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La crisi del 1929




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La crisi del 1929



Lo stato di progresso dell'economia si misura con alcune grandezze economiche: produzione, occupazione, redditi, salari, consumi, investimenti e risparmi.. Durante la crisi del 1929, su scala mondiale, tutte queste grandezze economiche si ridussero considerevolmente. Ciò che rese unica questa crisi fu la rapidità e la radicalità della contrazione dell'attività economica.


La crisi esplose alla fine del 1929: ancora nel settembre la borsa di New York attraversava una fase di grande euforia. Il 24 ottobre 1929 vi fu il primo giorno di panico: 13 milioni di azioni vennero cedute a prezzi nettamente inferiori a quelli di acquisto. Martedì 29 ottobre si giunse a più di 16 milioni di azioni (nonostante interventi allestiti da gruppi bancari e finanziari per dare fiducia al mercato il crollo delle azioni fu verticale).


Il crollo della borsa fu il primo segnale della depressione.


Vi aveva concorso lo sconvolgimento, prodotto dalla prima guerra mondiale, nelle relazioni economiche, monetarie e finanziarie internazionali:


la guerra aveva prodotto perdite di vite umane per 10 milioni di morti (cui vanno aggiunti 20 milioni di morti per la "spagnola") ed ulteriori 20 milioni di feriti tra cui moltissimi invalidi inidonei al lavoro;


il collasso dell'impero asburgico con il sorgere di numerosi stati (Jugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia) con politiche protezionistiche;


la rivoluzione Russa con esclusione dell'economia sovietica dai mercati mondiali;


il collasso dell'economia in Germania: il trattato di Versailles aveva imposto eccessivi riconoscimenti di debiti e di riparazioni di guerra.




Il conflitto mondiale aveva frantumato l'equilibrio monetario preesistente. Prima della guerra le monete degli stati occidentali erano assai vicine alla loro parità legale e solidamente legate all'oro. Durante la guerra gli Stati avevano ecceduto nell'emissione di carta moneta (ad eccezione degli Stati Uniti). Era quindi saltata la convertibilità in oro. La misura dei cambiamenti avvenuti emergeva nel rapporto tra il dollaro e tutte le monete. Fino alla prima guerra mondiale la Gran Bretagna era stata il banchiere del mondo e la sterlina il pilastro del sistema monetario internazionale (tutti i prodotti erano prezzati in sterline). La Gran Bretagna era anche il maggiore centro assicurativo del mondo (Lloyds di Londra) e con la propria imponente flotta mercantile era il centro dei mercati dei noli.


Alla fine della guerra la Gran Bretagna si trovò indebolita sia sul piano produttivo che finanziario e monetario. Di converso gli Stati Uniti apparivano cresciuti economicamente e finanziariamente: nei confronti dell'Europa erano divenuti da paese debitore a paese creditore.


Dalla fine del conflitto al 1920 la sterlina risulta svalutata, rispetto al dollaro, del 22%.  Per non sminuire il prestigio internazionale l'Inghilterra invece di riconoscere il mutato rapporto della sterlina con il dollaro (stabilendo nuove parità) adottò una politica deflazionistica che riportò, nel 1925, il rapporto con il dollaro alla parità pre-bellica.


L'attuazione di questa politica deflazionistica determinò una caduta dei prezzi interni e dei tassi d'interesse e di profitto, indebolì le esportazioni, favorendo le importazioni: tutto ciò portò l'economia britannica ad una grave crisi.




Negli Stati Uniti la situazione era del tutto diversa: l'economia registró un boom ininterrotto fino all'ottobre 1929. A stimolare l'economia americana furono:


l'espansione dell'industria edilizia e dell'indotto:


le innovazioni ed i nuovi prodotti (automobile, adozione di nuovi sistemi di produzione) e la conseguente crescita delle industrie collegate (petrolifere, gomma, acciaio, trasporto);


lo sviluppo dell'industria elettrica (la produzione raddoppió tra il 1923 ed il 1929);


i nuovi processi produttivi con l'adozione nelle industrie di prodotti di massa, una organizzazione scientifica del lavoro mirante ad eliminare i tempi morti (adozione della catena di montaggio nella Ford agli inizi del secolo).


Il reddito nazionale aumentó del 23% tra il 1923 ed il 1929. Questa disponibilitá di capitali fece degli Stati Uniti il Paese piú prospero del mondo.


Queste abbondanti disponibilitá consentirono agli U.S.A. di concedere cospicui prestiti sia all'Europa che all'America Latina, al Canada e ad alcuni Paesi Asiatici (30 miliardi di dollari).


La maggior parte dei prestiti fu concessa ai Paesi Europei. Il puntare da parte della Gran Bretagna ad un rapporto pre-bellico tra sterlina e dollaro (anno 1925) portó alla crisi della stessa Gran Bretagna dato che non vi era economica corrispondenza tra il valore assegnato nominalmente alle due monete. Allo stesso modo, quando nel 1927 la Lira si allineó alla sterlina, ebbe inizio identica crisi anche in Italia.


