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Il rapporto di lavoro si configura come un rapporto complesso per la molteplicità degli elementi che concorrono a definire la posizione giuridica delle parti, e cioè i loro reciproci diritti e doveri che possiamo così riassumere:
L'OBBLIGAZIONE DI LAVORO
Il contenuto sostanziale della prestazione, e cioè l'attività dedotta nel rapporto, è desunta da una serie di elementi, e precisamente dalle mansioni, dalle qualifiche e dalle categorie.
Mansioni
Le mansioni indicano l'insieme dei compiti e delle concrete operazioni che il lavoratore è chiamato ad eseguire e che possono essere pretesi dal datore di lavoro: indicano, in sostanza, l'oggetto specifico dell'obbligazione lavorativa.
Qualifiche
La qualifica designa lo status professionale del lavoratore, legalmente e contrattualmente identificato secondo il contenuto delle mansioni. In particolare essa esprime il tipo e il livello di una figura professionale e concorre con le mansioni a determinare la posizione del lavoratore nella struttura organizzativa dell'impresa, da cui derivano una serie di diritti e doveri inerenti al rapporto di lavoro.
Categorie
Le categorie costituiscono delle entità classificatorie che raggruppano i vari profili professionali. Si tratta di un sistema di classificazione professionale che, al pari delle qualifiche, delinea il particolare regime giuridico cui il lavoratore e sottoposto ai fini del trattamento economico. L'individuazione delle categorie si desume dall'art. 2095 c.c. nonché dalla contrattazione collettiva. E' possibile, in tal modo, distinguere le categorie legali da quelle contrattuali.
Le categorie legali
L'art. 2095, co. I, c.c., come novellato dall'art.
I dirigenti L'art. 1 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 3 ottobre 1989, per i dirigenti industriali, definisce i dirigenti come quei lavoratori che 'ricoprono nell'azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano la loro funzione al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell'impresa'. La peculiarità degli interessi dei dirigenti rispetto a quelli degli altri lavoratori comporta:
uno speciale inquadramento sindacale in associazioni separate;
una contrattazione collettiva separata;
un trattamento previdenziale diverso da quello riservato agli altri prestatori di lavoro.
Ancora, ai dirigenti non si applicano alcune leggi di tutela, ossia quelle sull'orario di lavoro, sul contratto a termine, sul licenziamento.
I quadri: L'art.
Gli impiegati
L'art. 1, R.D. 13 novembre 1924, n. 1825, definisce l'impiegato come colui che
professionalmente presta la propria attività alle dipendenze di un imprenditore
privato, con la funzione di collaborazione, tanto di concetto che di ordine,
eccettuata ogni prestazione che sia semplicemente di mano d'opera.
La prestazione di lavoro dell'impiegato si caratterizza, dunque, per:
la collaborazione all'impresa, che consiste in compiti di organizzazione, propulsione, direzione e vigilanza;
la professionalità, intesa come abitualità della prestazione.
Con riferimento al primo elemento, l'art. 1, R.D.
1825/1924, distingue la collaborazione di concetto da quella d'ordine, senza
però definirle. Per
Gli operai: L'art. 1, R.D. 1825/1924, fornisce una definizione in negativo dell'operaio, essendo tale, per questa disposizione, il lavoratore che non può essere inquadrato in nessuna delle altre categorie. Con riguardo alla distinzione tra impiegato ed operaio, la dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono, dopo molte incertezze, che sia determinante, non il carattere intellettuale o manuale del lavoro prestato, bensì il grado della collaborazione fornita dal lavoratore al datore. Così, mentre la prestazione dell'impiegato, anche d'ordine, si caratterizza per l'attività di 'collaborazione all'impresa' - di cui si è detto al paragrafo precedente -, quella dell'operaio si caratterizza per la 'collaborazione nell'impresa', consistente in un generico apporto al processo produttivo, realizzato mediante la mera attuazione delle direttive ricevute.
Categorie contrattuali
Si tratti di categorie di origine contrattuale, introdotte cioè dalla contrattazione collettiva in aggiunta a quelle legali. Le figure professionali che si individuano in tale ambito sono:
i funzionari: si tratta di personale con funzioni direttiva, previsto dalla contrattazione collettiva nei settori del credito e delle assicurazioni;
gli intermedi: si tratta di una categoria collocabile nel grado superiore della categoria operaia. Figura tipica è il capo operaio, preposto alla guida ed al controllo di un gruppo di operai.
