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Reati contro il patrimonio




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REATI CONTRO IL PATRIMONIO

REATI CONTRO IL PATRIMONIO

I delitti contro il patrimonio sono riuniti nell'ultimo titolo del libro secondo del codice. Il codice del 1889 denominava questa classe di reati "delitti contro la proprietà", ma lo stesso ministro proponente si era reso conto dell'inadeguatezza dell'intitolazione, dichiarando che l'espressione "proprietà" doveva essere intesa in senso ampio, sì da comprendere non solo il diritto di proprietà, ma anche il possesso ed ogni diritto reale e di obbligazione. Non si deve credere che le figure criminose contenute nel predetto titolo del codice esauriscano i delitti contro il patrimonio. L'esistenza di reati patrimoniali fuori del tredicesimo titolo del libro secondo del codice, non solo è incontestabile, ma trova un riconoscimento esplicito nella legge, la quale, nel prevedere l'aggravante comune del danno patrimoniale di rilevante gravità e la correlativa attenuante del danno di speciale tenuità. D'altra parte, sarebbe erroneo ritenere che nei reati contemplati nel titolo in esame siano offesi soltanto interessi patrimoniali. Ve ne sono parecchi, come la rapina (art. 628), l'estorsione (art. 629), il ricatto (art. 630) e la turbativa violenta del possesso di cose immobili (art.634), i quali ledono altresì la sicurezza e la libertà della persona. Nello studio dei reati patrimoniali si è delineato nella dottrina un contrasto tra due pensiero. Una di esse, la c.d. corrente privatistica, sostiene che il significato da attribuirsi ai termini che traggono origine dal diritto privato va desunto esclusivamente da questo, non potendo il diritto penale modificare l'essenza di istituti che sono propri di altri rami del diritto e dovevano limitarsi ad aggiungere la sua speciale tutela e quella ordinaria del diritto privato. La seconda corrente, che viene denominata "autonomista", afferma, invece, che il diritto penale, quando si riferisce ad istituti trovano la loro fondamentale regolamentazione nel diritto privato, li riplasma in modo indipendente, sicché essi vengono ad assumere un significato o, per lo meno, una colorazione autonoma. A nostro avviso, il quesito va risolto caso per caso, e cioè per ogni singolo concetto, trattandosi di un problema di interpretazione. Punto di partenza debbono essere le nozioni elaborate e accolte dal diritto privato, al quale appartengono i relativi istituti. È necessario, però, che tali nozioni vengano saggiate al lume delle varie norme del diritto penale per verificare le conseguenza che derivano dall'applicazione di esse.

Nozione di patrimonio. È patrimonio il complesso delle attività e delle passività che si riferiscono ad una persona. Dal punto di vista strettamente giuridico il patrimonio viene generalmente definito come il complesso dei rapporti giuridicamente rilevanti che fanno capo ad una persona. I cultori del diritto privato spiegano che, più che insieme di oggetti o cose, si tratta di insieme di rapporti, e cioè di diritti e di obblighi, ma pongono in rilievo che tali rapporti debbono riferirsi a cose o altre entità aventi un valore economico e, quindi, debbono essere valutabili in denaro. Il criterio del valore economico e pecuniario non può essere accolto dai penalisti nel senso ristretto in cui lo intende la maggior parte della dottrina privatistica. Se un oggetto, pur essendo privo di un valore di scambio, ha per colui che lo possiede un valore di affezione, come ad es. una ciocca di capelli, l'oggetto stesso non può considerarsi esterno al patrimonio. Premessa questa precisazione, osserviamo che fanno parte del patrimonio non solo tutti i diritti reali ma anche i diritti di obbligazione. Anche i valori posseduti in contrasto con il diritto fanno parte del patrimonio dato che, entro certi limiti, il possesso di essi, come quasi concordemente si ammette, è tutelato dall'ordinamento giuridico. Per l'incontro, si ritiene generalmente che non faccia parte del patrimonio la capacità produttiva, e cioè la forza lavoro, perché troppo intimamente connessa con la persona umana. Da quanto abbiamo detto risulta che la dibattuta questione della natura giuridica o economica del patrimonio, considerato come oggetto della tutela penale, va risolta nel primo senso. È noto che l'ordinamento giuridico in taluni casi e per certi scopi considera il patrimonio come una unità organica e lo tratta come un sol tutto, indipendentemente dai diritti che lo compongono (defunto, il fallito). La dottrina italiana è concorde nel ritenere che nel campo penale il patrimonio non è mai tutelato come un'entità autonoma. Si dice generalmente che ai fini della tutela penale il patrimonio, di fronte all'attività del reo che lo aggredisce, si discioglie, risolvendosi nei singoli rapporti dai quali risulta, ed in sostanza nelle singole cose e diritti che lo compongono. Malgrado l'unanimità di consensi, questa opinione non può essere accolta, essendo inesatta la premessa da cui parte, e cioè l'affermazione che la legge penale non offra alcuna figura delittuosa che sia preordinata alla tutela dell'intero patrimonio.

