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Diritto vivente




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Diritto vivente


VITA

Il concetto di diritto vivente è già conosciuto ed elaborato nell'antica Grecia. Sia Platone che Archita (il primo ad identificare il diritto vivente con nomos empsychos) elaborano questo concetto del Jus o Nomos (prima che si identificasse definitivamente dikaion con ius, la tradizione aristotelica parlava di un'idea del giusto, consegnata alle leggi, come empsychon), che si sdoppia in un corpo, costituito da un complesso di norme scritte e da un'anima, costituita dalla applicazione e dalla modificazione da parte delle legittime autorità di detto corpus iuris alla luce dei principi giuridici che, tempo per tempo, permeano la società. Il corpus juris è inteso non come un meo contenitore di norme giuridiche, ma come un vero e proprio organismo parificato ad un corpo fisico. 

L'aver collocato la legge dentro il gioco di psychè e di soma, anima e corpo, ha consentito di declinare il diritto e la giustizia nella dimensione del vivente. Il vivente, dunque, rimanda a quel gioco della vita in cui corpo e anima saranno luoghi in cui si incarna il diritto con tutte le sue complessità e le sue contraddizioni.

La similitudine con il corpo fisico è in questa definizione di Platone: vivente o animato è l'organismo che si muove dall'interno, non vivente l'organismo che viene mosso dall'esterno.

Questo corpus iuris, nella elaborazione filosofica ad opera soprattutto di Aristotele ed Epicureo, è dotato di un'anima, consistente nei principi generali, che integrano le norme codificate, e che pone in essere un dualismo, che talvolta avvicina e talvolta allontana, i principi universali o legge non scritta al diritto codificato.

I filosofi greci sviluppano il concetto che obiettivo degli organi dello stato o più in generale del settore giustizia, sia l'avvicinamento, quanto più possibile, delle norme scritte ai principi universali.

Il filosofo Archita fa un curioso paragone: la legge sta all'anima come la musica sta all'udito, e le comunità dipendono da chi comanda, da chi ubbidisce alle leggi, con il primato che spetta alla legge.

Concetto sviluppato nella città ideale di Pericle, nella quale la legge è regolata dal consenso e dalla persuasione del popolo, in quanto una legge senza consenso introdotta dall'alto, è pura tirannia.

Macchine semoventi

La natura, ossia l'arte per mezzo della quale Dio ha fatto e governa il mondo, viene imitata dall'arte dell'uomo, oltre che in molte altre cose, anche nella capacità di produrre un animale artificiale.

il filosofo Hobbes, introduce il concetto del Leviatano, che è un corpo imperfetto creato dall'uomo costituito dallo Stato, che è paragonato ad un uomo artificiale che, pur essendo imperfetto, è dotato di forza e statura superiore a quella dell'uomo.

raffigura il Leviatano come un uomo artificiale o un dio mortale, la cui anima è rappresentata dalla sovranità, che dà vita al corpo.La sovranità è l'anima, gli apparati di giustizia ed amministrativi le articolazioni, la prosperità dello stato è la forza del corpo, e la salute del popolo è l'obiettivo cui aspira l'anima del leviatano stesso. La concordia è quindi la salute, mentre la guerra civile la morte.

Continuità discontinue

La giustizia, in particolare, è motivata dalla necessità di sostituire la vendetta privata dalle punizioni previste dalla legge, e disgiungere, con la sentenza del giudice, a mettere l'ultima parola nelle controversie che si presentano tra i cittadini, che altrimenti non avrebbero mai fine.Concetto questo sviluppato nella parabola di Oreste, nella quale le Furie, che rappresentano la vendetta privata, sono convinte dagli Dei a no perseguitare ulteriormente Oreste per le sue colpe, che verranno giudicate da uomini, che formuleranno il verdetto in base alle norme giuridiche vigenti, verdetto che sarà poi applicato ad Oreste, nel bene o nel male.

I sistemi storici, quando cambiano, si portano dietro un po' di cose. Non possono creare la storia dal nulla (continuità discontinua: esempio del bambino che in un ambiente estraneo porta con sé l'orsacchiotto).

