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L'origine: la fotografia come modo di pensare in Platone




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L'origine: la fotografia come modo di pensare in Platone


La fotografia è un'invenzione che hai i suoi presupposti alle origini del pensiero occidentale. Si può dire che essa addirittura nasca molto prima che, nel Cinquecento, venisse sperimentata la camera oscura: con la teoria platonica della mimesis.




La teoria


"Mimesis" è uno dei termini più enigmatici che possiamo trovare nel vocabolario filosofico di Platone. Nella Repubblica, il filosofo lo impiega in primo luogo come classificazione stilistica intesa a definire la composizione drammatica in contrasto con quella descrittiva. La parola viene introdotta quando, nel terzo libro, Platone passa dal genere di racconto narrato dal poeta al problema della sua "tecnica di comunicazione verbale".

Platone incomincia asserendo che in ogni tecnica di comunicazione verbale c'è una differenza fondamentale tra il metodo descrittivo e quello drammatico. Omero è il prototipo di entrambi. I suoi poemi si articolano nei discorsi che i personaggi si scambiano a mò di attori e nelle parti narrative intermedie, dette a mò di prima persona. I primi sono esempi di mimesis, di imitazione o impersonazione drammatica, le seconde sono un caso di semplice ripetizione, o come diremo noi, di narrazione diretta in prima persona. Fin qui dunque, il termine mimesis è stato utilmente e piuttosto esattamente impiegato per definire un metodo di composizione. Ma in questa parte dell'argomentazione si insinua una affermazione addai curiosa: " Quando il poeta riferisce un discorso in persona di un altro, rende il suo mezzo verbale somigliante all'interlocutore." e poi in seguito: " Ogni poeta che si rende somigliante ad un altro nella voce o nel gesto, lo imita." Si delinea così già il primo problema relativo alla mimesis, così come la parola viene usata da Platone. Perché egli la impega sia per descrivere un atto compositivo, che costituisce un momento di creazione, sia la recitazione da parte di un attore, che è un semplice portavoce o un dicitore? Non sappiamo se si tratti di un uso ago ed equivoco del vocabolo, oppure se Platone riproduca fedelmente una situazione culturale molto lontana dalla nostra.

Nel seguito della sua argomentazione, Platone improvvisamente passa dai poeti ed interpreti a considerare i giovani guardiani del suo Stato, ed applica al loro caso la situazione mimetica.

Essi devono essere mimetici? Lontani dai problemi dello stile e del metodo artistico questi giovani sono coloro che, attraverso, un'educazione che li addestra ad "imitare" modelli preesistenti devono diventare "artefici di libertà". Quindi mimesis diviene ora un termine applicato alla situazione di un allievo, che assimila le lezioni e le ripete, e perciò "imita" ciò che gli si ordina di imparare. Chiaramente, perciò, il contesto del ragionamento si è spostato dalla questione artistica a quella educativa. Ciò non fa che complicare ancora di più il mistero dell'ambivalenza della mimesis; ma volendo analizzare in maniera completa il terzo libro l'ambivalenza non si conclude qui. Infatti, così come è introdotta, la parola viene impiegata per definire un solo eidos o specie di composizione, quella drammatica alla quale venivano contrapposti sia lo stile "semplice" della narrazione diretta, sia lo stile "misto" che impiega tutt'e due insieme. Ma prima della fine, Adimanto può, senza obiezioni da parte di Socrate, parlare di quella "imitazione di un modello virtuoso che è semplice". Dobbiamo quindi dedurre che da questo momento in poi, "imitazione" sia un termina applicabile anche a tipi non drammatici di poesia.

Questo è precisamente il significato attribuito alla parola a mano a mano che si sviluppa l'argomentazione del decimo libro: è vero che la poesia da mettere al bando viene dapprima definita come "poesia in quanto mimetica", ma poi questa definizione sembra venire abbandonata. Platone, come egli stesso afferma, ha deciso di trascendere la critica del terzo libro: ora entra in gioco non più solamente la figura del drammaturgo, ma anche quella di omero come quella di Esiodo. Il motivo di questa estensione del concetto di mimesis può essere reperito mediante la conoscenza completa ed esauriente di cosa rappresenti realmente la mimesis. E' necessario in questo senso accettare la dottrina platonica esposta nei libri successivi, secondo la quale la conoscenza assoluta, è conoscenza delle Forme e di esse soltanto, e la scienza applicata, o perizia tecnica, dipende dal ricalco delle Forme nelle opere dell'uomo. Il pittore e il poeta non raggiungono né l'uno né l'altro risultato. La poesia, più che non-funzionale, è anti-funzionale. Essa manca totalmente della conoscenza perfetta che un artigiano, per esempio, può applicare al suo mestiere, e ancor meno è in grado di impiegare le precise finalità e direttive che guidano l'esperto educatore nella sua opera di ammaestramento dell'intelletto. Giacchè questo ammaestramento dipende dalla perizia nel calcolo e nella misurazione; le illusioni dell'esperienza sensoriale sono corrette criticamente dal controllo della ragione. La poesia invece, indulge ad un illusionismo costante, alla confusione e all'irrazionalità. Questo è in ultima analisi la mimesis, un gioco d'ombre, di fantasmi, come le immagine viste nell'oscurità sulla parete della caverna, nel celebre mito.



Così ora essa è l'atto totale della rappresentazione poetica, e non più semplicemente lo stile drammatico.

