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Rilevanza dell'individuazione delle fonti




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Rilevanza dell'individuazione delle fonti


È stato ricordato che nell'insieme degli atti e dei fatti giuridici, quelli normativi detengono una posizione di primizia, nel senso che qualunque fatto incompatibile con le norme da essi prodotte va considerato antigiuridico; questo con particolare riguardo ai regolamenti, che nel rapporto con i provvedimenti sono contraddistinti normalmente dalla loro inderogabilità, cioè dalla loro prevalenza nei confronti degli atti sostanzialmente amministrativi.


Così quei provvedimenti amministrativi che assumono il nome di ordinanze vengono spesso dotati della capacità di contraddire le leggi stesse, salvi soltanto i principi generali dell'ordinamento. Del pari, in diritto civile sono ben note le norme dispositive o suppletive, che rispettivamente cedono di fronte a patti contrari, derivanti da un legittimo esercizio dell'autonomia privata, ovvero si limitano a colmare le eventuali lacune dei patti medesimi.


In secondo luogo è stato giustamente osservato che l'interpretazione delle norme giuridiche obbedisce a regole particolari, in vario senso diverse da quelle che volta per volta si applicano nell'interpretare l'una o l'altra specie di atti non normativi. Peculiare delle norme giuridiche è l'essere costitutive dell'ordinamento stesso: con la conseguenza necessaria che ognuna di esse concorre a formare un sistema normativo dal quale discende la sua giuridicità. Di qui la decisiva importanza dell'interpretazione sistematica; sicché l'interpretazione letterale e quella imperniata sulla "intenzione del legislatore" non hanno in tal campo una piena preminenza, ma devono fare i conti con il senso che ogni norma acquisisce nei suoi collegamenti con il circostante diritto oggettivo.


In linea di massima le norme giuridiche da applicare al caso s'impongono ai giudici in qualsiasi tipo di giudizio, siano o non siano state dedotte dalle parti. Il principio jura novit curia, in base al quale il giudice stesso è tenuto anzitutto ad individuare d'ufficio la norma o le norme applicabili, in virtù di un'assoluta presunzione di conoscenza.


Ancora, le norme giuridiche e le relative fonti rilevano ai fini del compito precipuo e caratterizzante della Corte di Cassazione, che consiste nell'assicurare "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge". In altri termini spetta a tale corte accertare eventuali errori di diritto.


I problemi di sistemazione delle fonti nella prospettiva storica: dagli stati di polizia ai "governi rappresentativi" (pagina 133).


Le leggi e gli atti equiparati, i regolamenti e le consuetudini, nel loro continuo succedersi ed interferire, determinano infatti una serie incessante di antinomie, cioè di contrasti del più vario genere. Per superare le antinomie occorre perciò costruire un sistema delle fonti normative, individuando i criteri da osservare nel dare la prevalenza a questa o a quella norma astrattamente applicabile al caso.


Si può dire anzitutto che ogni sistema normativo conosce almeno due tipi di fonti: le consuetudini, cioè le fonti-fatto per eccellenza, e le leggi, intese come sinonimo di atti normativi. I rapporti fra queste due specie essenziali di fonti hanno determinato e possono determinare "tre situazioni tipiche": primo, che le consuetudini prevalgano sulle leggi; secondo, che la prevalenza spetti invece alle fonti di diritto scritto; terzo che i due tipi di fonti siano parificati per ciò che riguarda la loro forza o la loro efficacia, essendo dunque in grado di contraddirsi e di abrogarsi a vicenda. Quest'ultima situazione è tuttora peculiare dell'ordinamento canonico, in cui la consuetudine, purché rationabilis e fatta valere per un adeguato periodo di tempo, può bene abrogare le leggi; mentre le leggi successive nel tempo, a loro volta, abrogano le consuetudini con esse incompatibili.


A partire dalla fase degli Stati di polizia, il diritto scritto comincia però ad affermarsi in maniera sistematica, riducendo corrispondentemente lo spazio spettante alle consuetudini. Ma non ne deriva senz'altro un vero e proprio sistema delle fonti normative,sia perché i rapporti fra gli atti ed i fatti normativi non sono ben definiti, sia perché gli atti stessi non sono ben differenziati fra di loro, dal momento che nelle monarchie assolute tanto la potestas legislativa quanto quelle esecutiva e iudiciaria fanno pur sempre capo al Re, indipendentemente da una effettiva separazione dei poteri. È invece nell'ambito degli stati di diritto che si realizza una netta distinzione fra leggi formali e le fonti-atto dell'esecutivo, a partire dai regolamenti. Il trasferimento della sovranità dal Re alla Nazione, rappresentata dal corpo legislativo, determina necessariamente la preminenza delle leggi formali, approvate dalle assemblee legislative.