En archè

È nel Detto di Anassimandro che l'idea di vivente trova la sua più chiara evidenza: il testo (commentario della fisica di Aristotele) dice: principio (archè) degli enti è l'infinito (apeiron), dove infatti essi hanno origine li hanno anche la fine secondo necessità poiché essi pagano l'uno all'altro il fio dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo. Le cose che vengono a esistenza hanno origine e fine in quell'apeiron infinito, che è l'archè, principio e comando.

Vita e morte sono le parole del vivente per Anassimandro, e si incorporano in un'idea di giustizia che obbligherà a pagare la colpa dell'ingiustizia. Pagare per l'ingiustizia vuole dire restituire l'equivalente della colpa attraverso un calcolo contabile che leggi prevederanno  e giudici applicheranno: si chiamerà giustizia commutativa, capace di trasformare colpe e danni in pene, grazie al comando della legge (archè).

Non vi può essere giustizia se non in riferimento all'ingiustizia ed è li che si scopre una complicità rivale di un'ingiustizia della giustizia e di una giustizia dell'ingiustizia (pharmakon platonico che sancisce l'identità di cura e malattia, veleno e antidoto).

Il fiume in uno stagno

La definizione moderna di diritto vivente, anche alla luce delle recenti teorie pluraliste del diritto, si rinviene in una frase di Erlich, che dice testualmente: anche nel tempo presente, come in ogni altra epoca,il centro di gravità dello sviluppo del diritto non si trova nella legislazione né nella scienza né nella giurisprudenza, ma nella società stessa." Il diritto vivente comincia ad essere qualcosa che racchiude e accomuna tutte quelle dimensioni: come voler racchiudere l'impetuosa corrente di un fiume in uno stagno.

E anche qui è la vita che vince sulle forme: il diritto non abita nei concetti ma nella comunità, nei gruppi, nella religione, nella vita economica ecc.

Le vite plurali del diritto

Il diritto vivente è eccedente: ciò significa che la vita offre sempre delle chances in più rispetto alle soluzioni presenti nelle proposizioni giuridiche

Un aspetto particolare del diritto vivente è la performatività e cioè il fatto che una enunciazione di un fatto nuovo ( ad es. nuovi aspetti del diritto di famiglia, diritto posto in essere da importanti gruppi economici nell'elaborazione di contratti col pubblico, ecc) si trasforma automaticamente in una situazione giuridica nuova.

Altro carattere è l'effettività, nel senso di concreta osservanza da parte dei destinatari, e quello di essere diritto vincente nei confronti di modelli soccombenti.


CORPO

Mentre l'anima del diritto è costituita dai principi generali, il corpo è costituito dalla popolazione e dagli organi dello stato, con l'uomo che è visto come misura per tutte le cose.

Con il progredire delle scienze naturali ed in particolare della genetica, è mutato il concetto stesso di umanesimo: quello tradizionale difendeva il diritto e le libertà dell'individuo, quello attuale riguarda più la salvaguardia dell'individuo e della stessa umanità dai riflessi negativi che possono nascere in seguito alle scoperte già fatte o in fieri delle discipline scientifiche.

La domanda principale che si pone diventa la seguente: quale è il limite che il diritto pone alle manipolazioni genetiche? La normatività si incardina dentro la pensabilità di un katechon, di una soglia da non varcare.

Casi pratici specifici si rinvengono nel caso Welby (per quanto concerne l'eutanasia) e nel caso Perruche ( per quanto concerne il diritto a non essere messo al mondo in presenza di gravi patologie prenatali).

Blurring of genres

Riguarda la "confusione" tra coppia materiale/immateriale trascendente/immanente.

Ed è qui uno dei punti più alti della riflessione del pensiero occidentale: a differenza degli onta (gli enti per Anassimandro) solo dunque ciò che muove se stesso, in quanto non può abbandonare se stesso, mai cessa di essere in moto.

L'anima è immortale perché è l'archè, principio che genera tutto; e smetterebbe di essere tale se venisse generato da qualcosa d'altro. È immortale allora ciò che si muove da sé ed è principio di ogni movimento: questa è la ragione per cui ogni corpo il cui movimento è generato dall'esterno, è inanimato. Soltanto i corpi che ricevono il movimento dall'interno sono empsycha, animati.

