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Il Servizio Sociale Penitenziario e il controllo di adeguatezza alla categoria dei colletti bianchi




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Il Servizio Sociale Penitenziario e il controllo di adeguatezza alla categoria dei colletti bianchi


I. Servizi sociali, affidamento in prova e "colletti bianchi"

Quando è stata approntata la riforma del sistema penitenziario del 1975, modificata ed ampliata nel 1986, si pensava di aver realizzato il progetto di un carcere meno segregante, basato su alcuni principi di trattamento rieducativo, nello spirito dell'art. 27 della Costituzione. Si pensava che proclamare in una legge il principio della 'flessibilità della pena' sarebbe stato sufficiente per aprire l'ordinamento italiano a quella politica di decarcerizzazione affermatasi nei più importanti paesi europei e ad un nuovo modo di intendere l'esecuzione della pena attraverso i trattamenti in libertà.

Nella realtà però la legge non si è rivelata sufficiente non essendo stata coadiuvata da una serie di interventi complementari a sostegno di questi principi innovativi. Quello che le si rimprovera da più parti è di aver realizzato una 'decarcerizzazione selvaggia' non sorretta da strutture idonee a contenerne gli effetti.

Con la legge Gozzini è stato attribuito ampio spazio alle misure alternative alla detenzione; in particolare l'affidamento in prova è divenuta la misura alternativa per eccellenza, ma anche una valvola di sfogo per sopperire al sovraffollamento carcerario. L'unico requisito oggettivo per l'ammissibilità all'affidamento in prova è costituito dal limite di pena di tre anni, che, dopo l'intervento della Corte Costituzionale del 1993, s'intende 'quella da espiare in concreto', includente anche quella residua rispetto ad una maggiore pena inflitta. Questa disposizione ha prodotto senza dubbio un ampliamento indiscriminato della fascia dei potenziali fruitori della misura, molto lontana dalle tradizionali categorie originariamente previste dal legislatore .

L'affidamento è stato concepito per quelle categorie di soggetti per i quali i comportamenti delinquenziali affondano le loro radici in un più profondo disagio interiore, prodotto da carenze affettive e da problemi di disadattamento socio-familiare. Sono queste le categorie dei disadattati, tossicodipendenti, alcooldipendenti, per i quali l'intervento di un assistente sociale competente può rappresentare l'unico punto di sostegno per realizzare un possibile recupero.

Eppure il rischio che oggi si corre è quello di concedere la misura sempre e comunque quando vi sia l'unico presupposto oggettivo del limite di pena. In effetti, se tra i potenziali destinatari della misura si ammettono soggetti appartenenti alle fasce medio-alte della popolazione, i cosiddetti 'colletti bianchi', resisi responsabili di una serie di reati tipici (concussione, corruzione, violazioni fiscali e finanziari, reati di inquinamento, truffe) viene vanificata la funzione che l'assistente sociale è chiamato a svolgere. Lo stesso spirito dell'affidamento viene snaturato. Non si può infatti parlare di 'recupero' o di 'reinserimento' quando si tratta di soggetti 'normoinseriti'[2].

La peculiarità dell'affidamento sta nell'intenzione dell'operatore di stabilire un rapporto nuovo, ispirato ad una ragionevole fiducia, ove il controllo è esercitato come parte di un'azione più ampia, connotata essenzialmente dalla volontà di comprensione e di aiuto rispetto alle difficoltà soggettive in cui l'affidato si trova, e svolta da un unico operatore .

Le prescrizioni costituiscono la cornice entro cui si svolge l'intervento dell'operatore. Sono dei limiti oggettivi alla libertà dell'affidato, ma la violazione degli stessi non costituisce elemento essenziale per procedere alla revoca della misura'. Quindi, secondo il parere concorde degli operatori, per valutare l'opportunità di una revoca si deve prendere in considerazione l'andamento generale della misura e non il singolo comportamento trasgressivo, perchè l'obiettivo delle misure alternative deve essere principalmente quello di favorire la riabilitazione e il recupero dell'affidato[4].

