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Il nostro ordinamento prevede due grosse categorie di interessi protetti:
alcune situazioni sostanziali si attuano fornendo al loro titolare dei poteri di comportamento in relazione ad un determinato bene e facendo obbligo agli altri di non frapporsi fra il titolare della situazione sostanziale e il bene stesso.
altre invece presuppongono una "attività" di un altro soggetto come nel caso del credito.
L'esecuzione forzata è quello strumento che l'ordinamento prevede per porre rimedio all'inadempimento dell'obbligato quando il titolare della situazione sostanziale protetta non può in altro modo godere della stessa.
In via generale, l'esecuzione può essere indiretta o diretta:
è indiretta quando si cerca di indurre all'adempimento un soggetto dietro la "minaccia" di misure coercitive quali sanzioni civili o penali tali che l'adempimento risulti meno gravoso dell'adempimento. Per questo motivo però l'esecuzione indiretta non è una soluzione certa al 100%. Il nostro ordinamento non la prevede in via generale ma solo per certi casi determinati.
è diretta quando, nei casi in cui risulta possibile, l'attività dell'organo esecutivo si sostituisce all'inattività dell'obbligato.
Nel nostro sistema abbiamo tre diverse procedure esecutive:
l'espropriazione forzata per i crediti di denaro;
l'esecuzione per consegna o rilascio per il trasferimento del possesso di beni mobili o immobili determinati;
l'esecuzione per obblighi di fare in via residuale per tutti i comportamenti di fare: a) che siano diversi dal pagamento e dalla consegna; b) che siano fungibili.
Esiste una differenza fondamentale fra la tutela in via dichiarativa e la tutela in via di esecuzione.
Per ciò che attiene al processo di cognizione, i suoi presupposti sono la semplice affermazione da parte di chi richiede la tutela giurisdizionale che esiste una situazione sostanziale che ha bisogno della tutela dichiarativa. Il contenuto della pronuncia giurisdizionale potrà essere a) di natura rituale, quando ad esempio il giudice non possa decidere nel merito per problemi di giurisdizione o competenza; b) di accoglimento; c) di rigetto.
Nel processo esecutivo, invece, il presupposto è un titolo esecutivo. In altre parole si da per scontato che il diritto vantato da colui che chiede la tutela esecutiva esista. In questo caso l'organo esecutivo può a) non concedere l'esecuzione per problemi di rito; b) concedere la tutela esecutiva. Manca insomma la possibilità che l'organo dell'esecuzione neghi la tutela giurisdizionale richiesta.
L'art. 474 dice che l'esecuzione forzata non può aver luogo se non in virtù di un titolo esecutivo che deve sorreggere tutta quanta la durata dell'esecuzione forzata ed avere ad oggetto un diritto:
certo: la certezza consiste nell'individuazione del bene oggetto di questi interventi esecutivi e del fare che deve essere compiuto. Riguarda l'esecuzione per consegna o rilascio o l'esecuzione per obblighi di fare;
liquido: è l'equivalente della "certezza" riferita alle somme di denaro;
esigibile: non sottoposto, cioè, a termine o condizione.
La seconda parte dell'art. 474 elenca i titoli esecutivi suddividendoli in tre categorie:
titoli esecutivi giudiziali: tutte le sentenze di condanna e certe ordinanze (es. ordinanza di convalida di licenza o sfratto) o decreti;
titoli di credito (cambiali, assegni e altri titoli cui la legge attribuisce la stessa efficacia);
atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenuti.
Oltre a queste ipotesi ne esistono moltissime altre previste da leggi speciali.
Per titolo esecutivo in senso sostanziale si intende la fattispecie da cui sorge l'effetto giuridico di rendere tutelabile in via esecutiva una certa situazione protetta. Il titolare di questa situazione ha diritto all'intervento degli organi giurisdizionali che hanno l'obbligo di attivarsi. Il titolo esecutivo in senso sostanziale tiene conto inoltre degli eventuali elementi modificativi ed estintivi del diritto tutelato.
Al contrario, il titolo esecutivo in senso documentale, tiene conto dei soli elementi costitutivi dato che, solitamente, eventi modificativi od estintivi interverranno successivamente alla stesura materiale del documento rappresentativo del titolo esecutivo.
Titoli esecutivi in senso documentale sono gli originali dei titoli di credito o le copie autenticate dei provvedimenti giudiziali o degli atti pubblici. Queste ultime devono avere apposta una formula esecutiva onde evitare che possano essere usate per l'esecuzione copie diverse.