Incidenti cartesiani: l'archè sta tutta nell'idea di un corpo come campo semantico, in cui i tanti elementi hanno tutti rilevanza nella loro singolarità e nel loro intreccio. Anche il gioco dell'identità si ridefinisce nel campo del corpo.

La soluzione è quella dell'identità che si trasferiva nel continuatore più prossimo. Immaginiamo che dopo la diaspora tre membri del Circolo si siano rifugiati ad Istanbul e che abbiano continuato a riunirsi perpetuando l'attività di Vienna. Il circolo di vienna è a Istanbul fin quando non ci si accorge che nove altri membri sopravvissuti si sono riuniti negli Stati uniti e hanno continuato a loro volta l'attività del circolo. Ora il circolo di Istanbul ha smesso di essere il continuatore più prossimo del circolo di vienna nel momento in cui ci si accorge che il nuovo vero continuatore più prossimo era invece negli stati uniti

Esempio della nave di Teseo: La nave di Teseo, come tutti gli oggetti materiali, ha bisogno di manutenzione, ed in forza di ciò le sue travi malandate vengono sostituite con travi nuove, sino al punto che tutte le travi sono sostituite.Se le vecchie tavole sono state conservate e non distrutte, e con esse si è costruita una nuova nave, quale è l'autentica nave di Teseo, quella che ha conosciuto lavori di manutenzione nel tempo (identità contenitore), oppure quella che è composte di tutte le originarie parti della nave stessa (identità contenuto)?

Il corpo umano è visto nella sua integrità come soggetto di diritto, ma contestualmente si assiste alla mercificazione con riduzione a mero oggetto di diritto delle parti del corpo umano separate dal resto del corpo, con ciò affermando sia il carattere di macchina del corpo sia il suo esatto contrario, e ribadendo e negando allo stesso tempo la disponibilità e proprietà del proprio corpo.

Come si vede il problema dell'identità del corpo umano è molto complessa.Il caso Moore ne è un esempio: a questo signore, malato di leucemia, sono state spiantate alcune cellule del corpo e ne è stata fatta una cultura.Questa cultura è stata sfruttata commercialmente dai medici che hanno spiantato le cellule.Chi è il proprietario di queste cellule, il proprietario del corpo da cui sono state spiantate o chi ha spiantato e manipolato le cellule stesse?il conflitto era tra il proprietario del corpo e chi ne aveva valorizzato le relative informazioni (artifex). Si parla ancora di res corporales e incorporares.

Costruttivismi.

Il problema dell'identità ha due aspetti: quello legato alla specificazione e quello legato alla durata del tempo.

La natura, si sa, cambia nel tempo con un  movimento ambivalente per cui le cose rimangono uguali e sono nello stesso tempo diverse. È proprio il carattere intertemporale pone problemi alla definizione e alla regolazione dell'identità che continua attraverso discontinuità: le cose, e le persone, diventano altro rimanendo le stesse.

La metafisica fantastica di Vico tende a raffigurare tutti gli oggetti del mondo che ci circonda in maniera antropomorfica, e cioè come parti di un corpo umano ( ad es.si dice lingua di mare, labbro l'orlo di un vaso, bocca in genere qualsiasi apertura, ecc) in quanto vi è la tendenza dell'uomo a farsi regola dell'universo, ad auto-osservarsi, auto-regolarsi, auto-descriversi.

La grande ragione del corpo

Per Nietche la vera malattia del corpo è il disprezzo per il corpo stesso. Si parla poi della differenza tra riconoscimento e riconoscenza.

Corpo a corpo

La teoria di Elias Canetti parte dal presupposto che tutte le norme a protezione del corpo fisico nascono dalla "paura" di essere toccato, ed in forza di ciò vengono creati spazi di sicurezza tra i vari corpi, che si presentano come mulini a vento in una immensa pianura.

Infine il diritto è venuto acquistando effetto compensativo, nel senso che con la compensazione si traducono in danni risarcibili tutte le pene e sofferenze patite da chi è stato vittima di illeciti comportamenti altrui.

Economie politiche dei corpi.

