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LE NUOVE "Misure alternative alla detenzione e tutela del rapporto detenute e figli minori"




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LE NUOVE "Misure alternative alla detenzione e tutela del rapporto detenute e figli minori"


1 Il sistema penitenziario precedente alla legge n° 40 del 2001


In questo capitolo verrà illustrata una panoramica delle norme sulla legislazione in materia penale che esplicitamente si riferiscono alla condizione materna in relazione ai provvedimenti restrittivi della libertà.

Ormai da molti anni, il legislatore, si è mosso in un ottica di deistituzionalizzazione, cercando di disincentivare la presenza delle madri in carcere, e di conseguenza quella dei bambini:

la legge n° 354 del 1975 consentiva alle madri di tenere presso di sé i figli fino all'età di tre anni e prevedeva l'inserimento negli istituti penitenziari di specialisti (ostetriche, ginecologi e pediatri) allo scopo di tutelare la salute psico-fisica dei bambini e delle loro madri;

la legge Gozzini, n° 663 del 1986, consentiva alle donne incinte o madri di minori di tre anni di scontare la condanna ( a condizione che il reato prevedesse una pena inferiore ai due anni di reclusione) presso la propria abitazione o in altro luogo, privato o pubblico, di cura e di assistenza;

la legge Simeone-Saraceni, n°165 del 1998, modificò ulteriormente la normativa, elevando da due a quattro anni il limite della pena da scontare, anche se parte residua di maggior pena, e da cinque a dieci anni l'età del figlio/a, purché convivente con la condannata.


2 La legge n° 40 del 2001


Nel quadro delle riforme all'ordinamento penitenziario, un ruolo fondamentale spetta alla legge Finocchiaro20, n° 40 del 2001 che aggiunge un altro tassello al processo di decarcerizzazione riguardante determinate categorie di persone, le cui condizioni personali risultano obiettivamente incompatibili con la sottoposizione al regime detentivo in carcere.

In particolare riguarda le detenute madri - a cui vengono in determinati casi equiparati i padri - al fine evidente di assicurare una più adeguata tutela del rapporto con la prole ed impedire, nel preminente interesse del minore, le conseguenze negative che la vita in carcere inevitabilmente porta con sé.

Si tratta di un provvedimento ispirato soprattutto dalla consapevolezza che l'attuale contesto normativo appare del tutto inadeguato e che, più in generale, la maternità e l'infanzia non appaiono come beni che possono essere adeguatamente tutelati tra le mura di un carcere. Con questa nuova legge si intende quindi evitare che a 'detenute-madri' si aggiungano 'detenuti-bambini': l'ingresso in carcere dell'infante, volto a non interrompere la forte ed insostituibile relazione con la madre, non solo non è apparso risolutivo del problema, poiché comunque non fa che differire il distacco dalla madre, rendendolo semmai ancor più traumatico, ma è addirittura dannoso per lo sviluppo psicofisico del bambino, il quale viene a trovarsi collocato in un ambiente punitivo, povero di stimoli e connotato dalla privazione di autorevolezza della figura genitoriale.

Inoltre la legge n° 40 del 2001 si pone nel solco di un orientamento socio-culturale che negli ultimi decenni ha sottolineato il valore della maternità non più come ruolo sociale predeterminato e codificato da una cultura patriarcale, ma come scelta libera e consapevole. Nello stesso tempo si è andato affermando una condizione del lavoro di cura non come semplice accudimento materiale, ma come ambito della formazione culturale, sociale ed etica del minore. Dunque la relazione affettiva e di cura connessa con la maternità assume oggi una valenza culturale che la rende idonea ad essere presa in considerazione come elemento del trattamento. Implicando un'assunzione di responsabilità e lo svolgimento di compiti di trasmissione e formazione, il rapporto materno e di cura rappresenta infatti una forte potenzialità nel processo di risocializzazione.

