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L'affettività nella normativa penitenziaria




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L'affettività nella normativa penitenziaria



La normativa penitenziaria attribuisce al mantenimento delle relazioni affettive notevole importanza nel percorso di reinserimento sociale del reo, figurando come uno degli elementi del trattamento risocializzativo: per ciò che riguarda il trattamento inframurale, l'art.15 Ord.Penit. ("Elementi di trattamento") ne prescrive lo svolgimento "avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia

In questo capitolo ci proponiamo di esporre il cammino legislativo intrapreso per rendere effettivo tale riconoscimento. La Costituzione, infatti, afferma il principio della finalità rieducativa della pena, ma il percorso sino alla riforma penitenziaria è stato lungo e sofferto: l'essere un'istituzione totale ha duramente ostacolato i tentativi di miglioramento dell'ambiente cartario. Il carcere ha sempre posto resistenza a chi ha voluto trasformarlo


1. R.D.18 giugno 1931, n.787: il Regolamento per gli istituti di prevenzione e pena

Caratterizzato dall'impronta autoritaria e il rigorismo repressivo del regime fascista, il regolamento carcerario del 1931 fu dettato dalla volontà di assegnare allo strumento penale il

compito di rappresentare uno Stato forte anche nella lotta alla criminalità.

La pena era mezzo insieme affittivo e correttivo, attraverso cui ottenere il ravvedimento e

l'educazione del reo . A tale concezione non poteva che corrispondere un'organizzazione carceraria estremamente rigida: gli istituti di detenzione erano, infatti, luoghi impermeabili, separati dalla società, ove i detenuti soffrivano le privazioni e le mortificazioni fisiche del carcere in totale isolamento, subordinati alla volontà e al controllo della direzione in ogni aspetto della loro vita di reclusi.

Il trattamento penitenziario era imperniato esclusivamente sull'istruzione, sul lavoro, sulla pratica religiosa. Oltre a questa triade, non vi era alcun riferimento al valore delle relazioni umane nel percorso di riadattamento sociale del detenuto: il concetto di trattamento quale "insieme di interventi positivi attuati in un'atmosfera di relazioni umanamente significative" era del tutto estraneo al regolamento

Le stesse visite da parte dei rappresentanti delle Istituzioni statali, erano concesse eccezionalmente, ma con l'assoluto divieto di rivolgere la parola ai reclusi (art.60). L'emarginazione cui erano costretti i detenuti, tuttavia, emergeva soprattutto dalla severa disciplina in materia di colloqui.

Il permesso d'incontrare un familiare incarcerato veniva rilasciato, per i condannati, dalla direzione dell'istituto o dal Ministero, mentre per gli imputati dall'Autorità giudiziaria . La validità del permesso era limitata al giorno indicato, sicché in caso di sopravvenuto impedimento il colloquio non poteva aver luogo, ed era necessaria una nuova procedura di autorizzazione (art.96).

La durata e la frequenza dei colloqui erano minime, quasi insussistenti: l'incontro si svolgeva nell'arco di mezz'ora (un'ora in casi eccezionali dietro autorizzazione della direzione) ogni quindici giorni, salvo per i condannati all' ergastolo che disponevano di un solo incontro

mensile.

Per quanto riguarda i soggetti legittimati alle visite, l'art.101 stabiliva che "Ai condannati

- come agli imputati - non possono essere conceduti colloqui che coi prossimi congiunti" indicando peraltro una serie di limitazioni:

sono, di regola, escluse dai colloqui le persone che hanno riportato gravi condanne per delitti o che sono sottoposte a procedimento penale per delitto non colposo o alla libertà vigilata o all'ammonizione, le donne di facili costumi, coloro che tengono case di tolleranza e i delinquenti abituali, professionali o per tendenza

Era necessaria, invece, l'autorizzazione ministeriale per i colloqui con persone diverse dai familiari purché dimostrassero "legittimo e grave interesse a conferire", o fossero persone di specchiata moralità designate dai prossimi congiunti ad avere colloqui in loro vece.

Durante l'incontro, l'art.98 stabiliva il divieto "di parlare a bassa voce con il detenuto, di servirsi di un linguaggio sconveniente o convenzionale o comunque non intelligibile", pena la sua sospensione immediata.

In tali condizioni era praticamente impossibile soltanto pensare di poter mantenere i propri legami affettivi. La funzione genitoriale era addirittura annullata: ai figli dei detenuti, minori di diciotto anni, il regolamento vietava infatti di potersi recare in carcere per far visita al proprio genitore (art.58).

Rileviamo, nell'esame di tale normativa, che i colloqui tra coniugi entrambi detenuti non erano neppure contemplati.