Si parla di come venivano trattati i corpi prima dell'Illuminismo e dall'Illuminismo in poi: come dice Foucault se il vecchio diritto di sovranità consisteva nel diritto di far morire o di lasciar vivere, il nuovo diritto sarà quello di far vivere e di lasciar morire.

Salviamo le possibilità

Qual è il limite del diritto? Oggi di fronte alla questione bioetica, il diritto si trova a dover regolamentare, scegliendo tra vietare, consentire o consentire a determinate condizioni, quello che la tecnologia ci dice che è possibile fare. Per questa via il compito del diritto spesso diventa quello di sancire che non possiamo fare tutto quello che per la tecnologia possiamo fare. Quanto più è difficile la decisione che coinvolge valori propri di tanti altri sistemi (l'etica, l'economia, la religione ecc.) tanto più la regolamentazione giuridica sarà procedurale. In tal modo non si ha interferenza tra i valori propri del diritto con i valori propri di altri sistemi. L'identità del diritto sta tutta nella scommessa della sua differenza rispetto ad altri sistemi.

Il linguaggio del diritto non potrà mai essere soltanto quello del divieto o soltanto del permesso; dovrà essere le due cose. Dove si tratta di scelta dovrà consentire che la scelta sia possibile. Dovrà lasciar liberi gli individui di scegliere nell'intera pienezza come soggetti morali. Il caso di Welby deve esser letto come un'occasione mancata per l'identità del diritto e la sua separazione dalla morale.


TECNICA

Rispetto al pensiero filosofico della tradizione giuridica, vi è stata una vera e propria rivoluzione apportata dalla tecnica. La macchina (=tecnica) costituisce il nemico della tradizione. Le invenzioni moderne, le macchine, le nuove tecnologie sono manifestazioni di una Potenza tecnica smisurata, alla quale gioco forza il diritto si è dovuto adeguare.

il doppio legame tra diritto e violenza

Un altro importante principio generale che si è andato affermando nelle moderne democrazie è il trincio dell'uguaglianza.

Secondo Benjamin il diritto ha un forte legame con la violenza.La violenza originaria, che è l'unica fonte creatrice del diritto, si trasforma da illegittima a legittima quando diviene espressione della maggioranza sociale dominante, che la codifica attraverso norme imperative.

La vita del diritto sta tutta qui, in queste oscillazioni tra i due poli dell'ambivalenza (del diritto che pacifica usando la violenza, usa la violenza pacificando); la sua è una storia di giuste dosi da cercare tra i due opposti.

Il gioco dell'oscillazione è chiaro quando Esposito ricostruisce una semantica della tecnica attraverso il mito del dono ( es. ambivalenza del dono della scrittura).

Possiamo fare?

Il principio sulla base del quale viene gestita questa rivoluzione apportata dalla tecnica è quello della dignità della persona umana, che alla luce di questo principio enucleato volta per volta da comitati etici, fa si che il diritto vieti o permetta determinati casi specifici. (accanimento terapeutico, aborto, ecc). cos'è la dignità dell'uomo, morire senza ulteriori sofferenze o sopravvivere attraverso un accanimento medicale che lasci aperto l'impossibile principio speranza? L'esempio più tipico è quello dell'aborto, conteso tra il diritto individuale della donna e l'intangibilità del feto. La questione è giunta a questo nodo preciso: quello che accomuna diritto e tecnica non è la logica della potenza, ma quella del'ambivalenza: di quell'ambivalenza che vive della complicità dei contrari (es. giusto-ingiusto, bene-male) e che non può che oscillare tra di essi.

La tecnica, come il diritto, vive dentro la società e opera al suo interno.

Chiedere al diritto di vietare e fermare la tecnologia sarebbe contrario alla stessa funzione del diritto, che si negherebbe negando la possibilità dei diritti individuali e della solidarietà di cui si fa portatore.

E' la tecnica che conduce il gioco, ed il diritto deve seguire le evoluzioni tecniche in maniera positiva, per quanto concerne i problemi giuridici che si verranno a creare, come trapianti di organo (che può mettere in crisi l'idea proprietaria del corpo, ma non quella solidaristica a venire incontro a un altro essere) o manipolazioni genetiche, che devono essere permesse e regolamentate se indirizzate a fini di solidarietà.