Contemporaneamente negli anni dal 1925 al 1929 gli U.S.A. intensificarono i loro prestiti ai Paesi Europei (circa 3 miliardi di dollari). E' in questi anni che la gran parte dell'oro del mondo si andó a concentrare a Fort Knox (che nel 1929 raccoglie il 38% dell'oro mondiale).




In Europa la Germania era stata il maggior beneficiario dei prestiti americani: grazie a questi aveva potuto riprendersi rapidamente.


La Germania aveva utilizzato molti dei prestiti americani a breve termine per investimenti a medio e lungo termine (confidando che questi prestiti non sarebbero stati rapidamente ritirati).




In tutto il mondo economico progredito si pensava: "in quale migliore mercato investire se non proprio New York"?


Sempre piú capitali a breve termine furono pertanto attratti dal boom della borsa di New York. Dal momento che i prezzi crescevano appariva vantaggioso comperare per rivendere. Per comperare titoli della borsa di New York il piccolo come il grosso investitore ricorreva alle banche per ottenere il finanziamenti necessari. Dal 1925 al 1929 il numero dei valori scambiati raddoppió.




Nell'autunno del 1929 gli Stati Uniti, che tenevano in piedi il sistema economico internazionale, iniziarono a richiamare drasticamente i capitali. La crisi fu inevitabile.


La conseguenza diretta del crollo della borsa fu la caduta dei prezzi agricoli, delle materie prime, dei prodotti industriali e la rapida contrazione del commercio mondiale. I salari si ridussero ovunque (anche se la caduta dei prezzi delle derrate alimentare serví a contenere i danni per i consumatori) ed i profitti industriali si contrassero. La crisi fu aggravata dalla politica economica seguita dagli Stati Uniti: il ritiro dall'estero dei capitali a breve termine che giá era iniziato nel 1928, si intensificó nel 1930-1931 e toccó livelli mai registrati in passato.


Questa tendenza al ritiro dal mercato internazionale, specialmente europeo, fu rafforzata da una politica doganale duramente protezionistica: nei mesi che seguirono l'ottobre del 1929 la produzione industriale andò rapidamente crollando in tutti i Paesi (fanno eccezione l'URSS che si era esclusa dall'economica mondiale che peraltro non poté evitare gravi ed irreparabili danni all'agricoltura ed il Giappone che affrontó la crisi con misure inflazionistiche, oltre ai Paesi scandinavi, esportatori di particolari materie prime, per le quali la domanda non subí particolari eventi).




La crisi fu presto oltre che borsistica, industriale, agricola e commerciale, anche bancaria. Sia l'industria che l'agricoltura erano seriamente indebitate con le banche (che avevano ecceduto nei prestiti confidando non solo in una restituzione regolare ma anche nel fatto che i risparmiatori non avrebbero ritirato i loro depositi ed anzi li avrebbero accresciuti).


A causa della caduta delle vendite e dei prezzi un numero crescente di imprese non fu più in condizione di pagare i debiti alle scadenze.Contemporaneamente le banche erano premute dai loro depositanti che, spinti da crescenti esigenze di liquidità, volevano la restituzione in tutto od in parte delle somme depositate.


Schiacciate tra l'incudine del rientro dei prestiti ed il martello dei depositanti che pretendevano la restituzione dei loro capitali, molte banche furono costrette a chiudere i battenti trascinate nel fallimento e trascinando nel fallimento anche le banche a loro collegate. (nel 1930 fallí la Banca degli Stati Uniti di New York che contava oltre 400.000 depositanti: ne fu danneggiato un terzo della popolazione di New York).


Molte famiglie impossibilitate a pagare i mutui fondiari si videro espropriare la propria casa, altre si trasferirono in località ove speravano di trovare lavoro.




Sul piano internazionale la crisi si manifestó con la contrazione del commercio (importazioni ed esportazioni passarono da 69.000 milioni di dollari-oro del 1929 a 24.000 milioni del 1933).


Questo comportó come prima conseguenza l'adozione di dazi doganali soprattutto sui cereali.


Gli U.S.A. aumentarono i dazi mediamente del 60%; in Inghilterra vennero introdotti dazi superiori al 33%.


La Societá delle Nazioni convoco' una riunione nel febbraio 1930 al fine di ottenere una tregua doganale, tregua che non fu mai attuata.


Vi furono tentativi che portarono alcuni Stati a singoli accordi. Nel 1930 vi fu una convezione tra Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca Olanda e Belgio. Nel 1931 una unione doganale tra Austria e Germania. Queste soluzioni non sortirono alcun effetto (l'ambito commerciale divenne politico come nel caso dell'accordo Austro-Tedesco): la Francia decise di ritirare immediatamente, in forma sanzionatoria, i prestiti concessi alle Banche Tedesche contribuendo così a rendere insostenibile la situazione economica in Germania.




Ponendo uguale a 100 la produzione industriale del 1929 si avrebbe la seguente scala riferita ai vari Paesi riferita all'anno 1932: Gran Bretagna =84, Francia =72, Stati Uniti =53 e Germania =53.


