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La vita quotidiana a Novara durante la guerra




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La vita quotidiana a Novara durante la guerra


La città di Novara, come tutte le altre città d'Italia, dovette adattarsi al nuovo stile di vita imposto dalla guerra: coprifuoco, oscuramenti, maschere a gas sempre a portata di mano. Anche il terrore dei bombardamenti non mancò, ma fortunatamente la città non fu mai presa d'assalto dalle bombe.

Nei primi anni di guerra, l'apparato propagandistico si sforzò notevolmente per fare in modo che la situazione apparisse completamente sottocontrollo ed ottimale. Tuttavia, col protrarsi del conflitto, quest'opera demagogica fallì ed anche a Novara cominciarono a sentirsi le fatiche della guerra. Il cibo distribuito grazie alla tessera annonaria non era sufficiente per una completa nutrizione. Venivano infatti distribuiti gli alimenti sotto i portici di viale Cavour e di corso Vittorio Emanuele II per un totale di 952 cal. giornaliere a persona, contro le 3856 cal. che prevedeva lo stesso Istituto nazionale fascista della previdenza sociale. Fortunatamente a Novara la situazione fu leggermente alleviata dal forte legame fra i cittadini e le campagne circostanti. Infatti, quando non c'era denaro a disposizione, si ricorreva al baratto, oppure si andava a comprare la farina e, per i più facoltosi, anche le uova nelle cascine del novarese. Un'altra vincente mossa che fu messa in atto per sfuggire alla fame, fu il ritorno alle antiche astuzie della miseria contadina: si ritornò a lavare i piatti con l'acqua della pasta, a fare il caffè macinando i semi dell'uva, si spremeva olio dalle noci, si condiva l'insalata mischiando tuorlo d'uovo e aceto e, soprattutto, si diedero vita ai cosiddetti orti di guerra: la aiuole dei parchi pubblici, davanti alla stazione, dietro alla Casa Littoria persero la loro funzione ornamentale in per diventare utili orti dove coltivare ortaggi. Fra il 1941 e il 1942 si stima che furono raccolti più di cento quintali di prodotti agricoli.


[1]

Ragazza che raccoglie i pomodori dall'orto di guerra di fronte alla stazione


L'oscuramento mutò profondamente l'aspetto notturno della città di Novara. La prima ordinanza risale al 1939 ma, con il protrarsi della guerra, le disposizioni divennero sempre più restrittive. Si arrivò durante la guerra a spegnere le luci dei cartelloni pubblicitari luminosi, delle insegne esterne dei bar, i lampioni cittadini furono verniciati di azzurro e si spensero anche le luci perpetue dei cimiteri e degli altari nelle chiese. Ci si doveva inoltre assicurare che non uscisse luce dalle finestre e dai portoni delle abitazioni private. Furono spenti addirittura i semafori e le autovetture, quelle poche autorizzate a circolare, dovevano adottare un particolare sistema di segnali acustici per segnalare la loro presenza. Anche le luci dei carri a trazione animale e delle biciclette furono oscurate e ai pedoni, nonostante si instesse affinché non uscissero di notte, era consentito usare una torcia puntata a terra e solo nei passaggi più oscuri; inoltre dovevano tenere rigorosamente la sinistra. Per rendere maggiormente sicura la circolazione di questi ultimi, furono anche notevolmente abbassati i limiti di velocità per i veicoli. In genere l'oscuramento durava dal tramonto fino all'alba e poteva variare con il cambiamento della stagione; in autunno l'oscuramento doveva essere totale dalle 20.30 alle 7.00, mentre in inverno si andava dalle 18.30 alle 8.00.