L'inquadramento unico
La distinzione tra impiegati ed operai è oggi parzialmente superata dall'introduzione, ad opera della contrattazione collettiva, di un nuovo sistema di inquadramento professionale: il c.d. sistema di inquadramento unico. Esso si fonda su una classificazione unica dei lavoratori, che vengono ordinati in una pluralità di livelli professionali, e non più, come avveniva in passato, per gruppi di qualifiche all'interno delle varie categorie.
L'appartenenza a tali categorie è determinata sulla base di:
Le novità introdotte dal nuovo sistema possono, così, sintetizzarsi:
Il mutamento delle mansioni
L'art. 2103, c.c., novellato dall'art. 13 dello Statuto dei lavoratori, al co. I, prima parte, testualmente recita: 'Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione'. Tale disposizione limita il c.d. jus variandi, ossia il potere unilaterale del datore di modificare le mansioni del lavoratore, il quale, oltre che alle mansioni per le quali è stato assunto, può essere adibito soltanto:
L'art. 2103, ult. co., c.c., prevede espressamente che 'ogni patto contrario è nullo'. Si tratta di un'ipotesi di nullità testuale che determina l'inefficacia di ogni modificazione in peius delle mansioni del prestatore, con attribuzione a quest'ultimo del diritto alla restituzione delle mansioni originarie o equivalenti ovvero, in alternativa, al risarcimento del danno causato alla sua professionalità.
Il trasferimento del lavoratore
L'art. 2103, co. 1, c.c., disciplina anche il potere di trasferimento, disponendo che il lavoratore 'non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive'. Ciò in quanto il trasferimento può comportare la lesione di interessi lavorativi ed extralavorativi. L'onere della prova della legittimità del trasferimento è a carico del datore. Va notato che l'art. 2103, c.c., non si riferisce al trasferimento da una località all'altra, ma al trasferimento da un'unità produttiva all'altra: per unità produttiva deve intendersi ogni articolazione autonoma dell'impresa o azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l'attività di produzione di beni o servizi dell'impresa della quale è elemento organizzativo.
OBBLIGHI E DIRITTI DEL LAVORATORE
La prestazione
La prestazione di lavoro subordinato consiste nella messa a disposizione del proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore (art. 2094). Trattasi di una obbligazione di mezzi che impegna il prestatore a tenere un determinato comportamento, ma anche a raggiungere mediante tale attività, un risultato ulteriore.
La prestazione di lavoro deve essere:
Obblighi integrativi
L'obbligo di diligenza
Il primo degli obblighi integrativi facenti capo al prestatore è l'obbligo di diligenza. L'art. 2104, c.c., sancisce che 'Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale'. La norma in esame fa riferimento a tre criteri, alla cui stregua la diligenza del prestatore deve essere valutata, e cioè quelli:
della natura della prestazione dovuta, che costituisce una specificazione dell'art. 1176, co. II, c.c., in virtù del quale 'nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata';
dell'interesse dell'impresa, che per alcuni si identifica con l'interesse dell'impresa in sé considerato, per altri con l'interesse soggettivo dell'imprenditore; posizione intermedia è quella di chi ritiene che l'interesse dell'impresa sia da considerare quale interesse soggettivo dell'imprenditore, inteso però non in senso stretto, ma come specifico interesse a ricevere la prestazione nell'ambito di un certo contesto;
dell'interesse superiore della produzione nazionale, criterio organizzativo da considerarsi implicitamente abrogato con la caduta del sistema corporativo e non sostituibile con il criterio dell'utilità sociale di cui all'art. 41, co. II, Cost., che costituisce un limite alla libera iniziativa economica privata, ma non anche un parametro di valutazione dell'adempimento dell'obbligazione lavorativa.
L'inosservanza del dovere di diligenza comporta per il prestatore:
l'obbligo di risarcire, a titolo di responsabilità contrattuale, il danno che dalla sua condotta negligente o imprudente sia derivato al datore;
nonché l'eventuale sottoposizione a sanzioni disciplinari.
L'obbligo di obbedienza
Il co. II dell'art. 2104, c.c., pone a carico del prestatore l'obbligo di obbedienza, sancendo che egli deve osservare le disposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro che gli vengono impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. Come la giurisprudenza ha ripetutamente precisato, la soggezione del prestatore al datore ed ai suoi collaboratori non può superare i limiti imposti dalle norme di legge - in particolare, da quelle dello Statuto dei lavoratori - e dalle norme contrattuali, potendo, in caso contrario, il lavoratore, esercitare il c.d. jus resistentiae, cioè rifiutarsi di osservare le disposizioni impartite. L'inosservanza dell'obbligo di obbedienza può costituire, nei casi più gravi, giustificato motivo (soggettivo) di licenziamento.