L'art.12, "in un'ottica assistenziale, in linea con la concezione paternalistica dello Stato perseguita durante il periodo fascista" indicava tra gli scopi del Consiglio di Patronato quello di "prestare assistenza alle famiglie di color o che sono detenuti, con ogni forma di

soccorso e, eccezionalmente, anche con sussidi in danaro

A tal fine, secondo l'art.14, il Consiglio:

assume informazioni accurate sulle condizioni di famiglia dei detenuti, specialmente nei riguardi delle condizioni economiche e della vita morale;

procura che le relazioni tra le famiglie e i detenuti si mantengono affettuose, esortando le famiglie a dare ai detenuti frequenti notizie e buoni consigli;

si adopera per dar lavoro ai componenti delle famiglie dei detenuti, raccomandandoli presso officine ed aziende;

segnala ai competenti comitati dell'Opera nazionale per la protezione della maternità e infanzia, le madri allattanti o incinte bisognose di soccorso a causa della

carcerazione di un congiunto;

assegna alle famiglie che ne hanno estremo bisogno sussidi in danaro".


2. Legge 26 luglio 1975, n.354. La riforma penitenziaria

I lavori dell'Assemblea Costituente relativi al terzo comma dell'art.27 della Costituzione svelano una diversa concezione della pena: secondo il dettato costituzionale "le pene non possono consistere in trattamenti carcerari contrari al senso di umanità e devono tendere alla

rieducazione del condannato

La pena acquista quindi una valenza rieducativa ed è finalizzata al recupero del reo, il quale, nonostante la restrizione della libertà non perde i suoi diritti inviolabili (art.2Cost.).

Nel 1949, una commissione parlamentare d'inchiesta svolge un'indagine sulle condizioni dei reclusi negli istituti di pena e sui metodi utilizzati per mantenere l'ordine interno. Emerge, alla luce dei nuovi principi, la necessità di una revisione del regolamento carcerario del 1931, soprattutto con riferimento agli aspetti più afflittivi: vengono introdotte alcune modifiche relative alla riduzione di pena per i detenuti meritevoli e brevi licenze per gravi motivi familiari ed a fini rieducativi.

Il clima politicamente vivo degli anni '60 e le rivolte dei detenuti per le condizioni di invivibilità carceraria, hanno poi accelerato la corsa verso la più importante riforma penitenziaria del 1975.

Con la legge n.354 - "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà" - può considerarsi il risultato legislativo della cd. "ideologia del trattamento" sviluppatasi agli inizi del XX° secolo, in contrapposizione alla concezione prevalentemente retributiva della pena. Si avvia un processo di trasformazione che mira anche ad un "mutamento culturale": il detenuto viene considerato per la prima volta come "persona", dotata di bisogni ed esigenze specifiche.

Il recupero sociale del reo è così divenuto la finalità primaria dell'ordinamento penitenziario, dando attuazione allo stesso dettato costituzionale: a tal fine la riforma introduce il concetto di "individualizzazione" del trattamento penitenziario e risocializzativo, tenendo conto della personalità del soggetto recluso (art.13Ord.Penit.).


Il trattamento dev'essere così, "conforme ad umanità, tale da assicurare il rispetto della dignità della persona" e tendere anche attraverso "i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento delle persone detenute"(art.1 Ord.Penit. - "Trattamento e rieducazione").

Ideologia risocializzativa e riduttivismo carcerario informano la riforma penitenziaria nei

vari contenuti in cui la stessa si articola.

Una delle novità più significative è la considerazione dei rapporti con la famiglia come elemento di trattamento.


L'art.28 Ord.Penit. ("Rapporti con la famiglia") prescrive che particolare cura sia "dedicata a

mantenere, migliorare o stabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie"; tale attività si articola in interventi trattamentali sia all'esterno presso i familiari, sia all'interno presso i detenuti e gli internati, oppure in momenti ove entrambi partecipano, insieme agli operatori, ad attività volte ad un confronto, una mediazione famigliare e sociale per risolvere difficoltà relazionali ( si pensi all'attività di terapia nei gruppi di auto-aiuto per tossicodipendenti o alcooldipendenti).

La l. 10 ottobre 1986, n. 663 - Legge Gozzini - ha introdotto la forma di contatto più diretta che i detenuti possono avere con i loro familiari, permettendo l'uscita dalle strutture carcerarie attraverso le cd. misure alternative alla detenzione che, sostituendosi alla completa esecuzione della pena inframuraria, consentono al condannato di riconquistare una vita di relazione: ricordiamo in particolare l'istituto dei permessi premio, disciplinato dall'art.30ter Ord.Penit.

Il tutto ha portato ad una maggior "flessibilizzazione" della pena, con la possibilità di

modulare e graduare la stessa nel corso dell'esecuzione, in modo da favorire il processo rieducativo del detenuto. La legge penitenziaria, quindi, teoricamente garantisce il mantenimento e altresì il miglioramento delle relazioni affettive, quali fondamentali elementi di trattamento nel percorso di reinserimento delle persone detenute.


