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Una storia del pensiero antropologico




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Una storia del pensiero antropologico


Una storia del pensiero antropologico Questa disciplina riflette sul rapporto

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Una storia del pensiero antropologico


Questa disciplina riflette sul rapporto unità-diversità dell'umanità, con lo scopo di individuare le differenze e le analogie osservabili presso tutte le società. La maggioranza delle scuole ha privilegiato un aspetto (l'unità o la diversità) soltanto alcune hanno considerato simultaneamente le due dimensioni.

Le teorie evoluzioniste mettono l'accento sulle analogie a scapito delle differenze, la storia ed il progresso vengono pensate in termini di evoluzione. Nella corrente evoluzionista, l'umanità è considerata come fondamentalmente una, e le diversità destinate a scomparire. La scuola culturalista al contrario mette l'accento sulla diversità, per trattare ogni cultura nella sua specificità.

La scuola funzionalista britannica cercherà di temperare questo relativismo assoluto, pur insistendo sull'idea che ogni cultura è diversa, sottolinea anche la possibilità dell'incontro tra culture.

Il rapporto dell'antropologo col suo terreno di ricerca è storicamente e praticamente più complesso, e sono possibili differenti posizioni del ricercatore:

  1. il rapporto con l'altro è essenzialmente un processo di conoscenza
  2. il rapporto con l'altro è un rapporto di alienazione, di violenza esercitata sull'altro
  3. il rapporto è un problema teorico , occorre valutare continuamente i metodi di osservazione e descrivere  i termini e le nozioni impiegati.


L'approccio storico studia i percorsi attraverso i quali l'uomo è arrivato ad assumersi come oggetto della propria osservazione, cioè a cercare di conoscere i processi che lo fondano in quanto uomo, al di fuori di ogni trascendenza religiosa o metafisica.

Vi è la presa di coscienza della diversità delle produzioni sociali e culturali dell'uomo, nel tempo e nello spazio, attraverso i viaggi e le scoperte, i contratti commerciali, le colonizzazioni, o la ricerca scientifica.. questo approccio ricostruisce il processo della scoperta degli altri e della maniera in cui essi sono stati percepiti nelle somiglianze e nelle differenze rispetto al "noi".

L'approccio storico ci permette di cogliere il contesto culturale in cui si sono sviluppati il pensiero sull'alterità e il pensiero antropologico propriamente detto.

Si tratta di vedere quali sono stati i sistemi di valori e gli interessi economici e politici che hanno influenzato tale riflessione, quale sia stata l'importanza dell'antropologia nella storia delle idee e dell'evoluzione sociale e culturale.

In effetti la storia dell'antropologia rende conto soltanto delle tappe della conoscenza dell'uomo esotico da parte dell'uomo occidentale, ma non rivolge l'attenzione anche alla conoscenza che le altre civiltà hanno sviluppato sulle alterità che hanno incontrato, compresa l'alterità occidentale.

Quando si tratta di fare la storia del pensiero antropologico, il problema che si pone immediatamente è quello di sapere se è possibile individuare il momento in cui inizia l'impresa antropologica.

Esso può essere collocato molto indietro nella storia dell'europa, precisamente presso i pensatori greci dell'antichità classica.

L'antropologia sotto la forma che conosciamo oggi, è nata nella seconda metà del 18° secolo e in seguito ad importanti rotture nel pensiero e nella cultura occidentale.

I secoli che hanno preceduto il 19° furono certamente importanti per la comparsa del pensiero antropologico moderno.

Il rapporto con l'alterità ha potuto essere totalmente differente a seconda dei periodi e delle culture.

Nel medioevo l'alterità è stata totalmente legata all'immaginario soprannaturale precostituito dell'epoca, al contrario il rinascimento ha inaugurato un discorso articolato intorno alla scoperta di nuove umanità.

Il 19° secolo scientista, compie invece un appiattimento dell'alterità che fa dell'antropologia essenzialmente un inventario descrittivo delle differenze.

L'antichità greca ed il medioevo cristiano.


Allorché ci si riferisce all'antichità greca, per fondare la storia della disciplina, è principalmente a Erodono che si pensa + spesso. Egli riporta dai suoi viaggi in Egitto, Persia, Citera ecc.. un numero impressionante di descrizioni , racconti e miti.

