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Rimborsi e crediti di imposta




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RIMBORSI E CREDITI DI IMPOSTA


Il contribuente non è sempre e solo debitore del fisco; può essere anche creditore: può esserlo perché ha versato una somma non dovuta, perché ha versato degli acconti che superano il dovuto, perché si sono verificate delle situazioni a cui il legislatore collega il sorgere in capo al contribuente di crediti di imposta. Abbiamo dunque tre tipi di crediti:



a)     Crediti per rimborsi da indebito;

b)     Crediti per rimborsi da non indebito;

c)     Crediti di imposta in senso stretto.

La prima figura quella del rimborso di indebiti è riportabile al principio generale sancito dall'art. 2903 c.c. secondo cui il pagamento indebito genera un credito di rimborso a favore del solvens.

Le cause dell'indebito tributario sono molteplici. Può accadere che manchi ab origine o che venga meno la norma di legge alla quale si ricollega l'imposta che è stata pagata. Sono poi da prendere in considerazione la dichiarazione di incostituzionalità di una norma impositiva e il c.d. indebito comunitario vale a dire il diritto al rimborso che tragga origine dal diritto comunitario. Per quanto riguarda le imposte costituzionali poiché le sentenze che dichiarano incostituzionale una norma sono retroattive, i pagamenti fatti in base alla norma dichiarata incostituzionale assumono ex post la qualifica di pagamenti non dovuti: il rimborso è però escluso quando il pagamento pè stato fatto in base ad un rapporto esaurito. Con questa espressione ci si riferisce al caso in cui il rimborso è impedito o da atti definitivi o dalla scadenza del termine entro cui il rimborso deve essere richiesto. Se un'imposta è stata pagata in base ad una norma nazionale che risulti in contrasto con il diritto comunitario il giudice è tenuto ad applicare la norma comunitaria e a non applicare la norma nazionale. In una simile ipotesi l'imposta pagata è da rimborsare ma le procedure di rimborso sono quelle previste dalle norme previste dalle norme nazionali. Le altre ipotesi di fattispecie generatrici di pagamenti indebiti si collegano gli atti attraverso cui viene data applicazione ai tributi. Pagamento indebito può aversi innanzitutto perché viene presentata una dichiarazione erronea. Se viene dichiarata e versata una imposta non dovuta il contribuente ha diritto al rimborso. Se con l'avviso di accertamento l'ufficio costituisce un debito superiore a quello risultante dalla corretta applicazione della legge alla situazione di fatto l'obbligazione sorge ugualmente nella misura in cui è determinata dall'avviso. Il versamento dunque della somma fissata dall'avviso non è di per sé un versamento indebito. L'indebito si profila solo se l'avviso è annullato dal giudice. E l'ufficio delle imposte deve rimborsare. Un'altra serie di ipotesi nelle quali può aversi indebito attiene alla riscossione. Si pensi alla effettuazione indebita di ritenute dirette e di versamenti diretti. Per le somme iscritte a ruolo potrebbe darsi un vizio proprio del ruolo. Analogamente può esservi un errore nella riscossione di una imposta indiretta.

Le altre figure di crediti del contribuente non derivano da un pagamento indebito e sono figure peculiari del diritto tributario. Sono crediti non da indebito. Vi sono innanzitutto i crediti emergenti dalla dichiarazione dei redditi che sorgono quando l'imposta dovuta risulti inferiore alla somma dei versamenti d'acconto delle ritenute d'acconto e dei crediti di imposta. Il saldo creditorio che risulta dalla dichiarazione dei redditi:

a)     Può essere riportato all'anno successivo;

b)     Può essere chiesto a rimborso;

c)     Può essere ceduto.

I rimborsi richiesti con la dichiarazione dei redditi sono eseguiti d'ufficio secondo una procedura automatizzata che si snoda attraverso i seguenti passaggi:

a)     Gli uffici formano liste di rimborso relative a ciascuna periodo di imposta entro un anno dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi;

b)     Il centro informativo della presentazione della direzione generale dell'agenzia delle entrate sulla base di queste liste predispone gli elenchi di rimborso determinando gli interessi da corrispondere;

c)     Sulla scorta di tali elenchi la direzione generale dell'agenzia emette gli ordinativi di pagamento;



d)     Agli aventi diritto viene inviato una vaglia cambiario della banca d'Italia oppure viene fatto un accreditamento in conto corrente bancario.