Non si può chiedere all'operatore di essere sempre fiscale e rigido. Non gli si può chiedere la denuncia di ogni trasgressione commessa dall'affidato. 'Le trasgressioni avvengono di continuo, anzi, si dà per scontato che esse avvengano, perché ciò fa parte della dinamica del rapporto, soprattutto per determinati soggetti . Le violazioni devono essere messe in relazione alle tipologie di soggetti che portano avanti un determinato programma. Non si può avere la stessa pretesa da un truffatore che 'con piena vertenza e deliberato consenso' ha commesso un determinato reato ed ora trasgredisce e da uno psicopatico. Nel primo caso il richiamo formale va fatto per responsabilizzare il soggetto, per ridargli la percezione della serietà della cosa, perché questi non dimentichi che è in esecuzione penale. I soggetti di cui si parla non sono certo i disadattati o i tossicodipendenti. Si tratta dei c.d. 'colletti bianchi', soggetti appartenenti alle fasce medio-alte della popolazione, resisi responsabili di una serie di reati tipici (concussione, corruzione, violazioni fiscali e finanziarie, reati di inquinamento, violazione di norme sugli infortuni sul lavoro, truffe, ecc.). Con costoro ci vuole una chiarezza estrema e un pizzico di freddezza. Occorre immediatamente chiarire i ruoli, le reciproche posizioni. Con il delinquente abituale il discorso è molto più elastico: si deve mettere il soggetto nella condizione di non trasgredire quella norma, ma bisogna essere duttili e comprensivi.

Se l'affidamento è stato originariamente pensato come modalità di esecuzione della pena per quei soggetti che presentavano delle difficoltà di reinserimento socio-ambientale, il rischio che ora si corre è quello di un ingiustificato ampliamento della fascia dei potenziali destinatari della misura, anche a causa della mancanza di tempi per condurre un'analisi esauriente sulla personalità del richiedente. Eclatanti i casi di affidamento in prova ai pentiti, concussi, imprenditori, che rispettano perfettamente le prescrizioni previste ma che in sostanza non hanno bisogno di alcun sostegno perchè sono 'superinseriti' .

Sarebbe invece opportuno intervenire sulle prescrizioni,obbligando il condannato a svolgere attività socialmente utili, ad attivarsi in favore delle vittime del reato. Tuttavia accade che nella condanna non viene previsto alcun risarcimento danni, soprattutto se la vittima del reato corrisponde ad una persona giuridica. Ad esempio, gli affidamenti concessi ai c.d. 'colletti bianchi' finiscono per risolversi in una serie di formalità, senza che venga loro minimamente sfiorato il patrimonio. Lo stesso discorso vale per i 'collaboratori di giustizia', per i quali l'affidamento si riduce ad una procedura formale di concessione senza che permanga alcun rapporto sostanziale tra il soggetto e i servizi competenti, a causa dei particolari programmi di protezione cui sono sottoposti i 'pentiti'.

II. Rieducare i colletti bianchi

Negli anni di Mani Pulite ci si è chiesti se avesse senso allestire un percorso di rieducazione e recupero sociale per individui facoltosi o addirittura ricchissimi, di intelligenza elevata, solitamente con istruzione e professionalità superiori, talvolta famosi, perfettamente inseriti nel loro ambiente, tanto da riscuotere stima e prestigio. E, nello specifico, se fosse opportuno concedere a costoro la possibilità di usufruire di quei tipici strumenti riabilitativi che sono le misure alternative alla detenzione, ed in primo luogo l'affidamento al servizio sociale[7].

Da più parti si è sostenuti che questi strumenti, creati per sostenere disadattati senza mezzi, per i colletti bianchi finivano per tradursi in un espediente per eludere la punizione, oltretutto dirottando risorse più utili altrove. Il dubbio riguardava il contenuto con cui riempire il percorso rieducativo, che doveva tenere conto della specificità di quei soggetti.

Evidentemente il percorso non può proiettarsi verso una evanescente rieducazione, ma piuttosto verso una responsabilizzazione del white collar criminal, che va stimolato a rivedere i suoi percorsi e a riconoscere quelle colpe che ha sempre rimosso o razionalizzato, costringendolo a confrontarsi con i costi sociali e individuali derivati dalle sue azioni.

Le prescrizioni potrebbero riguardare un mix di condotte riparative, generiche o verso determinate vittime, e di attività a contenuto sociale, come prestazioni professionalmente gratuite, magari nell'ambito dei circuiti economici non profit.

