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Italia




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Lussemburgo (granducato) granducato (Grand-Duché de Luxembourg; Grousherzogdem Lezebuurg)
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Italia, Stato dell'Europa meridionale, costituito dalla lunga penisola che si estende al centro del mar Mediterraneo, limitato a nord dalle Alpi; 301.277 km²; 57.138.489 ab. Moneta: lira italiana. Cap. Roma.

Geografia fisica


Posizione e Confini

L'I. ha una superficie di circa 322.000 km², mentre entro i confini politici la sua superficie è di 301.277 km². Lungo l'arco alpino l'I. confina a occidente con la Francia, a nord con la Svizzera e l'Austria, e a est con la Slovenia. Il confine marittimo è costituito a occidente dal mar Ligure, dal mar Tirreno e dal mar di Sardegna (a ovest dell'isola da cui prende il nome), a sud dal mar di Sicilia, a SE dal mar Ionio e a est dal mar Adriatico, comprendendo in questo confine numerose isole e arcipelaghi.

Le coste

Le coste italiane sono caratterizzate sia da marine basse e uniformi (specie nel versante adriatico) sia da scogliere alte e frastagliate che formano numerose baie e golfi (di Genova, Gaeta, Napoli, Salerno, Taranto, Trieste, Venezia, Policastro, Sant'Eufemia, Squillace, Manfredonia).

Rilievo

Il sollevamento delle Alpi e degli Appennini si è verificato in seguito al congiungimento alpino-himalaiano nel periodo Cenozoico. La fisionomia del paese si è meglio definita nel periodo Neozonico in seguito ai fenomeni eruttivi, al modellamento esercitato prima dai ghiacciai e in seguito dalle acque, e ai depositi alluvionali che crearono le pianure. Il territorio dell'I. si presenta in massima parte accidentato, poiché è costituito per l'80% da colline e montagne, e solo per il 20% da pianure. Del sistema alpino appartiene all'I. quasi tutto il versante interno, alto baluardo lungo circa 1.000 km, tagliato peraltro in più punti da valichi facilmente transitabili (Moncenisio, Sempione, Brennero, ecc.). Le vette più elevate si trovano nelle Alpi Occidentali, dove numerose cime superano i 4.000 m; il Monte Bianco, la più alta, raggiunge i 4.810 m. La pianura padano-veneta o Padania è la maggiore delle pianure italiane, con una superficie di 46.000 km² (15% del territorio italiano). L'Appennino è costituito da un fascio di catene che si estendono dal colle di Cadibona fino all'estremità occidentale della Sicilia, per una lunghezza di 1.350 km e una larghezza variabile fra i 40 e i 100 km. Da una parte e dall'altra, ma soprattutto a occidente, l'Appennino è limitato da rilievi collinari che prendono il nome di Antiappennino: questo si presenta in parte vulcanico nella Toscana meridionale (monte Amiata) e soprattutto nel Lazio e nella Campania (vulcani laziali, Campi Flegrei, Vesuvio, ecc.), calcareo nella Puglia (altopiano delle Murge, promontorio del Gargano). Le pianure peninsulari, anche se abbastanza numerose, appaiono di modesta estensione e generalmente costiere. Lungo il versante adriatico, la pianura di maggior ampiezza è il Tavoliere delle Puglie. La Sicilia si può considerare come la prosecuzione del sistema appenninico. Nella parte orientale dell'isola, l'Etna, con suoi 3.323 m, rappresenta il vulcano più alto d'Europa. Quanto alla Sardegna, essa è formata da un vecchio tavolato ercinico dislocato; vi si trova un massiccio granitico molto esteso nella parte orientale e rocce più recenti nella parte occidentale.

Clima

Le condizioni termiche variano notevolmente da zona a zona, ma soprattutto da nord a sud, non tanto in estate quanto in inverno: a parte le aree montuose, a Milano in media si hanno in luglio 24° e a Palermo 26°; rispettivamente, in gennaio le medie sono di 1° o 2° a Milano, e 12° a Palermo. Quanto ai venti, l'I. rimane nell'area di influenza dei venti occidentali, di ovest e di sud-ovest soprattutto, che sono apportatori di piogge. Tra l'inverno e la primavera spirano anche venti da nord e da nord-est (bora). In estate, lungo le coste e nelle vallate intermontane prevalgono i venti locali di brezza. La distribuzione delle precipitazioni dipende dai venti e dalle condizioni morfologiche e altimetriche, che variano da luogo a luogo. In generale i valori massimi si hanno in corrispondenza della massa alpina e della zona assiale appenninica, con valori progressivamente decrescenti da nord a sud.

Idrografia

La presenza dell'arco alpino e della pianura padana ha fatto sì che proprio nell'I. settentrionale si siano formati i maggiori fiumi italiani, mentre la posizione dell'Appennino rispetto al Tirreno e all'Adriatico ha determinato, lungo il versante orientale, solo la formazione di fiumi di breve percorso; i maggiori corsi d'acqua peninsulari scorrono verso il Tirreno. Il Po è il maggiore dei fiumi italiani. Il secondo fiume d'I. è l'Adige. I due maggiori fiumi della penisola, per lunghezza e ampiezza di bacino, sono l'Arno e il Tevere. I fiumi tributari dell'Adriatico sono più brevi di quelli tirrennici, hanno profilo più irregolare e sono più poveri di acque. I fiumi calabresi più a sud hanno un corso molto breve e presentano un carattere torrentizio estremo (fiumare), con piene violentissime e lunghi periodi di totale mancanza d'acqua. Hanno carattere di fiumara anche molti corsi d'acqua della Sicilia, dove però non mancano fiumi di una certa lunghezza. Alla fitta rete idrografica fa riscontro, in I., una grande abbondanza di laghi. Tra le Prealpi e la pianura padana, procedendo da ovest a est si incontrano il lago Maggiore, il lago di Como, il lago di Garda. Nella penisola si hanno laghi di origine in parte tettonica come il Trasimeno, il maggiore dei laghi peninsulari italiani. I laghi vulcanici si trovano quasi tutti nel Lazio (lago di Bolsena, di Vico, di Bracciano, di Albano e di Nemi); in Campania i laghi dei Campi Flegrei. Numerosi laghi e stagni costieri, infine, nella penisola e in Sardegna.

Vegetazione

La vegetazione alpina varia a seconda delle zone altitudinali: alla quota più alta ci sono muschi e licheni; scendendo verso il basso si incontrano boschi di conifere e quindi faggeti; nel sottobosco, querce e castagni. La pianura padana è intensamente coltivata, sono rari i boschi di querce e roveri e le macchie di eriche e ginestre. Nella regione appenninica sono presenti, nell'area più bassa, querce e piante di tipo mediterraneo, e, in quella più alta, conifere, boschi e prati. La vegetazione della regione ligure-appenninica e di quella adriatica è costituita dalla macchia mediterranea (pini domestici e marittimi con sottobosco di timo e ginestre; lavanda; rosmarino, ecc.)

Fauna

In I. la fauna è caratterizzata da una grande varietà di specie. Nelle Alpi vivono stambecchi, camosci, ermellini; più rari sono orsi e cervi. La Sardegna e le isole vicine sono popolate da mufloni, daini, gatti selvatici e cinghiali. I lupi sono presenti sugli Appennini e in Sicilia, mentre gli orsi non sono rari in Abruzzo. In tutto il paese sono diffusi scoiattoli, lepri, volpi, tassi, marmotte, ghiri, topi, pipistrelli, lucertole, vipere, bisce d'acqua, rane, diverse specie di insetti, molluschi e altri invertebrati. L'I. costituisce inoltre una importante via migratoria per alcune specie di uccelli. Il passero è tra le specie più diffuse nel paese. Specie proprie delle Alpi sono il gallo cedrone, il francolino di monte, il fagiano di monte, la pernice e il picchio. In Sardegna si trovano gruiformi, passeriformi, fenicotteri e rapaci. Diffusi sono anche i tordi, le quaglie e le beccacce. La fauna marina è particolarmente ricca presso il golfo di Napoli, lo stretto di Messina e nel mar Ligure. Nei nostri mari abbondano soprattutto sardine, acciughe, tonni e sgombri.

Parchi nazionali

Ai primi cinque parchi nazionali: il Parco nazionale del Gran Paradiso (Piemonte-Valle d'Aosta), creato nel 1922 e vasto 56 mila ha; il Parco nazionale dello Stelvio, istituito nel 1935, vasto 95 mila ha; il Parco nazionale d'Abruzzo, creato nel 1923 e vasto 38.000 ha; il Parco nazionale del Circeo, creato nel 1934, vasto 3.200 ha; il Parco nazionale della Calabria, creato nel 1968, nel 1989 il ministero dell'ambiente ha affiancato quattordici nuove aree protette di interesse nazionale.

Geografia umana

La popolazione è all'incirca raddoppiata in un secolo, passando da 26,1 milioni a 49,9 milioni fra il 1861 e il 1961. Paradossalmente, questo incremento demografico è il prodotto dell'allungamento della vita; infatti il tasso di natalità è costantemente diminuito. Accentuate restano comunque le differenze regionali: il Centro-Nord è in fase di regresso demografico mentre il Sud presenta ancora incrementi, anche se lievi, di popolazione. Dalla riduzione delle nascite deriva un invecchiamento della popolazione. L'I. detiene il primato del più basso livello di fecondità di tutto il mondo (con un valore medio di 1,2-1,3 figli per donna nel 1992). L'I. è diventata paese di immigrazione. La popolazione italiana è per oltre l'83% cattolica; sono presenti minoranze protestanti (200.000 circa), di musulmani (300.000 circa) e di ebrei (35.000 circa).

Geografia economica

Il paese è piuttosto povero di risorse naturali. L'economia italiana è dunque essenzialmente un'economia di trasformazione, che ha il suo punto di forza nell'industria manifatturiera.

Agricoltura

Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale le attività agricole avevano ancora un peso sostanzialmente pari a quello dell'industria o a quello delle attività del settore terziario. Quarant'anni più tardi, alla fine degli anni Ottanta, esse occupavano meno del 10% delle forze di lavoro complessive e contribuivano a determinare il reddito nazionale in misura di poco superiore al 5%. Comune a tutto il paese è la riduzione della superficie coltivata e soprattutto l'esodo delle forze di lavoro dall'agricoltura, protrattosi a lungo al ritmo di 200/300.000 unità in meno ogni anno. In ogni caso, la riduzione del numero degli occupati non ha inciso sulla produzione, che anzi è costantemente aumentata. I motivi stanno nelle opere di bonifica, di rimboschimento, di creazione di bacini artificiali e di acquedotti e nel sempre maggior impiego di moderni macchinari, di fertilizzanti e di sementi selezionate. Il settore cerealicolo mantiene un'importanza basilare nell'economia agricola nazionale. Il raccolto di riso soddisfa pienamente il fabbisogno interno e consente una discreta esportazione. La produzione di orzo è più che raddoppiata in un solo decennio, mentre risulta stazionaria o in calo quella di segale e di avena. Fra le coltivazioni industriali primeggia per quantità la barbabietola con una produzione di zucchero che arriva a soddisfare una buona parte del fabbisogno interno, mentre risultano in crescita il tabacco e ancor più i semi di girasole. Fenomeno tipico degli anni Ottanta è stata l'improvvisa esplosione della produzione di soia, di cui il paese è diventato il maggior produttore ed esportatore europeo. Fra le coltivazioni del settore legnoso, primeggiano sempre quelle vitivinicole, per cui l'I. si contende con la Francia i primi posti nel mondo. Ha realizzato inoltre un grande balzo qualitativo il settore oleario. Da primato è anche la produzione di agrumi, con il secondo posto nel mondo per i limoni e entro i primi dieci posti per le arance e per i mandarini. L'altra frutta (mele, pere, pesche, albicocche, ciliege, ecc.) e le produzioni ortive (cipolle, cavoli, carciofi, insalata, zucchine, piselli, ecc.) mantengono una grande importanza specialmente per il consumo interno e hanno fatto registrare un miglioramento qualitativo più che quantitativo. La superficie forestale italiana non è molto estesa (poco più del 20% del territorio nazionale) ed è frequentemente devastata da un gran numero di incendi, spesso dolosi. Un lieve aumento della produzione di legname non è bastato ad attenuare la dipendenza dall'estero nel settore del legno e, soprattutto, in quelli della cellulosa e della carta.