Il problema che andiamo ora ad analizzare riguarda la possibilità, per un titolo esecutivo, di far valere i sui effetti a favore di un soggetto diverso dal titolare originario o nei confronti di un diverso obbligato: in altre parole l'efficacia verso i terzi.
L'art. 475 secondo comma prevede che la spedizione del titolo in forma esecutiva sia possibile anche in favore di soggetti, non individuati nel titolo stesso come creditori, che siano "successori" dell'avente diritto. Allo stesso modo, ma con una situazione "rovesciata", l'art. 477 prevede che il titolo esecutivo contro il deceduto abbia efficacia contro gli eredi. Questa ratio è riscontrabile in tutti i casi in cui si abbia la nascita di obblighi dipendenti da quello consacrato nel titolo esecutivo e l'atto, in cui il titolo esecutivo consiste, è vincolante anche per il titolare dell'obbligo dipendente. L'esistenza dell'obbligo dipendente sarà oggetto di accertamento solo quando l'esecutato contesti la sussistenza del fatto successorio. Ricapitolando il titolo esecutivo è utilizzabile da o contro un terzo quando:
il terzo è titolare di una situazione sostanziale di diritto o obbligo, sostanzialmente dipendente da quella accertata nel titolo esecutivo;
l'atto che funge da titolo esecutivo ha, verso il titolare della situazione dipendente ma con riferimento alla situazione pregiudiziale, gli stessi effetti che ha nei confronti del dante causa.
Secondo l'art. 479 il titolo esecutivo in senso documentale deve essere notificato all'esecutato prima dell'inizio dell'esecuzione forzata. Contestualmente o successivamente deve essergli notificato anche il precetto, atto disciplinato dall'art. 480, con cui si intima all'obbligato di adempiere entro un termine non inferiore a dieci giorni pena l'inizio dell'azione esecutiva. Il precetto perde efficacia se entro 90 giorni dalla sua notifica non è iniziata l'esecuzione forzata. L'opposizione al precetto non sospende l'esecuzione; la sospensione può essere disposta solo dal giudice.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la differenza fondamentale fra processo dichiarativo (di cognizione) e processo esecutivo, consta nelle possibili soluzioni del processo stesso. La domanda dell'attore nel processo di cognizione può essere accolta o rigettata; nel processo di esecuzione, accertata la procedibilità, può solo essere accolta. L'eventuale opposizione all'esecuzione sarà oggetto di un apposito processo di cognizione incidentale ma non potrà mai essere discussa nell'esecuzione.
Quindi l'unica ipotesi in cui l'esecuzione viene "rifiutata" attiene a questioni di rito. In altre parole l'unico provvedimento del giudice dell'esecuzione è l'accoglimento dal momento che il "rifiuto" per motivi di rito è appunto un "rifiuto" a provvedere.
Le condizioni minime indispensabili per emettere una misura esecutiva sono le stesse richieste per arrivare alla pronuncia sul merito in un processo dichiarativo (giurisdizione, competenza, capacità e legittimazione delle parti, rappresentanza tecnica).
A chi obietta che nel processo esecutivo viene meno il principio del contraddittorio poiché la pronuncia è a senso unico si può semplicemente far notare che il problema è inquadrato nell'ottica sbagliata. L'esistenza del diritto va data per scontata. A questo punto però le parti possono intervenire alla pari sul "come" svolgere l'esecuzione.
Passiamo ora ad analizzare la composizione dell'ufficio esecutivo. I giudici competenti per l'esecuzione forzata sono indicati negli art. 16 e 26 c.p.c.:
art. 16: per l'esecuzione forzata è sempre competente la Pretura, tranne che per l'espropriazione immobiliare per la quale è competente il Tribunale.
art. 26: territorialmente competente per l'espropriazione immobiliare e mobiliare è il giudice del luogo dove si trova il bene; per l'espropriazione dei crediti è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore; per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il giudice del luogo dove l'obbligo deve essere adempiuto; per l'esecuzione forzata per consegna e rilascio ritorna competente il giudice dove si trovano i beni.
La competenza territoriale è inderogabile dalle parti.
L'espropriazione forzata è il procedimento esecutivo mediante il quale si tutelano i crediti di somme di denaro. Trova il suo fondamento in due norme del codice civile e precisamente gli artt. 2740 (responsabilità patrimoniale del debitore) e 2910 (oggetto dell'espropriazione). Si svolge in tre momenti:
individuazione e conservazione dell'elemento attivo del patrimonio del debitore mediante il pignoramento;
liquidazione dell'elemento attivo;
soddisfazione del creditore con la distribuzione del ricavato.
