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Seneca: Nerone ed il sogno politico - Il fallimento di un "principato illuminato"




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Seneca: Nerone ed il sogno politico

Il fallimento di un "principato illuminato"



Lucio Anneo Seneca non fu solo un brillante scrittore ma anche un esemplare filosofo nonché un saggio politico. Egli riprende l'ideale, iniziato con Platone, di un connubio tra politica e filosofia: il principe deve servirsi del consiglio di un sapiente, ovvero di un'èlite di 'saggi', che con i suoi avvertimenti stimoli le sue doti di clemenza, giustizia, liberalità in nome del benessere dello Stato.

Quando Agrippina, la potente quanto spregiudicata moglie dell'imperatore Claudio, richiama il filosofo dall'esilio, a cui era stato condannato, e gli affida l'educazione del figlio Nerone, Seneca si rende immediatamente conto della grande occasione capitatagli. Il giovane discepolo, infatti, non è il discendente di una qualsiasi famiglia aristocratica, ma un futuro principe: al buon esito della sua crescita emotiva e spirituale sono legate le sorti stesse di un impero.

Non sappiamo con certezza quale fu la funzione di Seneca come consigliere di Nerone tuttavia i tre storici più autorevoli, Tacito, Dione Cassio e Svetonio, sono concordi nell'esaltare i primi anni del regno di Nerone, il famoso 'quinquennio aureo' attribuendo il merito dei risultati positivi raggiunti alla presenza, accanto al giovane principe, di Seneca e di un'altra figura molto importante, il prefetto del pretorio Afranio Burro.

Nel 56 d.C., Seneca pubblica il manifesto del proprio pensiero politico, l'opera che consacra l'immagine di Nerone quale principe giusto e restauratore della concordia e dell'ordine, sulla medesima via tracciata da Augusto. E' il "De clementia", il trattato filosofico che codifica la teoria del principato illuminato. Il sovrano è qui presentato come vincolo unificatore e garanzia di concordia tra i numerosi popoli dell'Impero: per questo, ogni sua azione deve tendere in assoluto all'equità e alla clemenza. La sua figura viene palesemente assimilata all'astro solare, un'immagine che ha le sue origini nel simbolismo delle monarchie orientali e che, da tempo, era presente nel pensiero politico dello stoicismo.

Il saggio non discute più la legittimità costituzionale del principato, il problema non è più quello di restaurare l'antica libertà repubblicana, ma di avere un sovrano giusto, che regni con clementia (moderazione e mitezza), magnitudo animi (generosità), benignitas (benevolenza verso i sui sudditi), qualità che possono essere alimentate e garantite solo attraverso una profonda e adeguata educazione morale. Spinto proprio da queste convinzioni, Seneca diventa tutore del giovanissimo Nerone, intenzionato ad offrire alla società quel principe modello che sappia esercitare il suo imperium maius et nel rispetto dell'antica tradizione e in nome del benessere e della felicità dei suoi sudditi.

Con l'anno 59 d.C., secondo la tradizione storiografica, termina il celebrato 'quinquennio aureo', suggellato dall'assassinio di Agrippina. Il principe, libero dall'influenza materna e spalleggiato dalla nuova amante Poppea Sabina, inizia a sentire la presenza di Seneca e Burro come un ostacolo all'affermazione del proprio potere. Ma la data cruciale, che segna la definitiva rottura dell'idillio tra il principe e i suoi collaboratori è il 62 d.C.: infatti, Burro muore proprio all'inizio di quell'anno e Seneca, sentendo indebolita la propria posizione per la perdita di un valido alleato, decide di ritirarsi dagli affari pubblici.

Da questo momento Seneca si ritira della scena politica per dedicarsi alla stesura dei suoi capolavori letterari, quasi affranto e deluso dalla ricaduta pratica dei suoi ideali con la figura di Nerone. Non furono tanto le vicende dispotiche del giovane tiranno ad avere vanificato il lavoro del filosofo, ma la dura constatazione che il potere ed il denaro rendono qualsiasi intellettuale "schiavo" di compromessi ed inganni.

Questa è l'opinione di Marìa Zambrano, filosofo  spagnolo, che definisce Seneca "più un sapiente che un filosofo":

Il sapiente è una fi­gura del mondo pagano, orientale nella sua più nobile antichità [.]quello che per il momento distingue il sa­piente dall'intellettuale, dal filosofo, dall' uomo di scienza è la sua serenità. Non sembra divorato da nulla, né tantomeno spinto da qualcosa; al contrario, sembra essere arri­vato alla fine delle sue ansie; aver trovato riposo in vita. Sapiente è colui che vive come se fosse già morto. É colui che è maturo per la morte, che ha trovato pace ed è dispo­sto ad andarsene senza fare drammi."

"Seneca è la figura dell'uomo che si fa sapiente quando si vede messo alle strette dagli eventi e che, non avendo voluto disporre della sua vita per offrirla alla verità, come aveva fatto Socrate, è dovuto soccombere come lui. É la controfigura di Socrate: come lui, è stato co­stretto a soccombere all'ingiustizia, ma senza speranza."

"La morte di Seneca non fu, come per Socrate, l'inizio delle sue speranze, il compimento della sua fede, bensì un tragico fallimento, il fallimento dell'intellettuale di fronte al potere. Eppure Seneca, sapendosi in un certo senso consapevole, morì con eleganza, senza pianti né lamentele. Ritardò il più possibile la sua morte, ma era sicuro che sarebbe arrivata e si fece trovare già preparato."