La primizia del potere legislativo, quanto alla creazione del diritto, riceve in tal modo costanti e solenni riconoscimenti, in tutti gli ordinamenti retti da "governi rappresentativi". E nell'esperienza statuaria il carattere subordinato della potestà regolamentare, sia governativa sia ministeriale sia spettante ad altre autorità, costituisce pur sempre un punto fermo.


La gerarchia delle fonti; l'abrogazione come strumento essenziale per la risoluzione delle antinomie (pagina 137).


I sostenitori della cosiddetta struttura gerarchica degli ordinamenti statali teorizzano appunto la necessaria esistenza di fonti sopraordinate alle altre. Le fonti di rango superiore, collocate sul gradino più alto della scala gerarchica, sono cioè condizionanti nei riguardi delle fonti inferiori, per le quali determinano sia l'autorità competente ad emanarle, sia le procedure da seguire; laddove le fonti di rango inferiore, per contro, ne risultano condizionate, in quanto tenute a rispettarne le prescrizioni, di carattere procedurale e sostanziale. Al vertice del sistema dovrebbe porsi sempre la costituzione, concepita come fonte primaria delle norme sulla normazione. Ma un simile assunto non trova riscontro negli ordinamenti statali in cui vigano costituzioni di tipo flessibile; e tale era il caso dello statuto albertino, al pari della maggioranza delle costituzioni del secolo scorso.


Fonti primarie dell'ordinamento statuario erano dunque le leggi, senza alcuna distinzione interna alla categoria; mentre i regolamenti si ponevano come fonti secondarie, quand'anche le norme da questi dettate stabilissero una disciplina di carattere indipendente, non condizionata da una specifica legislazione formale. La chiave per esprimere e sintetizzare questa supremazia consisteva nella cosiddetta forza di legge. Per forza di legge si intende cioè la tipica "capacità di innovare nell'ordine legislativo" che spetta alle norme dettate dalle leggi formali. Nei sistemi di tipo statutario si diceva che la legge formale fosse dotata di un'incondizionata forza attiva. D'altro lato, la legge medesima era contraddistinta da una forza passiva peculiare, consistente nella sua capacità di resistere all'abrogazione da parte delle fonti subordinate. Strumento fondamentale di eliminazione delle antinomie è appunto l'abrogazione. Quanto ai regolamenti che contrastino con le leggi precedenti, spetta ai giudici amministrativi disporre l'annullamento, al pari che per ogni altro atto illegittimo delle pubbliche amministrazioni. Quanto alle consuetudini contra legem, occorre invece effettuarne la disapplicazione. Senonché lo strumento abrogativo rimane quello utilizzabile con maggiore frequenza. Tre sono i fattori dell'effetto abrogativo, così previsti dalle preleggi. All'abrogazione espressa, prodotta da uno specifico disposto, vanno cioè contrapposte due specie di abrogazione tacita. Ma il linguaggio in questione non è condiviso da tutti, giacché l'abrogazione tacita viene talvolta riferita alle sole ipotesi d'incompatibilità fra le norme legislative sopravvenute e quelle antecedenti; mentre nelle varie ipotesi di ridisciplina dell'intera materia, vi è chi ragiona di un'abrogazione implicita.


Nel primo caso l'abrogazione costituisce il frutto di una clausola abrogativa, che identifica le norme abrogate facendo puntuale riferimento alle corrispettive disposizioni. Per contro, nel secondo e nel terzo caso, il verificarsi dell'abrogazione e l'estensione di essa formano l'oggetto di questioni interpretative, che vanno risolte da parte dei giudici competenti in materia. Inversamente in tutte le ipotesi in cui tali opzioni competano agli interpreti si deve ragionare di abrogazione tacita (od implicita). A prima vista potrebbe sembrare che l'abrogazione debba essere distintamente definita come un atto o come un fatto giuridico. Ma in ogni caso ciò che ne risulta è un comune effetto abrogativo: "l'abrogazione non tanto estingue le norme, quanto piuttosto ne delimita la sfera materiale di efficacia". Quanto al fondamento dell'abrogazione esso non andava e non va ricercato nella maggior forza degli atti sopravvenienti gli uni agli altri; sicché, per spiegare gli effetti abrogativi che continuamente si danno in tal senso, non si deve ricorrere al criterio gerarchico, bensì al cosiddetto criterio cronologico. L'abrogazione delle leggi precedenti è imposta appunto dall'inesauribilità della legislazione, vale a dire dall'ovvia ed incontestata esigenza che lo spazio spettante alle scelte legislative non si riduca progressivamente a causa delle scelte già effettuate. In realtà le leggi formali non possono autoattribuirsi un'efficacia diversa da quanto è peculiare del tipo al quale appartengono.


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