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Il miraggio




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Il miraggio



CHE COS'E' IL MIRAGGIO?

Il miraggio è un'illusione ottica naturale, che si verifica quando i raggi del Sole incontrano uno strato d'aria più calda rispetto agli strati sovrastanti dove l'aria più fredda di densità maggiore. Così i raggi di luce subiscono una riflessione totale ed è possibile vedere le immagini come se fossero veramente riflesse al suolo. Ad esempio, nel deserto torrido, siccome si riflette soprattutto il cielo, può sembrare di vedere un lago in lontananza. Questo è il miraggio detto inferiore. Lo stesso fenomeno appare anche in Italia nelle estati molto calde, quando sulle strade asfaltate sembrano apparire delle pozzanghere. Miraggi anche più spettacolari sono quelli superiori, prodotti da una inversione di temperatura all'altezza degli occhi dell'osservatore. In questo caso l'immagine appare riflessa superiormente ed è possibile in questo caso vedere oasi che in realtà si trovano oltre l'orizzonte, così come navi capovolte in lontananza. Quando diversi effetti di miraggio inferiore e superiore si sommano, le immagini degli oggetti all'orizzonte vengono allungate verso l'alto come pinnacoli. Questo miraggio è anche chiamato fata morgana.


                          

Miraggio inferiore                                                                     Miraggio superiore

IL FENOMENO DELLA FATA MORGANA

In ottica, il miraggio Fata Morgana, in cui l'immagine apparente muta velocemente forma, viene così chiamato per la caratteristica di riprodurre il soggetto a una elevazione dal suolo, proprio come le apparizioni dell'omonimo personaggio della mitologia celtica. Si tratta di un effetto dovuto alla particolare distribuzione dell'indice di rifrazione della luce del sole in diversi strati d'aria e quindi per certi versi analogo al miraggio. La differenza consiste nel fatto che fino ad una certa altezza l'indice di rifrazione assume un valore crescente con essa per poi tornare a diminuire, per questo a differenza del miraggio le immagini sono molto mutevoli e deformate, difficilmente riconoscibili. Per spiegare tale fenomeno è sufficiente immaginare che la luce proveniente da un punto viene per certi versi 'spalmata' in verticale e gli oggetti in lontananza assumono le sembianze di torri o pinnacoli.

Un simile fenomeno ottico può verificarsi anche nelle assolate giornate estive nelle campagne della Maremma grossetana. In questo caso, gli sterminati spazi aperti privi di alberi, prevalentemente coltivati a campi di grano o girasoli vengono illuminati direttamente da una potente luce solare che, attraversando un'atmosfera particolarmente tersa, crea questo effetto rifrattivo. Inoltre, questo raro fenomeno, può anche manifestarsi nelle caldi estati della costa calabrese dallo Stretto di Messina. Il fenomeno della Fata Morgana può verificarsi con differente intensità, in certi casi dalla costa Calabra si può vedere la Sicilia più vicina del normale con immagini riflesse sul mare o sul suolo perchè la distanza sembra essere di poche centinaia di metri e si ha l'impressione di osservare nello Stretto una città irreale che si modifica e svanisce in brevissimo tempo; talvolta si possono per poco tempo distinguere le case, le auto e addirittura le persone. Tale feomeno è visibile, per le particolari condizioni di luce, al mattino. Il tutto avviene quando sulla superficie del mare, minuscole goccioline di acqua rarefatta, fanno da lente di ingrandimento e un'atmosfera particolarmente nitida, crea tale effetto rifrattivo.

Miraggio visto sul mare da una nave

UNA LEGGENDA LEGATA AL FENOMENO

A causa della diversità di densità dell'aria, specialmente nelle prime ore del mattino, si ha l'illusione ottica di vedere, come se fosse dentro un grande specchio, una città   fantastica sospesa che muta continuamente di forma e di colore. Il fenomeno, che avviene anche in molti altri posti nel mondo, sullo stretto è molto suggestivo ed è visibile da entrambe le sponde. La gente  non ha tardato molto ad attribuire questa apparizione alla Fata Morgana, che, in occasione del suo arrivo nelle acque dello stretto,  fa emergere dal fondo  il meraviglioso castello che ivi ha costruito.