Allevamento

L'autosufficienza non è ancora stata raggiunta. Il punto debole è rappresentato dai bovini. L'allevamento suino risulta costantemente in espansione, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo, mentre il numero di polli e di conigli si è più che decuplicato. Si mantiene stabile l'allevamento ovino e caprino.

Pesca

I mari italiani sono per loro natura meno pescosi delle acque atlantiche e l'inquinamento ha contribuito ad aggravare la situazione. Altri ostacoli a un maggior sviluppo del settore vengono dallo stato di arretratezza di una parte della flottiglia peschereccia e dalle frequenti controversie con la Tunisia, la Libia e la Croazia circa l'accesso alle zone di pesca vicine a questi paesi.

Risorse energetiche e minerarie

Il paese non manca di fonti energetiche: esso figura fra i maggiori produttori di energia idroelettrica, è ben fornito di gas naturale, non è del tutto privo nemmeno di petrolio e di carbone e negli ultimi decenni ha più che raddoppiato la produzione interna. Ma i consumi energetici nazionali sono più che doppi rispetto alla produzione interna e si sorreggono su un massiccio ricorso a importazioni, soprattutto petrolifere.

Industria

Per un lungo periodo lo sviluppo delle industrie si è concentrato nel «triangolo industriale» (Milano, Torino, Genova) e in genere nelle regioni settentrionali, favorite dalla disponibilità di capitali preesistenti, dalla facilità delle comunicazioni e dalla vicinanza al centro Europa più ricco e più attivo. Questo sviluppo ha messo in moto lo spostamento di centinaia di migliaia di lavoratori e di interi nuclei familiari, che si sono travasati anzitutto dal Mezzogiorno al Settentrione, e più in generale dalla montagna, dalle campagne, dai piccoli centri verso le grandi città industriali, provocandone la congestione. La situazione si è profondamente modificata fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. L'imporsi di nuovi modelli di vita, di nuovi bisogni e di nuovi interessi ha rotto il sostanziale equilibrio fra attività industriali e terziario, a tutto vantaggio di quest'ultimo. Fra i settori tradizionalmente più forti dell'industria italiana spicca quello meccanico. Operano in questo settore le due maggiori multinazionali del paese: la FIAT, tra i primi produttori automobilistici europei, e l'Olivetti, grande produttrice ed esportatrice di macchine per scrivere, calcolatrici, materiale elettronico e fino al 1996 computer. In attivo risultano anche il settore delle macchine utensili, per la lavorazione del legno e dei metalli, e quello dell'automazione della fabbrica e dei modernissimi robot. Tradizionalmente operosi sono pure i settori del tessile e dell'abbigliamento. Con la graduale ma inarrestabile sostituzione dei metalli con le materie plastiche, è entrato in crisi il settore siderurgico, per cui dopo estenuanti trattative con i partner comunitari sono stati definiti drastici tagli. Fra le numerose altre industrie del paese sono da citare almeno quelle attive nei settori alimentare, del mobile, degli elettrodomestici, editoriale, della carta, del cemento e del vetro. Le attività artigianali comprendono le numerosissime lavorazioni di ferri battuti, vetri soffiati, vasi, ceste, tappeti e oggetti di ogni genere in metallo, in legno e in cuoio.

Terziario

La continua evoluzione socioeconomica del paese trova il suo riscontro nel progressivo sviluppo delle attività del settore terziario, che alla fine degli anni Ottanta occupava da solo poco meno del 60% dei lavoratori attivi. In forte crescita sono risultate le attività dei settori bancario e assicurativo, pur se la tempestiva adozione di sistemi prima meccanizzati, poi computerizzati, ha comportato una stasi o addirittura una contrazione del numero degli occupati. Dopo una prima fase di forte crescita, ha cominciato a ridursi pure il numero dei piccoli commercianti, con la scomparsa di numerosi esercizi minori, sostituiti da un buon numero di supermercati e di giganteschi ipermercati. Ininterrotta è risultata invece la crescita nel settore delle telecomunicazioni. Nel corso degli anni Ottanta si sono rivelati soempre più drammatici i problemi dell'intasamento del traffico automobilistico nelle grandi città e della circolazione su strade e autostrade, con una conseguente grave incidenza sull'inquinamento. L'inquinamento ambientale e i problemi di circolazione rientrano fra i motivi di preoccupazione nei confronti di quello che costituisce il maggior punto di forza del terziario italiano, vale a dire il turismo. Un rilancio del settore appare indispensabile, anche al fine di mantenere il sostanziale equilibrio della bilancia dei pagamenti. L'I. è membro dell'ONU, delle Comunità Europee, del Consiglio d'Europa, dell'UEO, dell'OCDE e della NATO.

Preistoria

I ritrovamenti preistorici consentono di dimostrare come il territorio italico sia stato abitato fin dal periodo paleolitico inferiore. Più numerosi i resti attribuibili al successivo periodo del paleolitico medio, in cui fecero apparizione anche in I. individui della razza di Neandertal. Dopo il periodo che vide, con l'apparizione degli utensili di rame, la diffusione della cultura neolitica del vaso campaniforme, di estrazione iberica, fiorirono le varie culture dell'età del bronzo, che vide al Nord il grande sviluppo degli insediamenti palafitticoli e terramaricoli, lungo la penisola le civiltà d'origine pastorale e al Sud la crescente influenza del mondo culturale egeo. È solo con l'età del ferro che possono individuarsi vari aggruppamenti in cui sono ravvisabili i popoli dell'I. preromana con una loro peculiare fisionomia: a NO i Liguri, a NE i Veneti, gli Etruschi nella zona corrispondente all'attuale Emilia-Toscana, quindi le popolazioni propriamente dette italiche (Umbri, Sabini, Latini, Equi, Volsci, Sanniti, Campani, Lucani, Bruzi, ecc.) nella zona centromeridionale, lapigi nella Puglia, Siculi e Sicani in Sicilia, Sardi in Sardegna.

Storia

A più riprese, le rivalità esistenti tra questi popoli diversi per origine e livello culturale si risolsero in conflitti armati, soprattutto tra Greci ed Etruschi. Gli Etruschi, sentendosi minacciati dall'espansione dei Focesi di Marsiglia, si allearono con Cartagine e insieme ne distrussero la flotta nelle acque di Aleria. Impadronitisi della Corsica, avanzarono oltre il Lazio alla conquista della Campania; ma la duplice disfatta di Cuma (524 a.C.) e di Ariccia (505-504 a.C.) e la cacciata dei Tarquini da Roma li costrinsero a retrocedere. La loro potenza si ridusse sempre più quando, a metà del V sec. a.C., i Sanniti discesero dalle montagne dell'Abruzzo e Molise per occupare le fertili pianure sottostanti e nell'I. settentrionale i Galli, inserendosi tra Liguri e Veneti, irruppero nella pianura padana, donde in seguito si riversarono nella penisola. Roma iniziò allora il suo capolavoro politico-militare: la conquista e l'unificazione dell'I. (IV-II sec. a.C.). Vi riuscì attraverso numerose guerre (con i Latini, gli Etruschi, i Galli, i Sanniti, i Greci Italioti) e un'arte di governo moderata e costruttiva. Il nome I. si estese a buona parte della penisola, mentre il latino diveniva la lingua comune. Poco dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.) tutta la Gallia Cisalpina venne incorporata nell'I., che estese in tal modo i confini settentrionali sino alle Alpi, dal Varo all'Arsa. Ma lo sviluppo dell'Impero con le sue necessità di organizzazione diminuì a poco a poco il primato dell'I. che finì definitivamente con lo spostamento della capitale a Bisanzio. Con l'affermarsi del cristianesimo le restava tuttavia un'altra funzione di preminenza: a Milano, ormai capitale contro le minacce dei Barbari, sant'Ambrogio imponeva la sua volontà all'imperatore Teodosio e a Roma il papato poneva le basi della sua universale autorità.

Il medioevo

Le invasioni barbariche. Dopo la morte di Teodosio I il Grande (395), la divisione dell'Impero romano, già avvenuta altre volte per periodi più o meno brevi in passato, divenne definitiva. Da allora l'I. fu più volte invasa da popolazioni barbariche (Unni, Goti, Visigoti, Ostrogoti) fino a quando Odoacre (476) depose l'ultimo imperatore Romolo Augustolo e divenne re. L'imperatore d'Oriente Giustiniano cercò in seguito di riconquistare l'I. e ci riuscì dopo venti anni di lotte contro gli Ostrogoti. Un altro popolo fece però la sua irruzione in I. conquistando il Nord: i Longobardi (568). La dominazione longobarda ebbe fine dopo due secoli con l'invasione di Carlo Magno, re dei Franchi (774).

L'età carolingia

Carlo Magno fu cinto della corona imperiale da papa Leone III la notte di Natale dell'anno 800. Egli portò in I. il sistema feudale francese, dividendo la penisola in grandi feudi affidati a comites alle sue dipendenze. Alla morte di Carlo i suoi successori non seppero mantenere l'unità politica dell'impero. Diverse personalità si contesero per lungo tempo la corona imperiale fino a quando Ottone I di Sassonia intervenne nelle lotte e fu incoronato imperatore nel 962.

L'età dei Comuni

Il fenomeno comunale fu all'inizio la manifestazione della volontà di autonomia delle città padane e toscane, espressa dalla piccola nobiltà locale e appoggiata dai vescovi. Ben presto molti Comuni sorsero in tutta I., molti economicamente prosperi. Federico I di Svevia il Barbarossa (1152-1190) rivendicò i diritti dei sovrani usurpati dai Comuni e si scontrò a Legnano (1176) con i Comuni organizzati nella Lega lombarda uscendo sconfitto. Con la battaglia di Benevento (1266) si instaurò in I. il predominio angioino. Nel Sud cominciò una guerra ventennale tra angioini e aragonesi.

Stati signorili e principeschi

Nel XIV e XV secolo molte città comunali accrebbero enormemente il loro potere. Tra queste Venezia, Verona, Pisa, Milano e Firenze. In esse salirono al potere famiglie locali molto in vista (ad es. gli Scaligeri a Verona, gli Sforza e i Visconti a Milano, i Medici a Firenze) che trasformarono i Comuni in signorie. La lotta per l'egemonia tra Milano, Firenze e Venezia si concluse con la pace di Lodi (1454) che diede inizio a un periodo di equilibrio e di rigogliosa vita culturale. Nel Sud l'insurrezione e la guerra dei Vespri siciliani (1282-1302) avevano separato il regno di Sicilia, divenuto Aragonese, dal regno di Napoli conservato dagli Angioini. Alla fine del medioevo l'I. si configurava come un sistema di cinque Stati maggiori: Napoli, Roma, Firenze, Venezia e Milano tenuti insieme da un fragile patto di non aggressione che resistette per quarant'anni (1454-1494).