L'idea di un trattamento esclusivamente affittivo riservato ai criminali economici può soddisfare certe istanze vendicative dell'opinione pubblica ma è incompatibile col principio di eguaglianza, oltre che di umanità. Parimenti non sostenibile appare l'idea di utilizzare in quest'ambito sanzioni esclusivamente pecuniarie, che finirebbero per ridurre la giustizia ad una sorta di transazione finanziaria. Una prospettiva accettabile potrebbe essere quella di potenziare gli obblighi riparativi e risarcitori, introducendo più rigorose misure interdittive, utili ad allontanare le persone da quelle attività in cui si sono dimostrate pericolose .

In conclusione, il raggio di azione in cui opera l'affidamento è destinato ad ampliarsi ulteriormente proprio perchè grazie ai suoi caratteri questa misura è in grado di rispondere ad esigenze diverse.

Eppure, allo stato attuale bisognerebbe fare delle diversificazioni, bisognerebbe sviluppare il settore delle sanzioni sostitutive (Legge n. 689/81)[9], che sono poco sviluppate perchè manca un organo che ne garantisca l'esecuzione, e riservare l'affidamento a quei soggetti che hanno veramente bisogno di un sostegno psico-sociale.


III. Gli effetti della nuova legge "ex Cirielli". La recidiva come elemento di differenziazione

Il 29 novembre 2005 il Senato ha approvato la ex Cirielli, il disegno di legge che taglia i tempi di prescrizione dei reati e inasprisce le pene per i recidivi. L'aula di Palazzo Madama ha detto sì al provvedimento con 145 voti a favore, 104 contrari e un astenuto.
La proposta di legge n. 2055/A, che era stata approvata dalla Camera dei Deputati il 16 dicembre 2004 è l'ultima tappa della realizzazione, da tempo in atto, di un "diritto diseguale". Non ci sono, alle sue spalle, solo gli interessi contingenti di uno o più imputati eccellenti; c'è anche il progetto politico culturale (non nuovo ma qui perseguito con particolare intensità) di strutturare il sistema penale sul doppio binario dell'impunità per i colletti bianchi e della 'tolleranza zero' per la devianza degli esclusi (cioè dei settori marginali o semplicemente non inseriti della società).

L'obiettivo è un diritto sostanziale e processuale differenziato: come nell'ottocento, implacabile per i 'briganti' e declamatorio e privo di ogni effettività (fino allo scandalo) per i 'galantuomini'. Emerge un nuovo tipo d'autore, il 'recidivo reiterato', destinatario non solo di pene assai più elevate, ma anche di periodi prescrizionali più lunghi e di un trattamento penitenziario molto più severo

Anzitutto viene drasticamente ridotta la discrezionalità del giudice, sostituita in molti casi (concessione delle attenuanti, giudizio di bilanciamento delle circostanze, aggravamenti di pena per recidiva, applicazione di benefici penitenziari) con automatismi che impediscono ogni valutazione della gravità del fatto e della personalità dell'imputato.

In secondo luogo l'approvazione della proposta di legge avrà effetti gravissimi sulla stessa effettività del processo nei confronti delle categorie privilegiate. Una prescrizione breve e l'eliminazione degli effetti della sua sospensione lasciano, infatti, il processo senza difese a fronte di strategie puramente dilatorie e di impugnazioni pretestuose (che si dilateranno a dismisura, ben oltre il già elevatissimo livello attuale). L'obiettivo del processo cesserà di essere il confronto sul merito per diventare il raggiungimento della prescrizione, con effetti devastanti sull'intero sistema (esposto a estenuanti scontri su legittimi impedimenti, legittimi sospetti, richieste di rinvio e al collasso delle corti di appello e della Corte di cassazione).

Con l'art. 1 si introduce tra le circostanze di cui all'art. 62 del codice penale una ipotesi specifica (n. 6 bis) di attenuante per chi, al momento della commissione del fatto, aveva compiuto settanta anni di età e, al momento della sentenza, non si trova nelle condizioni di cui all'art. 99 dello stesso codice (recidiva). In fatto la conseguenza è automatica: i primi beneficiari della norma, che ha dirette ricadute non solo sull'entità della pena ma anche sul regime della prescrizione, saranno noti imputati eccellenti, formalmente incensurati ancorché già raggiunti da pesanti condanne in primo grado.