Una leggenda ampiamente diffusa in tutta la zona dello Stretto narra che durante le invasioni barbariche in agosto, mentre il cielo e il mare erano senza un alito di vento, e una leggera nebbiolina velava l'orizzonte, un'orda di conquistatori dopo avere attraversato tutta la penisola giunse alle rive della città di Reggio e si trovò davanti allo stretto che divide la Calabria dalla Sicilia. A pochi chilometri sull'altra sponda sorgeva un'isola - la Sicilia - con un gran monte fumante - l'Etna - ed il Re barbaro si domandava come fare a raggiungerla trovandosi sprovvisto di imbarcazioni, quindi impotente davanti al mare. All'improvviso apparve una donna molto bella, che offrì l'isola al conquistatore, e con un cenno la fece apparire a due passi da lui. Guardando nell'acqua egli vedeva nitidi, i monti, le spiagge, le vie di campagna e le navi nel porto come se potesse toccarli con le mani. Esultando il Re barbaro balzò giù da cavallo e si gettò in acqua, sicuro di poter raggiungere l'isola a nuoto con un paio di bracciate, ma l'incanto si ruppe e il Re affogò miseramente. Tutto infatti era un miraggio, un gioco di luce della bella e sconosciuta donna, che altri non era se non la Fata Morgana

L'OCCHIO E LA PERCEZIONE


Gli occhi ci mettono in contatto con il mondo esterno attraverso la ricezione degli stimoli luminosi. Infatti, ogni oggetto colpito dalla luce diffonde a sua volta raggi luminosi e i nostri occhi sono in grado di recepire questi stimoli e trasmetterli al cervello. Il globo oculare è l'occhio vero e proprio ed è localizzato nella cavità orbitale del cranio. La parte anteriore sporge leggermente ed è costituita da una membrana trasparente, la cornea. Dietro la cornea si trova l'area colorata dell'occhio, l'iride nella quale si trova un  muscolo involontario che fa variare le dimensioni della pupilla in base alle condizioni della luce. Il cerchio nero che appare al centro dell'iride è la pupilla, un foro attraverso il quale i raggi di luce entrano nell'occhio. I raggi luminosi vanno poi a incontrare il cristallino,che ha il compito di focalizzare le immagini sulla retina. Quest'ultima è costituita da cellule sensibili alla luce e ai colori, dette fotorecettori. Vi sono due tipi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli. Essi hanno il compito di trasformare lo stimolo in un impulso nervoso e lo inviano lungo il nervo ottico fino all'area visiva del cervello.

IL CERVELLO,UN ABILE ILLUSIONISTA

Illusione ottica


Il più bravo, rapido e insospettabile degli illusionisti è proprio il nostro cervello: attraverso gli occhi, nel momento dell'osservazione della realtà che ci circonda, non fotografa e memorizza ogni particolare, ma usa il mondo 'esterno' come se fosse una specie di memoria 'esterna', alla quale attingere nel momento del bisogno. La convinzione di vedere tutto, registrare ogni dettaglio, è solo un miraggio. In pratica noi estraiamo pochi dettagli che riteniamo importanti. Per il resto, nei migliori dei casi ci basiamo sua una specie di memoria visiva ma, spesso interiorizziamo una realtà che è frutto della nostra immaginazione.

La convinzione di avere sott'occhio ogni aspetto della realtà che ci circonda è soltanto una grande, complessa illusione perché guardare non significa affatto vedere: i nostri occhi non sono obbiettivi sul mondo e la nostra mente non è una pellicola fotografica sulla quale la realtà imprime le proprie forme e i propri colori. Il nostro cervello, infatti, non mette al lavoro così tanti neuroni per memorizzare una realtà che rimane sempre uguale a se stessa. È così efficiente nel trascurare ciò che non "serve", creando un'immagine "miraggio", che non si preoccupa neanche dei cambiamenti grandi o piccoli che siano. Capita spesso (. purtroppo!) di scrivere un testo, di rileggerlo e di non accorgersi, anche dopo tre, quattro volte che si è visto, di piccoli errori o di parole ripetute: non si tratta di distrazione ma di un'operazione di "filtraggio" del  cervello, che non fa vedere parole ripetute, o fa leggere correttamente parole sbagliate, un po' come se leggendo ci fosse una correzione automatica.

Il nostro cervello, inoltre, ritiene che sia inutile mettere "a fuoco" un'immagine troppo estesa, infatti l'area entro la quale vediamo ad alta risoluzione è molto ristretta, potrebbe corrispondere alla superficie occupata da un dito della mano con il braccio allungato in avanti. La zona nella quale il cervello vede "forte e chiaro" è solo quella piccola parte mentre il "miraggio" non riguarda solo la ricchezza di dettagli della realtà  circostante , ma anche il senso di controllo che crediamo di avere su ciò che vediamo. L'illusione, infatti, dipende sempre dalla nostra consapevolezza: non appena ci chiediamo: " Sto guardando questo o quello? Qual' è l'aspetto che mi interessa?", allora sintonizzando l'attenzione,  vediamo solo ciò che vogliamo trovare e non registriamo particolari giudicati "insignificanti" anche se di dimensioni enormi poiché il cervello non ritenendoli "protagonisti" di una certa realtà non li traduce in sensazioni visive.

L'occhio non "pennella" tutta la scena nel suo intero, ma si sofferma sempre sugli stessi particolari.                    



