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Trattamento penitenziario




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Trattamento penitenziario.


Il trattamento cui fa riferimento il 1° comma dell'art. 1 ord. penit. è il mero "trattamento penitenziario", al quale devono essere sottoposti tutti i soggetti che sono inseriti all'interno di un istituto di pena . Considerando, invece, la finalità rieducativa cui la pena ha il dovere di tendere (art. 27 comma 3 Cost.) il trattamento penitenziario diventa "rieducativo" e va applicato nei confronti dei soggetti che appaiono "recettivi" e collaborano con l'Amministrazione penitenziaria (art. 1 comma 6 ord. penit.)[2].

L'individualizzazione del percorso rieducativo tiene conto della personalità di ciascun detenuto, degli aspetti intellettivi, affettivi e volitivi, delle "carenze psicofisiche e delle cause di disadattamento sociale" (artt. 13 comma 1 ord. penit. e 27 reg. esec.). Tali indicazioni emergono dall'osservazione scientifica dei soggetti (art. 13, comma 2 ord. penit.)[3], realizzata da un'equipe specializzata di medici, educatori, assistenti sociali e sotto la responsabilità e mediante il coordinamento del direttore dell'istituto (art. 28 reg. esec). L'osservazione si realizza in due momenti distinti: all'inizio dell'esecuzione essa ha lo scopo di costruire, con la collaborazione del detenuto, il programma individualizzato che rappresenta la base del trattamento e che tiene conto, accanto ai bisogni del soggetto, delle opportunità disponibili e attuabili in un dato istituto; nel corso dell'esecuzione, invece, è finalizzata all'individuazione delle eventuali modificazioni che si sono verificate nei comportamenti del soggetto medesimo, al fine di predisporre delle variazioni al programma se questo non è più rispondente alle esigenze e ai bisogni del detenuto (art. 13, comma 2 ord. penit.)[5].

"Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno" (art. 15 ord. penit.); ne consegue che l'istruzione, il lavoro, la religione, le attività culturali, ricreative e sportive sono gli elementi principali, attraverso i quali il trattamento individualizzato può realizzarsi [6].

In particolare, per quel che concerne l'istruzione negli istituti di pena, occorre rilevare che essa è considerata un intervento che l'Amministrazione penitenziaria ha il dovere di effettuare, al fine di sostenere gli interessi umani, culturali e professionali dei reclusi (art. 19 ord. penit.)[7]. L'amministrazione penitenziaria, perché quanto detto possa realizzarsi, ha il dovere di promuovere intese con il Ministero della pubblica istruzione, i suoi organi periferici, le autorità accademiche e gli enti locali; nonché di dare, agli interessati, tutte le informazioni necessarie relative ai corsi e di promuovere la partecipazione agli stessi. Al dovere dell'Amministrazione penitenziaria di adoperarsi per promuovere l'istruzione, dunque, non corrisponde il relativo obbligo dei detenuti e degli internati di frequentare i corsi organizzati, così come, al contrario, previsto nel regolamento penitenziario del 1931. Ciò perché, pur essendo l'istruzione uno strumento fondamentale sul quale si basa il trattamento individualizzato, essa conserva, sempre, il carattere della facoltatività, nel senso che, il recluso è libero di scegliere se avvantaggiarsi o no della possibilità di istruirsi . Inoltre, è previsto che ogni istituto penitenziario, disponga del servizio biblioteca descritto nell'art. 21 reg. esec. La gestione di tale servizio è affidata ad un educatore il quale si avvale della collaborazione dei rappresentanti dei detenuti ed internati, scelti col metodo del sorteggio. La selezione dei testi, che deve tener conto dell'eterogeneità della popolazione carceraria, avviene ad opera di un'apposita commissione formata dal direttore, dal sanitario, da un educatore, dal cappellano, da un assistente sociale, ed è presieduta dal magistrato di sorveglianza. In capo alla direzione dell'istituto sussiste il dovere di agevolare l'accesso alle pubblicazioni contenute negli spazi di lettura interni alle carceri e nei centri di lettura pubblici.

Occorre, infine, ricordare che l'art. 18 comma 6 ord. penit. prevede che i "detenuti e gli internati possano essere autorizzati a tenere presso di se quotidiani, periodici e i libri in libera vendita all'esterno e ad avvalersi di altri mezzi d'informazione". Affinché sia garantito il diritto all'informazione, quindi, ogni censura alla stampa è ormai vietata e le uniche limitazioni che la direzione dell'istituto può operare, attengono ad esigenze d'ordine e di spazio.

Per quel che concerne il lavoro, poi, esso è considerato un elemento fondamentale del trattamento penitenziario giacché offre ampie possibilità di reinserimento sociale, impegnando il soggetto in attività produttive che accrescono le capacità professionali e che contribuiscono a creare un'indipendenza economica, necessaria per l'individuo e per la sua famiglia[9].