3. Le relazioni familiari e sociali nel regolamento penitenziario

I suddetti principi, hanno ispirato il Nuovo Regolamento di esecuzione della legge 354/1975, il D.P.R. 230/2000 il quale ha sostituito il vecchio regolamento (D.P.R. 431/1976): fondamentale resta il trattamento rieducativo consistente nell'offerta di interventi per sostenere gli interessi umani, culturali e professionali del detenuto, al fine di promuovere il mutamento delle condizioni e degli atteggiamenti personali, delle relazioni familiari e sociali che sono d'ostacolo ad una partecipazione sociale costruttiva (art.1Reg.Esec. - "Interventi di trattamento").

L'emanazione del nuovo regolamento risponde alla necessità di adeguamento della normativa regolamentare penitenziaria alle indicazioni internazionali e comunitarie. In particolare si ricordano:

le "Regole minime per il trattamento dei detenuti" adottate dall'ONU nel 1955;

la "Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomoe delle libertà fondamentali del 1950, ratificata dall'Italia;

il documento sulle "regole minime" nel trattamento dei detenuti emanato dal Consiglio d'Europa nel 1973 e aggiornato nel 1987 con il titolo "Regole penitenziarie europee": si prospetta una costante evoluzione di tali regole, impegnandosi a "definire criteri di base realistici, che permettano alle amministrazioni penitenziarie di giudicare i risultati ottenuti e di misurare i progressi in funzione di più elevati standard qualitativi". In particolare l'art.64 stabilisce che la detenzione, "comportando la privazione della libertà è punizione in quanto tale"; i regimi degli istituti devono inoltre essere regolati in modo da "mantenere e rafforzare i legami dei detenuti con i membri della loro famiglia e con la comunità esterna, al fine di proteggere gli interessi dei detenuti e delle loro famiglie" (art.65).

La risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 18/12/1998 sulle condizioni carcerarie nell'Unione europea; ristrutturazioni e pene sostitutive;

Raccomandazione n.R.(92) 16 del Comitato dei Ministri, denominata: Regole europee sulle sanzioni e misure alternative alla detenzione. In essa si rileva che l'inserimento continuativo in una istituzione totale, quale si verifica in carcere, ha ricadute negative sul piano psicofisico dei soggetti sottoposti, che può esprimersi anche in forme patologiche e in genere in un danno alla persona (si è così parlato del carcere come l'ultima pena corporale).

In materia di colloqui e corrispondenza, epistolare e telefonica, sono state apportate varie modifiche ritenute opportune per la loro valenza trattamentale, in base alla considerazione

che "un più frequente ed intenso contatto dei reclusi con le persone di riferimento all'esterno, particolarmente i familiari, può avere soltanto effetti positivi: il rafforzamento o almeno il contrasto all'indebolimento delle relazioni con la famiglia, il contenimento dell'effetto di isolamento della persona prodotto dalla reclusione, la riduzione delle tensioni dei detenuti e internati all'interno degli istituti" . Tuttavia, nonostante i propositi del legislatore, difficilmente gli obiettivi dichiarati corrispondono alla realtà carceraria.

L'art.18 Ord.Penit. ("Colloqui, corrispondenza e informazione") così prevede: "i colloqui si svolgono in locali appositi, sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia"; data la rilevanza dei legami affettivi con i propri congiunti o conviventi, agli incontri familiari è riconosciuta particolare cura. La corrispondenza telefonica con gli stessi e, in casi particolari, con i terzi è autorizzata secondo le cautele e le modalità previste dal regolamento.


3.1. I Colloqui.

Il colloquio, per il detenuto che non può usufruire delle misure premiali, rappresenta l'unico momento di contatto con il proprio mondo relazionale, pur se, come già sottolineato, il più delle volte è causa di grande turbamento emotivo per le modalità e lo spazio in cui si svolge.

Il colloquio con i congiunti e i conviventi è autorizzato dal direttore del carcere e, soltanto se ricorrono ragionevoli motivi, anche con persone diverse (in numero non superiore a tre). Ogni persona viene sottoposta ad identificazione e controllo contro il rischio di un'eventuale introduzione di oggetti pericolosi o non ammessi; il colloquio si svolge sotto il controllo a vista non auditivo del personale del Corpo di polizia penitenziaria, il quale in caso di disturbo, comportamenti scorretti o molesti, sospende l'incontro riferendone al direttore, che decide

sulla esclusione.

Se inoltre, risulta che i familiari non mantengono rapporti con il detenuto, la direzione lo segnala al centro di servizio sociale per gli opportuni interventi, ai sensi dell'art.94Reg.Penit. ("Assistenza alla famiglie").

La disciplina è dettagliatamente contenuta nell'art. 37 del Regolamento Esecutivo D.P.R. 230/2000, con il quale sono state introdotte fondamentali modifiche riguardanti, in particolare, la frequenza, le modalità di svolgimento dei colloqui ed eventuali deroghe migliorative.