GIUSEPPE UNGARETTI E IL DESERTO


"Miraggi"

"Nel Sahara, i beduini, l'occhio esorbitato, la lingua di fuori secca, non sapevano come salvarsi dalla loro condizione di rantolanti. Da laggiù, laggiù, allora, dalla scalea di strati di compatta luce contagiati sul suolo percorso da solleone martoriato di rabbia, mentre la sua luce rarefatta rimbalzava attraversata da strati più densi: nel cuore di quegli abbagli sovrapposti brusca eleggeva luce capovolta una sembianza di dimore felici, attorniate da giardini, specchiantesi in un lago con zampilli impazienti e, sotto un ciuffo, alla cima, diramato di palme, secondo l'albero, caschi di datteri gialli, di datteri rossi, provocanti, e i palmizi che calano al suolo sottili di fusto per lo sproposito dell'altezza, inanellati da capo a fondo da rincorse di recisioni e di nodi, seguitisi uno all'anno, memorando età. Fata Morgana l'hanno chiamata a Messina, quella che si addestra in tali stregonerie. Nacque a quel modo il gusto e la passione di slanciarmi, di tuffarmi, di imbozzolarmi in miraggi. Era un puerile scoprimento del proprio esistere interiore(.)'

(L'Allegria, Giuseppe Ungaretti)

Vita:

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d'Egitto nel 1888, dove i genitori gestivano un modesto panificio. Proprio ad Alessandria d'Egitto comincia l'avventura esistenziale e poetica del giovane Ungaretti, il quale iniziò ad occuparsi intensamente di letteratura, e degli anni vissuti nella città africana rimarrà in lui la memoria di un paesaggio fantastico e irreale che si ritroverà nei suoi versi. Nel 1912 si reca a Parigi, dove approfondisce la conoscenza della poesia decadente e simbolista, frequentando gli ambienti dell'avanguardia e scrivendo anche versi in francese. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, Ungaretti si arruola come volontario in un reggimento di fanteria ed è inviato a combattere sul Carso, dove avrà la possibilità di comporre le poesie nella raccolta dell'"Allegria"(1931). Nel 1921 si trasferisce a Roma dove compone la sua seconda raccolta di poesie intitolata "Sentimento del Tempo"(1933). Con l'avvento della Seconda Guerra Mondiale il poeta è segnato da una nuova e dolorosa consapevolezza, preceduta da alcuni gravi lutti familiari:la morte del fratello Costantino e la perdita del figlio. Da queste esperienze è profondamente segnata la prima raccolta poetica del dopoguerra,"il dolore"(1947). Muore a Milano nel 1970


Ecco, sono nato ad Alessandria d'Egitto, cioè in una città che non fa più parte dell'oasi costituita dal Nilo. Alessandria è nel deserto, in un deserto dove la vita è forse intensissima dai tempi della sua fondazione,ma dove la vita non lascia alcun segno di permanenza nel tempo. Alessandria è una città senza un monumento, o meglio senza quasi un monumento che ricordi il suo antico passato. Muta incessantemente. Il tempo la porta sempre via, in ogni tempo. È una città dove il sentimento del tempo, del tempo distruttore, è presente all'immaginazione prima di tutto e soprattutto. E dicendo nulla, in particolare ho pensato, di fatti, a quel lavorio di costante annientamento che il tempo vi produce. Anche ho pensato al miraggio che quel nulla e quel tempo abolito avvenga facciano balenare all'immaginazione del poeta, ad una immaginazione che mi fa arretrare fino all'infanzia, quando quei miraggi incominciavano ad essermi consueti

(L'Allegria, Giuseppe Ungaretti)


