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La riforma penitenziaria del 1975




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La riforma penitenziaria del 1975.


I diritti fondamentali dei detenuti hanno finalmente un riconoscimento e trovano tutela, grazie alla prima legge di diritto penitenziario: l. 26 luglio 1975, n. 354[1].

La riforma del 1975 risponde, in realtà, ad un obbligo d'adeguamento costituzionale e contiene, accanto all'espressione di un più vasto movimento in difesa dei diritti civili, anche un'attenzione particolare alla finalità rieducativa cui la pena deve tendere (art. 1 comma 6 ord. penit.), in vista di un reinserimento futuro del condannato nella realtà sociale, dopo l'espiazione della pena. Si prevede la possibilità, per chi si allontana dalle normali regole del vivere civile, di ritornare a far parte di quella società dalla quale si è allontanato delinquendo: ciò avviene, naturalmente, senza trascurare quell'esigenza di sicurezza che la norma penale deve concorrere a tutelare. Il carcere smette di essere un istituto terminale, in cui il detenuto sosta in attesa della fine della pena; diventa, invece, luogo in cui poter sfruttare la possibilità di recupero che l'ordinamento giuridico, offre a chi è ristretto .

Nello specifico, la l. 354/75, si compone di 91 articoli suddivisi in due titoli, relativi, rispettivamente, al trattamento (artt. 1-58) e all'organizzazione penitenziaria (artt. 59-91). Il Titolo I è, a sua volta, diviso in sei Capi, di cui, i primi tre hanno ad oggetto, rispettivamente, i Principi direttivi, le Condizioni generali e le Modalità specifiche del trattamento; il IV, il Regime penitenziario (ed in esso è contenuta la tradizionale materia delle punizioni e delle ricompense); il V, l'Assistenza (alle famiglie e post-penitenziaria); il VI, infine, le Misure alternative alla detenzione, considerate, a tutti gli effetti, come facenti parte del trattamento penitenziario e la Remissione del debito[5].

Prendendo in considerazione l'impostazione adottata dallo stesso legislatore per delineare la topografia del testo normativo, si possono individuare i seguenti capisaldi della riforma:

per la prima volta si parla di diritti dei detenuti e degli internati (art. 4 ord penit);

il detenuto è sottoposto ad un trattamento individualizzato e finalizzato al reinserimento sociale (artt. 1 e 13 ord. penit.);

il sistema penitenziario si apre, per la prima volta, concretamente, alla comunità esterna (art. 17 ord penit);

si introducono le misure alternative alla detenzione sulla scia dell'esperienza anglosassone del "probation" (Capo VI);

la fase esecutiva della pena viene dotata di un apposito apparato giurisdizionale per le questioni che attengono al trattamento penitenziario e ai diritti dei detenuti (Capo II del Titolo II).

Occorre, pertanto, effettuare qualche precisazione.

L'art. 4 ord. penit. afferma l'esercitabilità personale dei diritti derivanti dalla legge. Nulla di nuovo nel panorama giuridico, se non si considera che tale riconoscimento è fatto a favore dei detenuti e degli internati in stato d'interdizione legale: per la prima volta, quindi, chi è privato della libertà personale, ha la possibilità concreta di tutelare i propri diritti[6]. La disposizione in questione presuppone, innanzi tutto, un riconoscimento implicito dei diritti derivanti dall'ordinamento penitenziario ed, inoltre, offre ai detenuti e agli internati, un valido strumento per godere agevolmente di tali diritti .

Ulteriore novità in materia è rappresentata dall'art. 35 ord. penit., che configura un "diritto di reclamo"in capo ad internati e detenuti: essi, possono accedere, in maniera regolare, alle autorità interne ed esterne al sistema penitenziario, rendendole edotte d'ogni doglianza e richiedendone un sollecito intervento.