Il vecchio regolamento del '76 (art.35), prevedeva che i colloqui si svolgessero in locali comuni muniti di mezzi divisori; soltanto per speciali motivi, la direzione poteva consentire l'utilizzo di un locale distinto, ma sempre sotto il controllo a vista del personale di custodia. Nel nuovo regolamento, invece, vi è un'inversione della regola: l'incontro avviene in locali interni senza più mezzi divisori o in appositi spazi all'aperto; tali mezzi divisori sono richiesti soltanto quando sussistano ragioni sanitarie o di sicurezza, ovvero in casi eccezionali ( a dire il vero in alcune carceri è stato rimosso solo il vetro sovrastante il balcone, sicché la separazione di fatto rimane).

Il numero è aumentato a sei colloqui mensili ordinari, rispetto ai quattro precedenti, assorbendo quelli che erano considerati premiali (ne sono invece concessi solo quattro, ai detenuti e agli internati per uno dei delitti previsti dall'art.4-bis Ord.Penit. - "Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti"). Ulteriori incontri, fuori dei suddetti limiti, possono essere concessi oltre che ai detenuti gravemente infermi e quando ricorrano particolari circostanze personali e familiari, anche in caso di prole di età inferiore a dieci anni. La durata del colloquio è rimasta invariata: un'ora, con l'eccezionale possibilità di prolungarlo se si tratta di congiunti o di conviventi, anche sino a due ore, quando risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto, se nella precedente settimana il detenuto non ha fruito di alcun colloquio, esigenze e organizzazione dell'istituto permettendo.

Infine, ove possibile, è favorito il colloquio nei giorni festivi per i reclusi che svolgono attività lavorativa durante i giorni feriali.


3.2. La corrispondenza telefonica

La direzione dell'istituto autorizza tale corrispondenza, a spese dell'interessato, sia con i congiunti e i conviventi, sia con persone diverse: rispetto al vecchio regolamento (art.37), in tal caso non sono più necessarie ragioni d'urgenza, bastando la sussistenza di ragionevoli e verificati motivi.

È stato aumentato il numero e la durata delle telefonate, disponendone la cadenza settimanale a prescindere dalla mancata effettuazione del colloquio: il regolamento del '76 prevedeva infatti, una telefonata ai famigliari ogni quindici giorni, di sei minuti ciascuna, solo quando i detenuti non avessero usufruito dei colloqui, salvo deroga in caso di particolari e seri motivi.

L'art.39 Reg.Esec., viceversa, consente in ogni caso la corrispondenza telefonica una volta alla settimana ( due volte al mese per i detenuti o internati per uno dei delitti previsti dall'art.4bis Ord.Penit.), della durata massima di dieci minuti, salvo deroga oltre che per motivi d'urgenza e di particolare rilevanza, anche per comunicare con prole di età inferiore a dieci anni o in caso di trasferimento del detenuto. Invariata resta la richiesta scritta all'autorità competente con l'indicazione del numero di telefono richiesto, delle persone con cui corrispondere, dei motivi dell'istanza in caso di deroga al limite suddetto o di corrispondenza con persone diverse da congiunti e conviventi. Le conversazioni possono essere ascoltate e registrate, su disposizione dell'autorità giudiziaria competente a disporre il visto di controllo sulla corrispondenza epistolare, ai sensi dell'art.38Reg.Esec. Consentite sono inoltre le telefonate provenienti dall'esterno.


. La corrispondenza epistolare

L'amministrazione penitenziaria per incentivare questo tipo di rapporto con l'esterno, pone a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono privi, "gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza". In generale la disciplina del vecchio regolamento è stata confermata dal D.P.R. 230, salvo l'eccezione della previsione della possibilità di ricezione di fax da parte dei reclusi.

Secondo l'art.38Reg.Esec., la corrispondenza in arrivo e in partenza, è sottoposta ad ispezione per rilevare l'eventuale "presenza di valori o altri oggetti non consentiti"; essa dev'essere eseguita, tuttavia, con modalità che garantiscano l'assenza di controlli sullo scritto. La legge penitenziaria ha infatti abolito la censura preventiva generalizzata, prevista nel regolamento del '31. In ogni caso, la sottoposizione a visto di controllo della corrispondenza avviene previo provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria che deve essere emanato in relazione ai singoli condannati o internati (art.18, c.7 Ord.Penit.).


4. Rapporti con la famiglia e progressione nel trattamento: art.61 Reg.Esec

L'analisi di questo articolo merita particolare attenzione oltre che per i suoi contenuti, per le vicende che ne hanno accompagnato la stesura.

Esso dispone l'organizzazione di programmi di intervento per la cura dei rapporti dei

detenuti con le famiglie, concertata tra direzione carceraria e servizi sociali. Cura specifica è

dedicata   ad affrontare la crisi che segue all' allontanamento del detenuto dal nucleo

familiare, a mantenere un valido rapporto coi figli, soprattutto se minori, a preparare la

famiglia e il recluso stesso al rientro nel contesto sociale.