Le guerre di predominio e la preponderanza spagnola

Dalla discesa di Carlo VIII all'avvento di Carlo V. L'equilibrio tra gli Stati italiani non resistette all'attacco di Carlo VIII di Francia, col quale si iniziarono le guerre per il predominio sulla penisola durate dal 1494 al 1559: protagonisti principali la Francia, la Spagna e l'Impero, fiancheggiati od osteggiati dall'uno o dall'altro degli Stati italiani; conclusione, il predominio della Spagna, mantenuto sino ai primi anni del XVIIIsec. Domini diretti della corona spagnola furono i regni di Sardegna, di Sicilia e di Napoli, il ducato di Milano, alcune parti della costa tirrenica, l'Elba e Piombino. I francesi restituirono il Piemonte ai Savoia. Nonostante queste guerre, l'I. visse tra il 1454 e il 1559 un fervido periodo culturale. Tra le personalità che lo caratterizzarono vi furono Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Ariosto, Machiavelli, Guicciardini. L'atteggiamento dei sudditi verso la Corona spagnola fu, in complesso, di lealtà e di devozione. Nel regno di Napoli, pressione tributaria e servitù militari, sopportabili nel Milanese, soverchiavano una popolazione economicamente molto più debole e in condizioni di cronico squilibrio sociale. Senza sottovalutare l'opera svolta dal governo spagnolo per la protezione del territorio dagli attacchi esterni e per sottomettere a disciplina i baroni, né le provvidenze per il risanamento urbanistico della capitale e per l'incremento delle attività produttive, va notato che il disagio della popolazione venne sempre crescendo e, pur rimanendo vivo un sentimento di devozione verso la Corona, non mancarono sommosse. La più grave fu quella legata al nome di Masaniello (1647): nell'autunno del 1647 fu proclamata la repubblica con il titolo confuso di Serenissima Repubblica del regno di Napoli. Ma gli spagnoli soffocarono la ribellione (primavera 1648). Tra gli Stati indipendenti dalla dominazione spagnola, il più importante era quello della Chiesa, governato tra la metà del XVI sec. e la fine del XVII dai papi promotori ed esecutori della restaurazione cattolica. La politica ecclesiastica non distolse tuttavia i papi dalla cura degli affari temporali, e fu una cura rivolta ad accrescere i domini territoriali e a garantire al complesso di essi la sicurezza di fronte ai pericoli sia di disgregazione interna sia di attacchi dall'esterno. Venezia era rimasta estranea alle guerre d'I. dopo il 1530. Durante la guerra contro i Turchi per il possesso di Cipro ebbe il soccorso di una crociata e di navi spagnole, sabaude, toscane e pontificie. Gli Stati sabaudi furono i meno toccati dal dominio spagnolo e tentarono anche di conquistare alcuni possedimenti francesi. Tra la fine del 1600 e l'inizio del 1700 l'I. fu teatro dello scontro tra le potenze europee. I Savoia aumentarono il loro peso politico, mentre al dominio spagnolo si venne sostituendo quello austriaco (trattato di Utrecht del 16 aprile 1713).

Il predominio austriaco

Con la pace di Utrecht l'Austria aveva sostituito la Spagna quale potenza dominante in I., assicurandosi il Milanese, la Sardegna, il Napoletano e lo Stato dei Presidi, mentre Vittorio Amedeo II di Savoia, che aveva mirato alla conquista del Milanese, dovette accontentarsi del Monferrato e della Sicilia col titolo di re. La Lombardia austriaca (comprendente le odierne province di Milano, Como, Varese, Cremona senza Crema, possesso veneziano, Mantova e Pavia senza l'Oltrepò) ricevette un notevole impulso dal riformismo absburgico e fu, con la Toscana, quello tra gli Stati italiani in cui fu maggiore l'efficacia del movimento illuministico e in cui i processi di trasformazione economica a cui era avviata la penisola si manifestarono nei loro aspetti più positivi. L'I. della fine del Settecento fu travagliata da un'acuta crisi sociale, rappresentata in particolare dalla crescente miseria delle popolazioni contadine, su cui si innestava la crisi della politica riformatrice, che nasceva dal contrasto tra l'autoritarismo dei sovrani e la debolezza delle forze innovatrici; inoltre quasi tutti gli Stati italiani si trovavano in difficoltà finanziarie. Su questa situazione doveva influire potentemente la Rivoluzione francese, le cui idee trovavano un terreno particolarmente adatto nei gruppi più vivi dei ceti intellettuali italiani, specie tra i più giovani, che dall'Illuminismo avevano ricevuto un'educazione ispirata alle idee di libertà e di uguaglianza, di sovranità popolare e dei diritti dell'uomo.

Le origini del Risorgimento

L'età giacobina e napoleonica (1796-1814). Una parte del ceto dirigente illuminista, di fronte all'affossamento delle riforme, si distaccò dai governi (Melzi, Verri, G.B. Vasco), abbracciando posizioni costituzionali moderate che ne prepararono l'adesione ai governi repubblicani. Si formarono minoranze «patriote» e giacobine, in parte derivate dalla massoneria, che iniziarono una vivace attività cospirativa accompagnata da repressioni poliziesche ed esecuzioni capitali. Napoleone iniziò la sua penetrazione in I. nel marzo 1796. Un congresso elettivo convocato a Reggio e poi a Modena (27 dicembre 1796 - 1° marzo 1797) approvò la creazione di una Repubblica Cispadana una e indivisibile, la cui costituzione, accentuatamente moderata e modellata su quella francese del 1795, fu l'unica del triennio repubblicano a non essere imposta dai Francesi. Un direttorio di tre membri e un corpo legislativo si riunirono a Bologna; ma nel luglio del 1797 Bonaparte decise di sciogliere la Cispadana e la aggregò, insieme alla Romagna, alla Repubblica Cisalpina, sorta il 29 giugno 1797. Sin dal 6 giugno era stata creata la Repubblica Ligure democratizzata; un grave colpo ricevette invece il movimento giacobino con la cessione all'Austria del Veneto, sanzionata dalla pace di Campoformio (17 ottobre 1797). Anche Roma fu occupata dai Francesi e venne istituita la Repubblica Romana (1798). Nel 1805 Napoleone, divenuto imperatore, assunse il titolo di re d'I. e trasformò la Repubblica Italiana in Regno d'I. Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia (1813), sorse la speranza che fosse possibile ottenere per i regni napoleonici in I. l'indipendenza sia dalla Francia sia dall'Austria. Di questa situazione approfittò l'Austria per instaurare una reggenza, che il 12 giugno proclamò l'annessione della Lombardia all'Impero austriaco. Le sorti dell'I. vennero definitivamente decise dal congresso di Vienna, che restaurò gli antichi sovrani.

Il Risorgimento

Dopo la Restaurazione si diffuse in tutta I. il desiderio di indipendenza. Ovunque si costituirono sette segrete (si ricorda in particolare la Carboneria) e gruppi rivoluzionari. La prima azione fu quella della Carboneria napoletana (1820) che ottenne da re Ferdinando la costituzione spagnola del 1812. Altre insurrezioni si ebbero poi in tutta I. ma furono represse. Uomini come Mazzini (che aveva fondato nel 1831 un'associazione di patrioti, la «Giovine Italia»), Buonarroti, Balbo e Gioberti sollevarono per primi il problema dell'unità nazionale, proponendo diverse soluzioni (mentre Gioberti auspicava uno Stato sotto la guida del papa, Mazzini sperava in una rivoluzione che avrebbe portato alla repubblica). Il 1848 fu l'anno in cui iniziarono vere e proprie battaglie per l'indipendenza (v. INDIPENDENZA ITALIANA, GUERRE D']). Insorsero Palermo, Milano (Cinque giornate) e poi Venezia. Carlo Alberto di Savoia accorse in aiuto dei rivoluzionari e così fecero altri sovrani fino a quando, ritiratosi papa Pio IX dal conflitto, ne seguirono l'esempio. Carlo Alberto, sconfitto a Custoza, fu costretto ad abdicare in favore del figlio. Le iniziative rivoluzionarie che seguirono, a opera di Mazzini e Pisacane, non ebbero successo. Cominciava a prendere piede il moderatismo di Cavour (presidente del consiglio nello Stato dei Savoia) che auspicava un'unione sotto la guida del Piemonte. Cavour stabilì un accordo con Napoleone III (Plombières, luglio 1858) con il quale la Francia accettava di aiutare l'I. in caso di attacco austriaco. Ciò accadde durante la II guerra d'Indipendenza che si concluse inaspettatamente con l'armistizio stipulato da Napoleone a Villafranca, nonostante le vittorie italiane a Solferino e a San Martino. I Savoia ottennero solo la Lombardia. Cavour deluso si dimise per poi ritornare sulla scena politica nel 1860, quando Napoleone diede il suo assenso ai plebisciti con i quali la Toscana e la Romagna chiedevano e ottenevano l'annessione al Piemonte. In seguito all'insurrezione palermitana dell'aprile 1860, Garibaldi assunse la guida di una spedizione che partì da Quarto (v. MILLE SPEDIZIONE DEI]) nel maggio 1860. Tale spedizione ebbe successo e si concluse con la conquista della Sicilia e di Napoli e con l'incontro tra Garibaldi e il re Vittorio Emanuele II, che era penetrato in Roma battendo l'esercito papale, a Teano (ottobre 1860). Il 17 marzo 1861 venne pubblicato il decreto che proclamava il regno d'I. sancendone l'unità.

L'Italia unita

La camera del nuovo regno d'I. (il ramo rappresentativo del parlamento, accanto al senato, di nomina regia), i cui deputati venivano eletti sulla base di collegi uninominali da un elettorato che rappresentava soltanto il 2% dell'intera popolazione della penisola, era divisa in due schieramenti, una Destra, composta da liberali conservatori e moderati, e una Sinistra, che riuniva i liberali più avanzati e i democratici, preoccupati soprattutto di risolvere i problemi dell'unificazione. Alla morte di Cavour (6 giugno 1861) venne chiamato al potere Bettino Ricasoli, che si preoccupò degli immediati problemi amministrativi posti dalla formazione dello Stato unitario, risolvendoli con l'accentramento e la divisione dello Stato in 59 prefetture dipendenti dal ministero degli interni e unificò il debito pubblico assumendo il disavanzo degli Stati scomparsi; nel Meridione venne iniziata una dura repressione del brigantaggio: la lotta che ne nacque si prolungò fino al 1865, provocando più di cinquemila morti tra le file dei briganti. Il partito d'azione premeva intanto per la liberazione di Roma e del Veneto. Maturava la possibilità di conquistare il Veneto, attraverso un'alleanza con la Prussia che era ormai in aperto contrasto con l'Austria. Pur tra difficoltà e diffidenze reciproche le trattative sboccarono nel trattato dell'8 aprile 1866, sulla base del quale l'I. entrò successivamente in guerra, senza che però fosse stato elaborato un piano d'azione comune tra i due eserciti. (v. INDIPENDENZA ITALIANA [guerre d']). L'I. ottenne così il Veneto. Dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan, sotto la pressione della Sinistra e di gran parte dell'opinione pubblica, falliti gli estremi tentativi di trovare un accordo con Pio IX, le truppe del generale Raffaele Cadorna penetrarono nello Stato Pontificio e conquistarono Roma (20 settembre 1870). Il papa, coerentemente alle sue precedenti prese di posizione, si dichiarò contrario a ogni riconoscimento del fatto compiuto, e il governo diede una soluzione unilaterale ai rapporti col Vaticano mediante la legge delle Guarentigie (1871). Le elezioni del novembre 1874 segnarono un insuccesso della Destra storica e nel marzo 1876 il re dovette chiamare al governo Agostino Depretis, capo della Sinistra parlamentare. Nel paese si diffondevano e si organizzavano le prime forze di una Sinistra dichiaratamente socialista. Il governo approvò un allargamento del corpo elettorale in conseguenza del quale gli elettori passarono da 600.000 a 2 milioni circa (1882). Dopo il 1880, per il timore di restare isolati in Europa, il governo si indirizzò verso una cauta espansione in Africa e verso l'alleanza con gli Imperi centrali (Triplice alleanza, 20 maggio 1882, rinnovata poi nel febbraio 1887 a condizioni più vantaggiose). Nell'agosto 1887, alla morte di Depretis, la presidenza del consiglio fu assunta da F. Crispi. Nel marzo 1896 Crispi, che aveva ripreso la politica di espansione coloniale in Africa (occupazione dell'Eritrea), puntando su di essa per risolvere anche le difficoltà interne, venne rovesciato a seguito della sconfitta di Adua (1° marzo 1896). Tra l'aprile e il maggio 1898 si ebbe una serie di dimostrazioni, che culminarono nelle giornate di Milano (6-8 maggio) in cui il generale Bava-Beccaris impiegò l'esercito per una repressione sanguinosa, a cui seguì la proclamazione dello stato d'assedio in quasi tutte le province e la persecuzione contro i socialisti e i cattolici dell'Opera dei congressi, accusati entrambi di aver promosso i tumulti. La vastità della crisi del 1898 spinse il governo Pelloux (costituitosi nel giugno 1898) ad accentuare la politica illiberale, presentando una serie di decreti-legge per la restrizione delle libertà di sciopero, di stampa e di riunione. Gli succedette (giugno 1900) G. Saracco che ritirò i disegni di legge illiberali.

