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Il dualismo tra l'arte e la scienza




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IL DUALISMO TRA L'ARTE E LA SCIENZA


Da come si può dedurre l'età della scienza era iniziata e sulla scena della storia erano apparsi i primi tratti dell'uomo moderno.

Le scoperte scientifiche, l'accresciuta importanza dell'individuo condussero alla profonda metamorfosi dell'arte.

La matematica della navigazione e dell'esplorazione, che sviluppava la geometria dello spazio invece che quella della terza dimensione. La rivoluzione dell'arte, e in concomitanza ad essa, la rivoluzione della scienza, furono dirette verso un unico dominante obiettivo.  

La ribellione contro le accademie si riscontrò nei circoli che nel campo dell'arte si distaccavano maggiormente dalla tradizione umanistica denunciando le condizioni umane di quei tempi.

Il disconoscimento da parte delle accademie, l'assenza dei mecenati, la disaffezione del pubblico conducevano gli artisti di quel periodo alla povertà, al disorientamento e all'alienazione. Vissuti ai limiti estremi della ribellione professionale e del collasso mentale, le loro vite andavano distrutte.

Nel ritmo vorticoso dell'età industriale e nel tumultuoso disordine delle sue vicende personali gli artisti, in risposta al rifiuto da parte della società e all'angoscia esistenziale, fecero proprio il pensiero di due assertori per l'importanza dell'individuo.

Nel XVIII secolo gli artisti credevano che l'uomo fosse libero di pensare, di ragionare, di stabilire la propria esistenza nella natura.

Ora invece nel XIX secolo e nel moltiplicarsi di sconvolgimenti e di crisi, questa fiducia fu messa senza mezzi termini in discussione.

L'artista alienato vide se stesso come unità vivamente in modo meccanico, materialistico, predeterminato e rispose facendo proprie due concezioni dell'individuo che affermavano che la forza vitale dell'essere umano è un atto cosciente e giusto nella volontà nel guidare la sua esistenza attuale.

L'artista vide una risposta a questo dilemma nella sua esistenza personale e nella creazione artistica, si costruì un mondo chiuso in se stesso, introverso, esoterico.

Nella sua angoscia spirituale e nel tormento psicologico, egli creò un'unità psichica e spirituale, un'anatomia, intuitivo- emozionale.

Il lungo cammino di conquista in campo artistico e di comunicazione con gli uomini, risolto grazie all'unità dell'arte e della scienza, era giunto sull'orlo di un precipizio.

Il dualismo era definitivamente infranto. L'abisso della disperazione si spalancò su un mare d'esperienze in conflitto, di frustrazioni e d'ansietà, e di contrasti consci e inconsci.

Alla metà del XX secolo l'arte è in un periodo di transizione critica. Nel campo della conoscenza e della cultura, si può affermare che l'arte si trova nel pieno di una fase d'esplorazione.

L'artista del XX secolo appare in uno stato di conflitto e di disordine, ma dimostra di non avere alcun obiettivo, messo da parte da canoni, criteri, definizioni; ha rinunciato alla scienza come strumento per la scoperta e lo sviluppo dell'arte.

Ha rifiutato il bisogno umano di comunicare i risultati delle sue opere.

Se riconosciamo, come propina della scienza la missione di definire con chiarezza e precisione le opere dell'universo e di collegare ordinatamente e armonicamente i nuovi concetti del tempo, dello spazio e dell'energia in nuovi e più vantaggiosi modi di vita, arriviamo alla conclusione che la scienza è lo strumento più potente del progresso umano. 

L'artista tuttavia considera la scienza come un'invasione, un ostacolo, una restrizione alla sua libera e personale interpretazione del mondo.

Egli vede lo scienziato come uno strumento intellettuale: preciso, logico, matematico, meccanico. Vede come se stesso come un raffinato organo di sensazioni, emozioni, ispirazioni ed intuizioni. Di conseguenza l'artista rifiuta la scienza e il pensiero scientifico nella proiezione artistica. 

Per essere pura, secondo il suo ragionamento, l'arte deve essere separata dalla scienza; la sensazione non è precisa, l'emozione non è meccanica; l'ispirazione non è logica, l'intuizione non è mirabile: l'artista non è uno scienziato.

Nel tentativo di evidenziare l'opera d'arte da altre attività umane e separata dalle necessità quotidiane e comuni, l'artista di fatto ha affermato che la scienza incita e spinge a costruire mediante le attività ordinarie una gabbia migliore, mentre lui, rappresenta l'opera dell'ispirazione, il riflesso della società attraverso il filtro estetico, le belle arti.

Quanto un simile punto di vista può essere devastante e distruttivo, si spiega perché la scienza si fonde in maniera semplice, armonica e produttiva, con ogni altro campo della vita moderna e dell'attività umana, eccetto che con le arti visive.

L'artista sostiene che la scienza e l'arte non si fondono, che si contraddicono che non sono conciliabili.

Eppure, questa è una distorsione della verità, una disillusione, un auto-inganno, una fuga dalla vita.  

La frattura tra l'arte e la scienza non è mai stata così evidente come lo è oggi, a quasi cento anni dal momento in cui è apparsa per la prima volta un'incrinatura nella comunicazione artistica.