Rispetto al vecchio regolamento (art.58), il D.P.R.230/2000 ha introdotto nel comma 2 alle lettere a) e b) alcune concessioni, le quali valorizzano l'applicazione dell'art.28 Ord.Penit. e la cui logica si ricava della stessa rubrica dell'art. "Rapporti con la famiglia e progressione nel trattamento"; secondo le specifiche indicazioni del gruppo di osservazione - le quali confermino la partecipazione del detenuto alle attività trattamentali e il loro regolare svolgimento - il direttore dell'istituto può autorizzare:

a)     un accesso più ampio ai colloqui, oltre quelli previsti dall'art.37 Reg.Esec., finalizzato alla favorevole ricostruzione delle relazioni famigliari;

b)    la visita delle persone ammesse ai colloqui, con la possibilità di trascorrere parte della     giornata in appositi locali o all'aperto e di consumare un pasto in compagnia, salve le modalità previste dall'art.18 Ord.Penit.

Le attività trattamentali hanno la finalità di dare spazio alla volontà e capacità di socializzazione, agevolando lo sviluppo della persona attraverso il contatto con l'ambiente esterno: il senso del trattamento, della sua "progressione" è proprio quello di sostenere, stimolare il soggetto affinchè le relazioni familiari continuino a costituire una risorsa insostituibile, ai sensi dell'art.15 Ord.Penit.

4.1 L'esercizio dell'affettività e il parere contrario del Consiglio di Stato

La bozza del regolamento di esecuzione presentava in realtà un' ulteriore, profonda

innovazione ovvero il tentativo di risolvere finalmente il problema dell'affettività: gli ex direttori del D.A.P. (Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria), Michele Coiro e Alessandro Margara, nonché l'allora sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone, proposero e sostennero con energia e speranza, il riconoscimento del diritto all'affettività quale elemento di trattamento, attraverso la predisposizione di appositi spazi interni, tali da consentire al detenuto incontri completi con il proprio nucleo famigliare, senza un controllo visivo e auditivo. Ciò avrebbe facilitato il mantenimento dei rapporti con modalità diverse dal colloquio, ossia mediante visite e permessi "interni", in un ambiente idoneo alla ricostituzione pur temporanea di un clima da condividere nell'intimo con i propri cari, non solo per preparare e consumare insieme un pasto, ma altresì per poter esprimere i naturali gesti d'affetto.

Durante l'audizione alla 2° Commissione della Camera dei deputati in ordine al citato regolamento, Margara sostenne il desidero di voler "tener assieme cose che possono apparire impossibili, ma non debbono esserlo, cioè un carcere vivibile in cui la pena non abbia nulla di affittivo oltre la perdita della libertà".

Oltre alle innovazioni già descritte, l'art.61 contemplava infatti, alla lettera c) del comma 2, la possibilità da parte della direzione del carcere di "autorizzare i condannati e gli internati a trascorrere un periodo di tempo fino a ventiquattro ore continuative con le persone indicate alla lettera b) in apposite unità abitative, da realizzare all'interno degli istituti; il personale della polizia penitenziaria effettua la sorveglianza esterna di tali unità abitative, con la possibilità di effettuare controlli o interventi all'interno se si verificano situazioni che lo richiedono"; in aggiunta il comma 3 prevedeva che "le autorizzazioni di cui alla lettera c) del comma 2 possono essere concesse se la pena detentiva ha durata maggiore di sei mesi e non possono superare complessivamente il numero di dodici l'anno".

Tale progetto fu riconosciuto legittimo dall'Ufficio legislativo del Ministero di Grazia e Giustizia, ma non ottenne l'approvazione del Consiglio di Stato.


In particolare, il parere negativo - n. 6/2000 - venne articolato con due obiezioni specifiche:

a)     il "forte divario fra il modello trattamentale teorico" del nuovo regolamento penitenziario e l'inadeguatezza del carcere reale;

b)    la necessità di un passaggio legislativo per l'introduzione delle norme a favore del

diritto all'affettività. Una scelta da non poter legittimamente effettuare in sede regolamentare attuativa ed esecutiva. Non è stato possibile, con norma regolamentare, introdurre la possibilità di incontri di detenuti e internati con i propri congiunti in unità abitative al di fuori del controllo visivo del personale, poiché tale forma di controllo è stabilita, sia pure in generale, da disposizione di rango primario.

Sarebbe stata quindi necessaria una legge, che riconoscesse tali incontri come permessi interni concessi dal direttore del carcere; in sua assenza, il Consiglio di Stato considerò gli stessi alla stregua degli altri colloqui, richiamando di conseguenza l'obbligo del controllo visivo, ai sensi dell'art.18 comma 2 Ord.Penit. Il fatto che il progetto ne chiedesse esplicitamente l'esclusione, costituì la causa del suo rigetto.


Non è stato possibile, pertanto, l'avvio sperimentale di quella che, in altri paesi europei, è già da tempo una realtà consolidata: i detenuti possono scontare la pena in un luogo vicino alla residenza della famiglia e hanno diritto a incontri intimi in appositi locali, anche sulla base della risoluzione dell'Unione Europea (18 dicembre1998) sulle condizioni carcerarie, secondo la quale è importante tener conto dell' "ambiente familiare" dei condannati.