L'età giolittiana e la prima guerra mondiale

Il periodo 1900-1913 fu caratterizzato dalla figura di Giolitti che fu più volte presidente del consiglio. Sotto di lui si ebbe un periodo di grande espansione economica. Nel 1912 fece approvare la riforma elettorale che prevedeva il suffragio universale maschile esteso a tutti coloro che avessero fatto il militare anche se analfabeti. In politica estera riprese la campagna per la conquista della Libia (1911-1912). Giolitti si dimise nel marzo 1914 in seguito all'insuccesso elettorale del 1913 che aveva visto un'enorme crescita dei socialisti e dei cattolici. Salandra, succeduto a Giolitti, fece entrare l'I. nel primo conflitto mondiale (24 maggio 1914). (V. GUERRA MONDIALE PRIMA]).

L'Italia tra le due guerre

Al termine della prima guerra mondiale l'I. - pur vittoriosa - dovette affrontare una situazione molto grave dal punto di vista economico-sociale, di fronte a cui la vecchia classe dirigente liberale si rivelò inadeguata, mentre si affermavano due partiti di massa, il partito socialista e il partito popolare italiano (fondato da don Sturzo nel 1919). Mussolini fondò a Milano il movimento dei Fasci Italiani di combattimento (23 marzo 1919), con un programma ultrademocratico e nazionalista nello stesso tempo. Per tutto il 1921 la violenza fascista (squadrismo, spedizioni punitive, ecc.) imperversò in Italia contro le organizzazioni socialiste, specie nella Val Padana, spesso con la connivenza delle autorità; nel partito socialista maturava intanto una crisi che portò nel gennaio 1921 alla scissione della minoranza aderente ai ventun punti della terza Internazionale e alla fondazione del partito comunista d'Italia (congresso di Livorno). Il movimento fascista (costituitosi in partito il 9 novembre 1921 nel congresso di Roma) andò sempre più rafforzandosi. Nel congresso nazionale fascista riunitosi a Napoli il 24 ottobre il «duce» annunziò la «marcia su Roma», che fu effettuata il 28 dello stesso mese. Mussolini ebbe dal re l'incarico di formare il governo, che fu insediato il 31. Il primo governo Mussolini fu un governo di coalizione, cui parteciparono esponenti liberali e popolari e che fu appoggiato dall'esterno anche da Giolitti, poiché la vecchia classe dirigente pensava ancora che fosse possibile arrivare a una «normalizzazione» e costituzionalizzazione del fascismo. Tra il novembre 1922 e il giugno 1924, il fascismo esautorò di ogni potere gli altri partiti e creò suoi organi, come il Gran consiglio e la Milizia (gennaio 1923), che assicurò a Mussolini uno strumento del tutto indipendente dalla normale organizzazione militare dello Stato. Il 25 gennaio 1924 un decreto reale sciolse la camera, dopo che i due rami del parlamento avevano approvato la legge elettorale maggioritaria Acerbo, che fu applicata nelle elezioni del 6 aprile, svoltesi in un clima di violenze e di soprusi. Con una legge del 24 dicembre 1925 Mussolini, che cumulò in sé le funzioni di capo del governo e di primo ministro, venne investito della piena autorità esecutiva, che esercitava a nome del re senza ingerenza del parlamento, il quale venne privato dell'iniziativa delle leggi. Un elemento assai importante nella politica del fascismo fu l'avvenuta conciliazione dello Stato con la Chiesa (patti lateranensi dell'11 febbraio 1929), che servì a Mussolini anche per rafforzare il prestigio del fascismo e quello suo personale e per utilizzare l'appoggio della Chiesa come strumento di espansione nazionale. In politica estera, Mussolini pensava all'Etiopia come campo di espansione coloniale. Dopo la rapida vittoria (maggio 1936) e la proclamazione di un effimero Impero, la cui corona fu offerta a Vittorio Emanuele III, poté delinearsi e prendere sempre più consistenza un avvicinamento italo-germanico che fu fissato negli accordi di Berlino del 23 ottobre 1936 (l'Asse Roma-Berlino, come lo definì Mussolini nel discorso di Milano del 1° novembre 1936); l'intesa fra i due Stati totalitari fece poi le sue prove con l'intervento, in aiuto di Franco, nella guerra civile di Spagna (1936-1939), consolidandosi definitivamente con la stipulazione del Patto d'acciaio (22 maggio 1939).

La seconda guerra mondiale

L'I. intervenne nel conflitto (V. GUERRA MONDIALE SECONDA e ITALIA (campagna d'I. 1943-1945)) a fianco della Germania nel 1940 dopo un periodo iniziale di non belligeranza e dopo alcune incertezze dovute al fatto che il ministro degli esteri Ciano, dopo essere stato un fautore dell'Asse, era venuto progressivamente raffreddando i suoi entusiasmi verso la Germania. Il distacco tra paese e regime si venne allargando man mano che lo sfavorevole andamento delle operazioni dimostrò l'inadeguatezza della preparazione militare e l'errore dei calcoli di Mussolini. Questi, messo in minoranza nella seduta del Gran consiglio del 25 luglio 1943, fu fatto arrestare da Vittorio Emanuele III, che affidò il potere a un governo presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio e composto da tecnici e da militari. Badoglio avviò nell'agosto trattative con gli Alleati, che portarono all'armistizio di Cassibile (3 settembre), annunciato prematuramente l'8 settembre dal governo italiano. Il governo Badoglio, rifugiatosi al Sud con il sovrano sotto la protezione alleata mentre Roma veniva occupata dai Tedeschi, firmò il 29 settembre a Malta un nuovo armistizio («armistizio lungo») e il 13 ottobre dichiarò guerra alla Germania, mentre i ricostititi partiti antifascisti (democratico cristiano, socialista, comunista, liberale, demolaburista, d'azione, repubblicano) rifiutavano di collaborare con Badoglio e con la monarchia. Nell'I. occupata dai Tedeschi si costituiva intanto la Repubblica Sociale Italiana, capeggiata dallo stesso Mussolini (23 settembre 1943). Contro i fascisti della repubblica di Salò e gli occupanti tedeschi si organizzò, il movimento della Resistenza, sviluppatosi subito dopo l'8 settembre in tutta l'I. centrosettentrionale, dapprima come fenomeno spontaneo poi come organizzazione militare dei Comitati di liberazione nazionale (CLN). Roma fu liberata il 4-5 giugno 1944, e subito dopo si ebbe la proclamazione della luogotenenza e la formazione di un nuovo governo, presieduto da I. Bonomi, presidente del CLN centrale. Dal febbraio 1945 poté realizzarsi, in coincidenza con la vittoriosa offensiva alleata, un'intensificazione dell'attività delle formazioni partigiane, che sboccò nell'insurrezione generale dell'aprile 1945 e nella liberazione totale del territorio nazionale.