In realtà la disciplina in esame realizza una torsione repressiva del sistema dell'esecuzione, senza che ad essa si accompagni alcun concreto intervento per risolvere i ben noti problemi dell'universo penitenziario [sovraffollamento, assenza di spazi ove realizzare adeguate iniziative trattamentali, assenza di figure professionali dell'area educativa, mancanza di lavoro in carcere, inadeguata tutela sanitaria.].

Difficile dire che, in questo modo, si potenzia l'azione di contrasto alla criminalità organizzata che pure è indicata come obiettivo centrale della proposta di legge.


IV. Misure alternative alla detenzione e colletti bianchi. Giurisprudenza di merito


Ordinanza 11 febbraio 1998


Ligresti Salvatore, in relazione alla pena di anni 2 mesi 2 giorni 24 di reclusione e mesi 4 di arresto(pena residua) determinata con provvedimento di unificazione pene della Procura presso il Tribunale di Milano n. 642/1997 e in relazione alla pena di mesi 1 di reclusione inflittagli con sentenza Pretore Roma 11 aprile 1997 ha avanzato istanza diretta ad ottenere l'applicazione dell'affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell'art. 47 legge 354/1975 (.);

1. L'art. 47 dell'ordinamento penitenziario prevede l'ammissione dell'affidamento in prova al servizio sociale sulla base del soddisfacimento di un duplice presupposto: l'idoneità della misura a contribuire alla rieducazione del reo e a prevenire la commissione di ulteriori reati. Nel caso specifico, a giudizio di questo collegio, per ritenere soddisfatti tali presupposti, risultano decisivi i seguenti elementi di valutazione: il risarcimento del danno e il venir meno delle condizioni che hanno consentito la commissione dei reati. (.).


2. Valenza primaria assume pertanto il risarcimento del danno sotto il profilo della idoneità della misura alternativa a favorire la rieducazione del reo. (.)  Dalla documentazione agli atti risulta che in tutti i procedimenti penali definiti con sentenza di condanna irrevocabile, Ligresti ha risarcito il danno, documentando le somme versate in ogni procedimento. (.)

3. Il secondo momento pregnante su cui il tribunale intende soffermarsi è quello della probabilità della reiterazione degli stessi reati. In merito a questo aspetto dall'informativa della Guardia di Finanza agli atti risulta che Ligresti ha cessato di rivestire cariche sociali nella "Nuova Finanziaria Moderna Spa" dal 22 gennaio 1996, dalla "Premafin Finanziaria Spa" dal 22 gennaio 1996, dalla "Grassetto Spa" dal 21 giugno 1995 (.).

È da sottolineare infine, che dopo l'arresto avvenuto nel 1992, è possibile osservare un significativo mutamento della condotta di vita del Ligresti.

Infatti il medesimo si è posto subito nei confronti dell'autorità giudiziaria con atteggiamento di collaborazione, rendendo ampia confessione in merito alle vicende in cui era coinvolto.

L'inchiesta sociale del Cssa di Milano dà atto che il condannato sta svolgendo attività di volontariato presso il Centro di solidarietà Gulliver di Varese, in stretto contatto con situazioni molto lontani dal mondo in cui lo stesso era abituato a vivere.

"Si ritiene pertanto che nel caso di specie risultino soddisfatti i requisiti per concedere l''affidamento in prova al servizio sociale,essendosi manifestata una sufficiente presa di coscienza del disvalore dei fatti commessi,e un significativo mutamento della condotta di vita, in modo tale che la misura alternativa possa contribuire alla rieducazione del condannato anche in relazione alla specificità dei reati commessi"[11] (.).


Ordinanza 4 marzo 1998


Il condannato Schemmari Attilio condannato alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione (condonati anni 2, presofferti mesi 5 a giorni 4) con sentenza del Tribunale di Milano 20 aprile 1994 ed alla pena di mesi 1 di reclusione, pena inflitta in continuazione, con sentenza Tribunale di Milano 11 dicembre 1997, per il reato previsto e punito dall'articolo 319 c.p. commesso il 19 settembre 1989 e fino al 1990, ha avanzato istanza tendente all'applicazione del disposto di cui all'articolo 47 legge 26 luglio 1975 n. 354.