Ai sensi dell'art. 491 il pignoramento è l'atto iniziale dell'espropriazione forzata con il quale si individuano e conservano i diritti del debitore da espropriare.
Esistono tre forme principali di pignoramento:
mobiliare: la richiesta è fatta dal creditore procedente all'ufficiale giudiziario in forma libera. Onde evitare indagini incerte e difficoltose circa la proprietà dei beni da sottoporre a pignoramento, l'ordinamento prevede il principio dell'appartenenza che tiene conto della dislocazione spaziale dei mobili. La scelta dei mobili da pignorare segue le regole degli artt. 513,514,515,516,517. L'ufficiale giudiziario, man mano che individua i beni li descrive nel verbale indicandone il valore approssimativo. Raggiunto un valore sufficiente alla soddisfazione del creditore, l'ufficiale giudiziario affida i beni in custodia o li porta via per collocarli in deposito.
immobiliare: l'individuazione dei beni da pignorare è in questo caso più semplice grazie all'esistenza di pubblici registri. E' sufficiente che il creditore individui i beni con gli estremi richiesti dal c.c.: natura del bene; comune in cui si trova; estremi catastali. Il creditore chiede all'ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento del bene immobile, individuato e descritto dal creditore stesso in un atto che assume forma scritta, ed è da lui sottoscritto. L'ufficiale giudiziario aggiunge a tale atto la sua ingiunzione e notifica il tutto al debitore esecutato. Dopodiché si trascrive l'atto di pignoramento nel registro immobiliare.
di crediti: qui l'ordinamento non si accontenta della semplice affermazione del creditore ma esige un pieno accertamento dell'effettiva esistenza, in capo al debitore, o del credito o della proprietà del bene mobile. Il pignoramento si effettua notificando al debitore esecutato e al terzo debitore un atto che deve contenere:
a) l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto;
b) l'indicazione, almeno generica, delle somme o cose dovute dal terzo debitore al debitore esecutato;
c) la citazione del terzo debitore a comparire davanti al pretore del luogo di sua residenza per rendere una certa dichiarazione.
La posizione del terzo debitore, dal momento in cui gli viene notificato il pignoramento, è quella del custode e non può più adempiere nei confronti del debitore esecutato. All'udienza fissata con l'atto introduttivo, il terzo debitore deve confermare l'affermazione che il creditore ha fatto e cioè se è veramente debitore di quella somma. In caso negativo (se non si presenta o ne nega l'esistenza) occorre accertare l'esistenza del credito pignorato. Il pretore non procede d'ufficio all'accertamento ma lo fa su istanza di parte.
Fra il pignoramento e la vendita forzata intercorre necessariamente un certo periodo di tempo durante il quale il creditore corre essenzialmente due rischi: 1) la modificazione della realtà materiale del bene oggetto del diritto pignorato; 2) la modificazione attinente alla titolarità del diritto pignorato.
L'ordinamento fa fronte a queste problematiche con alcune modifiche alla disciplina di diritto comune.
Ai sensi dell'art. 2912 il pignoramento comprende le pertinenze, gli accessori e i frutti del bene pignorato. L'art. successivo ci dice che gli atti di alienazione dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e degli eventuali creditori che intervengono nell'esecuzione (l'eccezione prevista riguarda i beni mobili posseduti in buona fede).
L'art. 2914 prevede quattro ipotesi che sostanzialmente risolvono il conflitto fra creditore procedente e il terzo attraverso gli stessi criteri con i quali l'ordinamento risolve il conflitto fra due aventi causa dello stesso dante causa, cioè fra due atti di alienazione, posti in essere dallo stesso alienante, equiparando il creditore procedente, nel conflitto con gli aventi causa del debitore esecutato, ad un avente causa del debitore stesso. Pertanto non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento:
le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, che siano state trascritte successivamente al pignoramento;
le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento;
le alienazioni di universalità di mobili che non abbiano data certa;
le alienazioni de beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atte avente data certa.
Gli artt. che vanno dal 493 al 497 analizzano alcuni istituti che si collocano fra il pignoramento e la vendita forzata.
art. 493 (pignoramenti su istanza di più creditori): più creditori possono con unico pignoramento colpire il medesimo bene.
art. 494 (pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario): il debitore può evitare il pignoramento versando nelle mani dell'ufficiale giudiziario la somma per cui si procede e l'importo delle spese, con l'incarico di consegnarli al creditore.
art. 495 (conversione del pignoramento): il debitore può chiedere di sostituire alle cose pignorate una somma di denaro pari all'importo delle spese e dei crediti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti.
art 496 (riduzione del pignoramento): il giudice può disporre la riduzione del pignoramento quando il valore dei beni pignorati è superiore all'importo delle spese e dei crediti.
art. 497 (cessazione dell'efficacia del pignoramento): il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi novanta giorni senza che sia stata richiesta l'assegnazione o la vendita.