Veduta del porto di Alessandria d'Egitto


Il deserto lasciato dallo scorrere inesauribile del tempo


Il periodo egiziano rappresenta per Ungaretti il 'serbatoio' della sua forza poetica. Si pensi che il poeta nasce ai margini del deserto. La sua casa (un forno che la madre apre quando resta vedova) é ai margini del deserto. Ungaretti si abitua all'«ottica del deserto»: quando dirà «miraggio» nei suoi versi, non farà dell'analogia, si riferirà proprio concretamente a quello che il miraggio é, e a come l'ha visto. Il suo orecchio si abitua ai silenzi del deserto, interrotti, specie di notte, da gridi sparsi di animali; nel deserto sconfinato e simile al «nulla», ogni oggetto particolare che si avvisti, animale, albero, oasi, uomo, è avvolto da una luce tutta particolare, che completamente lo isola dal resto. Il poeta vive, come ci dice, in una città «friabile»: Alessandria, pur antichissima, sta tra deserto e mare, é consumata dai venti del mare e del deserto, é corrosa dalla salsedine: le sue piccole bianche case, di continuo si disfano e si rifanno. Si ha in questo modo il senso dell'eterno, il senso della morte e il senso della Resurrezione ma non si ha il senso del passaggio della storia, della stratificazione delle epoche storiche. Si passa dall'antica leggenda della mitica Alessandria, alla forma azzerata del deserto e della precarietà della vita. Ecco come, che ad un''ottica' speciale, si aggiunge per Ungaretti, in quei ventiquattro anni di vita, passati in Egitto, un'abitudine del pensiero tutta particolare. Il poeta, infatti, non ha mai visto una montagna. La prima la vedrà a 24-25 anni e sarà in Toscana, l'Abetone. Non ha ancora avuto il senso che, vivendo in un centro di civiltà , come in Italia in particolare, si ha automaticamente davanti agli occhi il segno concreto del passare del tempo, della civiltà storica ed artistica del tempo: a Roma, a Firenze, dovunque, si vedono segni di rovine archeologiche, romane con reperti greci importanti e poi, via via,, dopo i secoli bui, in chiese, in palazzi, i segni, corredati dalla pittura e dalla scultura di quei tempi (sino alla conoscenza della letteratura), del passare dei secoli, ognuno con le sue caratteristiche anche di stile. Anche di tutto questo Ungaretti non ha nella sua giovinezza esperienza. Verrà tutto insieme, più tardi, in Italia, in Francia: ed avrà bisogno di molta applicazione del pensiero, di molta meditazione approfondita. La seconda parte della sua vita, e della sua poesia, infatti, saranno segnate dalla scoperta di Roma e del senso di questa città.



Il deserto 'Sahara'












SCHOPENHAUER E IL FENOMENO COME ILLUSIONE


"Schopenhauer basa il proprio pensiero su un'analisi della realtà. Il suo intento è di mostrarci quale sia la vera natura del mondo e il conseguente disagio dell'umanità."

("Il velo di Maya" Paul Cèzanne)

"E' Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere                           un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua;o anche rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente."

(Il mondo come volontà e rappresentazione,par.3)

Vita:

Arthur Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788, da un padre banchiere e da una madre scrittrice. Durante la sua giovinezza frequentò l'Università di Gottinga dove apprese le dottrine della filosofia di Platone e di Kant. Durante un suo soggiorno a Weimar, compose la sua opera principale,"il mondo come volontà e rappresentazione", pubblicata nel 1818, ma che solo vent'anni dopo gli fornì il successo desiderato.

Nell'opera "Il mondo come volontà e rappresentazione , Schopenhauer riprende il dualismo kantiano. Per Kant il fenomeno (phainomenon, da phainein cioè mostrare) è ciò che si mostra, ciò che appare, ciò che è accessibile alla conoscenza umana; la realtà fenomenica è quella già data, nella quale gli oggetti appaiono al soggetto ed alla conoscenza per come si presentano. Ma esiste un'altra realtà che non appare e che quindi l'uomo non può conoscere: questo è il noumeno (da noein cioè pensare), l'incognita, la cosa in sé, la realtà inconoscibile ed inaccessibile creata da un'entità superiore, la quale è l'unica a poterla conoscere. Il noumeno ricorda all'uomo i suoi limiti. L'io come soggetto della conoscenza diventa legislatore della natura: ordina gli oggetti e organizza i fenomeni secondo schemi a priori.

Per Schopenhauer invece, il fenomeno è pura illusione, apparenza, miraggio tra la rappresentazione e la vera realtà si distende il "velo di Maya" (una potenza magica ripresa dalla tradizione orientale di cui si servono gli dei per assumere aspetti illusori) che avvolge l'uomo come in un sogno illusorio e gli impedisce di conoscere la vera essenza delle cose. Mentre, il noumeno è una realtà che si "nasconde" dietro l'ingannevole trama del fenomeno,e che il filosofo ha il compito di scoprire. Inoltre, il fenomeno di cui parla Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza;infatti quando egli afferma "il mondo come mia rappresentazione", significa che il mondo consiste nel suo essere percepito da un soggetto. Il filosofo individua due aspetti fondamentali della rappresentazione: il soggetto rappresentante e l'oggetto rappresentato. Entrambi esistono solamente all'interno della rappresentazione e nessuno dei due può sussistere indipendentemente dall'altro,tanto che non ci può essere soggetto senza oggetto.