Dal dopoguerra ad oggi

Si formò nel giugno 1945 il ministero presieduto da F. Parri, segretario del partito d'azione ed esponente partigiano, come soluzione di compromesso tra le opposte candidature di Alcide De Gasperi (DC) e Pietro Nenni, segretario del partito socialista. Nel marzo-aprile 1946 il governo fece effettuare le elezioni amministrative, che segnarono il netto prevalere dei partiti di massa (democratici cristiani, socialisti e comunisti), mentre gli altri partiti venivano drasticamente ridimensionati dal responso delle urne. Il governo stabilì per il 2 giugno 1946 le elezioni politiche per l'elezione di un'Assemblea costituente, che avrebbe dovuto elaborare una nuova costituzione, da tenere contemporaneamente a un referendum istituzionale. Poco prima delle elezioni Vittorio Emanuele III abdicò (9-10 maggio): la soluzione repubblicana prevalse, sia pure di stretta misura, con il 54% dei voti (12.717.923 contro 10.719.284). I tre partiti maggiori diedero vita (insieme col piccolo partito repubblicano: 4,4%) a un nuovo ministero De Gasperi. Fu questo il governo che il 10 febbraio 1947 firmò il trattato di pace (ratificato nell'autunno): le clausole del trattato comportavano, oltre alla perdita dell'Istria a favore della Iugoslavia e a piccole rettifiche sulla frontiera alpina a vantaggio della Francia, la rinuncia alle colonie, il pagamento di risarcimenti alle potenze vittoriose, forte riduzione delle forze armate. Restavano però ancora aperte la questione di Trieste e la controversia per l'Alto Adige con l'Austria. La costituente, riunitasi il 25 giugno 1946, elesse due giorni dopo capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, elaborando nei mesi successivi la costituzione repubblicana, approvata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Le prime elezioni tenutesi dopo l'entrata in vigore della costituzione (18 aprile 1948) si svolsero in un clima di tensione. La democrazia cristiana ottenne la maggioranza assoluta dei seggi (48,5% dei voti). Il liberale L. Einaudi l'11 maggio 1948 venne eletto presidente della Repubblica. In politica estera, dopo il 18 aprile l'I. accentuò il suo schieramento dalla parte dell'Occidente dando la sua partecipazione all'alleanza militare della NATO. Nel campo delle relazioni internazionali, un avvenimento importante fu la definizione del problema di Trieste, lasciato irrisolto dal trattato di pace; la questione, entrata in una fase acuta sotto il successore di De Gasperi, Pella, fu risolta dal successivo ministero Scelba (10 febbraio 1954 - 8 luglio 1955) mediante un accordo con Tito (ottobre 1954) che attuò una spartizione del Territorio libero (con la successiva incorporazione di Trieste all'I.). Nel frattempo processi e trasformazioni di notevole rilievo stavano verificandosi all'interno dei principali partiti. Le elezioni politiche del 1958 non fecero registrare spostamenti notevoli nello schieramento politico italiano. L'incarico di formare il governo fu assunto da Fanfani, il quale diede vita a un ministero fondato sulla coalizione tra democristiani e socialdemocratici, che poté entrare in carica per l'astensione dei sette deputati repubblicani (1° luglio 1958 - 26 gennaio 1959); il governo Fanfani si orientò a sinistra. Dimessosi Fanfani per i contrasti interni della DC fu messo in piedi un governo di ordinaria amministrazione presieduto da Segni (15 febbraio 1959 - 26 febbraio 1960), costituito da soli democristiani e con l'appoggio dei liberali, dei due partiti monarchici e del MSI. Intanto nella democrazia cristiana, emergeva il nuovo segretario Aldo Moro. Nel maggio 1962 si svolse la battaglia per la presidenza della repubblica, che vide la vittoria delle forze moderate e conservatrici e portò all'elezione, dopo ben nove scrutini, di Antonio Segni. Gli anni dal 1959 alla fine del 1963 furono caratterizzati, sul piano economico, da un boom della produzione industriale senza precedenti nella storia dell'economia del paese, che trasformò l'I. in un paese altamente industrializzato. Le elezioni per la quarta legislatura repubblicana (28-29 aprile 1963) confermarono la maggioranza relativa della DC. Le trattative per un nuovo governo di centro-sinistra, furono portate avanti da Moro, che riuscì a raggiungere un accordo tra i quattro partiti del centro-sinistra per un rilancio programmatico. Il congresso socialista apertosi il 24 ottobre approvò la decisione di creare un governo di coalizione quadripartito con la partecipazione diretta dei socialisti. Moro poté così presentare il nuovo governo (Moro presidente del consiglio, con Nenni alla vicepresidoenza), che ebbe come capisaldi programmatici la promulgazione di un programma economico quinquennale, l'istituzione delle regioni e una serie di riforme in campo scolastico, urbanistico e agrario. Il 1969 fu l'anno più turbato e inquieto dall'inizio della repubblica e segnò una nuova svolta nella sua storia. Dal mondo studentesco l'agitazione investì il mondo sindacale. La accompagnarono sintomi di rallentamento dello sviluppo produttivo e di sfiducia nella stabilità economica e politica del paese. Crebbero il deficit della bilancia dei pagamenti e la fuga dei capitali all'estero. In questo clima di tensione, ebbe luogo il tragico episodio dell'attentato dinamitardo di piazza Fontana, a Milano, che provocò la morte di 16 persone. Il 23 maggio del 1970 ebbe luogo uno scontro di piazza tra fascisti e polizia. Tutto il corso degli anni '70 fu caratterizzato da sanguinose azioni di terrorismo che sconvolsero l'I. Il 24 dicembre 1971, dopo una lunghissima consultazione, venne eletto presidente della repubblica il giurista democristiano G. Leone. Dopo il fallimento del tentativo di ricostituire un governo di centro-sinistra, il nuovo presidente della repubblica affidò ad Andreotti l'incarico di dar vita a un governo minoritario, che non ottenne la fiducia del senato. Il 28 febbraio, perciò, veniva deciso per la prima volta nella vita della repubblica di sciogliere anticipatamente la camere. A formare il governo venne chiamato nuovamente Andreotti, che sperimentò una formula politica centrista, sostenuta dal tripartito DC, PLI e PSDI. Non vi parteciparono il PSI, il PRI e le correnti di sinistra della DC. Il governo Andreotti cadde nel giugno 1973 e si tornò alla formula di centro-sinistra. Nel corso dell'anno 1974 si era intanto verificata la ripresa delle iniziative terroristiche delle forze eversive (eccidio di Brescia, attentato al treno «Italicus» della linea Roma-Monaco). In ottobre il quinto governo Rumor cadde definitivamente a causa dei contrasti tra PSI e PSDI. Dopo un vano tentativo di Fanfani, fu Moro a formare il nuovo governo, varando la formula del bicolore DC-PRI, appoggiata dall'esterno da PSI e PSDI. Oltre alla situazione dell'economia, che viveva una fase di recessione, aggravata dalla crisi internazionale, il governo Moro si trovò ad affrontare il problema dell'ordine pubblico, in relazione a una violenta ondata di criminalità e a gravi disordini politici. Le elezioni amministrative del 15 giugno 1975, cui parteciparono per la prima volta i diciottenni, registrarono un calo della DC e un forte progresso del PCI. Dopo le elezioni amministrative del giugno 1975 la politica interna entrò in una fase nuova. In settembre il presidente del consiglio Moro affrontò il tema del coinvolgimento del PCI nella maggioranza: fu l'avvio della politica di «solidarietà nazionale». Autore del compromesso fu Andreotti, che varò un monocolore DC (terzo governo Andreotti), detto della «non sfiducia» perché si reggeva unicamente sulle astensioni, mancando di una maggioranza organica. Nel gennaio del 1978 si aprì la crisi di governo e Andreotti avviò le trattative per formare il nuovo governo, mentre la DC poneva il veto su una nuova maggioranza estesa al PCI. L'8 marzo l'intesa venne raggiunta. Poco dopo Andreotti presentò il suo quarto governo, un monocolore DC. Non ci fu spazio per polemiche poiché il 16 marzo le Brigate rosse rapirono Moro. Il 9 maggio il cadavere del presidente della DC venne fatto trovare dalle Brigate rosse in via Caetani, a mezza strada tra le sedi di DC e PCI. Il giorno dopo il ministro dell'interno Cossiga rassegnò le dimissioni. A giugno si ebbero le dimissioni del presidoente della repubblica Leone, travolto dalle accuse relative a non chiare operazioni finanziarie. A succedergli venne eletto S. Pertini. L'Italia era sconvolta dagli scandali, che colpirono anche la direzione della Banca d'Italia (23 marzo 1979), mentre Pertini, dopo la rinuncia di La Malfa, cercava invano di trovare una soluzione alla crisi di governo, affidando nuovamente ad Andreotti il compito. Le elezioni politiche del 3-4 giugno videro la grave sconfitta del PCI e l'avanzata del partito socialista e dei partiti laici, mentre la DC manteneva le sue posizioni. A caratterizzare il risultato elettorale fu però un nuovo fenomeno: l'astensionismo, soprattutto giovanile, destinato a crescere progressivamente negli anni Ottanta. In aprile Cossiga formò il nuovo governo, sostenuto dalla coalizione DC-PSI-PRI. Continuarono gli attentati terroristici che culminarono in quello che è ritenuto il più grave: la strage alla stazione ferroviaria di Bologna, nella quale, il 2 agosto, persero la vita 85 persone e 147 rimasero ferite. Il 1981 si aprì con i problemi economici legati all'inflazione e al deficit della bilancia dei pagamenti. Un'altra crisi costrinse Pertini a sciogliere le camere e a indire elezioni anticipate nel giugno 1983. In luglio Pertini affidò a Craxi il compito di formare il governo. Nel mese di agosto Craxi presentò alle camere il suo governo, sostenuto dalla coalizione pentapartitica DC-PSI-PSDI-PRI-PLI, con un programma che si prefiggeva il risanamento dell'economia. Il 1984 si aprì con la battaglia tra governo e opposizione sul problema del costo del lavoro. Scioperi e manifestazioni ebbero luogo in diverse città e a quella di Roma del 24 marzo parteciparono più di un milione di lavoratori. In febbraio intanto il governo Craxi firmò con la Santa Sede il nuovo concordato, considerato inizialmente un successo del governo, ma portatore in seguito di polemiche relative specialmente all'insegnamento religioso nelle scuole. Dopo varie crisi e scioglimento di governi le elezioni del 14-15 giugno 1987 fecero registrare la sconfitta del partito comunista e l'avanzata delle due maggiori forze di governo (DC e PSI). Nel PCI il dibattito sulla sconfitta portò all'elezione di A. Occhetto a vicesegretario unico. Il 16 dicembre si concluse a Palermo il maxiprocesso alla mafia, con numerose condanne. Il processo fu reso possibile dalle rivelazioni dei pentiti. Nel 1988 Cossiga affidò al segretario della DC, C. De Mita, l'incarico di formare il governo. Il governo De Mita venne ben presto indebolito dai contrasti tra i partiti della coalizione, specialmente tra i il PSI e la DC, e dalle lotte tra le diverse correnti democristiane. Il congresso, tenuto a Roma nel febbraio 1989, portò alla segreteria del partito Forlani, mentre a De Mita venne assegnata la carica (simbolica) di presidente del partito, da lui abbandonata nel febbraio 1990 per divergenze con la segreteria. La sconfitta di De Mita finì per ripercuotersi sul governo, che in maggio, subito dopo i congressi del PRI e del PSI, fu costretto alle dimissioni. Cossiga incaricò il presidente del senato di compiere un giro esplorativo, al termine del quale non si pervenne ad alcuna conclusione. Negli anni Novanta è particolarmente cresciuta la critica e con essa la sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti. Nelle elezioni regionali del 1990 si affermarono infatti nuove forze politiche come i movimenti Verdi e le Leghe regionaliste soprattutto la Lega Lombarda. Gli stessi partiti tradizionali entravano in crisi. Il partito comunista si scindeva nel 1991 in due fazioni: il PDS guidato dal segretario Occhetto e la minoranza di Rifondazione comunista di Ingrao. Il presidente della repubblica Cossiga intervenne più volte su vari aspetti della vita politica e istituzionale creando fermenti sia nei partiti che nell'opinione pubblica. L'inizio del 1992 si presentò particolarmente difficile. Le elezioni svoltesi in aprile confermarono la crisi dei partiti tradizionali: minimo storico per la DC, calo dei socialisti e dei comunisti del PDS, crescita di leghe e Verdi. In maggio fu eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. La crisi politica e istituzionale fu resa ancora più grave da alcuni fatti. Il 23 maggio il direttore della sezione Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia Giovanni Falcone venne ucciso con la moglie e tre agenti di scorta in un attentato organizzato dalla mafia. Il 19 luglio l'esplosione di un'autobomba a Palermo uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta. Inoltre una clamorosa indagine giudiziaria denominata «Mani pulite» ha portato da allora all'incriminazione è all'arresto di molti politici (soprattutto democristiani e socialisti) con l'accusa di aver ricevuto tangenti anche molto elevate da imprese favorite nell'assegnazione dei lavori pubblici. Il sistema dei partiti tradizionali è entrato in crisi definitivamente con le accuse di Tangentopoli. Prova ne sono state le elezioni del marzo 1994, svoltesi con il nuovo sistema elettorale maggioritario entrato in vigore nel 1993. I vecchi partiti, pur presentatisi con nuovi simboli e programmi, sono stati nettamente sconfitti da nuove formazioni tra cui Forza Italia e Alleanza Nazionale. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi è stato eletto presidente del consiglio. Le sue manovre finanziarie hanno creato scontento nei cittadini che si sono serviti dello sciopero per protestare. Alla fine del 1994 il presidente del Consiglio, contrastato dall'interno del polo governativo, ha dato le dimissioni. Nel gennaio 1995 il presidente della Repubblica ha affidato l'incarico a L. Dini che ha costituito un governo di tecnici. Nell'aprile del 1996 si sono svolte le elezioni politiche anticipate, che hanno visto premiata la coalizione di centro-sinistra denominata "Ulivo". Il leader dell'Ulivo, Romano Prodi, è stato eletto presidente del consiglio; il governo da lui guidato ha intrapreso lo studio di varie riforme intese a portare l'Italia in una condizione politico-economica tale da consentirle di allinearsi ai parametri rispettati dagli altri stati dell'Unione Europea. Nei mesi di settembre e ottobre 1996 il governo si è trovato a far fronte ad alcune difficoltà: l'annuncio del progetto di secessione del Nord dal resto d'Italia da parte della Lega nord (il 15 settembre 1996) e la presentazione in Parlamento della legge finanziaria, che ha incontrato la decisa opposizione di gran parte dei partiti. A novembre però la legge finanziaria ha superato l'esame della Camera e questo fatto ha rafforzato l'immagine politica di Romano Prodi e del governo. Nell'ottobre 1996 Romano Prodi ha incontrato sia il leader tedesco Helmut Kohl sia il presidente francese Jacques Chirac e ha preso accordi per far rientrare la valuta italiana nel Sistema monetario europeo (SME). Il 26 novembre 1996 la lira è rientrata nello SME.

Letteratura


Le origini e il Duecento

Tardiva è l'origine della letteratura italiana rispetto alle maggiori di lingua romanza, provenzale, francese, castigliana. I primi monumenti letterari italiani appartengono al XIII sec. Più a lungo che in altri paesi si mantenne in I. l'uso del latino. Al fiorire di una nuova letteratura fu di ostacolo il carattere della società italiana del basso medioevo, scarsamente sensibile ai valori della civiltà feudale e cavalleresca, che era stata la grande ispiratrice delle nuove forme di poesia presso gli altri popoli dell'Occidente europeo. È assodato che nella prima metà del Duecento, sotto l'impulso di eventi storici tipicamente italiani, sorse con caratteri suoi la poesia volgare. Da un fenomeno profondamente legato ad aspirazioni cristiane quale la predicazione di san Francesco d'Assisi nacque non solo il mirabile Cantico di frate Sole, ma ebbe incentivo la poesia dei laudesi umbri, alla quale si collega ancora, sulla fine del secolo, l'opera personalissima di Jacopone da Todi. Ma nella storia della poesia italiana, il fatto di maggiore rilievo, press'a poco coevo alla predicazione di san Francesco, fu la scuola poetica siciliana, fiorita alla corte di Federico II di Svevia. I poeti della cosiddetta prima scuola celebrarono l'amore cortese in forme eleganti e convenzionali; tuttavia alcuni di essi, e in particolare Rinaldo d'Aquino e Odo delle Colonne, non rifuggirono dall'introdurre nei loro versi precise note di cronaca, e altri, quali Giacomino Pugliese e Cielo d'Alcamo, vissuti probabilmente lontano dalla corte del re svevo, indulsero addirittura a note di sensualità e di realismo giullaresco. Ma fu col passare nella Toscana comunale che la moda poetica inaugurata dai Siciliani arrivò a maggiore complessità di temi e a una nuova profondità, prima con Guittone d'Arezzo e i suoi seguaci, cantori della vita morale e religiosa oltre che dell'amore, poi con i poeti dello Stil novo (G. Guinizelli e G. Cavalcanti fra i maggiori), che all'idea dell'amore cortese impressero il segno di una forte interiorità. Altro vitale filone fu quello della poesia realistica toscana, che in parte prese argomento dalle violente passioni politiche con Schiatta Pallavillani, Monte Andrea, Orlanduccio Orafo, Chiaro Davanzati; in parte, e soprattutto, tale filone continuò i modi della poesia medievale dei goliardi, celebrando la taverna, il dado, l'amore sensuale, ed ebbe i suoi maggiori esponenti nel senese Cecco Angiolieri, nel fiorentino Rustico di Filippo e, con sue particolari note di eleganza, in Folgore da San Gimignano. Al quadro sintetico della poesia duecentesca non può infine mancare la menzione delle laude drammatiche, forme semplicissime di teatro religioso, proprie specialmente dell'Umbria e dell'Abruzzo, ma non sconosciute alle altre regioni. Meno ricco e vario è il bilancio della prosa duecentesca.