Ai sensi dell'art. 499 l'intervento è aperto a tutti i creditori a condizione che pongano in essere un atto di intervento che contenga l'indicazione del credito e quella del titolo di esso. Il creditore quindi non ha bisogno di un titolo esecutivo né di provare l'esistenza del suo credito. Quest'ultima eventualità sorge solo qualora ci siano contestazioni al momento della distribuzione del ricavato.
Qualora il creditore non abbia nessun titolo esecutivo, si limiterà a partecipare passivamente alla distribuzione de ricavato. Se invece è provvisto di titolo esecutivo potrà compiere certi atti di impulso o addirittura provvedere ad un altro pignoramento per salvaguardarsi da un eventuale caducazione del procedimento già in corso.
Vediamo ora i diversi tipi di intervento previsti dal nostro ordinamento per:
espropriazione mobiliare e di crediti, che comprende l'espropriazione diretta verso il debitore, e l'espropriazione verso i terzi;
espropriazione immobiliare;
Nella prima ipotesi è richiesto un credito certo ed esigibile; nella seconda non occorre l'esigibilità.
Una particolare disciplina riguarda i creditori privilegiati. Alcuni di essi infatti devono essere avvertiti della pendenza del processo esecutivo poiché la vendita forzata ha l'effetto di estinguere i diritti di prelazione che gravano sul bene. Tali creditori devono quindi avere la possibilità di intervenire nell'esecuzione per partecipare alla distribuzione del ricavato secondo l'originale diritto di prelazione.
Analizziamo adesso il secondo momento del processo d'espropriazione, il momento in cui il diritto pignorato viene liquidato. Naturalmente questa attività non è necessaria se il bene pignorato consiste in una somma di denaro.
L'art. 501 prevede un termine minimo per la domanda di assegnazione o vendita di dieci giorni dalla data del pignoramento (tranne il caso in cui i beni pignorati siano deteriorabili). Tale termine dilatorio ha due funzioni:
consentire al debitore di reagire al pignoramento, per esempio con una istanza di conversione, di riduzione, con le opposizioni;
dare agli altri creditori un minimo di tempo per poter intervenire nell'esecuzione.
Trascorso questo termine, l'art. 529 ci dice che il creditore procedente e i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni.
I modi per procedere alla liquidazione sono la vendita e l'assegnazione:
nella vendita il soggetto che diventa titolare del diritto pignorato al posto dell'esecutato può essere qualunque soggetto, tranne il debitore esecutato;
nell'assegnazione il diritto viene trasferito ad uno dei creditori.
L'assegnazione può assumere due diverse configurazioni:
il creditore si rende assegnatario soddisfacendosi in tutto o in parte del proprio credito attraverso l'attribuzione del diritto pignorato (assegnazione satisfattiva). Ha il duplice effetto di trasferimento del diritto pignorato dal debitore al creditore e di estinzione del credito verso il debitore).
il creditore per rendersi assegnatario paga una somma di denaro (assegnazione vendita). La somma versata sarà oggetto di distribuzione come se il bene pignorato fosse stato venduto.
I rapporti tra la vendita e l'assegnazione sono i seguenti:
vi sono beni che debbono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita: i crediti pignorati che siano scaduti o che scadano entro 90 giorni.
vi sono beni che possono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita: i titoli di credito e le cose il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato.
vi sono beni che debbono essere assegnati dopo un tentativo di vendita fallito: gli oggetti d'oro e d'argento non possono essere in nessun caso venduti per un prezzo inferiore al valore intrinseco.
tutti gli altri beni possono essere assegnati dopo un primo tentativo di vendita fallito.
Per garantire che il prezzo di assegnazione non sia un prezzo di favore effettuato dai creditori in accordo tra loro all'interno del procedimento di espropriazione, viene stabilito un valore minimo di assegnazione che non sia inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell'offerente.
Quindi il valore dell'assegnazione è il maggiore tra questi due valori:
il valore di stima del bene;
la somma delle spese di esecuzione e dei crediti che hanno prelazione e che sono collocati anteriormente al creditore offerente.