Il compito del diritto deve essere quindi quello di salvare il maggior numero di possibilità non vietando ma consentendo, lasciando ad altri sistemi la gestione del tragico. Questo significa aprire ragionevolmente alle possibilità della tecnologia, ma non assumersi alcun compito etico. Vale per l'aborto, per la procreazione assistita, per l'eutanasia ecc.

Se sceglierà il modello della chiusura, andrà incontro a con-fusioni con morali e religioni, lascerà che la potenza della tecnica lo travolga collocandosi su terreni scivolosi e incontrollabili.


ARCHIVIO

L'archivio è la grande metafora del nostro tempo. Si archivia un procedimento, si conserva in archivio qualcosa, nell'archivio si mette ordine. L'archivio conserva memoria del tempo in un luogo.

Sedimenta le informazioni, racconta della loro esistenza.

Ne seguiremo alcune tracce lungo quel cammino che vede incrociarsi il sapere delle informazioni con le regole e le compatibilità del diritto. Di questo si tratta quando si parla del rapporto tra diritto e informatica, quando, cioè, s'incrociano due linguaggi profondamente differenti, ma non necessariamente incompatibili.

Come ogni archè, l'archivio indica fonte, origine, inizio, ma anche comando, imposizione, autorità.

L'archivio segna il gioco: luogo e comando circa le informazioni da imprimere.

La domanda che questo tempo pone al giurista è chiara: essa riguarda il problema se, come e cosa cambia nel diritto quando si verifica un corposo impatto con le tecniche e, in particolare, con quel sapere dell'informatica, intesa tanto come oggetto di una regolazione che come strumento da utilizzare; capace di alterare tanto il mondo fattuale delle regolazioni quanto il linguaggio che si adopera nel regolarlo.

Il diritto deve mantenere una distanza di sicurezza nei confronti della tecnologia, informatica e non solo, conoscendo e piegando ai suoi principi la sua natura profondamente ambivalente.

La storia del diritto è infatti attraversata perennemente dalla scommessa della sua differenza. Ha dovuto lottare dapprima contro la religione, poi contro la morale, poi contro la politica: questa scommessa non è mai finita e oggi continua rispetto allo stile delle tecnologie, per la conservazione di un'autonomia relativa del diritto. Autonomia relativa del linguaggio, autonomia da tutti gli altri codici linguistici, che garantisce che il diritto non finisca per confondersi con altre cose e per perdere identità, e quindi differenza.

La trappola dell'ambivalenza della tecnologia spesso è sottile. È accaduto più volte di occuparsi di giudici che hanno usato troppo disinvoltamente il mezzo informatico e alcuni risultati sono stati aberranti: con la tecnica del taglia e incolla si è redatta una sentenza in cui il dispositivo non corrispondeva al fatto. Era stato incollato un dispositivo che riguardava un'altra causa. Si sa infatti che la tecnologia fa aumentare le possibilità facendo crescere anche il rischio.

Bisogna aver ben chiaro che il processo è costruito intorno a una logica rituale, non sostituibile con nessun altro linguaggio: gioco della parola da ascoltare in un'udienza, da scrivere in una sentenza, dopo un dibattimento, di fronte ad avvocati, con verbali che vanno scritti e che si conclude con le ultime parole di chi deve dare il diritto, appunto il giudice, colui che deve mettere l'ultima parola sui conflitti.

Il codice della tecnologia rimarrà quello del possiamo fare tutto quello che possiamo fare. È codice dell'ambivalenza. Anche l'informatica condivide del codice tecnologico questa ambivalenza di fondo. Non si affida alla scrittura rinunciando alla voce, come racconta il Fedro?

Il diritto si pone proprio il punto interrogativo se possiamo davvero fare tutto quello che possiamo fare. Dovrebbe essere questa potenza più forte che mi dice che non posso uccidere, non posso deforestare, non posso manipolare il codice genetico contro la potenza del fare, della tecnologia.