La crisi commerciale, finanziaria e monetaria, il fallimento delle maggiori banche europee non poteva che ripercuotersi sul mercato di Londra che si vide richiamare tutti i prestiti a breve senza poter essere in grado di liquidarli in quanto gli stessi capitali erano stati investiti a medio e lungo termine (il terremoto finanziario coinvolse tutte le monete mondiali).


La disoccupazione superó nel 1932 i 25 milioni di unitá (15 milioni negli U.S.A. e 7 milioni in Germania) cui bisogna aggiungere i milioni di lavoratori agricoli occupati solo parzialmente. La Francia risentì in misura nettamente inferiore del fenomeno disoccupazione: dopo la prima guerra mondiale era stata meta per molti immigranti che alle prime avvisaglie della crisi rimpatriarono, così come molti francesi abbandonarono le città rifugiandosi nelle fattorie agricole.




Il 1933 segnó una svolta importante: sintomi di ripresa si verificarono un po' ovunque. La produzione industriale registró valori piú alti di quelli dell'anno precedente e l'occupazione accennó ad aumentare.


La Conferenza Economica e Monetaria Mondiale (Londra, giugno 1933) si chiuse con la deliberata svalutazione del dollaro (10%) fermamente perseguita da Roosvelt. Dalla Conferenza uscirono tre blocchi:


Area Dollaro: usare la svalutazione per operare una diminuzione dei debiti interni e per accrescere il potere d'acquisto dei ceti agricoli in modo che essi potessero intensificare l'acquisto di prodotti industriali e quindi contribuire alla ripresa:


Area Sterlina: la Gran Bretagna affermava una politica monetaria rivolta ad assicurare un credito abbondante ed a buon mercato:


Area dell'Oro: Francia, Belgio, Italia, Svizzera, Paesi Bassi e Polonia puntavano ad una stabilitá della moneta perseguita attraverso l'equilibrio del bilancio statale e della bilancia dei pagamenti anche a costo di attuare politiche deflazionistiche.


Due eventi importanti avvengono nell'anno 1933: Roosvelt si trova a fronteggiare il grave peggioramento del sistema bancario americano e decide di stimolare la ripresa attraverso la spesa pubblica ponendo mano a quello che fu chiamato il New Deal (sostenendo agricoltori, cercando di contenere ed eliminare la speculazione e di ridurre lo strapotere dei grandi gruppi finanziari).


L'altro fatto fu l'ascesa di Hitler in Germania.


La crisi economica gli era stata decisamente favorevole. Nel marzo del 1933, attraverso elezioni, raggiunse il 54% dei seggi in Parlamento.




La ripresa iniziata nel 1933 si fece sentire nel 1934 in Italia, nel 1935 in Belgio.Negli anni seguenti la produzione continuó a crescere e con essa l'occupazione e gli investimenti. Il culmine della ripresa si ebbe nel 1937.


Nell'estate del 1938 si ebbe l'annessione dell'Austria alla Germania e l'anno successivo, sul finire dell'estate, scoppiava la seconda guerra mondiale.




Durante la crisi economica iniziata nel 1929 l'interventismo statale assunse in primo luogo la caratteristica di un aumento della spesa pubblica (con notevoli differenze tra paese e paese). Negli Stati Uniti, piú che un aumento della spesa per investimenti, si trattó di un aumento della spesa corrente. L'accento veniva posto sul consumo che avrebbe generato, attraverso l'aumento della domanda, la ripresa industriale.


In Germania si verificó il caso opposto. Prevalsero le spese per investimenti. Il Governo Nazista privilegió lavori pubblici ed armamenti e furono questi investimenti pubblici a sollecitare quelli privati sui quali lo Stato non mancó di esercitare rigorosi controlli.


Altra forma assunta dall'interventismo statale fu la politica del "danaro a buon mercato". Questo fu il caso della Gran Bretagna e dell'Italia.




Keynes


Secondo Keynes la depressione nasce dal fatto che una riduzione del volume degli investimenti in una economia si riflette in una riduzione della produzione dei beni strumentali nei quali detti investimenti si concretizzano.


Da qui una riduzione nell'occupazione e nei consumi dei gruppi di percettori di reddito interessati a tale produzione.


In conseguenza peggiorano le prospettive di guadagno di altri gruppi di imprenditori e con esse diminuisce ulteriormente l'incentivo ad investire.


Cadono cosí ulteriormente i consumi attraverso una serie di reazioni a catena per effetto delle quali la situazione, in fatto di occupazione, produzione, prezzi e profitti, tende a peggiorare in una propria caduta a spirale.


Keynes sostiene che l'intervento dello Stato debba essere limitato nel tempo e basato su di un programma di spesa pubblica mirante ad utilizzare i fattori inoperosi (politica anti-deflazionistica), oppure debba essere finalizzato a contenere la domanda nei limiti dei fattori disponibili (politica anti-inflazionistica).




Il mondo guardó invece, ancora una volta, alla guerra come strumento migliore e piú efficace di risoluzione della crisi.


E la guerra venne.







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