Egli possiede una forte curiosità per le altre culture che ne fa un autentico spirito indagatore. Erodono privilegia la testimonianza visiva rispetto a quella auditiva.

La tradizione del Medioevo non considera questa dimensione nel suo approccio all'alterità e al diverso.

Erodono come altri pensatori dell'epoca, attribuiva in larga misura più attenzione ai fatti che trascendessero ciò che è consueto ai fatti non abituali ed eccezionali, alle descrizioni dei popoli stranieri o barbari che erano presentati come l'inverso di ciò che erano i greci.

Barbaro è una parola di origine greca che designa lo straniero.

A conclusione di questa rapida analisi del termine barbaro, si può dire che lo straniero era percepito nel mondo greco come un bambino alle soglie della cultura, che balbetta una lingua poco comprensibile e dal quale non ci si può attendere opere importanti.

Nel medioevo cristiano, la curiosità si rivolgeva ad altro che al censimento del reale e all'apertura verso le altre culture. Il medioevo fu un geocentrismo chiuso alle realtà profane, aperto all'esoterismo e al meraviglioso e soggiogato dalle figure del mostro e del diavolo.

L'immaginario del medioevo rappresenta al tempo stesso un mezzo di conoscenza della natura ed una definizione dell'uomo e dei suoi rapporti con Dio.

Così era per la creazione dei mostri. La figura del mostro stava a ricordare che l'uomo è fatto ad immagine di Dio. Il mostro era dunque una sorta di specchio in cui l'uomo poteva da una parte misurare l'estensione della natura e dell'onnipotenza divina e dall'altra, ricordarsi di ciò che egli non poteva mai essere.

Era una frontiera fra il dentro ed il fuori, fra Dio ed il diavolo, fra il cristiano e l'infedele.

L'utilizzazione del colore nero diventa preponderante nelle rappresentazioni del Saraceno, il nemico poteva avere una forma umana non poteva in alcun caso essere rapportato al cristiano che per la sua bianchezza si pone al di là di ogni processo di decadimento.



Il medioevo arabo.


Al contrario degli europei del medioevo, i musulmani in questo periodo non erano chiusi nei confronti delle differenze umane. Il trionfo del messaggio religioso universalista, portato per mezzo della lingua sacra del corano, la lingua araba, coinvolse culture, lingue e popoli assai diversi.

Lo sguardo arabo cercò di scoprire culture lontane di cui registrava le differenze, non tanto per farle aderire a se, quanto piuttosto per meglio situarle al di fuori della comunità dei credenti.

segnato nel suo spazio interno dall'universalismo della cultura islamica e della cultura araba da un lato e, dall'altro dall'eterogeneità nazionale, etnica, linguistica, geografica, storica e religiosa, spinto da un possente movimento di conquista e di espansione economica, politica ed intellettuale, il mondo musulmano del medioevo permetteva la comparsa e lo sviluppo di un sapere sull'uomo in società, perfettamente cosciente di se stesso e del proprio oggetto, essenzialmente nel campo della storia e della geografia.

Presso gli arabi la geografia ebbe uno sviluppo vigoroso e continuo, questa geografia era umana, nel senso che collocava l'uomo al centro della Creazione, la geografia assumerà come oggetto l'uomo e l'ambiente naturale a cui è legato dalla disposizione divina del mondo.

Questa geografia che si rivolge tanto alle terre straniere che alla terra dell'Islam, fu una geografia delle relazioni del mondo musulmano con i suoi vicini immediati o lontani, un'espressione dell'idea che questa civiltà si faceva delle altre culture e popoli. Il sentimento dell'alterità e la misura delle differenze furono in larga misura il proposito di questa geografia.

La geografia "di viaggio" era guidata dal tema dello spostamento verso contrade sconosciute, spostamento che era ritenuto anche fonte di arricchimento intellettuale.

Le testimonianze dei viaggiatori arabi trasmettevano fedelmente ai loro lettori informazioni precise e assai esaustive sulle contrade lontane che visitavano. La loro preoccupazione principale è quella di enunciare i fatti fondati sull'osservazione diretta.

L'interesse manifestato verso culture straniere resta catturato nel gioco delle somiglianze e delle differenze che tali culture evocano comparate con la società islamica, la quale rimane il riferimento per l'insieme delle descrizioni del mondo dell'epoca.

