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René Magritte: evocare il mistero




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René Magritte: evocare il mistero
'Chi cerca significati simbolici è incapace di cogliere la poesia dell'immagine' (René Magritte)

di Martina De Luca


 

René Magritte, Il donatore felice, 1966. Bruxelles, Musée d'Ixelles

A chi gli chiedeva di descrivere la propria vita in dieci righe, Magritte rispondeva 'dieci righe per me sono troppe'. E così quando, nel 1954, è chiamato a tracciare un profilo della propria esistenza, si affida a una prosa scarna e asciutta che racconta un'esistenza trascorsa all'insegna della più assoluta normalità: la nascita nella provincia belga, gli studi senza particolari entusiasmi presso l'Accademia di Belle Arti di Bruxelles, l'impiego come disegnatore presso una fabbrica di carta da parati, il matrimonio durato una vita con una donna conosciuta da adolescente, pochi viaggi. Tuttavia a un'esistenza tutto sommato piccolo borghese, corrisponde una concezione assolutamente nuova e rivoluzionaria del mestiere della pittura.

Fedele a se stesso
Una pittura che a un primo sguardo non sembra conoscere evoluzioni; soggetti che si ripetono anche a distanza di decenni e, se si eccettuano le parentesi espressionista e renoiriana, uno stile che rimane fedele a se stesso nel corso del tempo, un modo di dipingere che l'artista non esita a definire banale e accademico, perché è 'essenziale sapere cosa devo dipingere. Il come consiste soltanto nel dipingere correttamente quello che devo dipingere'.

 

René Magritte, La bagnante, 1925. Charleroi, Musées des Beaux-Arts

Più volte ha rifiutato il titolo di "artista", affermando di essere un uomo che pensa e che comunica il suo pensiero attraverso la pittura come altri possono farlo attraverso la letteratura o la musica, per lui la pittura è un mezzo per esprimere pochi concetti fondamentali volti a rovesciare continuamente il nostro senso comune delle cose. Un atteggiamento tipicamente filosofico, dal quale discende la prosaicità del suo stile molte volte definito accademico e antipittorico, che rivela la mente indagatrice di un filosofo e trova puntuali coincidenze nei suoi numerosi scritti. Magritte tende a lavorare e rilavorare su una piccola gamma di varianti in tempi diversi, elaborando alcune idee chiave, in massima parte presenti nei suoi quadri se non altro allo stato di abbozzo già dal 1926.

 

René Magritte, Il lume filosofico, 1936. Collezione privata

La continuità della sua ricerca è infatti documentabile fin dagli esordi quando, sia pure in modo discontinuo, frequenta l'Accademia di Belle Arti, conosce poeti e letterati dell'avanguardia di Bruxelles come Pierre Bourgeois, Pierre Louis Floquet e dipinge quadri di ascendenza cubista e futurista: si tratta perlopiù di immagini di locomotive, stazioni ferroviarie, paesaggi. Sin da queste opere sono presenti motivi che preludono alla sua successiva ricerca. Per esempio in uno dei pochi dipinti sopravvissuti, Ragazza, la metamorfosi dell'organo sessuale femminile in una rosa tradisce intenzioni che superano preoccupazioni di carattere puramente formale. L'interesse per il dinamismo futurista si traduce immediatamente come possibilità di collocare sulla tela gli oggetti, sovrapponendoli, intersecandoli illogicamente in modo da far perdere loro la posizione abituale; altrettanto la grammatica cubista diventa la palestra dove esercitare lo studio della struttura della pittura e dello spazio. Di lì a poco arriva la vera rivelazione, il poeta Marcel Lecomte gli mostra la riproduzione di un quadro metafisico di De Chirico, Canto d'amore. Magritte ne rimane entusiasta tanto che ancora molti anni dopo ricorda: 'Nel 1910 De Chirico gioca con la bellezza, immagina e realizza ciò che vuole: dipinge il Canto d'amore, in cui si vedono riuniti un guanto da boxe e il viso di una statua antica. Dipinge Malinconia in un paesaggio con alte ciminiere di fabbriche e muri infiniti. Questa poesia trionfante ha sostituito l'effetto stereotipato della pittura tradizionale. È una completa rottura con le abitudini mentali proprie degli artisti prigionieri del talento, del virtuosismo e di tutte le piccole specialità estetiche. È una nuova visione nella quale lo spettatore ritrova il suo isolamento e intende il silenzio del mondo'.