L'amministrazione penitenziaria, pertanto, ha il dovere di favorire, in ogni modo, l'avvicinamento dei soggetti alle attività lavorative. Ciò può avvenire attraverso l'organizzazione - da parte della stessa Amministrazione penitenziaria e secondo linee programmatiche elaborate dai provveditorati - di lavorazioni, sia all'interno sia all'esterno degli istituti di pena; ovvero lasciando che imprese pubbliche e private organizzino, le lavorazioni penitenziarie, in locali concessi in comodato dalle direzioni dei carceri (art. 47 reg. esec.)[10]. La distribuzione dei posti di lavoro avviene attraverso apposite tabelle predisposte dalla direzione e cercando di tener presente, quanto più possibile, i desideri, le attitudini, le condizioni economiche e i precedenti lavorativi di ciascun detenuto (art. 20 comma 6 ord. penit.).



Si veda CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, pag. 108 e ss.

Il consolidato atteggiamento giurisprudenziale ritiene che il trattamento penitenziario costituisca un obbligo di fare per l'Amministrazione penitenziaria cui corrisponde un diritto del detenuto a fruirne. Cass. 24 marzo 1982, in Rass. Pen. Crim., 1983, pag. 872; Cass. Sez. I. 29 marzo 1985, in Cass. Pen. 1986, pag. 1178.

Ai fini dell'osservazione, si provvede all'acquisizione di dati giudiziari e penitenziari, biologici, psicologici e sociali e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli interventi del trattamento (art. 13 comma 4 ord. penit.). In tal senso, BATTIGAGLIA - CIRIGNOTTA, Elementi di diritto penitenziario, Roma, 2001, pag. 50.

<<La soluzione dell'equipe, intesa appunto come una formazione pluriprofessionale che svolge i suoi interventi in un'ottica operativa integrata e secondo una metodologia che richiede una continuità e una stabilità del rapporto di collaborazione tra i vari membri che la compongono, rappresenta un elemento di organizzazione del lavoro di osservazione e di trattamento ormai largamente sperimentato non solo nel settore penitenziario, ma in ogni altro programma di intervento di tipo assistenziale complesso>>. DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 95.

Il legislatore, inoltre, ha posto l'attenzione, anche, sull'importanza che ha, ai fini trattamentali, il numero di detenuti inseriti nelle diverse sezioni, nonché, ha previsto la possibilità di realizzare la rieducazione attraverso una metodologia di gruppo: in tal modo, il trattamento conserva l'importante caratteristica dell'individualizzazione e si realizza attraverso l'esperienza comune dei detenuti distribuiti, tra i vari istituti penitenziari (artt. 14 ord. penit., 31 reg. esec.).

Il lavoro che segue potrebbe sembrare monco, se non si specificasse che si è voluto fare qualche approfondimento solo in relazione a due degli elementi fondamentali del trattamento rieducativo, presi in considerazione per rilevare la dipendenza esistente tra l'esercizio del potere esecutivo e la condizione giuridica soggettiva dei detenuti. Pur considerando l'importanza dei rapporti con la famiglia e il mondo esterno, i permessi, la corrispondenza e i colloqui, nonché le attività culturali e ricreative e la pratica del culto religioso, si è voluto prender "a campione" l'istruzione e il lavoro penitenziari, ponendo particolarmente l'attenzione sui doveri dell'amministrazione penitenziaria, affinché si realizzi la funzione rieducativa della pena.

Conseguenti sono gli artt. 41, 42, 43 e 44 del regolamento esecutivo, i quali prevedono: l'organizzazione di corsi d'istruzione a livello della scuola d'obbligo e d'istruzione secondaria; la facoltà di partecipare a corsi di formazione professionale; nonché, l'agevolazione per il compimento degli studi universitari per i detenuti e gli internati che sono iscritti ai relativi corsi.

In tal senso, CORSO, Manuale dell'esecuzione penitenziaria, Bologna, 2000, pag. 78.

La legge del '75 stabilisce che "Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato" (art. 20 ord. penit.).  Il lavoro penitenziario ha perso il carattere di strumento punitivo che aveva nel vecchio ordinamento penitenziario - si pensi ai lavori forzati predispostiti come modalità d'espiazione della pena - e acquista, accanto alla finalità rieducativa, il riconoscimento di principale mezzo di sostentamento. Il detenuto lavoratore ha, infatti, il diritto ad essere retribuito per il lavoro svolto, allo stesso modo di un lavoratore libero.

Accanto alle due diverse modalità di organizzazione del lavoro penitenziario, si pongono il lavoro autonomo, nei casi in cui il detenuto dimostri di avere particolari capacità artigianali, intellettuali o artistiche cui si dedica con impegno professionale (artt. 20 comma 14° ord. penit. e 49 reg. esec.); e l'attività lavorativa svolta con le modalità del lavoro a domicilio a norma dell'art. 19 commi 6 e 7 della l. n. 56/1987.

In fine, si vuole fare un breve cenno alla possibilità per il detenuto di essere ammesso al lavoro all'esterno, inteso come lavoro da svolgersi all'interno della società libera, presso imprese pubbliche o private, alle dipendenze di famiglie o di professionisti ovvero può trattarsi di lavoro autonomo (art. 46 comma 12 reg. esec.).

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