Quando, decorsi i dieci giorni dal pignoramento (ed entro gli ottanta successivi) viene fatta un'istanza di vendita o di assegnazione, il giudice deve fissare un'udienza per sentire le parti circa l'assegnazione, il tempo e le modalità della vendita. Inoltre le parti devono proporre a pena di decadenza le opposizioni agli atti esecutivi se non sono già decadute dal diritto di proporle.
Qualora non ci siano opposizioni, si sia raggiunto un accordo o ci sia una sentenza che le rigetti, si arriva alla fase della vendita. Viene quindi nominato uno stimatore che provvede alla valutazione dei beni.
Iniziamo dall'espropriazione mobiliare. I modi di liquidazione del bene mobile sono essenzialmente due:
la vendita a mezzo commissionario: consiste nell'affidare la vendita del bene mobile previamente stimato ad un soggetto privato che lo vende con trattativa privata.
la vendita all'incanto: normalmente la vendita è affidata agli istituti vendite giudiziarie. Viene stabilito un prezzo minimo per l'incanto, viene fissata la data dell'incanto e nei giorni precedenti all'incanto l'incaricato si reca a ritirare i beni mobili dal custode. Se la vendita fallisce abbiamo due possibilità: a) che si abbia l'assegnazione su richiesta di uno o più creditori; b) se nessuno chiede l'assegnazione, il giudice dispone una seconda vendita a prezzo libero.
Vediamo ora come si liquidano i crediti.
Per la perfezione del pignoramento, sono necessarie o una dichiarazione conforme del terzo o una sentenza che accerta l'esistenza del diritto di credito. Dopo di che il rinnovamento si perfeziona e si può procedere alla liquidazione del credito. Tale liquidazione si ha necessariamente attraverso il trasferimento del credito ad un soggetto diverso da colui che ne era titolare, ossia il debitore esecutato.
Il trasferimento del credito avviene secondo due modalità diverse a seconda che il credito sia già scaduto o scada entro 90 giorni, oppure che scada in un periodo successivo. Nel primo caso si ha una ipotesi di assegnazione coattiva che determina, dal punto di vista del diritto sostanziale, gli stessi effetti di una cessione credito. Naturalmente le eccezioni ottenibili dal terzo debitore non devono contrastare con il contenuto vincolante della dichiarazione della sentenza. Nel secondo caso i crediti possono essere assegnati, se i creditori ne fanno domanda, o venduti nel caso contrario. Se il credito è venduto significa che si troverà un soggetto il quale si rende cessionario di quel credito pagando una certa somma, che ovviamente sarà inferiore al valore nominale del credito.
L'udienza con cui si stabiliscono le modalità per la vendita dell'immobile si svolge in modo analogo a tutte le altre forme di espropriazione. Di diverso ci sono solo le modalità con cui si arriva alla liquidazione del bene e che sono:
a) la vendita senza incanto: consiste in un invito a fare la propria offerta in cancelleria in busta chiusa, offerta che rimane sconosciuta fino a che non vengono aperte le buste. Possono partecipare tutti gli interessati tranne il debitore esecutato. Se l'offerta maggiore non supera di ¼ il valore del bene stabilito è sufficiente il dissenso di un creditore per far respingere l'offerta e procedere con la vendita all'incanto. Negli altri casi è il giudice a stabilire se accettare il prezzo o tentare l'incanto.
b) la vendita con incanto;
Il decreto con cui il giudice pronuncia il trasferimento del diritto sul bene ha l'effetto di estinguere trascrizioni di pignoramenti e iscrizioni ipotecarie. Questo costringe il creditore ipotecario a partecipare all'espropriazione del bene ed a riprendersi la somma che gli spetta anche prima del termine che egli aveva pattuito.
Il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio, cioè per ottenere la consegna del bene acquistato, nei confronti del custode ma non nei confronti dei terzi possessori (verso i quali andranno spesi gli ordinari mezzi di tutela di diritto comune come la rivendicazione o la restituzione).
Qualora l'incanto fallisca e non ci siano richieste di assegnazione il giudice può, o disporre un secondo incanto con prezzo base ribassato di 1/5, oppure procedere con l'amministrazione giudiziaria del bene.
Ai sensi dell'art. 2919 c.c. "la vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede".
La vendita forzata da luogo ad un acquisto a titolo derivativo (ricordando che si ha acquisto a titolo derivativo quando sussiste in capo al dante causa una situazione sostanziale uguale o maggiore rispetto a quella acquistata; si ha invece acquisto a titolo originario quando in capo al dante causa non esiste un diritto uguale o maggiore di quello acquistato).
