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"L'interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento" e l'implicito soggettivismo del giudice




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"L'interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento" e l'implicito soggettivismo del giudice


L'autorizzazione alle riprese audiovisive dei dibattimenti può essere data, a norma del secondo comma dell'art. 147 disp. att. c.p.p., anche senza il consenso delle parti quando sussiste un "interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento". In tal caso il diritto alla riservatezza delle parti, cui si subordina l'autorizzazione a norma del primo comma, cede di fronte al diritto di informazione dell'opinione pubblica.

Tale criterio é vago e si presta a giustificare soluzioni diametralmente opposte; quando cioè esiste intorno ad un determinato dibattimento un interesse pubblico tale da legittimarne la trasmissione televisiva? Non può valere, quale unico criterio il parametro della gravità del reato oggetto della imputazione. Se il ricorso al dato normativo della gravità del reato può servire, infatti, ad evitare un altrimenti ineliminabile soggettivismo del giudice, nello stesso tempo stimola una curiosità che con l'interesse pubblico, che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto legittimare l'accesso delle telecamere in dibattimento, ha ben poco a che vedere.  Anzi proprio a causa del rilievo dato dai mezzi di comunicazione ad un determinato fatto, questo può apparire caricato di un interesse sociale. Pertanto l'interesse attorno ad un processo penale può nascere, per effetto della decisione di ammettere l'impiego dei mezzi audiovisivi anziché fungerne da presupposto

Non solo, ma l'interesse della pubblica opinione per un determinato processo è spesso indotto da una stretta interconnessione tra i diversi mezzi di comunicazione. Con riferimento per esempio alla nota indagine "mani pulite", la cronaca apparsa  sulla carta stampata convogliava, a favore delle relative inchieste penali, un ampio consenso popolare, ben prima che venissero trasmesse le immagini televisive dei processi, celebratisi anni dopo l'inizio dell'indagine stessa. Trasmissione televisiva che, a sua volta, soddisfaceva l'ansia collettiva di "vedere dal vivo" i personaggi entrati, ormai nell'immaginario collettivo.

Il criterio dell'interesse sociale alla conoscenza del dibattimento si presenta pertanto "carico di un insopprimibile soggettivismo", e risulta inidoneo a distinguere l'esistenza di un interesse sociale connesso all'oggetto dell'imputazione o al ruolo svolto dall'imputato nella società, idoneo come tale a legittimare l'accesso delle telecamere in dibattimento, da quello derivante da fattori estranei quali, ad esempio, la pregressa notorietà dell'imputato. Anche, dunque, per l'ampia discrezionalità di cui è investito, il giudice é tenuto a fornire adeguata motivazione delle ragioni per le quali ritiene l'interesse sociale, sia, di spessore tale da giustificare la presenza delle telecamere in dibattimento, superando così la contraria volontà delle parti, sia, idoneo a giustificare la "conoscenza del dibattimento" da parte della  collettività.

Il pericolo di una eccessiva spettacolarizzazione della vicenda processuale diverrebbe concreto qualora la presenza delle telecamere in aula venisse subordinata alla sola sussistenza di un interesse collettivo alla conoscenza della vicenda processuale, indotto per esempio dalla sola notorietà dell'imputato, o dalla gravità dell'imputazione. Se si identificasse l'interesse sociale con l'interesse pubblico alla conoscenza, posto che il processo penale è, per definizione, un fatto di interesse pubblico, l'impiego dei mezzi audiovisivi dovrebbe sempre essere consentito . Si pensi ai dibattimenti trasmessi dal programma "Un giorno in pretura", relativi a piccoli furti e a reati simili.

Si possono avanzare dei dubbi sul fatto che vicende processuali del genere, in confronto al bene personale della riservatezza, rivestano quell'interesse fondamentale per la collettività richiesto dalla legge, mentre tale interesse sussiste senza dubbio nel momento in cui vengono mandati in onda processi contro esponenti della criminalità organizzata, politici accusati di corruzione, e simili questioni di grande rilevanza per il paese . In questi casi, infatti, anche il cittadino, in ultima analisi, rappresenta la parte offesa del processo, e ha tutto l'interesse ad essere messo in condizioni di assistervi

Fermo restando che quando é ammesso l'accesso delle telecamere in dibattimento, o perché le parti non vi si sono opposte, o perché é stato ravvisato dal giudice un interesse sociale alla conoscenza, entra in gioco la correttezza professionale del giornalista tanto più doverosa in questo caso per la capacità di persuasione e di incidenza sulla formazione dell'opinione pubblica del mezzo utilizzato. "Giustizia televisiva", "processo gogna" sono definizioni che da più parti sono state utilizzate per connotare in modo negativo la trasmissione televisiva dei dibattimenti, soprattutto quando era all'attenzione del pubblico il processo Cusani, certamente uno dei più eclatanti della storia repubblicana, anche per aver coinvolto, nel ruolo di imputati di reati connessi, noti esponenti del mondo politico.

E' vero a tale proposito che talvolta le critiche nascondono, dietro le argomentazioni teoriche, prese di posizione a favore o contro le persone e gli interessi coinvolti da un determinato processo, ma é altrettanto legittima una certa diffidenza verso un determinato modo di utilizzare il mezzo televisivo, irrispettoso della personalità morale dell'imputato e delle più elementari garanzie che il sistema gli assicura, come il principio di presunzione di innocenza

Il linguaggio visivo si presta particolarmente, attraverso l'utilizzo di espedienti come le prolungate riprese in primo piano su determinati particolari della persona, a trasmettere, senza che ciò sia di immediata evidenza allo spettatore, il messaggio voluto dal regista. Sono note a tutti le riprese della deposizione, nell'ambito del processo Cusani, dell'on. Forlani, durante la quale le telecamere indugiavano insistentemente sul gesticolare frenetico delle mani e su alcuni particolari del viso durante l'affermazione della propria estraneità ai fatti addebitatigli, con l'evidente intento di sottolinearne la non veridicità





Cfr. Voena G P. Mezzi audiovisivi e pubblicità delle udienze penali, Milano Giuffrè 1984.

Vd. Bianchi G., Il dibattimento penale e le riprese audiovisive: un connubio possibile? in Dir. Inf. 1997.

Vd. Voena G.P., Mezzi audiovisivi e pubblicità delle udienze penali. 1984 cit. p.304.

Vd. Tribunale di Brescia 23 settembre 1996, in Dir. Inf. 1997 che ha riconosciuto un particolare interesse sociale intorno alla vicenda processuale oggetto di delibazione in quanto relativa alla "ipotizzata costrizione alle dimissioni di un noto magistrato, impegnato in processi per delitti gravissimi contro la Pubblica Amministrazione, condotta attribuita anche a persone che all'epoca dei fatti rivestivano cariche istituzionali.

Ridolfi C., Persona e mass-media,CEDAM 1995.

Vd. Ciruzzi D., Il condizionamento dei media nel processo penale, in Questione giustizia 1994 cit. p. 219.

Vd. Bianchi G., op. ult. cit. p. 305.

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