 

La traversata difficile, 1926. Bruxelles, collezione Jean Krebs

Fuori scala L'attitudine metafisica a rappresentare oggetti fuori scala, senza apparenti nessi logici in ambienti inanimati dove non sembrano avere ragione di esistere, affascina Magritte. Da quel momento la sua pittura abbandona completamente le sperimentazioni formali care alle avanguardie, e si concentra sulla ricerca di effetti di spaesamento e di mistero. È un periodo estremamente fecondo, si racconta che riuscisse a dipingere quasi un quadro al giorno e, nel 1927, organizza la sua prima mostra personale presso la Galleria Le Centaure di Bruxelles. Espone, tra gli altri, Il fantino perduto, La traversata difficile, La nascita dell'idolo, L'assassino minacciato: la mostra non ha un grande successo, ma il sostegno offerto dai proprietari della galleria a Magritte gli consente di dedicarsi completamente alla pittura. In questi dipinti gli oggetti estrapolati dal loro contesto originario sono disposti sulla tela secondo intricate prospettive memori della lezione di De Chirico, in modo da suscitare domande sul loro nuovo ruolo di protagonisti del quadro. 'Poiché volevo, per quanto possibile - scrive Magritte - fare urlare gli oggetti più familiari, bisognava sovvertire in modo naturale l'ordine nel quale essi di solito si pongono'.
Liberarsi dalle convenzioni, liberare la fantasia, scoprire inediti nessi che legano insieme oggetti e avvenimenti apparentemente slegati, sovvertire l'ordine del quadro per sovvertire l'ordine del mondo, è ciò a cui tendono negli stessi anni i surrealisti francesi. Breton, nel 1924, pubblica il primo manifesto del movimento in cui, sulla scia delle teorie di Freud, stabilisce un'assoluta equivalenza tra Surrealismo e automatismo psichico, quel procedimento automatico che, realizzato senza il controllo della ragione, fa sì che l'inconscio si esprima li beramente. Anche in Belgio si forma un gruppo surrealista che però mostra sostanziali differenze con quello francese, profondamente segnato dalla personalità e dal pensiero di Breton. Poeti e letterati in Belgio sostengono, infatti, che la vera rivelazione è contenuta nella realtà e il loro ruolo, come quello degli artisti, è svelare la parte di realtà che normalmente si nasconde dietro l'ordinaria familiarità del mondo.

 

René Magritte, La corda sensibile,1960, part. Collezione privata

Poco dopo la mostra presso Le Centaure, Magritte lascia Bruxelles, per un sobborgo nei pressi di Parigi dove soggiorna per circa tre anni; conosce Breton, Éluard, frequenta i circoli surrealisti, partecipa ad alcune delle loro iniziative, ma non perde i contatti con gli amici del Belgio ed è tra gli animatori del movimento di Bruxelles, dove rientra definitivamente nel 1930. La messa in scena di elementi estrapolati dal loro contesto e inseriti in un ordine diverso apparenta la ricerca di Magritte con quella dei surrealisti francesi, ma rivela maggiori affinità con le teorizzazioni del gruppo di Bruxelles. Innanzi tutto, come lui stesso ha più volte chiarito, la sua pittura non vuole simulare il sogno, né tantomeno essere trascrizione automatica tesa a far affiorare l'inconscio, o ancora, a essere interpretata come pittura-simbolo. 'Riportare la mia pittura - annoterà più tardi l'artista - al simbolismo conscio o inconscio significa ignorarne la vera natura. la gente è pronta a usare oggetti senza cercarvi nessuna intenzione simbolica, ma quando guarda dei dipinti e non riesce a trovare alcun uso adeguato, allora va a caccia d'un significato per trarsi d'impaccio e perché non capisce ciò che presumibilmente pensa di fronte al dipinto Vuole qualcosa cui aggrapparsi per salvarsi dal vuoto. La gente che cerca significati simbolici è incapace di cogliere la poesia e il pensiero intrinseco dell'immagine. Ha paura. Chiedendo "che cosa significa?" esprime il desiderio che tutto sia comprensibile. Ma se non rifiuta il mistero tutto diventa più comprensibile'.