Il Trecento

Nel Trecento uno dei fatti di maggiore rilievo fu il carattere eminentemente, se non esclusivamente, toscano che assunse la letteratura italiana. Temi e lingua degli stilnovisti s'imposero nella lirica d'amore. A Dante, Petrarca, Boccaccio, soprattutto spetta il merito di avere fatto della lingua fiorentina la lingua letteraria d'Italia. La loro posizione di privilegio si fonda innanzi tutto sull'avere essi, grandi poeti, riassunto e spiegato il profondo travaglio di una civiltà che usciva dal medioevo e preparava un'era nuova, quella del Rinascimento.

L'Umanesimo e il Quattrocento

Il Petrarca fu l'iniziatore dell'Umanesimo, e perciò contemporanei e posteri immediati, dallo stesso Boccaccio a Coluccio Salutati, ammirarono in lui innanzi tutto il dotto latinista. Nondimeno anche la sua poesia volgare ebbe immediata efficacia, non quella soltanto dei Trionfi, ma anche quella del Canzoniere, che ben presto fu riconosciuto modello di eleganza, degno di reggere il confronto con i più insigni testi della poesia antica. La vera efficacia della lezione del Petrarca si trova in quel movimento di pensiero e in quegli studi filologici che, affinando progressivamente gli strumenti della ricerca e acquistando una nozione sempre più chiara della civiltà antica e della sua attualità, ebbero i loro maggiori maestri in Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Lorenzo Valla, Francesco Filelfo, Angelo Poliziano. Anche il Boccaccio esercitò la sua influenza prima che come stilista come maestro di un sentimento di un tutto mondano e terreno della vita. Di fatto con l'Umanesimo si creava una cultura supernazionale, e questo spiega come il fenomeno di origine italiana si allargasse a tutta l'Europa. L'Umanesimo quattrocentesco non solo preparò il maturo classicismo del Cinquecento, ma favorì nei maggiori esponenti della letteratura volgare quella nuova sintesi di antico e di moderno, di popolare e di letterario che in varie forme si riconosce negli scritti di Leon Battista Alberti, di Angelo Poliziano, di Lorenzo de' Medici, di Iacopo Sannazzaro, e che si trova con impronte originali nel Morgante di Luigi Pulci e nell'Orlando innamorato del Boiardo, i due poemi che dalle storie cavalleresche, divenute svago del popolo e della borghesia, tolsero la materia per dare forma fantastica a una disincantata visione del destino dell'uomo.

Il Cinquecento

Il fatto fondamentale della letteratura cinquecentesca fu il trionfo del volgare e la sua codificazione quale lingua letteraria. È significativo che Pietro Bembo, il più autorevole codificatore del volgare, fosse altresì colui che inaugurò due delle più importanti correnti della letteratura cinquecentesca: quella della trattatistica d'amore e quella della lirica petrarchesca. In direzione mondana si svolse la novellistica, che ebbe come modello il Decameron. Altri generi poi vollero rifarsi proprio ai modelli delle letterature antiche: così la commedia con l'Ariosto fu plautina e terenziana, nondimeno seppe immettere nelle trame, simili a quelle dei latini, vivaci spunti di costume contemporaneo e di psicologia moderna con il Lasca, Giovanni Maria Cecchi, Alessandro Piccolomini, Pietro Aretino, Annibal Caro, e arrivò a creare autentici capolavori quali La Mandragola del Machiavelli, La Venexiana e Gl'ingannati di autori ignoti, tutto il teatro del Ruzzante. Meno felice risultò l'esperienza del teatro tragico, che, si orientò con l'Orbecche del Giraldi Cintio (1541) verso il teatro di stampo senechiano. Non senza subire l'influenza dei modelli antichi fiorì anche la poesia didascalica in latino (Vida, Fracastoro) e in volgare (Rucellai, Alamanni, Erasmo da Valvason, Bernardino Baldi), come a Platone e a Cicerone si ispirò l'abbondante produzione di trattati, per lo più scritti in forma di dialogo, tra i quali eccellono, oltre a quelli d'amore sopra menzionati, Il cortegiano del Castiglione e il Galateo del della Casa. Ma la prima metà del XVI sec., è caratterizzata dalla nascita di sommi capolavori della poesia e del pensiero: l'Orlando furioso dell'Ariosto, il Baldus del Folengo, gli scritti teorici e storici del Machiavelli e del Guicciardini. Tuttavia nella grande letteratura della prima metà del Cinquecento, per il grado di maturità al quale essa seppe portare l'ideale umanistico, era implicita l'insidia di pericolosi irrigidimenti. La critica d'arte, già avviata nel Quattrocento dalle speculazioni di Leon Battista Alberti e dalle suggestive osservazioni sulla pittura di Leonardo da Vinci, nel pieno Cinquecento portò a quel capolavoro che sono le Vite di Giorgio Vasari, apparse nel 1550 e in seconda edizione rielaborata e accresciuta nel 1568. La crisi politica e morale che colpì l'Europa nella II metà del secolo ebbe il suo grande poeta in Torquato Tasso, pervaso da un sentimento doloroso della vita per il quale egli fu non solo uno dei più grandi poeti di ogni età, ma uno dei più autentici precursori della sensibilità romantica. Nell'opera ricca e non priva di contraddizioni dell'autore della Liberata si compendiano i valori più alti della poesia e della letteratura del tardo Cinquecento, e il nuovo stile del Tasso - uno stile ricco di fascino musicale e di chiaroscuri, sensuale e patetico, nobilmente atteggiato e ricco di forza tragica - influenzò profondamente la poesia posteriore, esasperandosi in seguito nella ricerca di effetti vistosi.

Il Seicento

Al barocco trionfante nelle arti figurative, tra la fine del Cinquecento e il principio del Seicento, corrispose un barocco letterario, che si protrasse per quasi tutto il XVII sec. Maestro acclamato di quello stile fu Giambattista Marino, nell'Adone e nelle varie raccolte di liriche (La lira, La galeria, La sampogna), e da lui venne al gusto affermatosi allora nella poesia il nome di marinismo. La vera grandezza della letteratura del Seicento si riconosce nella prosa politica, scientifica, filosofica. Traiano Boccalini, Tommaso Campanella, il Tassoni dei Pensieri, Paolo Sarpi e soprattutto Galileo Galilei con la loro prosa materiata di pensiero, appassionata e lucidissima, furono i conservatori della tradizione rinascimentale e, al tempo stesso, gli scrittori che resero possibile una continuità della nostra cultura in un'età fin troppo viziata da segni di decadenza. Specialmente in Toscana alla nobile tradizione della prosa scientifica si accompagnò la difesa del patrimonio letterario antico per merito di scrittori che operarono nell'ambito dell'Accademia della Crusca: Benedetto Buonmattei, Benedetto Menzini, Vincenzo da Filicaia collaborarono in diversa guisa ad arginare il gusto barocco e prepararono, insieme con autori di altre regioni d'Italia, quali Alessandro Guidi, Francesco de Lemene, Carlo Maria Maggi, quella restaurazione classicistica che ebbe la sua sanzione ufficiale con la fondazione dell'Arcadia romana (1690).

Il Settecento

Il classicismo dell'Arcadia si ispirò a una concezione razionalistica della poesia. Testi fondamentali del classicismo arcadico restano Della perfetta poesia di L.A. Muratori (1706) e la Ragion poetica di G. V. Gravina (1708). Sui molti scrittori per vari aspetti rappresentativi si elevarono tuttavia, come meglio capaci di esprimere ciò che di più originale portava quel classicismo manierato e scolastico, Paolo Rolli e Pietro Metastasio. Fu soprattutto nei melodrammi del Metastasio, ammirati in tutta Europa, che la poesia dell'Arcadia diede la prova più convincente con la lucida rappresentazione delle passioni e la facile vena musicale, nella quale si effonde quel tanto di patetico che ancora si chiedeva alla poesia. Se si pensa però all'opera di un filosofo della statura di Giambattista Vico, alle infaticabili ricerche erudite del Muratori e del Maffei, alle coraggiose posizioni della storiografia politica di Pietro Giannone, ben si vede che la letteratura del primo Settecento non si chiude negli stretti confini dell'Arcadia. Carlo Goldoni fu lo scrittore di genio che seppe immettere nel teatro un potente senso di verità. La sua poesia era nata dall'esperienza molto profonda del teatro, ma era anche attentissima ai molteplici aspetti della società settecentesca, e in particolare di quella veneziana che nel Goldoni trovò l'interprete inuguagliato. Affine al Goldoni per certi aspetti della satira di costume da lui svolta nel Giorno, il Parini, meno grande poeta del veneziano ma letterato e artista più complesso, perseguì per tutta la vita un'idea di classicismo che lasciò una traccia profonda nella nostra poesia. Il suo ideale oraziano fu al tempo stesso morale ed estetico. Il rinnovamento del XVIII sec. consistette in buona parte nello sforzo di inserire la cultura italiana nel grande circolo della cultura europea. Questo sforzo toccò le sue vette con Pietro Verri e gli scrittori del Caffè, coraggiosamente affiatati con l'Illuminismo. A Melchiorre Cesarotti spetta il merito di avere dato nel Saggio sulla filosofia delle lingue la più geniale soluzione al giusto rapporto di conservazione e innovazione nella lingua e, insieme, quello di avere proposto con la traduzione in versi dei poemi di Ossian il più alto modello di poesia preromantica. Ma l'incontro di correnti di cultura e di gusto differenti e apparentemente lontane non fu destinato a produrre opere di superficiale e accomodante sincretismo come è testimoniato dall'eccezionale personalità di Vittorio Alfieri. In lui l'impulso libertario di origine illuministica si fuse con una tensione ormai schiettamente romantica all'esaltazione della individualità.

L'Ottocento

Il gusto dominante rimase neoclassico. Il neoclassicismo fu quello di Vincenzo Monti e, in ambito più ristretto, di Pietro Giordani, scrittori convinti che l'essenza dell'arte consistesse nel dare un sapore antico alle cose nuove, e perciò inevitabilmente condannati a peccare per eccesso di eloquenza e per sostanziale freddezza. Perciò tanto grandeggia sul principio del XIX sec. l'opera di Ugo Foscolo. In lui, le esperienze profondamente sofferte dell'età rivoluzionaria e napoleonica trovarono non il cronista eloquente, quale fu Vincenzo Monti, ma il poeta altamente commosso. Il tumulto di natura romantica espresso nelle giovanili Ultime lettere di Jacopo Ortis, nate dal doppio dramma dell'amore infelice e della patria tradita, non venne mai rinnegato dal Foscolo, e se la sua poesia, attraverso le odi, i sonetti e i Sepolcri, volle giungere alla purezza assoluta delle Grazie, non fu per un intiepidirsi della sua ispirazione ma per il proposito tenacemente perseguito di sublimare le passioni nella pura atmosfera della contemplazione artistica. Foscolo poté essere maestro ai letterati della nuova generazione dei romantici: Silvio Pellico, Giovanni Berchet, Ludovico di Breme, Pietro Borsieri. L'esigenza profonda dei nostri romantici fu quella di dare un'impronta popolare alla letteratura. In questo programma ebbero come compagno Alessandro Manzoni. Nel Manzoni, la conversione al Romanticismo coincise con la conversione religiosa, e pertanto la poesia della sua maturità, dagli Inni sacri ai Promessi sposi, ebbe più profonda motivazione morale. Il suo itinerario di creatore dopo le geniali prove delle liriche, specie gli Inni sacri, e delle tragedie si concluse nella prosa del romanzo, in quel realismo psicologico nutrito di profonda meditazione morale e religiosa, che fa dei Promessi sposi l'opera in cui s'invera l'aspirazione di tanta letteratura settecentesca dall'Arcadia al Goldoni, dal Parini agli illuministi, e al tempo stesso si pone un ideale di prosa viva e moderna. Diversa da quella del Manzoni ma non meno rappresentativa del rinnovamento romantico fu la contemporanea opera del Leopardi. Egli approdò a una visione tragica della vita: all'idea che il dolore è la legge del creato, e che all'uomo che voglia affermare la propria dignità altro non resta che soffrire in solitaria ed eroica fermezza. Nacquero da questa sua concezione opere come i Canti, le Operette Morali e lo Zibaldone. Più ardito che non nello stesso Manzoni fu il realismo dei grandi poeti dialettali Carlo Porta e Giuseppe Gioacchino Belli. I narratori più rappresentativi della generazione postmanzoniana furono Giovanni Ruffini e Ippolito Nievo. Ma con costoro, e più ancora con Giovanni Prati e Aleardo Aleardi il Romanticismo italiano toccò le sue punte estreme e si esaurì. Nella seconda metà dell'Ottocento non senza l'influsso della filosofia positivistica, la letteratura accentuò le tendenze realistiche che erano già state tanto forti nel Romanticismo lombardo. Il bisogno del concreto e del reale fu affermato con sempre più chiara coscienza da Francesco De Sanctis. Ma la corrente nella quale la letteratura del secondo Ottocento diede a pieno la misura dei suoi nuovi ideali fu il verismo. Il verismo si volse soprattutto a interpretare l'ambiente delle nostre province, e la Sicilia ebbe i suoi autori in Verga, Capuana, De Roberto; Napoli ebbe la Serao e Di Giacomo; la Toscana Mario Pratesi e Fucini; la Lombardia De Marchi e Rovetta. Il Carducci tenne una posizione ben sua, che non può essere ricondotta senza forzature nella corrente del verismo, né può essere vista quale anticipazione del decadentismo. Per il Carducci vale la definizione data dal Croce: «ultimo poeta classico d'Italia», e per la funzione pure cospicua che esercitò come critico ed erudito egli non può essere staccato da quella cultura di stampo positivistico e ancor ricca di ideali romantici.