Concordando con il celebre filosofo Kant, Schopenhauer sostiene che all'interno della nostra mente vi siano una serie di forme a priori. Tuttavia a differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori,cioè: spazio,tempo e causalità,che paragona a dei vetri sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma, traendo la conclusione che la vita è "illusione", cioè una sorta di"incantesimo simile a un miraggio

Solo al di là dell'illusione, al di là del velo di Maya, oltre il fenomeno, esiste la realtà vera, sulla quale l'uomo, essendo un animale ragionevole, è portato ad interrogarsi sul fine ultimo della vita, e non volendo vivere nell'illusione, vuole oltrepassare il fenomeno e giungere a capire il noumeno attraverso la conoscenza intuitiva. Tuttavia, poiché l'uomo non è solamente intelletto ma anche corporeità, attraverso un'intuizione geniale, ripiegandosi in se stesso nell'intimità del proprio io, riesce a conoscere l'essenza noumenica dell'essere. Se l'uomo si vede dal di fuori, conosce solo l'essenza illusoria dell'essere; se si guarda dal di dentro, se segue i suoi sentimenti, la volontà di vivere, l'impulso che lo porta a vivere e ad agire, può conoscere il noumeno. Il nostro corpo è il fenomeno che copre la vera essenza del mondo, è manifestazione di un principio che è volontà, è la parte finita che rappresenta l'infinito. Solo l'infinito è concreto e reale, il finito è una parziale manifestazione di esso. Il mondo fenomenico è la rappresentazione della realtà, il corpo è rappresentazione del principio di Volontà. Questa "Volontà di vivere" è definita come "la cosa in sé dell'universo" ed è presente in tutti gli esseri viventi, ma nell'uomo si manifesta consapevolmente. Essa è inconscia, unica, eterna, incausata e senza scopo e si manifesta nel mondo fenomenico attraverso due fasi: nella prima la volontà si "oggettiva" in un sistema di forme immutabili,chiamate "idee"; nella seconda, essa si "oggettiva" nei vari individui del mondo naturale. Questo mondo si struttura come una sorte di "piramide cosmica" al quale vertice risiede l'uomo, nel quale la volontà diviene pienamente consapevole e il quale comprende che la propria esistenza è come "un pendolo" che oscilla tra il dolore e la noia, sentimenti derivanti da un mancato appagamento di un desiderio o di un bisogno che non si riesce a soddisfare. Da qui nasce il così detto "pessimismo cosmico" di Schopenhauer il quale afferma che tutto l'universo soffre e si trova in una continua lotta per la sopravvivenza.



RENE' MAGRITTE: IL CONFINE TRA ILLUSIONE E REALTA'


("L'impero delle luci" -1954- Magritte)

René Magritte (1898-1967, Belgio) è tra i pittori surrealisti più famosi. Dopo aver studiato all'Accademia di Bruxelles, iniziò ad appassionarsi alle avanguardie del Novecento, assimilando influenze dal cubismo e dal futurismo. Secondo quanto egli stesso ha scritto, la svolta surrealista avvenne dopo aver visto il quadro di De Chirico «Canto d'amore», dove sul lato di un edificio sono accostati la testa enorme di una statua greca e un gigantesco guanto di lattice. Nel 1926 prese contatto con Breton, capo del movimento surrealista, e l'anno successivo si trasferì a Parigi, per restarvi tre anni. Dopo di che la sua vita artistica si è svolta interamente in Belgio.
La tipica tecnica surrealista, consistente nella contrapposizione di oggetti comuni in contesti inaspettati ed inusuali, caratterizza anche la pittura dell'artista Magritte. Influenzato dal gruppo di Parigi, durante la sua vita si dedicò allo sviluppo di uno stile pittorico realistico e
meticoloso, ma sempre con un continuo ricorso e un costante riferimento all'ambito della fantasia e del sogno, per realizzare immagini inconsuete e paradossali, che aprono squarci sulla superficie delle cose per rivelare verità nascoste.
Il suo stile s'incentrò su una tecnica raffigurativa accuratissima basata sul trompe- l'oeil. Magritte svolge un suo tipico illusionismo d'ordine onirico,illustra, ad esempio oggetti e realtà assurde, come un paio di scarpe che si tramutano nelle dita di un piede o un paesaggio simultaneamente nella parte inferiore notturno e in quella superiore diurno,usufruendo di tonalità fredde, ambigue, senza sentimenti come quelle del sogno. Magritte è l'artista surrealista che, più di ogni altro, gioca con gli spostamenti del senso, utilizzando sia gli accostamenti inconsueti, sia le deformazioni irreali. Volutamente le sue immagini conservano un aspetto 'pittorico', senza alcuna ricerca d'illusionismo fotografico.