Per questo motivo se colui che ha subito l'espropriazione non era effettivamente titolare del diritto pignorato, l'acquirente in vendita forzata non acquista niente in pregiudizio del terzo estraneo.
Vediamo ora il caso previsto dall'art. 2812 c.c. sui "diritti costituiti sulla cosa ipotecata". Abbiamo due categorie di terzi acquirenti (e relative discipline):
terzi che hanno acquistato servitù, usufrutto, uso o abitazione: il creditore ipotecario deve notificare il titolo esecutivo e il precetto al solo debitore e non al terzo;
superficie, enfiteusi, proprietà nuda o piena: il creditore ipotecario dovrà notificare il titolo esecutivo e il precetto anche al terzo acquirente che assumerà il ruolo di esecutato.
Benché esista un perfetto parallelismo fra vendita di diritto comune e vendita forzata, ci sono tuttavia alcune differenze:
nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per i vizi della cosa;
la vendita forzata non può essere impugnata per causa di lesione;
nella vendita forzata abbiamo l'estinzione dei diritti reali di garanzia sui beni oggetto della vendita.
L'art. 509 ci dice che la somma oggetto della distribuzione è composta da quanto proviene a titolo di prezzo o conguaglio, rendiconto o provento di cose pignorate, multa e risarcimento danni da parte dell'aggiudicatario. La graduazione dei crediti è la seguente:
spese di procedura;
creditori con diritto di prelazione;
creditori chirografari tempestivi;
creditori chirografari tardivi;
debitore esecutato per l'eventuale residuo.
Vediamo ora come si forma il piano di riparto.
Per quanto riguarda l'espropriazione mobiliare esiste una duplice possibilità:
i creditori presentano al pretore un piano di riparto concordato tra loro, già predisposto e sottoscritto da tutti i creditori;
qualunque creditore chiede che si proceda alla distribuzione della somma ricavata: il giudice predispone un piano di riparto e qualora non ci siano contestazioni si procede con la distribuzione.
Per l'espropriazione immobiliare le modalità di formazione del riparto sono diverse, perché qui il giudice procede d'ufficio, senza bisogno dell'istanza di parte, o di un piano concordato. Il giudice prepara un piano di distribuzione, lo deposita in cancelleria e fissa un'udienza; il cancelliere avvisa i creditori e il debitore; le parti hanno dieci giorni per consultare il piano di riparto.
Approvato il piano di riparto o risolte le contestazioni, il processo esecutivo si chiude con l'emissione dei mandati di pagamento da parte del cancelliere.
A questo punto viene da chiederci quali margini esistano per discutere la conformità al diritto di ciò che è stato distribuito ai vari creditori. La distribuzione del ricavato non può avere una efficacia stabilizzante della distribuzione stessa perché questa efficacia costituirebbe un effetto eccedente rispetto alla sua funzione; non può essere vista nella inattività del debitore una forma di accettazione tacita del piano di riparto perché l'adempimento spontaneo non ha nessun effetto preclusivo in ordine all'esistenza del diritto, nessun effetto di stabilizzazione dell'esistenza del diritto adempiuto; e se questo effetto non consegue ad un comportamento attivo quale quello dell'adempimento spontaneo, tanto meno può conseguire ad un comportamento omissivo quale quello della mancata contestazione del risultato del piano di riparto.
La distribuzione del ricavato può essere l'occasione perché nascano delle controversie che riguardano il piano di riparto.
A tal proposito è da notare che per quanto riguarda la contestazione della sussistenza del diritto del creditore procedente abbiamo una sovrapposizione tra due strumenti difensivi che sono la contestazione ai sensi dell'art. 512 o l'opposizione ai sensi dell'art. 615.
La dottrina risolve questa concorrenza considerando oggetto delle contestazioni ex art. 512 la sussistenza, l'ammontare e le ragioni di prelazioni dei crediti degli intervenuti; l'ammontare e le ragioni di prelazioni del credito del creditore procedente. La sussistenza del credito del creditore procedente rientra invece nell'opposizione all'esecuzione ex art. 615.
Secondo un principio generale, perché il giudice possa giungere a decidere nel merito, occorre che sussista l'interesse ad agire. Da questo deriva che:
il debitore potrà contestare la sussistenza dei crediti di tutti i creditori (tranne il procedente) e l'ammontare di tutti i crediti poiché ha interesse ad estinguere i debiti realmente esistenti;
il debitore non può contestare l'esistenza delle ragioni di prelazione;
i creditori possono contestare le ragioni di prelazione e l'ammontare dei crediti di altri creditori, se da ciò possono trarre un vantaggio;
L'art. 599 prevede la possibilità di pignorare beni indivisi. In altre parole sarà possibile pignorare la contitolarità di un diritto reale.