Una "geografia delle meraviglie" si afferma durante i primi anni del decimo secolo. Questa nuova struttura guida da questo momento lo spirito delle descrizioni contenute nelle raccolte di viaggio "dove la terra è cancellata a vantaggio del mare, l'uomo a vantaggio del bestiame, lo straniero a vantaggio del trionfalismo dell'Islam", invitando, in tal modo a non identificarsi né ad ispirarsi allo straniero.

Altra tendenza del 10° secolo consisteva nella ripresa sistematica dell'osservazione diretta e personale, ma questa volta, praticata presso di se, all'interno stesso della propria società, descrivendone ciascuna provincia sotto forma di identità separata, non occupandosi affatto dei paesi non musulmani, se non quando confinano con l'impero. I Masalik si sviluppano nel corso di un secolo che vede definitivamente imporsi alle coscienze l'idea della mamlakat - a - islam dell'impero musulmano.

In altri termini, il genere dei Masalik si offre come una monografia totale che articola la provincia con l'insieme che lo ingloba. I Masalik inaugurano uno studio dell'uomo perfettamente consapevole di sé e del proprio oggetto, che appaiono in effetti come autentiche opere di geografia umana e di etnografia, mettendo in evidenza i caratteri somatici, le distinzioni etniche, le malattie, il regime alimentare, l'igiene, l'abbigliamento delle popolazioni che vivono in quel tale ambiente e sono sottoposte a quelle tali condizioni.

Annotazioni di tipo storico intervengono per mettere a fuoco i dati particolari che spiegano il carattere originale di questa o di quella provincia, vengono presentate annotazioni di tipo etnografico relative alle attività, agli atteggiamenti, alle mentalità ed alle tradizioni degli abitanti. Vi si trovano descritte le attività di produzione economica, gli scambi commerciali, le imposte, le monete, gli itinerari e le distanze, i comportamenti sociali, i costumi, le feste, le religioni e le sette, il folklore.

Questo spirito metodologico le fa assomigliare molto al genere che sarà inaugurato nel 20° secolo da Malinowski.

Il genere dei masalik assume come prima regola fondamentale l'osservazione dei fatti diretta e senza intermediari e l'unità di spazio e di tempo (come Malinowski), e poi la sua concezione della totalità, "l'uomo non esiste se non in relazione con il mondo" ed egli "è in rapporto con il tutto" (come Malinowski).

Dopo questo periodo di gloria della geografia araba, il crollo definitivo dell'unità dell'impero islamico e il trionfo ufficiale, nell'11° secolo, dell'ortodossia religiosa, fanno della geografia una disciplina che si occupa soltanto della compilazione dei giornali di viaggio.

Nel 14° secolo si costruì un moderno sapere di tipo storico e sociologico intorno all'opera di Haldun, egli si era definito un critico storico, inventore di una nuova scienza storica consapevole di se stessa, del suo oggetto e dei suoi metodi.

Nell'Islam, la comparsa di una concezione storica aperta dell'uomo e del suo destino, introdusse l'idea di evoluzione. Nella tradizione musulmana, la storiografia è in parte scienza della religione. ma questa funzione religiosa della storia, fu rapidamente associata quella politica e militare, la prodigiosa espansione dell'Islam nel mondo.

Con Haldun, si assiste ad una formulazione rigorosamente scientifica del procedimento storico, quella di ricercare le cause degli eventi nell'insieme delle condizioni economiche e sociali ambientali.

In Haldun , dunque, la procedura storica supera la forma esteriore degli eventi per concentrarsi sulla determinazione profonda del reale, lo storico passa dal piano di ciò che è manifesto al piano di ciò che è nascosto. In secoli in cui predominava una concezione teologica dell'uomo e dell'universo, Haldun contribuì a fondare l'autonomia dell'uomo, collocandolo non più in un sistema cosmogonico e teologico, ma nel suo ambiente fisico e sociale, la cui importanza gli appariva fondamentale nella determinazione dell'organizzazione sociale e della cultura.

E' da un tale movimento di spostamento dell'uomo da Dio e dal pensiero teologico, che più tardi in Europa, sorge il pensiero moderno.