L'obbligo di fedeltà
L'art. 2105, c.c., rubricato 'Obbligo di fedeltà' pone a carico del prestatore un obbligo volto a tutelare l'interesse dell'imprenditore alla capacità di concorrenza dell'impresa (GHERA). Esso trae origine dal principio generale per il quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (artt. 1175 e 1375, c.c.).
Tre sono i divieti che costituiscono il contenuto dell'art. 2105, c.c., e cioè:
il divieto per il prestatore di trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore: esso va distinto dal divieto di concorrenza sleale, di cui all'art. 2598, c.c., che rappresenta una forma di illecito extracontrattuale e si verifica solo nei casi espressamente previsti dalla norma;
il divieto di divulgazione delle notizie attinenti alla organizzazione ed ai metodi di produzione dell'impresa (c.d. segreti aziendali), con riferimento al quale va chiarito, da un lato, che si ha 'divulgazione' quando le notizie di cui si tratta non abbiano ancora raggiunto un alto grado di diffusione e, dall'altro, che la divulgazione è vietata se ed in quanto finalizzata ad arrecare pregiudizio all'impresa;
il divieto di uso dei c.d. segreti aziendali: tale divieto, al pari di quello di divulgazione, è penalmente sanzionato (si vedano, in proposito, gli artt. 621, 622 e 623, c.p.).
Sul piano civilistico, la violazione dell'art. 2105,
c.c., dà luogo sia alla responsabilità disciplinare sia al risarcimento del
danno eventualmente causato al datore.
In conclusione, va anche ricordato che per alcuni autori (BUONCRISTIANO,
MAZZIOTTI) e per la giurisprudenza (Cass. 5257/87), l'art. 2105, c.c., è una
norma dispositiva e non imperativa, per cui l'autonomia delle parti -
individuali o collettive - può sia consentire lo svolgimento di attività in
concorrenza sia vietare al lavoratore l'espletamento di altre attività,
autonome o subordinate, a favore di terzi, indipendentemente dalla rilevanza o
meno di esse sotto il profilo della concorrenza.
Il patto di non concorrenza
Il divieto di concorrenza, sancito dall'art. 2105, c.c., avendo natura contrattuale, si estingue al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, l'art. 2125, c.c., consente alle parti di limitare lo svolgimento dell'attività del prestatore anche successivamente alla cessazione del contratto, con la stipulazione del 'patto di non concorrenza'. Tale stipulazione è circondata da particolari garanzie, essendo richiesti:
la forma scritta, a pena di nullità;
la previsione di un corrispettivo a favore del lavoratore;
il contenimento del vincolo entro determinati limiti di oggetto, luogo e tempo;
La violazione del patto di non concorrenza può dar luogo ad una condanna al risarcimento del danno, ma non ad un ordine di cessazione dell'attività svolta.
Diritti del lavoratore
I diritti del lavoratore costituiscono le situazioni giuridiche attive, riferibili alla prestazione lavorativa, che si esprimono nelle facoltà, libertà e prerogative riconosciute al lavoratore. Tali diritti possono essere classificati nel modo seguente:
I diritti personali
I diritti personali sono i diritti inerenti alla personalità del lavoratore nel cui ambito assumono peculiare rilievo:
il diritto all'integrità fisica ed alla salute nei
luoghi di lavoro: a tutela di esso, l'art. 2087, c.c., impone al datore
l'adozione di tutte le misure necessarie 'secondo la particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica'. Tale norma, però, benché ispirata
ad una funzione prevenzionale, è stata per lo più utilizzata con funzione
risarcitoria di eventi dannosi già prodotti. Il legislatore ha tentato di
ovviare ai suoi limiti con l'art.
la libertà e la dignità del lavoratore: l'art. 2087,
c.c., pone a carico del datore l'obbligo di adottare misure idonee a tutelare,
oltre all'integrità fisica, anche la personalità morale dei lavoratori, ossia
la sfera di libertà e riservatezza, che il contratto di lavoro può limitare
solo se richiesto, in senso stretto, dalle esigenze tecnico-produttive
(MAZZIOTTI). Anche in quest'ultimo caso è necessario, comunque, il rispetto
delle norme dello Statuto dei lavoratori ed in particolare: dell'art. 1, che
tutela la libertà di opinione dei prestatori e dell'art. 8, che vieta al datore
di effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del
lavoratore (degli artt. 3, 4 e
la tutela dell'interesse dei lavoratori ad adempiere funzioni pubbliche, che dà diritto alla conservazione del posto di lavoro, al computo del periodo di sospensione della prestazione lavorativa ai fini pensionistici ed alla assistenza sanitaria;
il diritto allo studio per i lavoratori studenti
la tutela delle attività culturali, ricreative ed assistenziali
I diritti sindacali
I diritti sindacali sono diritti che costituiscono espressioni tipiche dell'attività sindacale, riconosciuta ai singoli prestatori di lavoro.