Il giudice, qualora il bene non sia fungibile e quindi divisibile in natura, dovrà valutare se sia più conveniente la vendita della quota o procedere alla divisione giudiziale del bene.
Si ha espropriazione contro il terzo proprietario nelle due ipotesi previste dall'art. 602:
espropriazione di un bene gravato da pegno o ipoteca per un debito altrui;
bene la cui alienazione da parte del debitore sia stata revocata per frode.
Il processo esecutivo contro il terzo proprietario si apre con il precetto al debitore sul piano sostanziale e la notificazione di tale precetto e del titolo esecutivo al terzo proprietario. Quest'ultimo ha i seguenti strumenti per impedire l'espropriazione:
il terzo proprietario può pagare ponendo in essere l'adempimento di un debito altrui;
l'acquirente del bene ipotecato chiede la liberazione dei beni dalle ipoteche;
l'acquirente del bene ipotecato rilascia il bene ai creditori.
Il debitore non esecutato e l'esecutato non debitore sono parti necessarie. Possono intervenire i creditori del terzo esecutato e non quelli del debitore non esecutato. Lo strumento con il quale l'esecutato si difende nei confronti delle pretese del creditore procedente è l'opposizione all'esecuzione, con la quale si contesta il diritto del creditore istante di procedere all'esecuzione forzata
Sappiamo che la tutela in via di esecuzione forzata ha luogo quando siamo di fronte alla violazione di un obbligo di comportamento da parte di un certo soggetto. Quando tale violazione consiste nel mancato pagamento di una somma di denaro, la tutela esecutiva si attua nelle forme dell'espropriazione forzata; quando riguarda un comportamento diverso l'ordinamento prevede due possibilità:
gli obblighi di consegna di una cosa determinata danno luogo all'esecuzione per consegna o rilascio;
ogni altro tipo di attività che l'obbligato omette di tenere dà luogo all'esecuzione per obblighi di fare.
A differenza dell'espropriazione, l'esecuzione per consegna o rilascio consente al creditore procedente di perseguire il bene nei confronti del soggetto che è effettivamente in quel tempo detentore.
Da un punto di vista procedurale l'esecuzione per consegna o rilascio inizia con un precetto che deve contenere la descrizione dei beni. L'ufficiale giudiziario procede con la ricerca del bene ovunque si trovi e lo consegna all'istante o a persona da lui designata.
Il modo di trasferimento del possesso dell'immobile dipende dal modo in cui si esplica il possesso su quel bene, ed a quale diritto il titolo esecutivo si riferisce. L'immissione nel possesso può anche essere simbolica per i luoghi aperti.
A norma dell'art. 612, "chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al pretore che siano determinate le modalità dell'esecuzione".
Le spese di esecuzione sono a carico dell'esecutato e il giudice deve scegliere le modalità di esecuzione che garantiscano il risultato ma che non siano onerose più del necessario per l'esecutato.
L'oggetto dell'opposizione all'esecuzione è la contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Manca il diritto a procedere ad esecuzione forzata sia quando la situazione sostanziale esiste ma non ha diritto alla tutela esecutiva sia quando c'è il diritto alla tutela esecutiva ma la situazione sostanziale è inesistente:
mancanza di titolo esecutivo in senso sostanziale: l'opponente può negare il diritto a procedere a esecuzione sostenendo che la parte istante non ha tale diritto perché esso non è mai esistito o è venuto meno (inefficacia originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo).
Sappiamo che nel processo esecutivo non c'è un ambiente idoneo a decidere e quindi a risolvere le questioni di rito. Per questo motivo, mentre nel processo di cognizione il giudice può decidere sul rito e sul merito, in quello esecutivo serve uno strumento che permetta di aprire un processo di cognizione per decidere sul rito. Tale è appunto l'opposizione agli atti esecutivi.
Ex art. 617 l'opposizione agli atti esecutivi deve essere proposta entro cinque giorni: termine perentorio decorrente dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza dell'atto viziato. Vi sono differenze fra le due categorie di nullità degli atti del processo:
nullità formali: danno luogo ad un vizio dell'atto che è rilevabile, di regola, dalla sola parte interessata o dal giudice nei casi previsti dalla legge. La mancata proposizione dell'opposizione determina la sanatoria del vizio dell'atto processuale.
nullità extraformali: sono tutte rilevabili d'ufficio. Tutti gli atti del processo sono viziati per un loro vizio originario in quanto posti in essere in carenza di un presupposto processuale.