La distinzione delle cose. Per il diritto sono cose tutti gli oggetti che possono corporali e quelle altre entità naturali che hanno un valore economico e sono suscettibili di appropriazione. Nella nozione di cosa rientrano anche le energie, le quali per lungo tempo ne sono state escluse, in quanto si ravvisava il segno caratteristico della cosa nella corporeità. Gli animali sono cose. Le cose si distinguono in mobili e immobili. La distinzione, di grande importanza per il diritto penale, trova la sua fonte nel codice civile, all'art. 812, il quale dispone: "Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati all'alveo o alla riva e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni".

L'altruità della cosa. In tutte le disposizioni che delineano delitti aventi per oggetto materiale non l'intero patrimonio, ma una cosa determinata, figura l'aggettivo altrui; il che significa che la cosa rubata, usurpata, danneggiata deve appartenere a persona diversa dall'autore dell'azione criminosa. Sul concetto di altruità non esiste una teoria generale e in dottrina viene affrontato e risolto nella trattazione del delitto di furto. Su di un punto non vi sono dubbi: non è altrui la res nullius e cioè la cosa che non è di proprietà di alcuno. Le cose che erano già di proprietà di alcuno divengono nullius quando siano abbandonate. Il problema principale in ordine all'altruità della cosa e se sia altrui la cosa che è di proprietà di altri oppure la cosa su cui altri vantano un diritto di godimento o di garanzia. Bisogna ritenere che l'espressione cosa altrui vada intesa in senso stretto, e cioè nel senso di cosa di proprietà di altri, e che, in conseguenza, il proprietario non può essere soggetto attivo di reati che esigono l'altruità della cosa.

Il danno. Nel quadro dei delitti contro il patrimonio presentano un interesse di primo piano le nozioni di danno e di profitto. Il danno non è solo requisito esplicito di alcune figure criminose, ma deve considerarsi requisito implicito di tutti i delitti patrimoniali. Il danno richiesto dai delitti in esame è di natura patrimoniale. È danno la deminutio patrimonii, vale a dire la diminuzione del complesso dei valori che compongono il patrimonio. Detto danno può consistere così nella riduzione dei crediti come nell'incremento dei debiti. In ogni caso si tratta di una alterazione sfavorevole del rapporto tra gli elementi attivi e gli elementi passivi del patrimonio. Il patrimonio comprende anche i beni che hanno un puro valore di affezione (ricordi di famiglia).

Il profitto. Nella maggior parte delle relative norme incriminatrici si esige che l'azione sia compiuto a scopo di profitto. Orbene, il diritto italiano è da tempo orientato nel senso della più estesa concezione del profitto. Non è profitto soltanto il vantaggio economico e, più in generale, l'incremento del patrimonio, ma qualunque soddisfazione o piacere che l'agente si riprometta dalla sua azione criminosa. Qualche dubbio è stato sollevato in ordine al profitto che deriva immediatamente dalla cosa sottratta, ma ne è conseguenza indiretta. In quasi tutte le norme incriminatrici nelle quali si parla di profitto, figura l'aggettivo ingiusto, il che significa che in tali casi per l'esistenza del reato è necessario che il profitto avuto di mira o realizzato dall'agente abbia il carattere della ingiustizia. Non può considerarsi ingiusto, fra l'altro, il profitto di colui che mira di a realizzare un suo credito di giuoco o di scommessa (1993 c.c.), un suo credito prescritto (2940 c.c.) e in genere il profitto che corrisponde all'esecuzione di doveri morali o sociali (art. 2034 c.c.), come ad es. l'aiuto pecuniario preteso dalla donna sedotta o dal figlio naturale. Quanto al profitto non patrimoniale, a nostro parere, esso dovrà considerarsi ingiusto tutte le volte che sia in contrasto con l'ordinamento giuridico. Così va ritenuto ingiusto il profitto che si propone colui che ruba una rivoltella per togliersi la vita, dato che, come più volte abbiamo avuto occasione di notare, il suicidio, pur non essendo punito, costituisce un illecito giuridico. Il codice, quando parla di profitto, aggiunge sempre la formula per sé o per altri. Ne deriva che la responsabilità penale sussiste anche se la lesione del patrimonio è stata effettuata dal soggetto per avvantaggiare una terza persona.