La dottrina più accreditata distingue:
i diritti sindacali generali, espressione della libertà di organizzazione ed attività sindacale e del diritto di sciopero;
ed i diritti sindacali speciali,
concernenti alcune forme di attuazione della libertà sindacale (si pensi, ad
es., al diritto allo svolgimento di referendum, al diritto ai premessi
retribuiti e non retribuiti, ecc.).
È chiaro che ai diritti del lavoratore sono correlati altrettanti obblighi del
datore, e viceversa.
Le invenzioni e le opere dell'ingegno del lavoratore
Il linea generale, la disciplina che riguarda tale
ipotesi (artt. 2590 c.c. e
OBBLIGHI E POTERI DEL DATORE DI LAVORO
Anche la posizione giuridica del datore di lavoro ha una
struttura complessa dovuta alla sussistenza di diritti e doveri collegati con i
corrispondenti diritti ed obblighi del lavoratore. Per quanto concerne la
posizione attiva va rilevato che i relativi diritti possono essere configurati
come poteri giuridici in senso proprio, esercitabili in modo discrezionale per
la tutela di un interesse proprio o dell'impresa. La forma di manifestazione di
tali poteri è del tutto libera potendo essere sia orale che scritta.
Naturalmente i poteri dell'imprenditore incontrano dei limiti legislativi,
primo fra tutti il divieto di discriminazione previsto dall'art.
Il potere direttivo
Il potere direttivo in senso stretto si configura come potere organizzativo diretto a conformare l'attività utile di ciascun lavoratore alle esigenze dell'impresa stessa. Esso si traduce sul piano generale nelle istruzioni che il datore ed i suoi collaboratori impartiscono per l'esecuzione e la disciplina del lavoro.
In tale ambito si suole ricomprendere l'esercizio dei seguenti poteri:
Il potere di vigilanza e di controllo
Il potere di vigilanza e di controllo è strettamente correlato al potere direttivo ed è diretto a verificare che l'esecuzione dell'attività lavorativa venga effettuata secondo le modalità stabilite dal datore di lavoro. Tale potere incontra alcuni limiti:
Il potere disciplinare
L'inosservanza delle disposizioni dettate dal legislatore in tema di diligenza e fedeltà del prestatore di lavoro (artt. 2104 e 2105, c.c.) può dar luogo all'irrogazione da parte del datore di sanzioni disciplinari, proporzionate alla gravità dell'infrazione (art. 2106, c.c.). La tipologia delle sanzioni previste dai contratti collettivi è divenuta, con il passare del tempo, sempre più complessa. Le sanzioni disciplinari oggi irrogabili sono, in ordine crescente di gravità:
Sono illecite, invece, quelle sanzioni che determinano un mutamento definitivo del rapporto di lavoro (ad esempio, la retrocessione, che però è ammessa nel settore degli auto-ferrotranvieri). L'irrogazione delle sanzioni è espressione del potere disciplinare del datore, nel quale la dottrina dominante ravvisa un potere autoritativo, unilaterale e punitivo, previsto in via del tutto eccezionale nell'ambito dei rapporti tra privati e che trova la sua ratio nel vincolo di subordinazione tecnico-funzionale del lavoratore; le sanzioni disciplinari vengono configurate quali speciali pene private, che adempiono però ad una funzione non risarcitoria, ma preventiva. Il potere disciplinare trova oggi la sua principale fonte di regolamentazione, oltre che nel Codice Civile e nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 29 novembre 1982 - di cui si dirà al capitolo XIV quando si tratterà del licenziamento disciplinare -, nell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori. Tale articolo, al fine di tutelare la libertà e la dignità dei prestatori, limita notevolmente l'esercizio del potere disciplinare, depotenziando, in tal modo, l'autorità del datore come capo dell'impresa. In particolare, esso afferma due principi fondamentali:
La fase procedurale della contestazione e della discolpa si svolge davanti al datore, che non è terzo, ma parte in causa e che è chiamato ad applicare la sanzione se reputa insufficiente la discolpa del lavoratore. L'imparzialità dell'organo è invece prevista per la fase eventuale e successiva dell'impugnativa della sanzione, che, ai sensi dell'art. 7, co. VI, St. lav., può avvenire mediante:
Gli obblighi del datore di lavoro
Gli obblighi del datore di lavoro, cui corrispondono altrettanti diritti del lavoratore, possono così individuarsi:
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