Il rinascimento in Europa

Il rinascimento in Europa, soprattutto verso la fine del 14° secolo, costituì per l'Occidente un periodo di sconvolgimenti e di rotture che inaugurava un nuovo umanesimo. Intervennero nuovi fattori: la scoperta di mondi e di popoli nuovi, la riscoperta dell'eredità intellettuale dell'antichità greco-romana, la riforma protestante, la rivoluzione cosmogonica (Galilei e Copernico). La scoperta di nuove umanità non produsse né una positiva presa di coscienza della diversità umana, né la costituzione di un sapere oggettivo sulla variabilità dell'uomo nel mondo. Duranteil periodo compreso fra la scoperta dell'America e la fine del 16° secolo, la riflessione sull'altro, potè svilupparsinel quadro del pensiero teologico. Le culture straniere furono immediatamente sottomesse a un sistema di interpretazione ricavato dalla Bibbia.

La conquista dell'America da parte degli Spagnoli, ed il confronto interculturale che ne derivò mette in evidenza l'incapacità o la difficoltà di una civiltà conquistatrice di percepire l'altro in quanto essere diverso e tuttavia uguale, in quanto uomo. Questa percezione negativa dell'altro, che si fondava sul sentimento di superiorità, nella maggior parte dei casi ha avuto come esito la distruzione fisica o la volontà di imporgli i propri valori.

Nel corso del secoli 16° e 17°, sotto l'effetto della moltiplicazione delle chiese e delle eresie, l'Europa attraversò un periodo di acuta crisi ideologica, la crisi delle idee dell'epoca, riguardava essenzialmente l'uomo europeo; gli interrogativi che egli sollevava riguardavano se stesso, le sue istituzioni, credenze e abitudini.

Questo periodo della storia europea fu anche il punto di partenza di tutta una serie di sviluppi. Per esempio all'immagine del "buon selvaggio" si aggiungerà presto il suo rovesciamento negativo, "il cattivo selvaggio" che si raffigurava spesso nella figura del "negro". La valorizzazione del negro è sostenuta a partire da argomentazioni teologiche, i neri non sono presenti nella Bibbia, e comunque sono discendenti di Cam e per questo colpiti dalla maledizione divina.

Il genere dei racconti di viaggio è fatto dagli scopritori di questo periodo, marinai, mercanti, esploratori, diplomatici; ben presto essi si faranno l'idea della loro superiorità che mai più sarà abbandonata dalla letteratura di viaggio. Bisognerà attendere il 18° secolo per disfarsi di questa visione atemporale ed essenzialista dell'uomo esotico costruita dall'epoca classica e dal Rinascimento. Il viaggiatore è sempre più impegnato ad esporre ai lettori, attraverso lo svolgimento del suo viaggio, la somma delle informazioni geografiche, storiche, antropologiche e scientifiche che ha raccolto nelle contrade percorse e tra i popoli visitati.



Il secolo dei Lumi

il pensiero del 18° secolo operò numerose forme di decentramento:

  • anzitutto il pensiero anti-teologico preparò le condizioni per una riflessione decentrata sull'uomo e sulla sua cultura e l'autonomizzazione dell'uomo in rapporto a Dio.
  • liberandosi dal dogma cristiano dell'origine e della predeterminazione, il 19° secolo introduce l'idea di una storia evolutiva dell'umanità a scapito dell'idea di creazione immutabile, interamente sottomessa alla volontà divina, compare l'evoluzione
  • il 18° secolo scopre la relatività e la dimensione storica delle culture.

In un periodo in cui però non si osa parlare a nome proprio, il filosofo, nascosto dietro un innocente selvaggio, può esprimersi.

Il secolo dei Lumi, importante per l'occidente, si impadronì del selvaggio, per comprendere e criticare se stesso, fin dall'inizio mise in scena diverse immagini, il buon selvaggio ed il cattivo, il selvaggio del filosofo, quello del missionario e quello del guerriero. A predominare, nel settecento è l'immagine positiva del selvaggio, il "buon selvaggio" che spinge la sua saggezza fino a tenere il discorso filosofico degli intellettuali dell'epoca, in particolare quando si tratta di denunciare l'ingiustizia o l'assurdità di certe istituzioni, come la monarchia assoluta, la proprietà privata, il dominio della Chiesa.