Per quel che concerne, invece, l'individualizzazione della pena, l'art. 13 comma 1 ord. penit. prevede la necessità di un trattamento rispondente ai bisogni della personalità ed agli aspetti intellettivi, affettivi e volitivi di ciascun recluso. Con i commi 1° e 6° dell'art. 1 ord. penit., il concetto di trattamento, si arricchisce e si connota dei criteri della conformità ad umanità e del rispetto della dignità umana, quali parametri di comportamento per il personale tutto che opera all'interno degli istituti di pena, nonché della finalità relativa al reinserimento sociale dei soggetti sottoposti a trattamento rieducativo. Il trattamento individualizzato - formulato attraverso l'osservazione scientifica della personalità e la compilazione del relativo programma [8] - diventa, così, lo strumento attraverso il quale ricondurre, nuovamente, il soggetto che ha violato la legge, nel contesto sociale dal quale si è distaccato. Inoltre, l'individualizzazione della pena, oltre a garantire la funzione risocializzante della stessa, consente, grazie ad una valutazione dinamica del recupero sociale del detenuto, anche l'applicazione di misure alternative alla detenzione.

Il trattamento penitenziario, infatti, prevede, a livello di incentivi, una serie di riconoscimenti di stampo premiale, i quali, attenuando il giogo della detenzione, avvicinano il condannato al mondo del lavoro ed a quello familiare[9]. In sostanza se, come detto, gli obiettivi della pena detentiva sono la risocializzazione del detenuto ed il suo reinserimento nel contesto sociale, non si può escludere un'apertura del sistema alla comunità esterna. Partendo dal presupposto che il delinquente sia espressione di un disagio che investe la società nel suo complesso, relegare chi commette fatti illeciti in un <<lazzaretto>> (come succedeva con gli appestati), non aiuta a risolvere o ad evitare il problema. Pertanto, l'art. 17 ord. penit., prevede la partecipazione di privati, istituzioni, associazioni e di tutti coloro che possano promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera. In tal modo, coinvolgendo nel complesso processo di risocializzazione anche la comunità esterna, si auspica che alcuni strumenti trattamentali come, ad esempio, le misure alternative, abbiano una maggiore possibilità di produrre gli effetti desiderati .

Infine, la riforma del 1975 introduce il controllo giurisdizionale all'interno del sistema penitenziario , sul rispetto dei diritti dei detenuti e sulle forme d'ingerenza nel trattamento degli stessi. In realtà, il processo di giurisdizionalizzazione ha avuto inizio già con i codici penali nonché con il regolamento penitenziario del 1931; ma, nel nuovo ordinamento, la funzione, la struttura e l'organizzazione dello stesso, sono completamente risistemati con la creazione di due livelli di giurisdizione, di cui il primo è affidato al magistrato di sorveglianza ed il secondo al Tribunale di sorveglianza. In guisa di diretti corollari della giurisdizionalizzazione della fase esecutiva, si rilevano la non immutabilità della condanna penale nel corso dell'esecuzione e l'affiancarsi del potere giurisdizionale - con apposite e specializzate figure - all'amministrazione penitenziaria, unica protagonista, fino all'emanazione della l. 354, della fase esecutiva della pena .




<<Quando il 26 luglio del 1975 è stata emanata la l. n.° 354 contenente le Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, gli studiosi e gli operatori del settore, salutarono l'accadimento come la conclusione di una lunga e tormentata fase di revisione del sistema penitenziario in una prospettiva d'adeguamento normativo agli indirizzi culturali e operativi che i tempi richiedevano>>. DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 1.

Nasce, in seguito alla riforma del '75, il diritto penitenziario come complesso di norme giuridiche che regolano la vita all'interno degli istituti penitenziari, garantendo un'esecuzione della pena detentiva che si evolve, almeno nelle intenzioni, di pari passo con l'evolversi della personalità del soggetto. In tal senso PATETE, Manuale di diritto penitenziario, Roma, 2001, pag. 27.

<<Dando attuazione al dettato costituzionale, il legislatore mutava radicalmente. l'idea guida alla base del trattamento del detenuto: il carcere non più inteso come luogo di segregazione e di allontanamento dalla società, bensì come momento di sollecito apprestamento di tutte le strutture, materiali e psicologiche necessarie alla rieducazione ed al reinserimento del deviante>>. AA.VV., La riforma penitenziaria, Napoli, 1987, pag. 4.

<<La riforma penitenziaria, ha avuto il merito di superare la cupa asprezza repressiva del Regolamento Rocco del 1931>>. PADOVANI, Premessa: la riforma penitenziaria del 1975, in AA.VV., L'ordinamento penitenziario tra riforma ed emergenza, Padova, 1995, pag. 153.  