Il Novecento

L'opera del Fogazzaro, del Pascoli e del D'Annunzio segnò l'avvio a esperienze che, legate alle correnti del pensiero e del gusto europei di fine Ottocento, ruppero i rapporti con la tradizione propriamente italiana. Ma di un rinnovamento più profondo e duraturo fu capace all'inizio del XX sec. Benedetto Croce. Sperimentazioni e improvvisazioni furono opera di scrittori quali G. Papini, G. Prezzolini, G.A. Borgese. Futuristi (con F.T. Marinetti) e crepuscolari più di tutti esercitarono siffatta funzione di innovazione. Le personalità più vere fra gli scrittori del primo Novecento risultano a noi G. Gozzano, Dino Campana, Alfredo Panzini, Renato Serra. Allo sperimentalismo del principio del Novecento si opposero negli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale gli scrittori del gruppo della Ronda: V. Cardarelli, E. Cecchi, R. Bacchelli, A. Baldini, B. Barili, L. Montano, N. Savarese. Maestri di una letteratura capace di affrontare i difficili problemi della coscienza moderna e di una poesia fatta di intenso ed essenziale lirismo furono Luigi Pirandello, la cui efficacia si esercitò allora soprattutto attraverso il teatro, Italo Svevo, e tra i poeti Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Arturo Onofri e Vincenzo Cardarelli. Una nuova stagione per la narrativa cominciò con A. Moravia, C.E. Gadda, E. Vittorini, C. Pavese, V. Brancati, R. Bilenchi, F. Jovine P.A. Quarantotti Gambini, G. Piovene, M. Soldati, G. Dessi, V. Pratolini, I. Silone, T. Landolfi, D. Buzzati; fra le scrittrici, si ricordano A. Banti, A. De Céspedes, G. Manzini. Ma anche più profondo che nella narrativa fu il rinnovamento attuatosi nella lirica con Ungaretti, Saba, Montale. C. Betocchi, S. Quasimodo, S. Solmi, L. Sinisgalli, A. Gatto, M. Luzi, V. Sereni, S. Penna hanno dato vita a una delle più interessanti stagioni della letteratura novecentesca: l'ermetismo. Il dopoguerra ha segnato il passaggio dalla prosa lirica al romanzo. Le opere di C. Levi, Bernari, Calvino, Tomasi di Lampedusa sono permeate di nuovi contenuti politici, sociali e morali. La solitudine dell'uomo viene trattata da G. Bassani e C. Cassola. Negli anni recenti il romanzo si rivolta verso trame più aderenti alla realtà con P. Levi e L. Sciascia e inoltre con N. Ginzburg, Banti, Romano, E. Morante, Buzzati, G. Testori, Mastronardi, Bianciardi, Volponi, G. Morselli, Ledda, Camon, Tomizza, Malerba, Arpino, Eco, Pasolini, Fenoglio, Pratolini. In poesia i versi più limpidi si trovano in: Caproni, Penna, Raboni, Fortini, Roversi, Zanzotto, D. Bellezza, M. Cucchi. Tra i critici letterari più raffinati si annoverano: Contini, Caretti, Getto, Binni, Asor Rosa, Barberi-Squarotti, Pampaloni, Fortini, Magris.

Arte

L'arte in Italia, durante il I millennio a.C., risente molto delle superiori civiltà del Mediterraneo soprattutto quella greca e quella fenicia.

Arte protocristiana, preromanica, romanica

Il primo esprimersi di un'arte italiana fu nella scultura e nella pittura delle catacombe. Dopo il 313, la funzione di complesso architettonico cristiano per eccellenza, destinato alla riunione dei fedeli e alla glorificazione di Dio, fu assunto dalla basilica, le cui forme strutturali derivarono dal mondo ellenistico-romano, come nelle basiliche romane di Santa Maria Maggiore e Santa Sabina. Le primissime manifestazioni del romanico in I. riguardano il paramento esterno della costruzione, articolato e sensibilizzato da lesene, arcature cieche e archetti, in modi decorativi che, elaborati da maestranze comasche, si diffusero ovunque in Europa. La grande novità costruttiva del romanico italiano è però l'impiego sistematico del costolone. Esempio principe del compatto organismo romanico è il rifacimento, intorno al 1080, della basilica di Sant'Ambrogio a Milano. A Venezia la chiesa di San Marco, consacrata nel 1024, a croce greca, ispirata alla costantinopolitana chiesa dei Santi Apostoli, innalzò sontuosamente gli spazi cavi delle sue cupole rivestite di ori e di mosaici. Personalità dominanti della scultura dell'epoca furono Wiligelmo, diffusore di modi plastici sensibili agli influssi dell'arte borgognona, e Benedetto Antelami, autore della Deposizione (1178) nel duomo di Parma.

Il Duecento e il Trecento

Questo lungo periodo è caratterizzato dall'assorbimento e dall'elaborazione dei modi stilistici del gotico, penetrati in I. al principio del XIII sec. con i monaci cisterciensi. Il monumento più famoso dell'ordine è San Francesco ad Assisi (iniziato da frate Elia) che nella chiesa superiore accoglie le storie del santo affrescate da Giotto. A Firenze le grandi chiese degli ordini mendicanti, Santa Maria Novella, domenicana, e Santa Croce, francescana, inscrivono il luminoso spazio interno, uniformemente dilatato, nelle strutture lineari degli altissimi pilastri e delle ampie arcate; ma ancora più solenne è la cattedrale di Santa Maria del Fiore, nella quale, alla fine del XIII sec., lavorò Arnolfo di Cambio. Una preziosità senza pari, in forme slanciate e pittoresche, si riflette nelle originali architetture tardogotiche veneziane: la Ca' d'oro e il Palazzo Ducale, con il loro gioco dei colori sull'ombra nera di archi, portici e gallerie. Lo scultore Nicola Pisano creò tra il 1255 e il 1260 il pulpito del battistero pisano. Dalla bottega di Nicola e con la sua collaborazione uscirono il pulpito del duomo di Siena, l'arca di San Domenico (1264-1267) nella chiesa dedicata al santo a Bologna e la Fonte maggiore di Perugia. Il più grande degli scolari di Nicola fu il figlio Giovanni, temperamento artistico diversissimo, aperto al flusso vitale della civiltà gotica e sempre originalissimo nell'espressività delle figure in sé concluse della facciata del duomo senese e nei vivi, violenti, drammatici rilievi dei pulpiti di Sant'Andrea a Pistoia e del duomo di Pisa. Negli ultimi decenni del XIII sec., sorgendo dal neoellenismo bizantino, si andò affermando una civiltà pittorica italiana con il fiorentino Cimabue e con il romano Cavallini. Una diversa generazione di pittori iniziò con Giotto. La sua limpida rappresentazione della realtà segna alfine il pieno distacco dalla civiltà medievale e l'abbandono delle formule bizantine. Il senese Simone Martini ebbe dell'arte gotica il senso elegante dei miniatori francesi. Simone accolse le grandi novità del linguaggio giottesco, capaci di esercitare viva suggestione su un altro grande pittore senese, Pietro Lorenzetti, che lavorò anche in collaborazione con il fratello Ambrogio, autore delle famose allegorie del Buono e del Cattivo Governo nel Palazzo Pubblico di Siena, dove fece le sue prime prove la pittura italiana di paesaggio.

Il Quattrocento

Il fermento della civiltà artistica quattrocentesca, strettamente legata alla cultura umanistica, comincia a Firenze, centro di irradiazione del Rinascimento. Le vie maestre dell'architettura furono indicate dal Brunelleschi e dall'Alberti. Capolavoro del Brunelleschi la cupola di Santa Maria del Fiore, innalzata a partire dal 1420 senza supporti esterni, energica e armoniosa. I primi studi di Leonardo sul tema della pianta centrale nacquero nello stesso giro di anni, segno di un comune convergere della visione architettonica. Diresse la decorazione della fastosa reggia urbinate dei Montefeltro, dal 1477, Francesco di Giorgio Martini, senese, pittore, scultore, architetto e costruttore di fortezze. Bramante impose il vero gusto classico in Lombardia con i volumi armoniosi della chiesa di Santa Maria presso San Satiro e del coro e cupola di Santa Maria delle Grazie a Milano. La prima scultura veramente rinascimentale è il San Giorgio di Donatello, per Orsammichele (Firenze, Museo del Bargello). L'influenza esercitata dalla visione di Donatello e dal carattere interiore della sua arte fu grandissima, e non soltanto per la scultura. L'arte di Andrea Verrocchio, grandissimo bronzista e continuatore dei princìpi di Donatello, è la sintesi più completa del clima artistico fiorentino nell'ultimo quarto del secolo. La pittura rinascimentale nacque a Firenze nella cappella Brancacci al Carmine: pochi metri quadrati di affresco nei quali, con la sapiente prospettiva e il gioco della luce, Masaccio rinnovò l'arte grandissima di Giotto. Il breve ciclo, dominato dal Tributo della moneta, aprì la via a tutti gli orizzonti della pittura secondo due indirizzi. Il primo, attraverso il Beato Angelico e Paolo Uccello, interpretò Masaccio nei modi che, attraverso Domenico Geneziano, sfociarono in Piero della Francesca, nella sintesi spazio-colore del suo ciclo di affreschi con la Leggenda della Santa Croce (terminati nel 1460 nella cappella maggiore di San Francesco ad Arezzo). Con Filippo Lippi e, in parte, Andrea del Castagno l'altro indirizzo innestò nella forma masaccesca il linearismo donatelliano e trovò il filo che guida alle elegie pagane del Botticelli (Primavera, Nascita di Venere, Pallade doma il centauro) e alle ricerche espressive del Pollaiolo e del Verrocchio. Tra i più giovani artisti che frequentarono la bottega di Andrea del Verrocchio, fu anche Leonardo. Uno splendore senza precedenti la pittura conobbe anche a Mantova con Andrea Mantegna, creatore di forme solide e compatte in uno stile severo, plastico, con scorci sapienti e lussuosi apparati archeologici, come nella grandiosa abside di fronde e di gemme della Madonna della Vittoria (Louvre). La corte estense ospitando a Ferrara, fra il 1430 e il 1450, artisti quali Pisanello, Iacopo Bellini e Piero della Francesca, preparò le condizioni allo sviluppo di una originale scuola pittorica, aperta anche alle forti suggestioni della cultura mantegnesca e padovana. Giovanni Bellini si rivolse verso l'arte semplice, serena, della calda atmosfera coloristica e tonale che gli è propria.