Nel 18° secolo, l'altra figura, quella del cattivo selvaggio però non è del tutto assente, si può dire che queste figure sono unite insieme, entrambe perseguono la stessa finalità: giudicare se stessi e giudicare gli altri sulla base dei propri criteri. Man mano che l'ideologia del progresso diventerà la legittima visione del mondo, l'immagine del cattivo selvaggio che vive in un ambiente ostile e in una natura non domesticata, diventerà la rappresentazione dominante dell'altro. La natura, dalla fine del 18° secolo diviene una forza ostile e dispotica che l'uomo, per la sua salvezza, deve domesticare e dominare. Da misteriosa e morale, la natura si trasforma in forza di produzione e di capitale da sfruttare.

La possibilità di andare alla scoperta dell'altro, senza essere guidati da preoccupazioni esclusivamente interne alla propria società, presupponeva anzitutto una presa di conoscenza critica di se stesso e uno spostamento rispetto al proprio universo. E' ciò che ha compiuto il secolo dei Lumi, anche se ciò avvenne a svantaggio del selvaggio. In questo senso, la storia intellettuale dell'Europa, a partire dal Rinascimento, e più in particolare nel corso del settecento, può essere identificata con il processo antropologico, propriamente detto, che consiste nel prendere in un primo tempo, criticamente le distanze rispetto alla propria cultura per poi rivolgere lo sguardo lontano.



Il 19°secolo.

Nel 19° secolo, diversi elementi hanno contribuito rovesciando profondamente le mentalità e i modi di pensiero:

  • la nascita di un nuovo concetto di uomo. L'uomo si concepisce oramai come un oggetto sociale, come l'attore di una storia, come fonte di valori, come produttore di ricchezze, come frutto di un'educazione, l'uomo diventa il mezzo della propria coscienza.
  • all'origine vi sono 2 eventi fondamentali: la rivoluzione industriale in Inghilterra, la rivoluzione politica in Francia, che permisero agli uomini di scoprire che possono essere gli agenti della trasformazione del mondo. Milioni di individui sono sradicati dal loro ambiente contadino di origine e trasportati nei nuovi spazi urbani ed industriali e nascono rivendicazioni sociali e politiche, sorgono e si moltiplicano fino ad assumere la forma di contestazioni violente e di fermenti rivoluzionari.
  • meno importante ma comunque decisiva fu la scoperta della parentela fra in "sanscrito", l'antica lingua sacra dell'India e il greco ed il latino. Queste ricerche, introdussero con forza l'idea della storicità delle culture e delle società
  • ultimo elemento rilevante fu  la scoperta di asce di pietra risalenti al tempo in cui vissero mammiferi scomparsi da migliaia di anni. Questo diventa il punto di avvio della concezione scientifica dell'evoluzionismo. Gli scienziati cominciano a concepire l'antropologia come la scienza di sintesi di:paleontologia, preistoria, linguistica, etnografia. La riflessione sull'uomo diviene interamente oggetto di scienza.

Spencer per dar conto della dinamica della società si ispirò direttamente alla biologia e stabilì che l'evoluzione sociale poteva essere assimilata all'evoluzione organica, ed aggiunse un'altra legge quella di un progresso continuo e inarrestabile che farebbe passare le società da uno stadio primitivo a stadi sempre più complessi.

Il suo fu più tardi chiamato impropriamente darwinismo sociale. In realtà la principale innovazione del naturalista Darwin era quella di cercare di sottomettere sistematicamente alla valutazione critica dei fatti, l'ipotesi della selezione naturale della specie.

Ricollocando l'uomo nella natura, egli mostra che anche l'uomo è soggetto, come gli altri organismi viventi, alle leggi della selezione naturale.

Lewis Morgan è il primo ricercatore che passò un gran numero di anni a raccogliere dati direttamente sul campo e a valutare le sue ipotesi mediante frequenti ritorni presso i suoi ospiti, gli indiani dell'America del nord e attraverso i documenti si propose di ricostruire la storia dell'evoluzione dell'umanità. Morgan stabilisce una sequenza di 3 stadi o periodi per descrivere l'evoluzione dell'umanità, egli ha organizzato il caos dei dati sparsi accumulatisi fino ad allora ed ha permesso di pensare in una maniera logica la storia dell'umanità.

Morgan mette in opera i fenomeni di parentela, di matrimonio e di famiglia, egli comprese per primo che le relazioni di parentela e di matrimonio, in una società data, formano un sistema coerente al quale va a corrispondere un sistema terminologico.

Il cambiamento di questi tempi, è dovuto anche all'imperialismo europeo che porta all'espansionismo europeo su scala mondiale.