I citati fattori di innovazione, che hanno portato a una rivisitazione del significato stesso del valore di cura, nonché del suo valore culturale e sociale, sono nati storicamente nell'ambito dell'esperienza femminile e della riflessione sui movimenti delle donne sulla maternità.21


3 Le misure alternative alla detenzione


Per raggiungere questi scopi, la nuova legge, da un lato estende l'ambito applicativo di istituti esistenti, come il rinvio dell'esecuzione della pena, e dall'altro introduce una nuova misura alternativa, la detenzione domiciliare speciale, e una nuova modalità di trattamento, l'assistenza all'esterno dei figli minori. In presenza delle condizioni previste dalla legge per l'applicazione delle singole fattispecie, la permanenza in istituto deve considerarsi eccezionale e deve essere giustificata da un giudizio concernente la pericolosità della persona condannata, in base a dei parametri specifici previsti dalle singole norme.

Per coloro che devono scontare una pena detentiva in seguito a condanna il legislatore ha previsto due possibilità di rinvio dell'esecuzione : obbligatorio e facoltativo.

Tale disciplina viene regolamentata dagli articoli n° 146 e n° 147 del codice penale i quali sono stati entrambi modificati dalla legge del 2001.

L'articolo n° 14622 tratta del rinvio obbligatorio della pena che viene concesso alle donne incinte o madri di bambini di età inferiore ad un anno mentre, prima della legge n° 40/2001, venivano prese in considerazione solo coloro che avevano partorito da meno di sei mesi.

L'articolo n° 14723, invece, espone la casistica di coloro a cui può essere concesso il rinvio in maniera facoltativa ossia a discrezione dell'autorità giudicante, una volta che abbia esaminato gli atti. Questa norma ha subito maggiori modifiche infatti, prima della legge n° 40/2001, il rinvio facoltativo poteva essere concesso alle donne che avevano partorito da più di sei mesi ma da meno di una anno (un lasso di tempo molto breve) e doveva inoltre sussistere l'impossibilità di affidare il figlio a persona diversa dalla madre; l'attuale normativa ha invece stabilito che la pena può essere differita se la condannata è madre di figli di età inferiore ai tre anni.

Entrambi questi articoli tengono in considerazione l'importanza del rapporto madre-figlio tanto da essere applicabili indipendentemente dall'entità della pena da scontare (che non viene nemmeno nominata), tuttavia possono essere considerati un mero "palliativo" alla frattura affettiva che dovrà necessariamente crearsi poiché, al termine del differimento, la pena dovrà essere scontata Parallelamente, durante il periodo di sospensione, non s'innesca il meccanismo della detrazione di 45 giorni ogni semestre di pena scontata (avendo "dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione" art. n° 54 O.P.) che da luogo alla liberazione anticipata.

A questo punto, per evitare la rottura del rapporto col figlio, la condannata dovrebbe cercare di passare direttamente dal differimento della pena ad una misura alternativa come l'affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà o la detenzione domiciliare; naturalmente questo è molto difficile.

Prima della legge n°40/2001 non esisteva una misura alternativa alla detenzione studiata appositamente per tutelare il rapporto tra madre e figli e, l'unica misura introdotta dalla legge n° 663/1986 (legge Gozzini) che prende in considerazione la condizione materna è la detenzione domiciliare (art.47-ter OP24). La possibilità di espiare la pena in casa propria o in altro luogo d'accoglienza risponde ad esigenze di carattere umanitario poiché tiene in considerazione motivi di salute e connessi alla situazione personale dei condannati. Possono accedere a questa misura le donne incinta o madri con figli di età inferiore ai dieci anni con loro conviventi purché debbano scontare un periodo di reclusione non superiore ai quattro anni anche se parte residua di maggior pena.

Con l'articolo n° 47-quinquies, la legge n° 40/2001 ha introdotto nell'ordinamento penitenziario una nuova misura alternativa alla detenzione definita detenzione domiciliare speciale, la quale si applica quando non decorrono le condizioni della detenzione domiciliare, dunque quando la pena da scontare supera i quattro anni.

Tale misura può essere disposta qualunque sia l'entità della condannata, ma si richiede che la persona abbia già espiato almeno un terzo della pena, o almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo. Sono previste due ulteriori condizioni. La prima è che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti; la seconda è che vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con il figlio/a. Ai fini della prognosi vanno valutate le eventuali esperienze positive compiute in occasione della fruizione dei permessi.