Nell'iva è fisiologico che l'imposta relativa agli acquisti possa risultare superiore all'imposta sulle operazioni imponibili si hanno così dei crediti del contribuente verso il fisco non derivanti da pagamenti indebiti ma dal peculiare meccanismo di tale tributo. La determinazione finale annuale del tributo che il contribuente espone nella dichiarazione può dunque comportare un debito o una eccedenza. Vi è eccedenza quando la somma dell'iva detraibile e dei versamenti effettuati in corso d'anno supera il debito d'imposta. L'eccedenza è un credito del contribuente che può essere:

a)     Compensato con debiti di imposta diversi dall'iva;

b)     Riportare a nuovo per essere compensato con le situazioni debitorie degli anni successivi;

c)     Chiesto a rimborso.

La compensazione è la regola. Il rimborso è infatti riservato a chi cessa l'attività, a chi esercita in prevalenza attività che comportano vendite con aliquote inferiori a quelle degli acquisti; a chi effettua operazioni non imponibili per almeno il 25% della sua attività. Il rimborso può essere chiesto da qualsiasi soggetto passivo quando la dichiarazione sia risultata a crediti per due anni di seguito. La esecuzione dei rimborsi è circondata da particolari cautele: il contribuente deve garantire la restituzione ove il rimborso si rivelasse indebito. Perciò deve presentare una garanzia che duri fino a quando non è scaduto il termine entro cui l'ufficio può rettificare la dichiarazione. Nell'imposta di registro vi sono ipotesi di crediti del contribuente alla restituzione di imposte regolarmente percette: con questa espressione ci si riferisce ad ipotesi nelle quali le somme versate sono al momento del versamento dovute ma che per ragioni sopravvenute risultano poi da restituire.

In caso di ritardo nel rimborso di imposte sui redditi il contribuente ha diritto all'interesse nella misura percentuale prevista dalla legge per ognuno dei semestri interi escluso il primo compresi tra la data del versamento e la data dell'ordinativo di rimborso.

Per ottenere il rimborso l'avente diritti ha l'onere di presentare una istanza entro termini e con modalità prefissate. Vi sono,alcune regole generali in materia di rimborso:

La domanda di rimborso deve essere presentata entri due anni dal pagamento oppure se posteriore dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione;

Se la domanda è esplicitamente respinta il rifiuto espresso è atto impugnabile dinanzi alla commissione tributaria provinciale;

Se l'amministrazione rimane inerte per 90 giorni dalla presentazione della domanda di rimborso il silenzio si interpreta come rifiuto e l'interessato può proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale;

In caso di silenzio pertanto il contribuente può ricorrere solo dopo il 90° giorno dalla presentazione della domanda ma non oltre la prescrizione del diritto alla restituzione.

Per il rimborso delle ritenute dirette e dei versamenti diretti è necessario che sia presentata istanza all'agenzia delle entrate entro il termine di decadenza di 48 mesi dal versamento. Se il versamento riguarda ritenute indebitamente operate e versate l'istanza di rimborso può essere presentata sia dal sostituto sia dal sostituito. Il termine decorre per il sostituto da quando ha subito la ritenuta e per il sostituito da quando ha versato. La tardività dell'istanza è rilevabile d'ufficio a norma dell'art. 2969 c.c. l'esposizione di un credito di imposta nella denuncia dei redditi costituisce istanza di rimborso ai sensi dell'art. 38 D.P.R. 602/73. Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato la procedura dell'art. 38 D.P.R. 602/1973 deve essere osservata dal contribuente in tutti i casi nei quali voglia far valere il diritto al rimborso di versamenti diretti. Il termine di 48 mesi inizia a decorrere dal momento in cui è stato effettuato il versamento o da quando è stata operata la ritenuta solo se la ritenuta o il versamento sono indebiti ab origine.



In caso di versamento di ritenute la domanda di rimborso può essere presentata sia dal sostituto che ha fatto il versamento sia dal sostituito che ha subito la ritenuta: per il sostituito il termine di 48 mesi decorre da quando è stata fatta la ritenuta. Il sostituito può tutelarsi in due modi: può esporre in sede di dichiarazione le ritenute subite e computarle anche se non dovevano essere effettuate e può inoltre presentare domanda di rimborso in base alla norma in esame. Secondo la giurisprudenza tale soggetto non può rivolgersi contro il sostituto che ha operato una ritenuta ma può agire solo dinanzi al giudice tributario prima chiedendo il rimborso all'amministrazione finanziaria e poi presentando ricorso alle commissioni tributarie. Al processo instaurato per il rimborso delle somme versate dal sostituito devono partecipare necessariamente il sostituto e il sostituito; la giurisprudenza consolidata nel richiedere per tali rimborsi il litisconsorzio necessario. È infatti massima giurisprudenziale consolidata quella secondo cui la controversia fra sostituto e sostituito relativa alla legittimità delle ritenute d'acconto è devoluta alla competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie. Se la controversia non è proposta nei confronti di tutti i contraddittori il giudice deve disporre l'integrazione del contraddittorio. La giurisdizione delle commissioni è stata estesa dalla giurisprudenza persino nella ipotesi in cui la domanda del sostituito venga formulata invocando l'art. 2043 c.c. ossia proponendo una domanda di risarcimento secondo le norme civilistiche.