Gli inglesi nelle indie ed in Africa, i francesi in Africa ed in Asia, i portoghesi e gli spagnoli in Africa, gli olandesi in Asia, avevano bisogno, per governare, di conoscere le società verso cui pretendevano di portare la civiltà ed il progresso.

Gli antropologi iniziarono una riflessione più centrata sull'inchiesta sul campo, sulla valutazione e l'analisi di situazioni empiriche. "conoscere meglio per dominare meglio" questa potrebbe essere la formula per indicare l'incontro dell'antropologia, scienza umana, con l'imperialismo coloniale struttura socio-politica di dominio.

Il potere si esercita come tecnica di potere e al tempo stesso come produzione di sapere. In altri termini, mentre investe le situazioni, e le assoggetta, ne fa contemporaneamente un oggetto di sapere.



Il pensiero evoluzionista

Dalla seconda metà del 19° secolo fino agli anni 20 del novecento, le scuole evoluzioniste hanno dominato la riflessione antropologica. Le scuole di pensiero cercarono di interpretare le istituzioni tanto dal punto di vista della loro origine (il genetismo), quanto da quello della loro evoluzione nel corso del tempo.

  • Il genetismo ovvero la ricerca delle origini sociali e culturali contemporanee.
  • Nel campo della parentela evocò e amplificò il matriarcato
  • nel campo della religione e della scienza, si sviluppò una teoria dell'animismo
  • nel campo della politica e dell'organizzazione sociale nacque la prima espressione di organizzazione socio-politica

Il processo dell'evoluzione dell'umanità avviene secondo 3 grandi fasi che si succedono logicamente: selvatichezza, barbarie e civiltà. L'evoluzione è concepita dai diversi autori come una sequenza unica e lineare di cambiamenti cumulativi ed irreversibili.

Lo steso vale se riconsidera no questi 3 stadi applicati alla magia, alla religione, alla scienza, sono 3 tappe che segnano l'evoluzione delle forme di pensiero e parallelamente delle forme di società.

L'antropologia evoluzionista della fine del 19° secolo e dell'inizio del 20°, con la sua concezione della storia autocentrata, fornisce una base scientifica al discorso ideologico mirante a legittimare la necessità se non la razionalità della colonizzazione. In termini dualistici: dal un lato il semplice de il primitivo, dall'altro il complesso e l'evoluto.

Nonostante i suoi eccessi e difetti teorici, la corrente evoluzionista ha dato un contributo decisivo all'antropologia. Per la prima volta si è cercato di trovare una spiegazione logica alle somiglianze regolari che si osservano tra società diverse, spesso estremamente lontane le une dalle altre sul piano storico e geografico.

Un tale progetto si fondava su 2 principi essenziali: l'idea dell'unità del genere umano, e quella conseguente, secondo la quale gli elementi identificabili in ciascuna società costituiscono un insieme coerente, suscettibile di un trattamento logico e di portata universale.




Malinowski e l'antropologia di campo

La prospettiva inaugurata da Malinowski, la quale si identificherà con ciò che + tardi sarà chiamato funzionalismo, risulta dalla scomparsa di ogni interesse per la ricostruzione storica delle società del passato secondo un'evoluzione lineare e, dall'urgenza dell'indagine sul presente a partire dalla presa in considerazione della singolarità e della specificità di ogni cultura studiata.

L'idea è che uno studioso penetra in una società omogenea, preservata da ogni influenza esterna per diventare l'interprete autorizzato.

Con Malinowski si assiste ad un reale sconvolgimento dello sfondo filosofico dell'antropologia. Tutti gli uomini sono uguali, ma diversi, e tutte le diversità sono uguali: potrebbe essere questo il motto di Malinowski e dei suoi discepoli.

Malinowski, in effetti, pone come esigenza fondamentale dell'indagine antropologica, l'autonomia e la specificità di ogni configurazione culturale.

Già Freud e la psicanalisi sono già insorti contro l'idea di un individuo guidato dalla sola ragione.

Il pensiero di Malinowski è: da una parte tentare una spiegazione globale dell'uomo e della sua cultura attraverso l'insieme delle loro dimensioni, e dall'altra, essere attenti alle singolarità e particolarità di ogni cultura, per cercare più tardi, delle leggi più generali ed universali.