1. Schemmari è stato condannato per aver nella sua qualità di Assessore all' Urbanistica del Comune di Milano ricevuto sino al 1989, da Manfredini Corrado, amministratore della Isola Prima srl, quantomeno l'importo di L. 165.000.000. affinché fosse riservato un trattamento preferenziale in ordine ai tempi e modalità di svolgimento dell'iter alla stipulazione della convenzione attuativa del Programma Integrato di recupero della zona "Isola ed Adiacenze", mediante il compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio in violazione dei doveri di imparzialità (...).

2. Nel campo dell'esecuzione penale la valutazione deve essere estesa al cammino compiuto dal reo dalla commissione del reato alla presentazione della istanza di affidamento, onde addivenire al giudizio prognostico sulla idoneità  della misura alternativa ad attuare il percorso rieducativi a garantire dal pericolo di recidiva.

I dati fin qui esposti evidenziano che non ci troviamo innanzi ad un soggetto portatore di disadattamento sociale, per il quale la misura alternativa attraverso il ruolo di sostegno e di intervento del Cssa attua quel processo di risocializzazione che di per sé costituisce rieducazione in quanto allontana dalle cause di reato, essendo tale devianza collegata alla situazione di marginalità (.).

Il tribunale, pur consapevole della valenza di tali argomentazioni, non può non considerare l'apertura attuata dal Legislatore sull'ammissibilità del beneficio per tutti quei condannati che devono espiare una pena residua inferiore ai tre anni.

Da tale momento si è infatti definitivamente avvalorata la tesi che ritiene la misura concedibile anche a quei soggetti che potremmo definire "iperintegrati" sul presupposto che tale strumento sia nei fatti idoneo a fronteggiare ogni tipo di devianza (.).

Il tribunale condivide tale impostazione e ritiene possibile la concessione del beneficio solo qualora la misura richiesta sia idonea a fronteggiare ed annullare la pericolosità del soggetto.

L'idoneità suddetta si riscontra se ricorrono i seguenti elementi:

resipiscenza  rispetto al disvalore dei fatti compiuti,

integrale risarcimento dei danni:

non commissione di ulteriori fatti illeciti e riscontro di una attività lavorativa diversa da quella precedente svolta e collegata alla commissione del reato, elementi che esprimono l'assenza di possibile recidiva.


Nel caso in esame tali requisiti non sono stati riscontrati.

Oggi Schemmari se da un lato dice di riconoscere le proprie responsabilità nello spesso tempo cerca di minimizzarle parlando di una responsabilità collettiva nella gestione della "cosa pubblica", rispetto alla quale descrive se stesso come soggetto privo di forza o legittimizzazione per poter modificare prassi che riconosce illegittime e non rispondenti alla propria morale.

Ad avvalorare l'assenza di una effettiva revisione critica si pongono ulteriori elementi: un risarcimento danni attuato solo dopo i due gradi di giudizio, lo svolgimento di attività lavorativa presso la Comunità Nuova di don Gino Rigodi, regolarmente retribuita, la prospettazione della volontà di svolgere una attività socialmente utile solo in occasione della esecuzione della misura alternativa richiesta.

L'immagine che il tribunale ricava dai dati sopra evidenziati è quella di un soggetto autore di reati di notevole gravità, rispetto ai quali ancora oggi, pur se con modalità diverse, Schemmari assume atteggiamenti minimizzanti e giustificativi (.).

L'assenza di un effettivo distacco dai modelli di vita precedenti e del recupero di valori morali disattesi nel passato,la non consapevolezza del disvaliore sociale del fatto e la non coscienza del danno sociale arrecato, costituiscono elelementi che comprovano l'inidoneità della misura ad attuare il processo rieducativi a cui la pena deve tendere[12].



Ordinanza 6 ottobre 1999


1. Forlani Arnaldo è stato condannato per i reati di cui agli articoli 81,110 c.p. (.). È stato altresì condannato in solido con Citaristi ed in riferimento ad un capo di imputazione anche con Grotti, al risarcimento dei danni, con assegnazioni di provvisionali a favore della parte civile di Montedison. (.).