La condition humaine (1933)

("La condition humaine" Magritte)

In questo quadro, Magritte affronta il tema del confine tra illusione e realtà: un dipinto all'interno del dipinto potrebbe rappresentare esattamente e fedelmente la parte della città visibile dalla finestra ma nascosta dalla tela sul cavalletto, oppure potrebbe essere frutto dell'immaginazione o, ancora, si potrebbe pensare di vedere il paesaggio attraverso una superficie trasparente.
In questa serie di quadri, infatti, Magritte gioca con il rapporto tra immagine naturalistica e realtà, proponendo immagini dove il quadro nel quadro ha lo stesso identico aspetto della realtà che rappresenta, al punto da confondersi con lui.
Lo straniamento percettivo è indotto da Magritte attraverso uno sfalsamento e una totale sovrapposizione dei diversi piani dell'immagine: i cavicchi di legno, le gambe dei cavalletti e la luce di taglio sui lati delle tele. Questi inducono lo spettatore ad una rilettura dell'immagine e ad un ripensamento radicale dei suoi contenuti. Ciò che prima sembra essere un'apertura che dà su un paesaggio si rivela poi la sua raffigurazione.

Euclidean Promenades (le passeggiate di Euclide)

("Euclidean promenades"Magritte)

Anche questo quadro appartiene alla numerosa serie che Magritte ha realizzato sul tema del quadro nel quadro. In esso è raffigurato l'interno di una stanza in cui si apre una finestra. Davanti alla finestra è collocato un cavalletto e su di esso una tela che riproduce fedelmente una porzione dell'immagine esterna incorniciata dalla finestra. Il quadro è così fedele che diventa quasi indistinguibile dal paesaggio: lo si riconosce giusto per una sottile linea bianca sulla sinistra che corrisponde allo spessore del telaio su cui è montata la tela.
Così come accadeva anche ne "la condition humaine", questa coincidenza tra immagine reale e riproduzione pittorica induce ad un attimo di perplessità. Anche in questo caso, come per i precedenti il cervello può ingannare l'osservatore.
Ecco dunque che Magritte gioca sul disagio che un quadro ambiguo trasmette alla persona che lo guarda. Se il disagio è positivo, se cioè la persona trova che la cosa è bella, o per lo meno divertente, cerca di capire il perché dell'illusione ottica, altrimenti l'illusione stessa passa inosservata.
Il titolo, con il richiamo al noto matematico greco Euclide, allude alle geometrie dei due elementi di spicco del quadro nel quadro: due triangoli dove quello a sinistra è il tetto di una torre cilindrica e quello a destra è un viale cittadino tra due file di caseggiati. I due triangoli hanno la stessa forma e dimensione, pur rappresentando due elementi completamenti diversi: un cono quello a sinistra, una lunga striscia rettangolare piana vista in prospettiva quella a destra.

Il castello dei Pirenei(1961)

("Il castello dei Pirenei"Magritte)

In quest'opera, ispirata ad un racconto di Edgar A. Poe, è possibile riconoscere diversi elementi reali: un castello, un enorme sasso, un mare agitato. Questi elementi, però, sono rappresentati in scala diversa e la loro compresenza nel dipinto appare impossibile: la roccia diventa un enorme masso sospeso sull'acqua, paradossalmente privo di gravità, il castello è pietrificato e, magicamente, è composto della stessa materia della roccia. Tutto appare bloccato in una condizione di immobile irrealtà. Realtà e assurdo sono resi compatibili nello spazio virtuale del dipinto, grazie all'estremo realismo delle immagini, alla loro precisione quasi fotografica.




NOVALIS


Das Leben:

Novalis ist das Dichterpseudonym von Friedrich Leopold von Hardenberg. Mit diesem Künstlername wollte der Dichter als Erneuerer im Bereich der Poesie wirken. Er stammte aus einer verarmten Adelsfamilie und er erhielt eine streng Erziehung. Er verlobte sich mit Sophie von Kühn. Er starb mit 29 Jahren an Tuberkulose, aber er wurde zum bedeutendsten Dichter der Frühromantik.

Als Dichter wollte Novalis durch die Phantasie die Welt romantisieren. Die Poesie besitzt also die Macht, die Welt zu verändern und zu regenieren. Magischer Idealismus ist die Bezeichnung dieser weltverändernden Poesie.

Historischer Kontext: ROMANTIK(1797-1830)

Die Romantik entwickelte sich in den Jahren der Französischen Revolution und entstand sie als bewusste Gegenströmung zur Klassik und als progressive Macht durch ihre enthusiastische Begrüßung der Französischen Revolution.Aber der Verlauf der Revolution enttäuschtet bald die Romantiker und führten zur Desillusion als prägendes Gefühl der Spätromantik. Die Romantik entfaltet sich in engem Zussammenhang mit dem Sturm und Drang, weil sie sich gegen den Rationalismus der Aufklärung war und sie die Freisetzung der Phantasie und des Irrationalen proklamiert. Mit dem Begriff romantisch verbrinden sich bestimmte Motive: das Wunderbare, Exotische, Sinnliche, Schaurige, das Interesse an der Natur des Menschen und die Vorliebe für ferne Zeiten und für ferne Ländern.