In tal senso MODONA, Ordinamento penitenziario, in Dig. Disc. Pen., Vol. IX, pag. 41 e ss.

Una moderna gestione penitenziaria si esprime attraverso un concreto riconoscimento della facoltà di esercitare i propri diritti. L'ordinamento penitenziario, infatti, predispone idonei strumenti di tutela, onde evitare che le enunciazioni di diritto, rimangano tali e non trovino alcuna applicazione tangibile. Occorre quindi, innanzi tutto, individuare questi diritti, anche alla luce delle disposizioni costituzionali, ed evidenziare la possibilità concessa ai detenuti ed internati di esercitare personalmente i diritti previsti dalle leggi ordinarie. In tal senso, CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, pag. 133 e ss.; DI RONZA, Manuale di diritto dell'esecuzione, Padova, 1995, pag. 22.

Così DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 51 e ss. Nello stesso senso CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, pag. 133 e ss.


La riforma del 1975, ha introdotto il principio dell'individuazione della pena, non solo per adeguare la pena al fatto commesso dal soggetto nell'ottica della proporzionalità della reazione all'azione svolta, ma anche e soprattutto per consentire l'applicazione delle misure alternative, che possono essere considerate l'estrinsecazione più ampia del trattamento risocializzante. In tal senso DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag, 5 e ss. - Volendo parlare di trattamento rieducativo, in ogni caso, occorre predisporre un'indagine sulle condizioni del soggetto che si vuole rieducare, finalizzata all'individuazione del trattamento più idoneo al caso. Non si tratta di un'osservazione tipica di un rapporto sussistente tra un paziente ed un medico, essa è finalizzata ad individuare un trattamento da fornire ad un soggetto specifico ovviando alla massificazione della popolazione penitenziaria. In tal senso BERNASCONI, Individualizzazione del trattamento, in AA.VV., L'ordinamento penitenziario commento articolo per articolo, Padova, 2000, pag. 136 e ss. - Tra l'osservazione scientifica della personalità ed il trattamento penitenziario individualizzato, intercorre lo stesso rapporto che è riscontrabile tra la diagnosi effettuata in vista della terapia da prescrivere e da effettuare. Così che, proprio come durante lo svolgimento di una terapia è necessario verificare a mano a mano i risultati ottenuti. In tal senso CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, pag. 109.

Per le ricompense il legislatore non ha predisposto un regime giurisdizionale relativo alla loro applicazione, ma le ha rimesse alla discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria non considerando la delicatezza dell'intervento e la maggiore incidenza che le ricompense possono avere nell'ottica della finalità rieducativa del trattamento individualizzato. <<Le proposte del consiglio di disciplina concernenti l'affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 ord. penit.), l'ammissione al regime di semilibertà (art. 50 ord. penit.), le licenze ai condannati in semilibertà (art. 52 ord. penit.), la liberazione anticipata (art. 54 ord. penit.) e la remissione del debito (art. 56 ord. penit.) costituiscono, infatti, una ricompensa che nella progressione "remunerativa" si colloca ai livelli più alti, per essere superata soltanto dalla proposta di grazia, di liberazione condizionale e di revoca anticipata della misura di sicurezza>>. FERRAIOLI, Il sistema disciplinare: ricompense e punizioni, in AA.VV., Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981.

Cfr DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 120 e ss.

La riforma del 1975 ha introdotto all'interno del sistema penitenziario un doppio grado di giudizio, affiancando all'allora giudice di sorveglianza - dopo la riforma, magistrato di sorveglianza - le sezioni di sorveglianza. La novella del 1986, ha riorganizzato in maniera sistematica la magistratura di sorveglianza, trasformando le sezioni di sorveglianza in tribunali di sorveglianza ed ampliando il numero e la tipologia d'intervento della suddetta autorità giudiziaria. In particolare rilevano le funzioni di vigilanza e di controllo che sono attribuite all'organo monocratico, ma di queste se ne parlerà successivamente.

<<Il regime detentivo era considerato come del tutto indifferente all'ordinamento giuridico e alle garanzie giurisdizionali e completamente rimesso alla discrezionalità dell'autorità amministrativa>>. FERRARO - DE STEFANIS, Procedimenti e provvedimenti della magistratura di sorveglianza, Padova, 1995, pag. 5.

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