Malinowski rivoluziona la ricerca, attribuendo un posto fondamentale alla ricerca sul campo, questa nuova combinazione, permetteva a Malinowski di distinguere il nuovo antropologo di profesione dalle varie categorie di osservatori che l'avevano preceduto.. Partecipare alla vita del villaggio, diventava una condizione stessa della conoscenza etnologica.

Il metodo dell'osservazione partecipante, messo a punto da Malinowski, prevede che la sua propria esperienza dell'esperienza dell'indigeno, diventi anche esperienza del lettore.

Malinowski si preoccupa di convincere i suoi lettori che le informazioni etnografiche che egli fornisce, sono il risultato di una ricerca oggettiva e non il prodotto di una soggettività.

Nel paradigma inaugurato da Malinowski, l'argomento dell'auto-refenzialità, (io c'ero) diventa uno dei pilastri dell'autorità della nuova antropologia.

L'individuazione dell'oggetto che Malinowski articola strettamente con l'esigenza del lavoro sul campo, è all'origine del suo secondo principio metodologico: l'analisi funzionale, i fatti antropologici si dispongono gli uni in rapporto agli altri, nel sistema e assolvono alle diverse funzioni in questo sistema.

Malinowski ha prodotto testi teorici molto interessanti, come quello del principio di reciprocità, in quanto regola d'oro di ogni vita sociale . questo principio di reciprocità, lui lo scopre a tutti i livelli della realtà sociale: l'economia, la parentela, la magia, la legge., e soprattutto nel campo dell'economia "primitiva".

Anzitutto Malinowski rifiuta tutti i pregiudizi allora in corso sulla società "primitiva", rivela la complessità di questa economia in cui constata l'esistenza di strutture elaborate per organizzare la produzione, lo scambio, il consumo dei beni, egli sottolinea l'importanza nei rapporti economici del principio di reciprocità.

Malinowski mostra che la motivazione puramente economica è assente presso i popoli selvaggi. Nelle società primitive l'economia non costituisce una sfera indipendente dagli altri aspetti della vita sociale, culturale, religiosa e tecnica.

Per Malinowski la cultura risponde ad un "adattamento" necessario dell'uomo alle condizioni che gli vengono imposte sia dalla sua propria natura che dal suo ambiente. Questo adattamento si realizza mediante la soddisfazione di una duplice categoria di bisogni, biologici o elementari, da una parte, e sociologici dall'altra.

Lavorare in presenza dell'oggetto di studio, diventa non solo preliminare ad ogni attività scientifica, ma trasforma lo stesso oggetto di studio in un "presente etnografico" privato di ogni consistenza storica e di ogni determinazione esterna, in un dato pronto per essere analizzato da un osservatore esterno, neutro e ben preparato. Lo scopo è l'analisi intensiva e sintetica della vita "comune" registrata dall'antropologo nella lingua indigena e durante un soggiorno molto lungo in una società intatta.

Il campo o terreno una volta riconosciuto come preliminare, ad ogni ricerca di tipo antropologico, giunge rapidamente a giocare un ruolo emblematico nell'antropologia britannica di campo.

Gli autori successivi si accontentano il più delle volte, di un semplice riferimento alla presenza dell'antropologo sul campo.



Levi- Strass

Levi-Strauss fu il più severo dei critici di Malinowski, egli critica l'eccessivo empirismo di Malinowski che risulta dalla sua concezione organicista della società.

Secondo lui, in effetti, il principio fondamentale è che la nozione di struttura sociale, non si riferisce alla realtà empirica, ma ai modelli costruiti in base ad essa.

La questione dell'opposizione tra cultura e natura è l'opposizione fra la legge e la regola, fra l'eredità biologica e la tradizione culturale. Per Levi- Strass, una tale opposizione non ha un significato storico, ma un valore di metodo.

Non vi è passaggio progressivo dalla natura, alla cultura. Nell'uomo, l'una e l'altra si articolano simultaneamente in modo tale che l'opposizione tra le due istanze, appare essa stessa una creatura della cultura.

Tutte le società lo fanno, secondo le proprie modalità e in termini specifici.

Per lui, la cultura si afferma d'un tratto con l'emergere della regola, della struttura, nei fatti della natura. L'uomo si afferma immediatamente nella cultura. Come precisa Luc de Heusch un allievo di Levi.Strauss, le culture umane si costruiscono l'una in rapporto all'altra, , in un rapporto di alterità su un fondo di identità.