5. Proposte di legge modificative dell'ordinamento penitenziario in materia di relazioni    affettive


In materia di trattamento penitenziario, al fine di mantenere e migliorare i rapporti affettivi dei detenuti si sono distinte negli ultimi anni due proposte di legge, volte a consentire incontri più frequenti con la famiglia e la possibilità di intrattenere relazioni più intime con il

coniuge o il convivente.

Le richieste di modifica miravano oltre all'ampliamento dei permessi, soprattutto alla realizzazione all'interno degli edifici penitenziari, di locali idonei o di apposite aree per la fruibilità delle normali relazioni affettive al fine di un recupero sostanziale del legame con il contesto familiare e sociale. Entrambe le proposte, tuttavia non hanno avuto alcun seguito in quanto gli sforzi per migliorare il sistema carcerario si sono indirizzati dapprima sulla legge Simeoni-Saraceni e poi sul nuovo Regolamento Penitenziario: riforme importanti che però non hanno affrontato il problema della negazione del diritto all'esercizio dell'affettività e

della sessualità.


5.1. La proposta di legge Folena

Proposta di legge n. 1503, d'iniziativa del deputato On. Folena (Serafini, Bonito, Olivieri, Cesetti, Saraceni, Lucidi, Siniscalchi, Schietroma, Carboni, Altea, Parrelli) presentata il 13 giugno 1996: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di trattamento penitenziario.


Art.1

1.All'art.5 della l. 26 luglio 1975, n.354 ("Caratteristiche degli edifici penitenziari"), è aggiunto, in fine, il seguente comma:

"Negli edifici penitenziari devono essere realizzati locali idonei a consentire al detenuto di intrattenere relazioni strettamente personali ed affettive".

Art.2

1.Dopo l'art.28 della l. 26 luglio 1975, n.354 ("Rapporti con la famiglia"), è inserito il seguente:

"Art.28-bis. - ("Visite al detenuto"). - 1. Al fine di consolidare i rapporti affettivi con la famiglia, oltre ai colloqui previsti dall'art.18 Ord.Penit. e dall'art.35 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n.431, il detenuto ha diritto a godere di una visita al mese, della durata non inferiore alle quattro ore consecutive, con il proprio coniuge o convivente, nei locali adatti e senza alcun controllo visivo".


Art.3

1.Dopo l'art.28-bis della l. 26 luglio 1975, n.354, introdotto dall'art.2 della presente legge, è inserito il seguente:

"Art.28-ter. - ("Calendario delle visite"). - 1. I detenuti hanno altresì diritto a trascorrere la terza domenica di ogni mese, a partire dalle ore 14:00, con la famiglia nelle aree verdi esistenti presso le case di reclusione, sotto il controllo visivo del personale addetto a tale vigilanza.

2.Qualora, per il numero elevato di detenuti o per ragioni di sicurezza, non sia possibile garantire a ciascun detenuto od internato il diritto di cui al comma 1, la direzione del carcere predispone un apposito calendario utilizzando il sistema delle rotazioni".


Art.4

1.Dopo l'art.30-ter della l. 26 luglio 1975, n.354 ("Permessi premio"), introdotto dall'art.9 della legge 10 ottobre 1986, n.663, è inserito il seguente:

"Art.30-quater. - ("Permessi per visite ai familiari o conviventi"). - 1. Al detenuto in espiazione di pena che abbia manifestato una particolare intensità di rapporti con la famiglia, ed in particolare con il coniuge, con il convivente o con i famigliari, il giudice di sorveglianza può concedere un permesso della durata non superiore ai quindici giorni per ogni semestre di carcerazione".

Art.5

1. Con decreto del Presidente della Repubblica da emanare, ai sensi dell'art.17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n.400, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro di grazia e giustizia sono integrati gli artt.35 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n.431, nel senso di prevedere, rispettivamente, che i coniugi e i conviventi che siano entrambi detenuti hanno diritto ad usufruire di ulteriori quattro ore di colloquio mensili, e che per il detenuto od internato straniero, ammesso al colloquio telefonico con i propri familiari residenti all'estero, la durata della conversazione telefonica è pari a sei minuti di effettiva conversazione per ciascun colloquio ordinario non effettuato.


5.2. La proposta di legge Pisapia

Proposta di legge n. 3331, d'iniziativa del deputato Pisapia, presentata il 28 febbraio 1997: Modifiche dell'ordinamento penitenziario in materia di relazioni affettive e famigliari

dei detenuti

Art.1

1.All'art.28 della l. 26 luglio 1975, n.354 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

"Al fine di mantenere o migliorare il rapporto con le persone con le quali vi è un legame affettivo, i detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese di durata non inferiore alle

tre ore consecutive con il proprio coniuge o convivente senza alcun controllo visivo.

