988, p. 91.

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