La profondità spaziale del pittorico divenne un guscio sterile; il paesaggio si chiude in un motivo decorativo di forme bidimensionali; la figura vibrante e pulsante, lo specchio dell'uomo, si contrasse e s'irrigidì in un artefatto, in un oggetto di costruzione intellettuale; il potere emozionale dell'artista e la sua profonda osservazione delle vicende umane, degenerò in simbolici affioramenti di tenui momenti d'eccitazione, d'apprensione o di disperazione.

Gli artisti operarono in direzione del rifiuto totale dell'Accademia, essi stiparono l'eredità scientifica dell'arte, che in breve le cancellarono nel corso di cinquant'anni.

Nel loro bisogno di ribellarsi contro l'Accademia, essi si ribellarono contro la scienza. Proclamarono la distinzione delle "belle arti" e la presentarono alla società come un lavoro di descrizione, che si differenziava in maniera unica dell'arte accademica e dell'arte commerciale utilitaristica, secondo cui l'arte era al di sopra della disciplina scientifica, al di sopra delle definizioni e delle regole. Il bisogno di comunicare attraverso l'arte fu considerata come un'esigenza d'aggressiva volgarità accademica e fu spregiato.

La ribellione nei confronti di ciò che era meccanico e accademico era divenuto deviazione e delusione.

L'artista aveva voltato le spalle altre alla realtà, eppure l'impulso dell'arte è senza dubbio uno stimolo alla vita.

Il processo artistico e quello vitale costituiscono un'unità indissolubile, possono mancare d'uniformità, ma non sono mai estranee.

Poiché, l'arte è un distillato d'espressioni e d'esperienza, essa ha bisogno di aderire alla vita. La trasfusione d'esperienze condivise tra tutti ha necessità di un accordo cosciente in una fertile e più ampia oggettività.  

Gli artisti di oggi si trovano al crocevia tra immense possibilità ed opportunità, concentrandosi in una singola epoca, tante varianti dell'espressione artistica tra cui abbiamo: il pointillisme, il neo-impressionismo, il surrealismo, il post-impressionismo, il fauvismo, il cubismo, l'espressionismo, il surrealismo, l'astrattismo, il dadaismo, il futurismo, il purismo, il Bauhaus, l'espressionismo astratto ecc.   

L'artista ha tentato di ricollegarsi alla psicologia e alla psicoanalisi, alla biologia, alla fisica, alla cinetica, alla meccanica, all'archeologia.

Ma, non è un'arte completa: infatti, nel praticarla l'artista allo stesso tempo rifiuta l'esistenza e l'influenza di qualsiasi rigore, criterio o canone scientifico.

Prima di una direzione oggettiva, la figura nell'arte è divenuta l'ammissione visiva del fallimento, per l'artista, di fare di fronte alle necessità etiche e sociali dell'uomo del nostro tempo. 

E' un simbolo di confusione e di spersonalizzazione; l'ideogramma dell'uomo alienato, insicuro, solo, senza fibra; il ritratto dell'artista, la firma autografa dell'autore.

Questa tendenza, infine, porterà ad una crisi vera e propria dei modelli della razionalità scientifica.



Crisi della razionalità scientifica

Infatti, la fine dell'Ottocento rappresentò, un periodo di scienza "normale", nel quale il paradigma materialistico - maccanicistico (canonizzato da Newton), raggiunse il culmine del successo.

Il trionfo del paradigma newtoniano, si associò all'affermazione di una visione rigidamente deterministica dalla natura e ad una concezione assolutistica della scienza come conoscenza universale e necessaria senza limiti di principio, che trovò la sua massima espressione nel Positivismo.

Proprio il suo grande sviluppo, portò, la ricerca scientifica però, a scontrarsi con le prime anomalie, cioè con dati sperimentali in contrasto con il modello scientifico newtoniano che, verso la fine del secolo, cominciarono a minare la fiducia degli scienziati nel paradigma meccanico.

Si apre così, all'inizio del Novecento, un periodo di crisi e di cambiamento dei modelli della razionalità scientifica, che si svolge a tre livelli, distinti ma convergenti: quello delle scienze logico-matematiche, quello delle scienze umane e infine quello della fisica.

Il primo annuncio della crisi del modello scientifico ottocentesca si ebbe nell'ambito delle scienze matematiche, e segnatamente della geometria, con la scoperta delle geometriche non euclidee.

Nel corso dell'Ottocento, infatti, sotto l'azione del positivismo, nacquero la sociologia, la storia e la psicologia. Ma, ancora più dirompente fu l'effetto arrecato, nell'ambito delle discipline psicologiche, dall'irruzione della psicanalisi di Sigmund Freud.

Fin dai suoi primi studi sull'isteria, Freud, che pure era un medico di formazione positivista, sostenendo un'eziologia psichica dei disturbi della personalità e quindi l'autonomia della sfera psichica rispetto a quella somatica.

Ma, la vera rivoluzione avvenne quando Freud arrivò alla scoperta dell'inconscio come fondamento di tutta la psiche umana, facendo crollare il presupposto secolare della psicologia secondo cui la sfera dello psichico s'identificava con quella della coscienza



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