Negli edifici penitenziari devono essere realizzati locali idonei a consentire al detenuto di intrattenere relazioni personali ed affettive".

Art.2

1.Dopo l'art.28 della l. 26 luglio 1975, n.354 è inserito il seguente:

"Art.28-bis - ("Incontri con la famiglia"). - I detenuti hanno diritto a trascorrere mezza giornata al mese con la famiglia, in apposite aree presso la case di reclusione".

Art.3

1.All'art.30-ter della l. 26 luglio 1975, n.354 introdotto dall'art.9 della legge 10 ottobre 1986,

n.663, è aggiunto in fine il seguente comma:

"8-bis. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8 ed abbiano dato prova di partecipazione all'opera di reinserimento sociale e familiare, il magistrato di sorveglianza può concedere, oltre ai permessi di cui al comma 1, un ulteriore permesso della durata non superiore ai quindici giorni per ogni semestre di carcerazione da trascorrere con il coniuge, con il convivente o con il familiare."

Art.4

1.I detenuti o gli internati stranieri possono essere autorizzati a colloqui telefonici con i propri famigliari residenti all'estero o con le persone conviventi residenti all'estero una volta ogni quindici giorni;

la durata della corrispondenza telefonica è di quindici minuti per ciascun colloquio ordinario

non effettuato.


Una nuova proposta di legge

Il Centro di Documentazione Due Palazzi e la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

hanno inviato una Lettera aperta ai parlamentari, in cui si chiedeva la disponibilità a presentare alle Camere una proposta di legge sul diritto all'affettività per i detenuti: un appello per un impegno politico e legislativo che è stato sottoscritto da oltre sessanta parlamentari appartenenti ai diversi schieramenti politici. Eccone di seguito il testo:


"Onorevoli Senatori, Onorevoli Deputati,

Vi chiediamo di leggere con attenzione questa lettera aperta e, se siete interessati a i suoi

contenuti, di dichiarare la vostra disponibilità a una iniziativa parlamentare sul diritto dei detenuti all'affettività in carcere.

La Costituzione, all'art. 27, stabilisce che le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato: ai detenuti devono essere garantiti tutti i diritti inviolabili dell'uomo e quello di intrattenere rapporti affettivi e sociali è, senza dubbio, tra i più importanti. Peraltro, la moderna criminologia ha dimostrato che la possibilità di vivere e consolidare le relazioni affettive ha un ruolo insostituibile nel difficile percorso di recupero sociale dei detenuti.

A fronte di questo, abbiamo un sistema penale che produce effetti disastrosi sui rapporti familiari dei detenuti. I trasferimenti in luoghi lontani da quello di residenza, le poche ore di colloquio possibili ogni mese, i luoghi privi della minima intimità dove avvengono questi incontri, finiscono per disgregare gli affetti e le relazioni che costituiscono l'aggancio primario con la società. Senza parlare della penalizzazione che devono subire persone che non hanno altra colpa che quella di essere figli, genitori o congiunti di un recluso. Il risultato paradossale di questa situazione è che il percorso di risocializzazione, che dovrebbe reinserire nella società la persona che ha commesso un reato, finisce col renderla

ancora più sola ed emarginata.

Riconoscere alle persone detenute il diritto alla sessualità e all'affettività in carcere con i loro familiari, come già avviene in molti altri paesi europei (Svizzera, Spagna, Olanda, Svezia, etc.), permetterebbe quindi di agevolare il reinserimento nella famiglia e nella società attraverso la valorizzazione dei legami personali.

Nella Casa di Reclusione di Padova, il 10 maggio prossimo, si svolgerà una Giornata di

Studi dal titolo "Carcere: Salviamo gli affetti", dedicata alla discussione di questo tema. In tale occasione verrà costituito un tavolo di lavoro, dal quale dovrebbero uscire alcune indicazione per una proposta di legge in materia: vi invitiamo da ora a partecipare, se possibile, e in ogni caso a comunicare se siete disponibili a portare avanti una iniziativa

parlamentare su questo tema

Padova, 8 aprile 2002


Al termine del Convegno nel carcere di Padova, un gruppo "tecnico" cui hanno partecipato operatori penitenziari e sociali, ha elaborato una bozza di proposta di legge.

Dopo l'analisi delle precedenti proposte di legge Folena e Pisapia, miranti a modificare la normativa su colloqui e permessi-premio, i lavori si sono concentrati sull'esame della bozza del nuovo Regolamento Penitenziario con riguardo alla versione integrale dell'art.61 bocciato dal Consiglio di Stato, nella parte in cui prevedeva degli spazi ove i detenuti potessero vivere momenti d'intimità con i propri familiari.

L'obiettivo principale, prima di una dettagliata regolamentazione degli incontri affettivi è stato sancire l'esistenza di un diritto all'affettività per i detenuti, inteso in senso ampio senza distinguere tra diritto alla sessualità e diritto ad incontri con il coniuge, il convivente, i figli. Ciò che interessa è garantire la sfera dell'intimità affettiva del detenuto il quale potrà essere

libero di esprimerla come meglio crede

Proposta di legge n. 3020, d'iniziativa dei deputati Boato, Ruggieri, presentata il 12 luglio 2002: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n.354, in materia di "affettività in carcere".