Il termine poi, è stato anche applicato al richiamo che il contenuto dell'enunciazione poetica esercita sulla nostra coscienza: designa l'attiva identificazione personale, grazie alla quale l'uditorio partecipa alla recitazione. Non descrive più l'imperfetta visione dell'artista, quale che essa sia, bensì l'immedesimarsi dell'uditorio con questa visione.

Le descrizioni platoniche in questo contesto arieggiano la psicologia di massa. Non hanno molto da spartire con la disposizione psicologica e l'atteggiamento di chi oggi va a teatro, e ancor meno con il tipo di attenzione che un allievo presta alla sua lezione. Qui dobbiamo in effetti rilevare nei Greci un curioso tratto di emotività che è estraneo alla nostra esperienza; tutto rientra nel più vasto enigma che rimane tutt'ora insoluto.

Ma, al di là di queste incomprensioni successive, ciò che riesce più difficile da capire, se si tiene conto dei valori e della sensibilità di noi moderni, è la rappresentazione platonica della mimesis quando il filosofo la applica al contenuto stesso della comunicazione poetica, all'intimo spirito dell'esperienza tradotta in poesia. Perché ma Platone pretende dal poeta che "sappia", nello stesso senso in cui un falegname conosce le regole per fabbricare un letto? Ciò significa certo deprimere il livello della creazione poetica sottoponendolo a criteri poco validi o quanto meno inadeguati o non rilevanti. Il poeta deve forse essere un esperto dell'argomento che canta? Questo presupposto non ha senso, ma è esattamente il presupposto che Platone abbraccia senza esitazione nel libro decimo e che ci permette realmente di comprendere la sua critica. Allo stesso modo in cui, nella "Repubblica", la teoria educativa ha una funzione centrale, la poesia ha una funzione fondamentale nella teoria educativa. A quanto pare, questa era la posizione che occupava nella società contemporanea, e non per i suoi effetti sull'ispirazione e sull'immaginazione, ma perché rappresentava un vero patrimonio di conoscenza utili, una specie di enciclopedia di etica, politica, storia e tecnologia, che il cittadino efficiente doveva assimilare come nucleo del proprio bagaglio educativo. La poesia non rappresentava ciò che noi chiamiamo con questo nome, bensì un sussidio dottrinale che oggi troverebbe il suo posto in uno scaffale di manuali e opere di consultazione. Dunque una concezione della poesia e del poeta del tutto estranea al nostro modo di pensare. Per noi il poeta è un artista e le sue creazioni opera d'arte. Invece Platone insiste a considerare i poeti come se fosse loro compito produrre delle enciclopedie in versi.

Questa concezione ci sconcerta, ma una volta accettata, mette in luce l'appiglio logico che serviva a Platone per applicare alla poesia la sua critica filosofica, consistente nel metterla in rapporto con la teoria delle Forme. Questa teoria ha carattere epistemologico; essa tenta di definire la natura di quella conoscenza che noi chiameremo universale, esatta e definitiva. La scienza applicata non è estranea a questo tipo di conoscenza. Al contrario la applica usando le Forme uniche ed esatte come modelli ricalcati neglio oggetti materiali esistenti. I letti nella loro pluralità sono le copie della unica Forma del letto, fatta dal falegname. Ma il poeta si limita nella sua poesia a parlare del letto senza saperne nulla e senza provare a fabbricarlo.



E' dunque questo il senso più profondo e preciso in cui dobbiamo intendere la critica di Platone al principio dell'imitazione.



Mimesis e Fotografia


La teoria platonica della mimesis descrive l'arte come riproduzione della realtà nella sua verità ottica, come immagine fenomenica: alla rappresentazione viene riconosciuto uno statuto fenomenico. In questo senso la fotografia, trascendendo le cinquecentesche origini della camera oscura, sarebbe da intendersi non tanto come una tecnica artistica, bensì come un modo di pensare.
Essa incarna 'l'ideologia dell'istantanea' in cui è dominante un pensiero che è stato formulato per la prima volta da Platone e che riconosce uno statuto fenomenico proprio alla rappresentazione figurativa : per Platone le immagini dell'arte sono ancora più lontane dall'essere di quanto non lo sia il mondo fenomenico naturale: esse sono 'copia di copia".

In tal modo la teoria platonica sancisce l'abbandono di un tipo di rappresentazione concettuale, quello dell'arte egizia che, ritenendo magicamente vi fosse una coincidenza fra l'essere e l'apparire, mirava ad una 'sistemazione logica dell'immagine': l'artista egizio non aspira ad una somiglianza esteriore, ma ad una verosimiglianza logica' che ha la funzione di ordinare le cose rappresentate 'in modo da meglio rispondere alla conoscenza del soggetto rappresentato';  ed è questo rapporto magico tra l'immagine e il suo contenuto a dare alla figurazione egizia una connotazione antinaturalistica. A partire dal V secolo, In Grecia, grazie all'affermarsi della teoria della mimesis platonica, l'imitazione della natura subisca un radicale mutamento : L'artista mira a riportare il più possibile ciò che l'occhio vede in un determinato momento da un determinato punto di osservazione.

La fotografia, è il prodotto di questo illusionismo, per  cui è sostenibile che se si fosse continuato a rappresentare la natura in modo concettuale, la fotografia non sarebbe stata in alcun modo possibile.



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