Non risulta dagli atti che il condannato abbia provveduto al risarcimento dei danni.

È stato documentato dalla difesa lo svolgimento di una attività di volontariato presso la Comunità di S.Egidio e presso la Caritas diocesana.

2. i dati fin qui esposti evidenziano che non ci troviamo innanzi ad un soggetto portatore di disadattamento sociale. (.)

Il tribunale, pur consapevole della valenza di tali argomentazioni, non può non considerare "l'apertura" attuata dal Legislatore sull'ammissibilità del beneficio per tutti quei condannati che devono espiare una pena residua inferiore ai tre anni.

Da tale momento si è infatti definitivamente avvalorata la tesi che ritiene la misura concedibile anche a quei soggetti che potremmo definire "iperintegrati" sul presupposto che tale strumento sia nei fatti idoneo a fronteggiare ogni tipo di devianza (.).

Quello che in tal caso si richiede è l'affidabilità del condannato e conseguentemente il superamento della sua originaria pericolosità. Se ricorre tale presupposto, cioè l'assenza di possibile recidiva, il nostro ordinamento,nel sancire l'applicabilità della misura a soggetti la cui pena residua è inferiore ai tre anni, ha ritenuto la concedibilità della misura ogni volta che la pena detentiva in sé risulti inopportuna perché divenuta superflua.(.)

3. l'elemento di novità introdotto dalle ultime pronunzie del giudice di legittimità è da intravedere nel tentativo di spostare il problema della idoneità dell'affidamento ad attuare la rieducazione indipendentemente dal tipo di reato, sul piano delle prescrizione che il tribunale può imporre e che vengono individuate come elemento caratterizzante quel trattamento personale che consente di esprimere il giudizio prognostico richiesto dall' art. 47 ord. Penit.

3. Deve ricordarsi che il legislatore, con la legge 686, ha scelto di fissare e rendere obbligatorie all' interno delle generali prescrizioni le obbligazioni di solidarietà, che prima erano soltanto eventuali. La dottrina ha salutato con favore tale innovazione,che secondo alcuni comporta una maggiore incisività dell'aspetto rieducativi dato che l'adoperarsi in favore della vittima del reato rappresenta il primo momento di verifica di una dichiarata serietà di intenti.(.)

Al riguardo deve precisarsi che l'attività di volontariato presentata da Forlani, che peraltro non ha interamente risarcito il danno,non appare poter essere formalmente compresa tra le prescrizioni da porre a corredo della misura trattandosi di un impegno di ordine morale il cui valore può essere apprezzato soltanto se nato da un moto volontario e spontaneo quale manifestazione e prova di un reale processo di rieducazione. Peraltro il progetto a tal fine presentato dal condannato (attività di volontariato presso la comunità di S. Egidio) rientrerà nella valutazione complessiva che il tribunale dovrà effettuare in sede di eventuale declatoria di estinzione della pena. Così come entrerà in tale valutazione l'analisi dell'evoluzione del capitolo risarcimento danni allo stato non chiuso. Perché se è vero che il risarcimento del danno non costituisce condizione per la concessione del beneficio, sicuramente rappresenta un elemento da cui desumere l'avvenuta completa rieducazione del condannato all'esito della messa alla prova.

La misura, ricorrendone i presupposti, può trovare attuazione ed esecuzione, nella consapevolezza che il ruolo demandato al Cssa in tal caso,in cui di nessuna emarginazione può parlarsi,propenderà sempre più verso un ruolo di controllo piuttosto che di assistenza[13].

Ordinanza 10 febbraio 2000


1. Curtò Diego è stato condannato per i reati di corruzione e favoreggiamento, commessi negli anni 1993/1994, sullo sfondo della nota vicenda relativa alla joint- venture tra Eni e Montedison. (.)

I giudici di primo grado condannavano l'interessato alla pena di anni quattro e mesi uno di reclusione (.).

In sede di appello i giudici, riformavano parzialmente la sentenza di primo grado  e determinavano la pena così come indicato in epigrafe (anni tre,mesi sei e giorni quindici di reclusione.(.)

2. nel merito l'istanza di affidamento in prova, a parere di questo collegio, non può essere accolta.