Il Cinquecento

Roma visse nel XVI sec. un periodo di grande splendore artistico. L'architettura inizia con il tempietto di San Pietro in Montorio di Bramante. Egli affermò la nuova classicità nei progetti del cortile del Belvedere e soprattutto della nuova basilica di San Pietro in Vaticano. Nel 1546, ebbe inizio l'attività architettonica di Michelangelo, in una temperie dominata dai problemi espressivi della Controriforma, in quel rinnovarsi della coscienza artistica che viene chiamato manierismo. Nelle altre regioni italiane la divulgazione dello stile romano e del manierismo giunse a originali interpretazioni a Firenze con il Vasari (palazzo degli Uffizi) e con l'Ammannati (cortile di palazzo Pitti aperto sul giardino di Boboli), a Genova con Galeazzo Alessi (villa Cambiaso), autore anche del palazzo Marino a Milano. A Venezia l'architettura cinquecentesca si impose con Jacopo Tatti detto il Sansovino. Creatore di un particolare umanesimo fu invece, nel Veneto, Andrea Palladio, che trasfigurò in una personale visione di colore l'arte classica, il senso di proporzione del Brunelleschi, quello delle masse di Leon Battista Alberti e il valore spaziale di Bramante, dando un'impronta eterna a Vicenza con il palazzo Chiericati, la basilica, il Teatro Olimpico, la loggia del Capitanio, la Rotonda. La scultura del XVI sec. è dominata da Michelangelo. È tuttavia impossibile separare in Michelangelo le due attività di scultore e pittore. I progetti per il mausoleo di Giulio II e la volta della Cappella Sistina, terminata nel 1512, davano già chiara l'idea di come Michelangelo sapesse esprimere la sua potente drammaticità attraverso le figure. Nella scultura del XVI sec. occupano un posto considerevole anche Benvenuto Cellini, inarrivabile orafo oltre che scultore, e il Giambologna, la cui arte toccò con raffinata eleganza tutti i temi cari al classicismo intellettualistico dei manieristi fiorentini. Erede delle aspirazioni artistiche del Quattrocento, Leonardo le trascese in unità e iniziò la nuova visione pittorica del Cinquecento. Architetto, scultore, pensatore e scienziato, egli dà con la sua pittura anche l'idea della vastità dei suoi interessi dottrinali, dall'Adorazione dei Magi, al Cenacolo, alla Gioconda, alla Sant'Anna. L'idealismo universalistico del secolo caratterizza la pittura di Raffaello. L'essenza classica della sua arte si manifesta nella decorazione della Farnesina, con la Galatea, nei ritratti di Leone X e Baldassare Castiglione, nei quadri sacri. L'influenza alterna di Raffaello e di Michelangelo si espresse variamente nel manierismo dei seguaci, il più geniale dei quali, Giulio Romano, tentò una sintesi delle due visioni e creò il suo capolavoro a Mantova nel palazzo del Te. Voluttuoso nella decorazione della volta del convento di San Paolo a Parma, il Correggio creò visioni di luce dorata dissolte in movimenti luminosi nelle cupole di San Giovanni Evangelista e della cattedrale, rispettivamente con l'Assunzione e l'Ascensione, e un capolavoro di modernità compositiva nella Natività, nota come la Notte di Dresda. A Venezia, Giorgione suggellò nel primo decennio del secolo in unità di visione atmosferica i valori del colore e della luce veneziana, attuando la riforma della pittura tonale e creando l'espressione di un'umanità e di una poesia nuove in una natura nuova. L'eredità di Giorgione fu raccolta da Tiziano, trionfatore del Cinquecento veneziano nell'Assunta, nella Pala di Ca' Pesaro, nei Baccanali. La cultura manieristica si inserisce nell'opera del Tintoretto, creatore del ciclo della scuola di San Rocco, del Bassano dalla pennellata modernissima, del Veronese, che è la «palladiana» conclusione del linguaggio pittorico veneto del Cinquecento negli affreschi di Maser, nei quadri mitologici, nei ritratti.

Il Seicento e il Settecento

La visione plastico-monumentale del tardo Cinquecento romano fu trasformata dall'esuberante fantasia del Bernini, uno dei creatori in campo scultoreo e architettonico del barocco. La straordinaria fantasia dell'artista si espresse nel palazzo Barberini, in Sant'Andrea al Quirinale, nella Scala regia in Vaticano, dando la piena misura di sé nella sistemazione di Piazza San Pietro. Nella scultura, l'ultimo manierismo cinquecentesco si era manifestato con Pietro Bernini e con Francesco Mochi. Il nuovo senso plastico di Gian Lorenzo Bernini, aperto allo spazio e all'atmosfera, si espresse nell'Apollo e Dafne e nel David della Galleria Borghese. Immenso fu il fermento suscitato dall'apparire del Caravaggio a Roma. L'importanza della sua rivoluzione luminosa trascende i limiti della sua epoca: due secoli di pittura europea sarebbero addirittura inconcepibili senza di lui. Il linguaggio formale dell'architettura del Settecento, definito con il termine di rococò, è caratterizzato dalla grande importanza degli interni e dalla ricchezza delle decorazioni pittoriche e scultoree. La disposizione delle pareti, che accetta, pur semplificandolo, il movimento barocco, suggerisce la vaga impressione classicistica della reggia di Caserta, capolavoro di Luigi Vanvitelli. Filippo Juvara (o Júvarra) è l'architetto più insigne del secolo, originario di Messina ma operoso soprattutto a Torino, dove la facciata di palazzo Madama, del 1718, è la più originale versione settecentesca dei principi barocchi. In pittura la visione dei veneziani, Sebastiano Ricci e Piazzetta, riscopritori del colore chiaro e vaporoso del Veronese, è alla base dello stile di Giambattista Tiepolo, genio delle decorazioni auliche, monumentali e in questo senso ancora tardobarocche del palazzo Labia e della chiesa degli Scalzi a Venezia, della villa Pisani a Stra, del duomo di Udine. Il Canaletto e il Guardi portarono al più alto livello la pittura di veduta e il capriccio.

Dal neoclassicismo al Liberty

Il profondo mutarsi del costume e del pensiero coincise, nell'ultimo quarto del XVIII sec., con la nascita del neoclassicismo, che oppose all'ultimo barocco, per un'esigenza di semplicità e schiettezza, la ricerca di una classica bellezza ideale. Architetto insigne fu Giuseppe Piermarini, operoso nella Milano di Maria Teresa che egli rinnovò con gli armonici volumi dei suoi edifici: palazzo Belgioioso, teatro alla Scala, Villa Reale di Monza. Genio della scultura neoclassica fu Antonio Canova, che riflette il nuovo senso della vita e della storia e la nuova concezione della forma in opere che trascendono i moduli classici (Paolina Borghese). Il maggiore architetto del periodo romantico fu Alessandro Antonelli, tecnico audace, autore dell'arditissima Mole di Torino. L'ecclettismo, che caratterizza la seconda metà del secolo, è palese in scultura, dal Sarrocchi al retorico Giovanni Dupré, a Carlo Marocchetti. In pittura la pretesa rivoluzione romantica, che fu detta la «rivoluzione dei trovarobe», ebbe in Francesco Hayez il suo vessillifero. Degni di menzione sono il movimento dei macchiaioli, rinnovamento spirituale e tecnico, antiaccademico, promosso da Serafino De Tivoli e i pittori della scapigliatura lombarda.

Dal Liberty al futurismo e al Novecento

Nel XX sec., in ritardo rispetto al resto d'Europa, si affermarono in Italia le nuove tendenze floreali o Liberty con Ernesto Basile, Raimondo D'Aronco, Giulio Arata e persino Antonio Sant'Elia, che doveva precorrere nei disegni futuristi la città nuova. Fra le due guerre le più nobili opere dell'architettura razionale furono realizzate da Giuseppe Terragni e da Giuseppe Pagano. Nella scultura un eccezionale tecnico del marmo, quale Adolfo Widt, da inizi simbolisti e floreali, giunse a un suo originale espressionismo. Primo grande maestro della pittura del Novecento fu il livornese Amedeo Modigliani, attivo a Parigi accanto agli artisti francesi d'avanguardia, pressappoco negli anni in cui i futuristi esaltavano la simultaneità e il ritmo del movimento, e nascevano i capolavori di Boccioni, allievo di Giacomo Balla, e quelli di Gino Severini, creatore del Geroglifico dinamico del Bal Tabarin. Geniale creatore della pittura metafisica fu Giorgio De Chirico. Altrettanto corposa, violenta, la tavolozza di Renato Guttuso, il maggior pittore figurativo contemporaneo, autore di prestigiosi ritratti.

L'arte contemporanea

La ripresa dei contatti, lungamente interrotti, con la cultura europea segnò per l'arte italiana del dopoguerra un momento di grande sviluppo, caratterizzato da un vivace dibattito sulle avanguardie: da una parte i sostenitori delle avanguardie postcubiste e dell'informale, a quell'epoca in fase di espansione in tutto il mondo occidentale; dall'altra parte i seguaci del neorealismo o realisti che propugnavano un'arte di scoperto impegno civile anziché lirica, partendo anch'essi dalla lezione postcubista, ma dal Picasso di Guernica. Accanto a queste due tendenze, e in polemica con entrambe, vitalissima è stata l'esperienza concretista, che proseguiva un filone nato negli anni Trenta e comprendente una vasta gamma di espressioni centrate sulla ricerca nel campo della comunicazione visiva (B. Munari, G. Veronesi), con significativi agganci con il design. Attorno al 1960 ebbe grande sviluppo la Nuova figurazione, anch'essa intesa, almeno inizialmente, in un duplice senso: da una parte i coscienti eredi del realismo (G. Guerreschi a Milano, R. Vespignani a Roma), che venavano il loro impegno civile di problematicità e talvolta di intima riflessione; dall'altra ancora una volta l'«avanguardia», questa volta aperta ai suggerimenti del neodadaismo e della pop-art in una vastissima gamma di varianti. Nel dopoguerra sono da segnalare, sotto la stessa denominazione di neorealismo nota nel campo cinematografico, le esperienze compiute da un gruppo di giovani architetti, in particolare in collegamento con i nuovi piani di edilizia economica e popolare, tendenti a rivalutare un'architettura più vicino alla tradizione locale (Quartiere Tiburtino a Roma, 1950, di Mario Ridolfi e borgo della Martella a Matera, 1951, di Ludovico Quaroni). Tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta l'interesse si sposta sul problema del recupero del patrimonio edilizio esistente, sul controllo delle espansioni indiscriminate delle grandi città, sulla salvaguardia delle funzioni «povere» all'interno delle aree centrali delle città: alcuni piani e realizzazioni italiane in questo campo acquistano risonanza internazionale (piano di edilizia economica e popolare per il centro storico di Bologna, piano regolatore generale di Milano, avvio di una politica di restauro urbano e di recupero degli edifici storici). Alla ricerca di un rapporto con la storia della città e del territorio, la nuova architettura italiana si inserisce autorevolmente nel dibattito internazionale con attiva presenza di opere e di teorie: Carlo Aymonino, Guido Canella, Giorgio Grassi, Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi e Aldo Rossi si affiancano ai più noti Ludovico Quaroni, Giuseppe Samonà, Mario Ridolfi, Giancarlo De Carlo e Ludovico Belgioioso, grazie anche all'intensa attività pubblicistica italiana nel settore (le riviste Casabella e Domus in particolare).

Ordinamento

L'I. è una Repubblica; la costituzione, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore l'1 gennaio 1948, attribuisce al Parlamento (Camera dei deputati e Senato) il potere legislativo e la funzione di controllo sull'indirizzo e sull'attività del potere esecutivo (Consiglio dei ministri). Il Parlamento elegge inoltre, in seduta comune, il presidente della Repubblica che mantiene la carica per sette anni e a cui spetta la nomina del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri. Amministrativamente il paese suddiviso in 20 regioni (di cui 5 a statuto speciale: Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna) e 103 province, otto delle quali istituite nel 1992.

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