Su "L'Italia giovane" il 20 novembre del 1940, comparve un articolo del commercialista e critico musicale Enrico Barbè che descriveva così Novara nella sua veste di guerra:


"I segni del tempo di guerra non sono vastamente impressi nella nostra bella e linda Novara. Gli unici segni visibili sono le trincee di piazza Bellini, i sacchi di sabbia sotto agli archi del Palazzo del Mercato, i cartelli indicanti i ricoveri (numerosi, ma non impressionanti). L'animo dei novaresi è tranquillo, in attesa dello squillo (lontano o vicino non importa, ma sicuro) della vittoria. Anche l'oscuramento ha i suoi lati piacevoli. Dalla tenebra nera e sincera emergono la cupola del duomo e il monumento al re in piazza Vittorio Emanuele." [2]


Dietro alla retorica di Barbè, tuttavia, si nasconde ben altro che un paesaggio per piacevoli passeggiate romantiche al chiaro di Luna. L'oscuramento impediva a chi lavorasse di notte di poter agevolmente percorrere il tragitto da casa a lavoro e viceversa, rendeva difficoltose le visite mediche a domicilio e il trasporto in ospedale dei malati. Oltre al resto, di notte, era frequente il suono della sirena antiaerea.

Nelle scuole di ogni grado, maestri e professori catechizzavano i ragazzi fin da piccoli alla dottrina fascista di "credere, obbedire e combattere!". Durante la guerra la DeAgostini pubblicò delle carte sulle quali erano riportate gli spostamenti delle truppe italiane durante la guerra. Nel 1940, dopo la Carta della Scuola del ministro Boatti, l'anno scolastico fu inaugurato da grandi manifestazioni a cui parteciparono tutti gli studenti e il Provveditore agli Studi, Alessandro Viglio. Le scuole allora attive a Novara erano il Regio Liceo classico "Carlo Alberto", le Scuole magistrali "Bellini", l'Istituto tecnico-commerciale "Mossotti", l'Istituto tecnico-industriale "Omar", la Scuola secondaria di avviamento professionale e industriale "Bellini" e la Scuola tecnica "Galileo Ferraris".

Con lo scoppio della guerra, furono chiuse le sale da ballo. Lo sfogo per i giovani novaresi si concentrò tutto nelle sale cinematografiche. Erano molte in tutta Novara: l' "Eldorado" e il cinema "Vittoria" in corso Vittorio Emanuele II (oggi via Rosselli); il "Faraggiana" in corso della Vittoria; il cinema-arena "Lux" sull'Allea; il "Radio" in via Regaldi e molti altri più piccoli negli oratori cattolici. Nei primi anni di guerra venivano proiettati film americani, debitamente doppiati in italiano in maniera molto più consona al regime fascista; venivano proiettati anche i cinegiornali e i documentari dell'Istituto Luce per aggiornare i cittadini sull'andamento della guerra e per continuare ad esortare il nazionalismo che consentiva l'appoggio delle masse al fascismo. Continuò anche l'attività teatrale al "Teatro Coccia" con artisti di livello internazionale e con spettacoli comici e balletti al "Faraggiana". Nel 1942 al "Coccia" la stagione teatrale vide perfino la partecipazione dell'emergente soprano giapponese Atsuko Ito per un' interpretazione de la "Madama Butterfly"

Anche le feste popolari non smisero di avere luogo durante le guerre. Ciò fu reso possibile dallo sforzo del Circolo nazionale del dopolavoro unito alla grande tradizione che legava i cittadini alle proprie tradizioni, come le partecipatissime "Festa dell'uva" e "Festa del Grano". Anche le numerose associazioni sportive portarono avanti le manifestazioni ludiche; continuarono ad esistere durante la guerra società come la "Voluntas", la "Pro Novara", lo "Skating Club Novarese", la "Società sportiva novarese" ed infine lo "Sport club Bicocca".

Durante la guerra, con lo scopo di tenere vivo il nazionalismo dei novaresi, venne installato un microfono nel Broletto, l'antica piazza del mercato, potenzialmente aperto a tutti ma in realtà rigidamente controllato dagli organi di propaganda, che riproduceva continuamente in tre altoparlanti posti nei portici antistanti al Broletto canti patriottici, musiche marziali e, ad orari fissi, enfatici discorsi tipici dell'attività propagandistica del fascismo. Il risultato era che un fracasso infernale si propagava per tutto il giorno fra i portici che fungevano da naturale cassa di risonanza del suono, amplificandolo.




Braga A., La città e la guerra - Novara 1940-1945, Istituto Storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola "Piero Fornara", pag. 87, Novara, 2006

Braga A., La città e la guerra - Novara 1940-1945, Istituto Storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola "Piero Fornara", pag. 93, Novara, 2006

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