Nel caso in esame, la misura richiesta non appare idonea a contribuire, in modo migliore della detenzione,alla rieducazione del condannato.(.)

L'interessato, infatti, lungi dal mostrare una qualsiasi forma di consapevolezza sul disvalore del reato commesso ha maturato in sé il convincimento della correttezza della propria condotta professionale, minimizzando la rilevanza di quella < dazione di denaro> che pure ha sempre ammesso.

Ciò dimostra evidentemente la mancata presa di coscienza, da parte dell'interessato, del disvalore penale del comportamento tenuto e la conferma di quell'atteggiamento mentale tanto lontano dal rispetto dei canoni di correttezza e dei valori di legalità (.)[14].

Dalla relazione socio-familiare, acquisita proprio alla scopo di valutare se la personalità del reo si sia in qualche modo evoluta in senso positivo, si desume, al contrario, come non sia mutato per nulla l'atteggiamento mentale che ha, di fatto, indotto l'interessato alla commissione dell'illecito.

È convincimento di questo Tribunale che la misura alternativa in questione sia inidonea, pur attraverso specifiche restrizioni, a favorire la rieducazione del condannato in capo al quale risulta del tutto assente un percorso interiore di rivisitazione del proprio passato(.), volto alla rielaborazione di quell'atteggiamento mentale che fu causa della condotta illecita.(.);per tali motivi rigetta l'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali.













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Solvetti, L.M., "Società e risocializzazione: il ruolo degli esperti nelle attività di trattamento rieducativo", in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1993

Sutherland E., White Collar Crime, Holt, Rinehart & Winston,1939 New York

Sutherland E., White Collar Crime: The,Uncut Version,1983 Yale University Press, New Haven

Vannucci A., Il mercato della corruzione, Società Aperta, Milano,1997

Volk K., Sistema penale e criminalità economica, Edizioni Scientifiche Italiane, 1998




Gozzini M., L'ordinamento penitenziario dopo la legge 633/1986. Problemi ancora aperti, in A.Lovati (a cura di), Carcere e territorio, Franco Angeli,Milano 1988


Altrettanto improprio risulta parlare di 'affidamento' per i 'collaboratori di giustizia', anch'essi potenziali fruitori della misura, i quali non hanno alcun contatto con il Servizio sociale perché sottoposti ai programmi di protezione.

Corbezzola M. "Il controllo parte nascosta del lavoro sociale" in " Animazione sociale",1995


Susanna Rollino, operatore sociale del Cssa di Firenze, afferma che, se l'assistente riesce ad instaurare un rapporto di fiducia con l'affidato, questi sente più il legame con l'operatore che il vincolo delle prescrizioni, sente più un dovere di rispetto nei confronti dell'assistente che il vincolo impositivo di una regola formale


R. Breda, L'assistente sociale per adulti nel sistema penitenziaria, F.S. Fortuna (a cura di) Operatori penitenziari e legge di riforma,Franco Angeli,Milano, 1985

Canepa G., Le alternative alla detenzione: problemi ed orientamenti, Genova, 1992


Martucci Pierpaolo, La criminalità economica,Editore Laterza,2006, p.130


Martucci Pierpaolo, La criminalità economica,Editore Laterza,2006,p.131


Art.53 afferma che " Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di un anno può sostituire tale pena con la semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi può sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre mesi può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente."

Non è stata una seduta lineare come ci si attendeva alla vigilia. Per sei volte è mancato il numero legale, tanto che l'approvazione prevista dal calendario d'Aula in mattinata, fra una sospensione e l'altra della seduta, è slittato al pomeriggio.

Tribunale Sorveglianza Milano, ordinanza 11 febbraio 1998, Ligresti, in Misure alternative e colletti bianchi, www.gruppoabele.it

Tribunale Sorveglianza Milano, ordinanza 4 marzo 1998, Schemmari, in Misure alternative e colletti bianchi, www.gruppoabele.it


Tribunale Sorveglianza Milano, ordinanza 6 ottobre 1999, Forlani, in Misure alternative e colletti bianchi, www.gruppoabele.it



Tribunale Sorveglianza Milano, ordinanza del 10 febbraio 2000,Curtò, in Misure alternative e colletti bianchi, www.gruppoabele.it



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