L'opposizione agli atti esecutivi è uno strumento che può essere utilizzato da tutti coloro che sono parti del processo. Vediamone ora la procedura.
Se l'esecuzione è proposta prima dell'inizio dell'esecuzione, essa va proposta con citazione. Se è proposta dopo l'inizio dell'esecuzione, si deve depositare il ricorso presso il giudice dell'esecuzione il quale fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e da un termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti.
La sentenza che decide l'opposizione agli atti esecutivi è dichiarata non impugnabile dall'art. 618 (a parte il ricorso per Cassazione). Per stabilire se una sentenza va qualificata come opposizione all'esecuzione (ricorribile in appello) o opposizione agli atti esecutivi (ricorribile solo per Cassazione) fa fede la qualificazione che ha dato il giudice all'opposizione e non la reale natura della stessa.
Le nullità del processo esecutivo perdono rilevanza con la sua chiusura e non possono essere fatte valere al di fuori del processo esecutivo.
Ai sensi dell'art. 619, il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell'esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione. Il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti al fine di raggiungere un accordo. Se tale accordo non è raggiunto provvede all'istruzione della causa (se competente) o fissa all'opponente un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti al giudice competente.
Se i beni del terzo sono già stati venduti (perché il giudice non ha sospeso la vendita o perché l'opposizione è tardiva), i diritti del terzo si fanno valere sul ricavato.
A norma dell'art. 623 la sospensione può essere:
prevista dalla legge: quando il processo di cognizione incidentale riguarda l'oggetto del processo esecutivo e non l'oggetto dell'esecuzione forzata (artt. 548 e 601).
disposta con un provvedimento del giudice davanti a cui è impugnato il titolo esecutivo: quando il processo di cognizione ha per oggetto l'esistenza del credito.
disposta con provvedimento del giudice dell'esecuzione: quando il processo di cognizione ha per oggetto il diritto a procedere ad esecuzione forzata oppure l'oggetto dell'esecuzione e non del processo esecutivo (in caso di opposizione di terzo).
Le ipotesi che portano all'estinzione del processo esecutivo sono analoghe a quelle previste dagli artt. 306 e ss. per il processo di esecuzione.
rinuncia agli atti del processo esecutivo: la rinuncia proviene sempre e necessariamente dal creditore procedente ed è soggetta ad un regime di accettazione che è diversificato. Il debitore non deve accettare tale rinuncia e non può pretendere la prosecuzione del processo esecutivo. Il regime dell'accettazione della rinuncia da parte dei creditori intervenuti è differente a seconda che la rinuncia avvenga prima o dopo la vendita. Fino a quando non viene emesso il decreto di trasferimento, la rinuncia agli atti deve essere accettata dagli altri creditori intervenuti con titolo esecutivo, che potrebbero sostituirsi al creditore procedente inattivo nel compiere gli atti necessari per il processo di espropriazione. Dopo la vendita è invece necessaria l'accettazione di tutti i creditori concorrenti intervenuti, anche senza titolo esecutivo.
inattività delle parti: l'eccezione di estinzione deve essere proposta dalla parte prima di ogni altra sua difesa e opera di diritto. Una volta che il giudice l'abbia dichiarata, la dichiarazione di estinzione retroagisce al momento in cui è maturata la fattispecie estintiva. Quindi la pronuncia con cui il giudice dichiara l'estinzione del processo è retroattiva al momento in cui l'estinzione si è verificata. Nel processo di esecuzione, a differenza di quello di cognizione, viene emessa sempre sentenza, sia che la questione sia accolta o respinta.
IL PROCESSO DI ESECUZIONE IN BREVE.
Se la parte soccombente non ottempera spontaneamente alla sentenza notificatale, il vincitore può instaurare un processo di esecuzione che può essere iniziato da parte del creditore anche con il semplice possesso di una cambiale, di un atto notarile, ecc. Il processo di esecuzione di solito assume la forma del processo di espropriazione forzata dei beni mobili (o immobili) del debitore, anche se detenuti da terzi; i beni sono prima pignorati dall'ufficiale giudiziario e poi venduti all'asta o assegnati in proprietà al creditore a soddisfazione del credito. Il processo di esecuzione può anche assumere la forma dell'esecuzione forzata per consegna o rilascio dove si tratti di consegnare al creditore una determinata cosa mobile o immobile, e quella dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, a spese del debitore che non li abbia volontariamente adempiuti.
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