Giurista depysè

Il diritto rispetto alla tecnologia, deve continuare ad essere un contrattempo. C'è un processo di azzeramento del tempo che è anche la salvezza del diritto e si potrebbe continuare all'infinito con una serie di esempi, non ultimo quello del giusto processo, che per Strasburgo è il metro rigido dei sei anni, dopo i quali, indipendentemente dalle ragioni, il ritardo non è ragionevole. Il giurista si pone sempre quindi in una dimensione di contrattempo, che lo tiene a distanza dal tempo monologante della tecnologia. C'è un esempio che sta venendo fuori in maniera prepotente ed è il tempo del demos contro quello dell'ethnos.


VERITA'

Pretesti platonici

Col crescere della potenza una comunità, scrive Nietche, diventa più tollerante con le colpe dei singoli perché essi non sono più percepiti come coloro che mettono in pericolo la sussistenza del tutto. Cosi crescendo la potenza e l'autocoscienza della comunità il rigore del diritto si va mitigando con tecniche di tolleranza, di attenuazione, che possono operare dove il principium individuationis della colpa è già all'opera (a seguito di una condanna).

Dunque la giustizia arriva al punto di perdonare e lasciar andare l'insolvente. Finisce, come ogni cosa buona sulla terra, per sopprimere se stessa: tale fenomeno viene indicato col nome di grazia; la giustizia diventa appunto caritatevole. Ma essa non è altro che la prerogativa del più potente, meglio ancora, il suo al di là del diritto.

Ma andare oltre è anche perdere la differenza: si potrebbe dire che tale perdita è l'effetto di una confusione tra linguaggi, quello del diritto e quello della morale religiosa.

Nell'Apologia di Socrate, la recriminazione di quest'ultimo riguarda il rifiuto della misericordia e ribadisce la necessità del giudizio proprio al fine di contestare l'ingiustizia di cui è presunto responsabile: egli ha interesse per la giustizia della città che sarebbe vanificata dalla misericordia. Dunque non è né per orgoglio o per dispregio che si rifiuta la misericordia.

Non abbiamo tempo!

Non è la verità a definire e condizionare il tempo, ma è il tempo a definire la verità.

Le questioni più annose sono spesso risolte non perché si sia giunti a prove e dimostrazioni definitive, ma perché, semplicemente non c'è più tempo.

Spesso la verità è il risultato della fretta.

Non è per caso che il rapporto tra il diritto e la verità sia definito dalla variabile apparentemente estranea del tempo. Infatti quello che il sistema sociale ha da sempre delegato al giudice è il singolare potere di interrompere il tempo inutile, costoso, insopportabile della lite. Come decide sui significati delle parole così ha il potere di dire che il tempo della lite è finito, perché non abbiamo tempo!

La fretta è una preoccupazione nascosta ma presente nel diritto che deve regolare la vita.

La prescrizione di un diritto o di un reato, l'usucapione, la decadenza dall'esercizio di un'azione riportano il gioco su un'autonomia relativa del diritto rispetto al tempo e la verità.

Plena veritas

Quando ancora il diritto moderno andava fondando la sua verità procedurale (veritas facit iudicium verità processuale: è l'insieme dei giudizi formulati seguendo le regole del diritto processuale. Non necessariamente corrisponde alla verità in senso assoluto), la resistenza all'esilio della divinità era ancora molto forte. Dove la veritas non poteva essere delegata dal dio agli uomini, i processi dovevano basarsi sulla ricerca inequivocabile della plena veritas, che doveva rappresentare l'infallibilità del giudizio divino. Non si decideva a maggioranza e non si decideva fin quando non si era raggiunta la verità piena: nei tribunali dell'inquisizione, dove il processo era segreto e la punizione pubblica ed esemplare, l'incertezza era sciolta dall'indagatio per tormentum (tortura).

Ma quando il diritto legittima la tortura perde la sua differenza. Si confonde con i poteri selvaggi e diventa esso stesso veleno anziché antidoto.

L'angelo della scienza

Rapporto scienza-diritto. Il solco tra definizione scientifica e definizione giuridica è reso ancora più profondo dalla rilevanza probatoria: infatti ciò che non si può provare non si può portare come verità di fronte a una corte.

Si può affermare che un processo conclusosi per prescrizione può presentare politicamente ed eticamente verità di cui politici ed elettori potranno trarre conseguenze, ma dal punto di vista giudiziario si tratta di verità ultime. Anche in questo caso la ragione va trovata in quel gioco dettato dall'imperativo del tempo, ma attraverso esso, nel bene e nel male, si riafferma tutta l'identità del diritto.