Heinrich von Ofterdingen:

Heinrich von Ofterdingen ist einer unvollendete Roman. Als wichtigster Roman der Frϋhromantik besteht er aus zwei Teilen: die Erwartung und die Erfϋllung. Es handelt sich um einen Bildungsroman und die Hauptfigur ist Heinrich von Ofterdingen, ein Minnesänger der Stauferzeit,die zu einem magischen Leben erzogen wird. Der Roman beschreibt die Initiation Heinrichs zur Poesie und beginnt mit einem Traum der Hauptfigur.


"Die blaue Blume(Die Erwartung)

Erstes Kapitel

"Die Eltern lagen schon und schliefen, die Wanduhr schlug ihren einförmigen Takt, vor den klappernden Fenstern sauste der Wind; abwechselnd wurde die Stube hell von dem Schimmer des Mondes. Der Jüngling lag unruhig auf seinem Lager, und gedachte des Fremden und seiner Erzählungen. »Nicht die Schätze sind es, die ein so unaussprechliches Verlangen in mir geweckt haben«, sagte er zu sich selbst; »fern ab liegt mir alle Habsucht: aber die blaue Blume sehn' ich mich zu erblicken. Sie liegt mir unaufhörlich im Sinn, und ich kann nichts anderes dichten und denken. So ist mir noch nie zumute gewesen: es ist, als hätt ich vorhin geträumt, oder ich wäre in eine andere Welt hinübergeschlummert; denn in der Welt, in der ich sonst lebte, wer hätte da sich um Blumen bekümmert, und gar von einer so seltsamen Leidenschaft für eine Blume hab' ich damals nie gehört. Wo eigentlich nur der Fremde herkam? Keiner von uns hat je einen ähnlichen Menschen gesehn; doch weiß ich nicht, warum nur ich von seinen Reden so ergriffen worden bin; die andern haben ja das nämliche gehört, und keinem ist so etwas begegnet. Daß ich auch nicht einmal von meinem wunderlichen Zustande reden kann! Es ist mir oft so entzückend wohl, und nur dann, wenn ich die Blume nicht recht gegenwärtig habe, befällt mich so ein tiefes, inniges Treiben: das kann und wird keiner verstehn. Ich glaubte, ich wäre wahnsinnig, wenn ich nicht so klar und hell sähe und dächte, mir ist seitdem alles viel bekannter. Ich hörte einst von alten Zeiten reden; wie da die Tiere und Bäume und Felsen mit den Menschen gesprochen hätten. Mir ist gerade so, als wollten sie allaugenblicklich anfangen, und als könnte ich es ihnen ansehen, was sie mir sagen wollten. Es muß noch viel Worte geben, die ich nicht weiß: wußte ich mehr, so könnte ich viel besser alles begreifen. Sonst tanzte ich gern; jetzt denke ich lieber nach der Musik.« Der Jüngling verlor sich allmählich in süßen Phantasien und entschlummerte. Da träumte ihm erst von unabsehlichen Fernen, und wilden, unbekannten Gegenden. Er wanderte über Meere mit unbegreiflicher Leichtigkeit; wunderliche Tiere sah er; er lebte mit mannigfaltigen Menschen, bald im Kriege, in wildem Getümmel, in stillen Hütten. Er geriet in Gefangenschaft und die schmählichste Not. Alle Empfindungen stiegen bis zu einer niegekannten Höhe in ihm. Er durchlebte ein unendlich buntes Leben; starb und kam wieder, liebte bis zur höchsten Leidenschaft, und war dann wieder auf ewig von seiner Geliebten getrennt. Endlich gegen Morgen, wie draußen die Dämmerung anbrach, wurde es stiller in seiner Seele, klarer und bleibender wurden die Bilder. Es kam ihm vor, als ginge er in einem dunkeln Walde allein. Nur selten schimmerte der Tag durch das grüne Netz. Bald kam er vor eine Felsenschlucht, die bergan stieg. Er mußte über bemooste Steine klettern, die ein ehemaliger Strom herunter gerissen hatte. Je höher er kam, desto lichter wurde der Wald. Endlich gelangte er zu einer kleinen Wiese, die am Hange des Berges lag. Hinter der Wiese erhob sich eine hohe Klippe, an deren Fuß er eine Öffnung erblickte, die der Anfang eines in den Felsen gehauenen Ganges zu sein schien. Der Gang führte ihn gemächlich eine Zeitlang eben fort, bis zu einer großen Weitung, aus der ihm schon von fern ein helles Licht entgegen glänzte. Wie er hineintrat, ward er einen mächtigen Strahl gewahr, der wie aus einem Springquell bis an die Decke des Gewölbes stieg, und oben in unzählige Funken zerstäubte, die sich unten in einem großen Becken sammelten; der Strahl glänzte wie entzündetes Gold; nicht das mindeste Geräusch war zu hören, eine heilige Stille umgab das herrliche Schauspiel. Er näherte sich dem Becken, das mit unendlichen Farben wogte und zitterte. Die Wände der Höhle waren mit dieser Flüssigkeit überzogen, die nicht heiß, sondern kühl war, und an den Wänden nur ein mattes, bläuliches Licht von sich warf. Er tauchte seine Hand in das Becken und benetzte seine Lippen. Es war, als durchdränge ihn ein geistiger Hauch, und er fühlte sich innigst gestärkt und erfrischt. Ein unwiderstehliches Verlangen ergriff ihn sich zu baden, er entkleidete sich und stieg in das Becken. Es dünkte ihn, als umflösse ihn eine Wolke des Abendrots; eine himmlische Empfindung überströmte sein Inneres; mit inniger Wollust strebten unzählbare Gedanken in ihm sich zu vermischen; neue, niegesehene Bilder entstanden, die auch ineinanderflossen und zu sichtbaren Wesen um ihn wurden, und jede Welle des lieblichen Elements schmiegte sich wie ein zarter Busen an ihn. Die Flut schien eine Auflösung reizender Mädchen, die an dem Jünglinge sich augenblicklich verkörperten.