 

René Magritte, La grande marea, 1951. Collezione privata

Un'arte del pensiero Il concetto chiave della pittura di Magritte è il mistero, mistero che però si rivela attraverso la realtà: 'vorrei mostrare la realtà in modo da evocare il mistero'; per questo sceglie di riprodurre fedelmente gli oggetti, le cose, le persone, e quanto più possibile la scelta di questi elementi si deve limitare a quelli più familiari, per 'dare allo straniamento la massima efficacia. Un bambino in fiamme infatti ci turberà maggiormente di un lontano pianeta che si spegne'. Inizialmente, per sovvertire l'ordine naturale delle cose, Magritte si serve del principio della giustapposizione di elementi diversi o dell'isolamento di un oggetto, come dimostrano i quadri realizzati intorno al 1926; ben presto però, accanto a questo sistema di montaggio, l'artista scopre un nuovo potenziale delle cose: 'La loro capacità di diventare gradualmente qualcosa di altro, un oggetto diverso da se stesso. Per esempio il cielo in certi posti lascia trasparire il legno. Questo mi sembra qualcosa del tutto diverso da un oggetto composito, poiché non vi è cesura tra le due sostanze e non vi è limite. Con questo sistema produco quadri in cui l'occhio deve "pensare" in un modo completamente diverso dal solito; le cose sono tangibili eppure pochi assi di solido legno diventano impercettibilmente trasparenti in certi punti, oppure una donna nuda ha delle parti del corpo che si trasformano in una materia differente'.

 

René Magritte, La buona fede, 1964-65. Collezione privata

Attraverso la combinazione e la metamorfosi, Magritte amplifica la sorpresa suscitata dal quadro dove gli oggetti trasformati o associati, sono immediatamente confrontabili con la cosa trasformata o confrontata. Ne I giorni giganteschi (1928) una donna nuda lotta con un uomo che è visibile solo in quanto si sovrappone a lei come un vestito. In questo caso, come è stato già notato, l'immagine, che è pure trattata con il consueto sistema dell'assoluta verosimiglianza, pone diversi problemi: le figure sono due eppure una sola, la donna è nuda, ma vestita dalla figura dell'uomo, i due lottano, ma sono uniti, la donna resiste, ma è sconfitta. Così Magritte realizza il mistero di 'un'immagine ignota in mezzo a cose note', e allo stesso tempo consolida il suo concetto di pittura come fatto puramente mentale che nulla ha a che vedere con preoccupazione di carattere estetico. 'L'arte del dipingere - afferma - è un'arte del pensiero'.
Questo atteggiamento spiega la sostanziale continuità dell'opera dell'artista: nella seconda metà degli anni Venti, prima in Belgio e poi in Francia, Magritte pone le basi di una ricerca che nel corso del tempo assume sempre più la struttura di un sistema teso a indagare il problema dell'immagine e della sua rappresentazione.