L'autonomia del diritto rispetto ai sistemi scientifici è relativa. Il giudice è ormai sottoposto a processi di specializzazione che richiedono e producono, a loro volta, competenze specialistiche.

Mercati delle idee

Vi sono quattro dimensioni dei mercati delle idee.

La scienza lavora in termini di performatività, cioè l'ultima teoria che dimostra o che non è falsificata vince. Quello della pubblicità e della campagna elettorale sono incontrollabili.

L'unico dotato di efficienza è quello che si realizza nelle aule di giustizia, proprio grazie ad un monopolio della verità: non c'è possibilità di uscita, non c'è un altro luogo delle verità da decidere.

Incorporazioni

Rito nel senso di una precisa pratica sociale. Vi è un accostamento tra processo giudiziario e democrazia: entrambi luoghi neutri in cui fatti, soggetti, contenuti dovrebbero avere uguale cittadinanza. Soprattutto il processo è strumento della democrazia perché è vincolo ai e dei poteri.

Procedura

La proceduralizzazione ha segnato il primo passo rilevante nella legalità e lo ha fatto attraverso un'operazione di auto-regolazione del sistema giuridico. Inevitabilmente ha dovuto ritrarre lo sguardo da fatti, soggetti, realtà, verità e li ha sottoposti a una internalizzazione: li ha tradotti nel suo linguaggio.

Tutto ciò ha significato distanza dalla vita, per poterla regolare fino in fondo: nelle aule giudiziarie naturalmente scorre la vita ma per poter decidere su di essa richiede un meccanismo possente di neutralizzazione.

Ciò significa prendere distanza dalla realtà e dissolverla in un gioco di compatibilità con le regole del diritto.

"iuxta alligata er probata" il giudice deve giudicare secondo quanto allegato e provato dalle parti nel processo.

La verità in ostaggio

Deve un avvocato difendere un imputato che egli sappia colpevole anche se non reo confesso? La risposta è netta: deve sicuramente difenderlo non per furbizie strategiche o per privilegi di rango dell'imputato; deve farlo, oltre che in nome di un sacrosanto diritto sancito dalle Costituzioni moderne, perché, attraverso quello, si riafferma quella fondamentale differenza del diritto.

Es diritto penale vuol dire limite dei poteri di punire che, senza accertamento del fatto e senza qualificazione giuridica, finiscono per funzionare da poteri selvaggi.

Il diritto costruisce le proprie regole sulla base di valutazioni di comportamenti (leciti/illeciti) condivisi: le leggi parlano di quello. Non può invece costruire le proprie regole sulla base di una valutazione morale dell'essere dei cittadini.

Bisogna essere giudicati e puniti perché si è fatto qualcosa e non perché si è qualcuno, perché ci si è comportati in una certa maniera (nero, comunista, drogato ecc.). quindi bisogna difendere il colpevole, anche da se stesso, perché il colpevole ha diritto di essere giudicato per quello che ha fatto e non per quello che è.

La libertà dell'avvocato si esercita in pubblico nella qualificazione giuridica del fatto e nell'argomentazione circa le sue conseguenze, non nella verità o meno del fatto stesso. Attraverso il processo quindi si può tenere la verità conoscibile o, peggio, conosciuta, in ostaggio.


PROCESSO

È procedimento che ha a che fare con l'essenza stessa della democrazia, e che infine con esso si scommette sulla capacità di sostituire la violenza e la vendetta con le parole della legge.

Si realizzano due esigenze diverse: la ricerca della verità di una storia che una legge preveda come reato; la seconda è la garanzia che un imputato si possa difendere dalle accuse mossegli.

Consiste in un particolare iter procedimentale che porta il giudice alla fase di decisione della controversia.

Differenza nemico-criminale.

La durata media è insopportabile: è dovuta al mal funzionamento dell'organizzazione giudiziaria, ma anche ai singoli comportamenti dei ceti. Inoltre non tutti i conflitti devono essere affidati ad un giudice.

Ridondanza

Essa ha a che fare con la questione della rappresentazione pubblica della violenza tramite i media. I media creano la massa aizzata

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