"Seneca morto per ordine del potere, sacrifi­cato dal signore che aveva servito, non può es­sere un martire, la sua morte fu un incerto del mestiere: fu colpito dalle corna del potere, che la sua astuzia avvocatesca non era riuscito a evitare. Egli se ne rese conto, e per questo la­sciò di sé nell'ultimo istante di vita un'imma­gine semplice, una figura di elegante e serena bellezza.

"La tragedia dell'intellettuale di oggi che vuole, nel migliore dei casi, sottomettere la storia presente alla mezza ragione, che vuole assicurare alla ragione la sua mezza vita tra il potere e il frastuono del mondo, per man­canza di fede nella ragione intera. Perché la ragione intera, come la verità intera, non sono più di questo mondo."

Nelle opere di Seneca non si legge mai l'esaltazione dell'impero, delle sue tradizioni e glorie militari, della sua potenza praticamente illimitata. Per Seneca la battaglia per la conquista della libertà si poteva combattere solo con l'arma della filosofia, tanto è vero che egli affermava che solo il saggio è libero. Seneca conclude affermando che purtroppo non esiste uno Stato in cui il sapiente possa agire coerentemente con i propri principi.




Conclusioni



Da quando ho ascoltato le prime lezioni di geografia astronomica, il mio professore ci teneva sempre a  delineare il concetto di densità ed il confronto dei diversi valori che si possono stimare. Così come del vasto spettro di onde elettromagnetiche noi riusciamo a percepire solo una ristretta gamma di onde del visibile, sulla Terra riusciamo ad apprezzare solo "deboli" variazioni di massa, di volume e di densità rispetto all'Universo. Proprio in questa circostanza la densità assume i valori più estremi che possiamo immaginare: dal vuoto siderale alla incredibile massività dei buchi neri. Questi oggetti quanto mai sconosciuti sono il risultato di una materia "degenere" rispetto a quella che vediamo (e non) ogni giorno. E così accade nell'incredibilmente piccolo e cioè nell'atomo: questo è regolato da un mirabile "gioco" di forze e di equilibri che rendono stabile l'associazione di più di queste entità. Quello che spesso non si ricorda dell'atomo è che questo è incredibilmente vuoto: pensiamo di ingrandire il nucleo alle dimensioni di qualche centimetro di diametro; l'elettrone più vicino dovremmo posizionarlo e centinaia di metri più lontano. Ogni atomo ha il proprio "posto" ed occupa un determinato spazio in base alle proprie dimensioni; ora pensiamo di eliminare questi spazi tra un atomo a l'altro, tra un protone ed un elettrone: rimarrebbe la possibilità di far aggregare altri atomi nello stesso posto. Se per assurdo riuscissimo a fare questo con un oggetto delle dimensioni e della massa di una mela, questo peserebbe quanto un grattacielo: ecco il significato degli spazi vuoti. Accade lo stesso principio quando si formano i buchi neri. Questi sono dei potentissimi oggetti che riescono non solo ad attrarre pianeti e stelle, ma perfino la luce. Si stima che nella nostra galassia ne siano presenti diversi, ma fortunatamente abbastanza lontani da essere a noi innocui.

Il punto di svolta nella fisica moderna è stato quando la Meccanica Quantistica ha scoperto che il vuoto non esiste. Nessuna porzione di spazio, per quanto infinitamente piccola o perché no, infinitamente grande vuota, priva di energia, priva di materia. È un qualcosa di intrinsecamente pullulante di vita, di movimento, di creazione ovvero di distruzione. Proprio dal vuoto è nata la materia, nel senso che esistono coppie particella-antiparticella che si creano e annichilano in continuazione. Ciò che era incredibilmente vuoto, ora è incredibilmente pieno.

Altro tipo di vuoto è sicuramente quello dell'esistenzialismo generato dal disagio che si avverte nel rapporto con gli altri e con se stessi. Gli anni della guerra hanno senza dubbio segnato negativamente l'opinione degli intellettuali in diverse forme artistiche dalla letteratura al teatro. In questo frangente Waiting for Godot risulta senza dubbio di difficile comprensione, apparentemente senza significato ma che conserva in sé una testimonianza della incomunicabilità dell'uomo e della crisi dei valori.

Il vuoto psicologico non poteva che presentarsi nel Novecento, periodo di disastri, sconvolgimenti e scoperte. Il nichilismo è dunque riferimento esplicito all'essenza della crisi che ha investito la civiltà europea moderna: il nichilismo è un evento che porta con sé decadenza e spaesamento, è ciò che porta quel senso di vuoto quale quello che si prova nel momento in cui viene a mancarci, per esempio, una persona cara. Si parla sempre di perdite concrete, e difficili da accettare.

Il percorso che ho scelto di sviluppare è partito con una premessa scientifica, dimostrata e confutata, e si è concluso con le manifestazioni del vuoto nella filosofia e nell'arte: cosa mai può comunicare una tela bianca? Dov'è l'arte senza un dipinto? L'arte concettuale si esprime attraverso i concetti, appunto, senza bisogno dell'arte tradizionale. Il vuoto delle tele bianche di Ryman esprime la sensazione che prova l'artista prima di dipingere, davanti alla tela, a volte senza ispirazione. Affascinante e ostile allo stesso tempo, il vuoto ha da sempre caratterizzato la vita degli uomini rendendola complicata e fantasiosa con il solo rivolgere lo sguardo verso il cielo stellato.









Bibliografia


Beckett S., Waiting for Godot, CIDEB, Rapallo (GE), 1999

Diotti A., Dossi S., Signoracci F, Millennium, SEI, Torino, 2004

Hooper D., Il Lato oscuro dell'Universo, Edizioni Dedalo, Bari, 2008

Pavone C., Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Borgieri, Torino, 1991




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