Di conseguenza, non si tratta più di allineare le diversità, ma di spiegarle. In tal modo, l'accento è di nuovo posto sul metodo.

Il procedimento comparativo che è a principio del metodo strutturale, consiste nel dissolvere la specificità di ogni cultura nell'universale. Il riferimento all'universale, consente a sua volta di chiarire in maniera profonda, le proprietà di un sistema particolare.

Ogni società è una costruzione simbolica che deriva da un determinismo logico particolare, le cui regole o leggi, l'antropologo ha il compito di scoprire. Questa logica universale Levi-Strauss la colloca sul versante dell'intelletto, dello spirito umano.

Levi- Strass non formula l'ipotesi di un soggetto trascendentale, ma parte dei sistemi concreti di rappresentazioni per scoprire le strutture intellettuali che attestano la realtà di uno spirito umano invariabile.

Levi- Strass, fu il primo ad avere sistematicamente assunto il modello della fonologia strutturale in un ambito diverso dalla linguistica.

Lo strutturalismo è in primo luogo un'attività intellettuale che separa il soggetto dalla scienza.

Esso elimina ogni finalità soggettiva o metafisica, come Dio, la storia, la morale, l'uomo per tentare di accedere alle sole forme.

In secondo luogo la critica del soggetto avanzata dallo strutturalismo implica una critica del senso.

Il senso esiste nel gioco di relazioni che questo intrattiene con altri oggetti.

Infine lo scopo della ricerca strutturalista è di ricostruire il funzionamento dei sistemi semiotici attraverso la costruzione di un modello empirico.


L'antropologia strutturale di Levi-Strauss

Il sistema di parentela appare come un linguaggio, una struttura di comunicazione o un sistema simbolico all'interno del quale ogni individuo di una società acquisisce uno status e un ruolo sociale per la posizione che occupa nella struttura generale dello scambio.

I sistemi di parentela assumono contenuti diversi a seconda della società.

Il pensiero selvaggio e le mitologie:

il pensiero selvaggio non è esclusivo di coloro che vengono chiamati selvaggi, ma è presente in ognuno di noi, è alla base di quello addomesticato dalle nostre diverse culture.

Per Levi-Strauss, la struttura è primaria, la forma precede il contenuto.

In effetti per Levi-Strauss l'attività inconscia dello spirito consiste nell'imporre delle forme ad un contenuto.

Il procedimento strutturalista costruisce dei modelli ipotetico-deduttivi capaci di rendere conto a tutti i fatti osservabili nei diversi sistemi concreti.

Il modello strutturale di Levi-Strauss fa scivolare l'interpretazione antropologica dall'ordine della realtà sociale all'ordine del pensiero simbolico, dall'ordine del concreto all'ordine dell'astratto.

A Levi-Strauss si rimprovera di essere in definitiva più attento alle forme astratte che non ai rapporti reali, più ai discorsi che le società fanno su se stesse, che non alle pratiche sociali. Gli si rimprovera ugualmente di collocare fuori del tempo e della storia le strutture logiche che egli ritiene reggano la società.

Bisogna riconoscere che la contingenza, la storia, i sistemi approssimativi fanno parte della società al pari delle strutture, inoltre, se tutti i sistemi culturali possono essere considerati come dei linguaggi, come dei sistemi di comunicazione, non per questo essi sono retti tutti da una struttura formale che sarebbe indifferente sia alle loro condizioni di scambio, sia alla natura degli elementi che li compongono.

Secondo Levi-Strauss nella società selvaggia, il linguaggio è alla portata di tutti. La voce e il gesto sono ugualmente condivisi mentre, nelle società storiche, la memoria scritta è una memoria artificiale e la tradizione è una tradizione opaca.

La prospettiva di Levi-Strauss è orientata verso un pensiero dell'origine che trasforma in stato reale lo stato teorico della società selvaggia postulato da Rousseau. Levi-Strauss opera una reale rottura fra società selvagge e società storiche . le prime sarebbero caratterizzate dal senso, dall'autenticità dalla trasparenza, le seconde dal potere , dall'inautenticità, dall'opacità.

Levi-Strauss introduce una frattura fra una "storia cumulativa" caratteristica delle società "calde", e una "storia stazionaria" caratteristica delle "società fredde".

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