Il possesso nel diritto penale. Per la chiarezza dell'esposizione è necessario avere davanti agli occhi le disposizioni che nel codice civile regolano il possesso ed ha attinenza col problema che noi dobbiamo affrontare e risolvere. L'art. 1140 del detto codice dispone: "Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa". L'art. 1168, infine, nei primi due commi reca: "Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno del sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo. L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di ospitalità". In relazione alla nozione di possesso si sono fronteggiate due correnti di pensiero: corrente privatistica e corrente autonomista. I seguaci del primo indirizzo affermano che il possesso ai fini del diritto penale coincide del tutto col possesso che è delineato e regolato dal codice civile; i fautori del secondo, sostengono che nel campo del diritto penale il concetto di possesso ha un significato e una portata particolare. Il Nuvolone, orientato nel senso dell'autonomia, ha negato la configurabilità di una fattispecie possessoria unitaria, penalmente rilevante: ha cioè contestato che il termine possesso nelle non poche disposizioni del codice che ad esso si riferiscono abbia sempre lo stesso significato e con minuta analisi ha cercato di precisare tale significato caso per caso. Ma il punto più caratteristico della concezione del Nuvolone consiste nella tesi secondo la quale al centro del fenomeno possessorio sarebbe il concetto di apparentia iuris. In tanto in un rapporto materiale con una cosa è possesso in senso giuridico, in quanto sia accompagnato dall'apparenza di diritto, la quale si determina alla stregua di un duplice ordine di fattori, positivi o negativi. Questa concezione non ha trovato seguito tra i cultori del diritto privato ed anche a noi non sembra convincente, perché il concetto dell'apparentia iuris manca i quella precisione che sarebbe necessaria per gettare luce sulla delicata materia. A nostro modo di vedere il possesso, nell'ambito del diritto penale, consiste nella relazione tra la persona e la cosa, che consente alla prima di disporre della cosa in modo autonomo, e che la disponibilità è autonoma quando si svolge all'infuori della diretta vigilanza di una persona che abbia sulla cosa un potere giuridico maggiore. Semplice detentore, d'altra parte, è colui che esplica il potere di fatto sulla cosa nella sfera di vigilanza del possessore. Determinata nel modo indicato l'estensione che il concetto del possesso assume nel diritto penale, osserviamo che per tutto il resto valgono nel nostro ramo giuridico le regole che disciplinano la materia del diritto civile, e particolarmente le regole che riflettono il momento normativo del fenomeno possessorio. In conseguenza:

Il possesso sulla cosa permane malgrado che il potere di fatto momentaneamente non si esplichi in modo effettivo;

In caso di morte il possesso continua nell'erede, senza bisogno che costui apprenda materialmente la cosa, giusta le disposizioni contenute negli articoli 1146 e 460 del codice civile. Questo principio spiega come possa ravvisarsi il delitto di furto nei casi, purtroppo frequenti, di sciacallismo, e cioè quando vengono sottratti dei valori ai cadaveri;

Per quanto il possesso esiga la conoscenza di ciò che forma oggetto della signoria di fatto, non è tuttavia necessario che tale conoscenza riguardi particolarmente ogni singola cosa.

LA CLASSIFICAZIONE DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

Il codice attuale divide i delitti contro il patrimonio in due classi, secondo che siano commessi mediante violenza alle cose o alle persone, oppure mediante frode. Nella prima classe sono comprese le varie figure di furto, la rapina, l'estorsione, il ricatto, l'usurpazione e le altre violazioni dei diritti sui beni immobili nonché i delitti di danneggiamento; nella seconda la truffa con le frodi similari, le appropriazioni indebite, l'usura e la ricettazione. La classificazione dei delitti in parola incontra un ostacolo, probabilmente insuperabile, nel fatto che, mentre essi hanno il medesimo oggetto giuridico, in quanto tutti offendono il patrimonio, le diversità che intercorrono tra l'uno e l'altro dipendono da un notevole numero di elementi di varia indole, come le modalità dell'azione criminosa, la natura e la specie dell'oggetto materiale, l'intenzione dell'agente, elementi che, per giunta, spesso si intrecciano tra loro.


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Appunti su: NellE28099ambito penale C3A8 possesso la relazione tra la persona e la cosa che consente alla person, NellE28099ambito penale C3A8 possesso la relazione tra la persona e la cosa che consente alla person,



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