Per le somme riscosse mediante ruolo la legge non disciplina espressamente la domanda di rimborso. Quando vi è iscrizione a ruolo di una somma non dovuta il contribuente può tutelarsi impugnando il ruolo e chiedendo cumulativamente sia l'annullamento del ruolo sia la condanna dell'amministrazione a rimborsare le somme indebitamente riscosse. Secondo la giurisprudenza quando una somma è stata riscossa mediante ruolo non se ne può ottenerla restituzione se non è stato previamente impugnato il ruolo: la restituzione secondo questa concezione presuppone l'annullamento del ruolo ed è quindi una conseguenza della sentenza che accoglie l'impugnazione del ruolo. Questo orientamento della giurisprudenza è però fortemente criticato da una parte della dottrina che sostiene che il rimborso non è impedito dalla mancata impugnazione del ruolo. Se infatti il ruolo è un atto della riscossione che nulla dispone in ordine alla esistenza della obbligazione tributaria si deve di conseguenza ritenere che la mancata impugnazione del ruolo non preclude la domanda di rimborso delle somme indebitamente riscosse. Se il ruolo non è impugnato non ne deriva che la somma iscritta in ipotesi non dovuta diventi dovuta. Invece è radicata in giurisprudenza l'idea che le somme corrisposte in base ad una iscrizione a ruolo non impugnata siano irreversibilmente incamerate dall'erario. Tale orientamento non è da condividere perché il ruolo non è atto costitutivo dell'obbligazione tributario ma mero strumento di riscossione. Da ciò discende che la mancata impugnazione del ruolo non consolida altro che gli effetti del ruolo e non impedisce il rimborso delle somme indebitamente riscosse. La preclusione non opera in primo luogo per le iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio. La sorte di tali iscrizioni dipende dal titolo in base al quale in presenza di ricorso contro l'avviso sono state formate. In secondo luogo la preclusione non opera quando emergono errori materiali o duplicazioni dovuti dall'ufficio delle imposte perché in tale ipotesi l'ufficio deve provvedere a rimborsare le somme indebitamente iscritte a prescindere da qualsiasi iniziativa di parte. Non si ha quindi alcuna preclusione quando il ruolo dovendo riprodurre un atto precedente illegittimamente se ne discosti perché in tal caso il vizio è imputabile all'ufficio. E quindi opera il principio per cui il rimborso deve essere effettuato di ufficio.

Mentre per le imposte dirette la disciplina del rimborso è unitariamente posta nel decreto sulla riscossione per le imposte indirette le norme sul rimborso sono disseminate nei testi normativi relativi alle singole imposte. Nonostante ciò la disciplina del rimborso è uniforme in quanto deve essere sempre chiesta allo stesso ufficio che gestisce il tributo indebitamente pagato, ed il termine per richiedere da quando il rimborso è quasi sempre un termine decandenziale di tre anni decorrente da quando è avvenuto il pagamento indebito. Un termine decadenziale di tre anni dal pagamento è infatti previsto per l'imposta di registro, per le imposte ipotecarie e catastali. Il termine è invece di due anni per le accise, decorrente da quando è avvenuto il pagamento indebito. Per l'imposta sul valore aggiunto va fatto un discorso a parte distinguendo tra:

Rimborso di imposte indebitamente versate;

Credito di imposta;

Autorimborso derivante da una nota di variazione.

In materia di rimborso dell'indebito è previsto che quando il contribuente ha emesso e registrato una fattura ed ha quindi pagato la relativa imposta può poi in determinati casi emettere una nota di variazione vale a dire un documento che ha un effetto eguale e contrario a quello della prima fattura.

L'avente diritto ha l'onere di avviare il procedimento di rimborso con apposita istanza centro termini e con modalità prefissate nelle singole leggi di imposta. L'art. 21 D. Lgs. 546/92 dispone che la domanda di restituzione non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero se posteriore dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. La domanda di restituzione è quella menzionata nell'art. 19 lett. g) vale a dire la domanda della restituzione dei tributi sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti. Vi sono rimborsi da indebito e rimborsi non da indebito. La lett. g) dell'art. 19 e dell'art. 21 D. Lgs. 546/92 disciplinano la domanda di restituzione di tributi indebitamente pagati la cui matrice è l'art. 2033 c. civile. È solo a tale istanza che si applica il termine biennale decorrente dall'indebito pagamento.