 

René Magritte, La voce del sangue, 1959. Vienna, Museum Modern Kunst

L'uso della parola Tra i numerosi dipinti realizzati negli anni trascorsi a Parigi (1927-1930), parecchie sono le opere in cui compaiono parole. Inizialmente l'artista dipinge delle forme senza nome che portano parole; queste, come delle vere e proprie didascalie, definiscono l'immagine: ne La speranza rapida (1927), la forma in alto è detta nuvola, quella in lontananza villaggio all'orizzonte, un'altra dritta in primo piano albero e così via; in questo caso dunque le parole sostituiscono le immagini. Poi, con L'uso della parola (1928-1929), dimostra i disordini logici provocati dal linguaggio: una pipa perfettamente disegnata è accompagnata dalla scritta "ceci n'est pas une pipe" (questa non è una pipa). L'affermazione è di una assoluta coerenza e perciò stesso disarmante: le immagini degli oggetti rimarranno sempre immagini, e per quanto simili a essi non potranno mai rappresentarli in pieno. Linguaggio e immagini sono assunti dunque come veri e propri sistemi strutturati secondo proprie leggi. Magritte torna su questo tema realizzando un saggio figurativo, Les mots et les images (1929) che, pubblicato a Parigi su La révolution surréaliste, è stato paragonato a delle tavole semiotiche. Attraverso un'acuta analisi, l'artista arriva a dimostrare le ambiguità del linguaggio e come le immagini funzionino allo stesso modo delle rappresentazioni verbali. Nel testo infatti troviamo importanti affermazioni come 'un oggetto non ha la stessa funzione del suo nome o della sua immagine' e ancora 'tutto tende a far pensare che ci sia una debolissima relazione tra un oggetto e la sua rappresentazione'.

 

René Magritte, L'impero delle luci, 1961. Collezione privata

Questa non è una pipa Queste riflessioni si inseriscono nel più ampio contesto di ricerche che, a partire dalla fine dell'Ottocento e a diversi livelli, avevano messo in crisi la certezza del linguaggio. Il pensiero di Magritte sembra così collegarsi alle ricerche letterarie da Rimbaud a Jarry a Lautréamont, alle sperimentazioni dadaiste e futuriste e, soprattutto, mostra sorprendenti analogie con gli scritti elaborati negli stessi anni da Wittgenstein. Entrambi infatti concorrono a definire il carattere relativo dell'uso che facciamo delle parole. È però vero che Magritte era prima di tutto pittore e che le sue analisi sulle parole e sulle immagini sono sempre state strumentali alla definizione della sua pittura, ed è noto che queste sue annotazioni nascono quando ancora non conosceva la linguistica. Di fatto, solo negli anni Sessanta Magritte legge Le parole e le cose di Michel Foucault, scoprendo così la connessione profonda tra la sua ricerca e la linguistica. E lo stesso Foucault dedica un fondamentale saggio alla pittura di Magritte della quale propone una lettura che, proprio a partire dal celebre Ceci n'est pas une pipe, dimostra la forza di rottura dell'opera del pittore nei confronti della tradizione ormai plurisecolare che stabiliva un legame indissolubile tra verosimiglianza e rappresentazione.
Nel corso del tempo, Magritte elabora dunque un vero e proprio sistema teorico ed estetico tanto che quando, nel 1938, è chiamato dal Musée des Beaux-Arts di Anversa a tenere una conferenza, indica con chiarezza gli intenti e i mezzi della sua poetica: 'La creazione di nuovi oggetti; la trasformazione di oggetti noti; il mutamento di materia di certi oggetti: un cielo di legno, per esempio; l'uso delle parole associate alle immagini; la denominazione erronea di un'immagine; la rappresentazione di certe visioni del dormiveglia, furono a grandi linee i mezzi da me usati per costringere gli oggetti a divenire infine sensazionali'. Aggredire il reale e 'fare urlare gli oggetti', estraniarli per svelare un nuovo ordine oppure legare fra loro figure e oggetti in modo inconsueto, contraddire le immagini con le parole sono gli strumenti di una pittura intesa prima di tutto come provocazione intellettuale, incitamento a rompere gli schemi abituali del pensiero, perché 'il valore reale dell'arte dipende dalle sue capacità di rivelazioni liberatorie'.

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