Berauscht von Entzücken und doch jedes Eindrucks bewußt, schwamm er gemach dem leuchtenden Strome nach, der aus dem Becken in den Felsen hineinfloß. Eine Art von süßem Schlummer befiel ihn, in welchem er unbeschreibliche Begebenheiten träumte, und woraus ihn eine andere Erleuchtung weckte. Er fand sich auf einem weichen Rasen am Rande einer Quelle, die in die Luft hinausquoll und sich darin zu verzehren schien. Dunkelblaue Felsen mit bunten Adern erhoben sich in einiger Entfernung; das Tageslicht, das ihn umgab, war heller und milder als das gewöhnliche, der Himmel war schwarzblau und völlig rein. Was ihn aber mit voller Macht anzog, war eine hohe lichtblaue Blume, die zunächst an der Quelle stand, und ihn mit ihren breiten, glänzenden Blättern berührte. Rund um sie her standen unzählige Blumen von allen Farben, und der köstliche Geruch erfüllte die Luft. Er sah nichts als die blaue Blume, und betrachtete sie lange mit unnennbarer Zärtlichkeit. Endlich wollte er sich ihr nähern, als sie auf einmal sich zu bewegen und zu verändern anfing; die Blätter wurden glänzender und schmiegten sich an den wachsenden Stengel, die Blume neigte sich nach ihm zu, und die Blütenblätter zeigten einen blauen ausgebreiteten Kragen, in welchem ein zartes Gesicht schwebte. Sein süßes Staunen wuchs mit der sonderbaren Verwandlung, als ihn plötzlich die Stimme seiner Mutter weckte, und er sich in der elterlichen Stube fand, die schon die Morgensonne vergoldete."


Interpretation:

Am Amfang liegt der Jϋngling in seinem Bett, aber er kann nicht einschlafen, weil er immer an die blaue Blume denkt. Aber nur und erst im Traum kann Heinrich diese Blume sehen, weil sich seine Seele von allen Fesseln der rationalen Wirklichkeit befreit und nur so die wahre Erkenntnis erlangt. Heinrich träumt von fernen Zeiten und Orten voller Licht und Farben, bis er sich im Laufe eines anderen Traums auf einem blϋhenden Rasen befindet. Hier erlebt er fast eine zweite Taufe. Er tauchte seine Hand in das Becken und benetzte seine Lippen und nach dieser symbolischen Taufe kann Heinrich die blaue Blume sehen, aber er sie nicht erreichen kann. Er weiß nicht, was diese Blume darstellt, aber er empfindet ein unwiderstehliches Verlangen nach ihr. Dieses Verlangen symbolisiert das Streben des romantischen Dichters nach dem Umbestimmten und nach der Poesie. Am Ende des Textes gibt es eine Wende: der J ngling wird plötzlich von der Stimme seiner Mutter geweckt. Die letzen zwei Verse sind ein gutes Beispiel für die so genannte romantische Ironie. Novalis' Roman ist ein vortreffliches Beispiel für ein romanatisches Gesamtkunstwerk: Prosa, Poesie, Lieder und Märchen verschmelzen hier miteinander.

Die Blaue Blume ist ein zentrales Symbol der Romantik. Sie steht für Sehnsucht und Liebe und für das metaphysische Streben nach dem Unendlichen Als reale Entsprechungen der blauen Blume werden oft in Mitteleuropa heimische blaublühende Pflanzen angesehen, wie etwa die Kornblume oder die Wegwarte. Ein Symbol für das Unerreichbare ist speziell die blaue Rose - bis heute konnte sie nicht gezüchtet werden, da sie immer wieder eher violett aussieht.


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