Art.1

Alla rubrica dell'art.28 della l. 26 luglio 1975, n.354 ("Rapporti con la famiglia"), sono aggiunte in fine le parole: "e diritto all'affettività

All'art.28 della l. 26 luglio 1975, n.354, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

"Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tal fine i detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati a tale scopo senza controlli visivi e auditivi".

Tale disposizione ha lo scopo di riconoscere pari dignità a qualsiasi rapporto affettivo, lasciando ampio spazio alla definizione della sua natura: le visite possono avvenire con qualsiasi persona (familiare, convivente, amico) che abbia già effettuato i colloqui ordinari, in assenza dei controlli suddetti al fine di garantire l'assoluta riservatezza dell'incontro.

Art.2

All'art.30 della l. 26 luglio 1975, n.354, relativo ai permessi di necessità, il secondo comma ("Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità"), è sostituito dal seguente:

"Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza".

Dopo l'entrata in vigore di tale articolo, introdotto dall'art.9 della l.663/86, la Magistratura di Sorveglianza ha mantenuto un'interpretazione rigida e restrittiva dello stesso, facendo riferimento ai soli eventi luttuosi o allo stato di salute precario dei familiari, in caso di gravi malattie


La modifica, viceversa, elimina il presupposto dell'eccezionalità e della gravità: anche gli

eventi non traumatici infatti, possono avere "particolare rilevanza" nella vita di una famiglia e rappresentano una buona ragione perché il detenuto vi partecipi.

Art.3

All'art.30-ter della l. 26 luglio, n.354 ("Permessi premio") introdotto dall'art.9 della l. 10 ottobre1986, n.663 è aggiunto in fine il seguente comma:

"Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8, il magistrato di

sorveglianza può concedere, oltre ai permessi di cui al comma 1 (pari a quindici giorni fino ad un massimo complessivo per anno di quarantacinque giorni, al fine di "coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro"), un ulteriore permesso della durata di dieci giorni per ogni semestre di carcerazione per coltivare specificatamente interessi affettivi", nel senso ampio del termine. Il tempo del permesso può essere trascorso con qualsiasi persona con cui vi sia un legame affettivo.

Art.4

All'art.18 della l. 26 luglio 1975, n.354 il quinto comma ("Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento") è sostituito dal seguente:

"Per ciascun colloquio non effettuato è concesso ai detenuti e agli internati un colloquio telefonico aggiuntivo, con le persone autorizzate, della durata di quindici minuti. La telefonata può essere effettuata con costo a carico del destinatario".

Si tratta di una possibilità preziosa per i detenuti che non possono avere colloqui ordinari, ad esempio perché familiari ed amici abitano lontano dal luogo di detenzione. Fuori della previsione dei "casi particolari", è prevista la possibilità di sostituire i colloqui non effettuati con telefonate non solo alla propria famiglia, ma a tutte le persone con cui vi sia un rapporto

affettivo.

Note:

CARITAS ITALIANA, FONDAZIONE E. ZANCAN, La rete spezzata. Rapportosu emarginazione e disagio nei contesti familiari, Feltrinelli, Milano, 2000.


G. DI GENNARO, R. BREDA, G. LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Giuffrè, Milano, 1997.


Ibid.


C. BARGIACCHI, Esecuzione della pena e relazioni familiari. Aspetti giuridici e sociologici, https://dex.tsd.unifi.it/l'altrodiritto/.


V. GREVI, G.GIOSTRA, G. DELLA CASA, L'ordinamento penitenziario: commento articolo per articolo, Cedam, Padova, 2000.


Relazione di accompagnamento al Nuovo Regolamento Esecutivo D.P.R. 230 del 2000.


Del gruppo di lavoro hanno fatto parte: A. Margara (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze); M.Boato (deputato del Gruppo Misto); R. Ruggeri (deputato della Margherita); S.Privitera (Responsabile della formazione nel carcere "La Stampa" di Lugano); S. Segio ("Gruppo Abele"); S. Cusani (Associazione "Liberi"); L.Ferrari (Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia); L. Sacerdote (Associazione "Bambini senza sbarre"); A. Alberghetti e P. Menaldo, avvocate specializzate in diritto penitenziario; M.Rigamo ("Radio Sherwood" - "Radioevasione"); A. Barone e G. Casciani, educatrici nella Casa di reclusione di Padova e P. Soligon,volontaria; F. Morelli e M. Occhipinti, detenuti - Redazione di "Ristretti Orizzonti".


ALBORGHETTI A., Una proposta elaborata nel carcere, in Atti della Giornata di Studi: "Carcere;salviamo gli affetti", Casa di Reclusione di Padova, 10 maggio 2002.












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