Di regola il rimborso deve essere richiesto dall'interessato; vi sono poi dei casi in cui la legge dispone espressamente che il rimborso deve essere disposto d'ufficio.

Un primo ordine di ipotesi nelle quali il rimborso deve avvenire d'ufficio riguarda i crediti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi. Se in sede di liquidazione o di controllo formale della dichiarazione risulta un credito del contribuente l'amministrazione lo deve rimborsare di sua iniziativa. Devono essere rimborsate d'ufficio dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale le somme riscosse in via provvisoria nel corso di giudizio di primo grado; l'obbligo del rimborso d'ufficio è un effetto della sentenza della commissione provinciale che annulla in tutto o in parte un provvedimento impositivo con la conseguenza che la somma versata in via provvisoria risulta in tutto o in parte non dovuta.

Quando sia presentata istanza di rimborso l'amministrazione ha il dovere di esaminarla e di pronunciarsi. L'atto espresso di rifiuto è impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie nel termine di 60 giorni dalla notifica come ogni atto impugnabile con ricorso alle commissioni tributarie. Se invece l'amministrazione rimane inerte e non si pronuncia sulla istanza di rimborso l'interessato può ugualmente ricorrere alla commissione tributaria provinciale, ma non prima di 90 giorni dalla presentazione della istanza. Si discute in dottrina sul valore giuridico del silenzio dell'amministrazione. Il silenzio pur avendo significato di rifiuto non ha la stessa natura del provvedimento di diniego ne ha gli stesi effetti: nessuna norma istituisce una simile equivalenza ne è plausibile sostenere che un contegno inerte abbia lo stesso valore di un atto esplicito. Vi è dunque diversità di situazioni. In caso di rifiuto espresso il ricorso deve essere proposto entro 60 giorni dalla notifica dell'atto; nel caso di silenzio invece il ricorso alla commissione tributaria non è soggetto al termine decadenziale cui è soggetta l'impugnazione dei provvedimenti. Solo in apparenza il ricorso contro il silenzio è esercizio dei un'azione di impugnazione ; è invece un'azione di accertamento negativo del debito. Pertanto quando viene presentato ricorso a seguito di silenzio dell'amministrazione l'azione che viene proposta è un0'azione che presuppone il silenzio-assenso all'amministrazione ma non ha come oggetto l'annullamento di un provvedimento: si tratta quindi si un'azione diretta a far accertare il credito del contribuente ed ad ottenere una pronuncia di condanna dell'amministrazione finanziaria.

L'espressione credito di imposta è ambivalente perché indica tanto il credito del fisco verso il contribuente quanto l'opposto, ossia il credito del contribuente verso il fisco. Qui l'espressione è usata nel secondo significato anzi come credito di imposta in senso tecnico perché non ci riferiamo in modo generico a qualsiasi credito del contribuente verso il fisco ma solo ad alcuni crediti. L'ordinamento positivo conosce più tipi di crediti di imposta.

a)     Innanzitutto i crediti di imposta accordati per motivi di tecnica tributaria ossia per porre rimedio a fenomeni dio doppia imposizione;

b)     I crediti di imposta accordati per ragioni extrafiscali ossia per ragioni agevolative;

c)     Nell'ambito dei crediti di imposta dobbiamo distinguere quelli rimborsabili da quelli non rimborsabili. I crediti non rimborsabili sono utilizzati dal contribuente solo a compensazione del debito di imposta e se vi è eccedenza il contribuente non ha diritto al rimborso. In genere non sono rimborsabili ma equivalgono a delle detrazioni o crediti di imposta previsti per motivi agevolativi;

d)     I crediti di imposta devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi. Se i crediti di imposta non sono indicati nella dichiarazione dei redditi il contribuente decade dal diritto di farli valere.

I crediti di imposta possono essere ceduti ma la cessione per essere efficace nei confronti del fisco deve essere stipulata con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve essere notificata all'ente pubblico cui spetta ordinare il pagamento. La cessione dei crediti iva e di quelli risultanti dalla dichiarazione dei redditi sono regolate in modo specifico e dettagliato.

Il contribuente creditore può chiedere all'agenzia delle entrate l'attestazione dei crediti tributari che gli spettano. L'attestazione di esistenza del credito di imposta non può essere utilizzata dal contribuente per agire dei confronti dell'amministrazione finanziaria.


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Appunti su: procedura di rimborso di crediti per versamenti diretti indebiti, richiesta rimborso se la somma detraibile supera il debito di imposta, decadenza rimborso ritenute versate erroneamente,











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