Il regime è identico a quello della detenzione e, dunque, la pena può essere scontata nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, allo scopo di provvedere alla cura e all'assistenza dei figlio/a. Il tribunale di sorveglianza fissa le modalità di attuazione della misura, e può imporre restrizioni ai contatti e alle comunicazioni con persone diverse da quelle che coabitano o assistono la condannata. E' da sottolineare il fatto che il Tribunale deve sempre precisare il periodo di tempo che la persona può trascorrere all'esterno del domicilio. Infatti, essendo la misura specificamente finalizzata all'assistenza e alla cura dei figli/e necessariamente richiede lo svolgimento di attività all'esterno, funzionali ad esempio, all'accompagnamento a scuola o al tempo libero dei minori.

Come per la detenzione domiciliare, la revoca può essere disposta quando il comportamento della persona sia contrario alla legge o alle prescrizioni25 e, inoltre, appaia incompatibile con la prosecuzione della misura. La violazione delle norme di legge o delle prescrizioni è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della revoca; occorre ulteriormente valutare se il comportamento pregiudichi il raggiungimento delle finalità del beneficio, consistenti nell'assistenza e nella cura del/della minore. Dunque la revoca potrà essere pronunciata, ad esempio, quando la violazione consista o si accompagni all'abbandono del figlio/a, o a comportamenti gravemente pregiudizievoli nei suoi confronti. L'8°c. dell'art. n° 47-qiunquies detta di una disciplina di carattere eccezionale, volta ad evitare che dopo un congruo periodo di detenzione domiciliare speciale, durate il quale la condannata abbia tenuto un comportamento corretto, quest'ultima debba rientrare in carcere e separarsi dal figlio/a al compimento del decimo anno di vita. In questo caso possono alternativamente applicarsi due rimedi. Può essere disposta la proroga della misura qualora ricorrono i presupposti per l'applicazione della semilibertà relativi all'entità della pena già espiata, mentre non viene richiamato il requisito relativo ai progressi nel trattamento. Ovvero può essere applicato il beneficio dell'assistenza all'esterno dei figli minori, che la legge n° 40/2001 ha introdotto nell'Ordinamento Penitenziario con l'articolo n° 21bis. Per le caratteristiche del beneficio, che può essere applicato con vari margini di discrezionalità in funzione dell'andamento del percorso trattamentale, la norma si presenta come una sorta di valvola, destinata a coprire tutte le situazioni meritevoli, che tuttavia non rientrano nei presupposti previsti dalla legge per le altre misure. Il regime è assai meno favorevole rispetto alla detenzione domiciliare e alla detenzione domiciliare speciale, poiché normalmente non fa cessare l'istituzionalizzazione. Tuttavia spetterà al magistrato di sorveglianza l'individuazione di modalità temporali di permanenza all'esterno idonee alla realizzazione delle specifiche finalità della misura, tenuto conto anche dell'età e delle esigenze della prole da assistere.

Le attività di assistenza all'esterno dei figli minori vengono svolte senza scorta, salvo che questa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza.






È stata approvata dopo un iter durato quasi 4 anni (il disegno di legge era stato presentato per la prima volta alla camera nel 1997) in una data decisamente significativa, l'8 marzo 2001; il testo riprende la legge Simeone - Saraceni che già aveva portato significative modifiche in questo ambito.

Autonomie locali e servizi sociali, Vademecum a schede, Bologna, Il Mulino, 2001

Art. n° 146 c.p. Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena

"L'esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:

se deve aver luogo nei confronti di donna incinta;

se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno;

se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria (.) ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sua condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione(.).

Nei casi previsti dai numeri 1) e 2) del primo comma il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell'articolo 330 del codice civile, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, semprechè l'interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi".

Art. n° 147 c.p. Rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena

"L'esecuzione di una pena può essere differita:

se è presentata domanda di grazia, e l'esecuzione della pena non deve essere differita a norma dell'articolo precedente;

se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;

se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni.

(.) Nel caso indicato dal numero 3) del primo comma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell'articolo 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre. (.)".

Art. n° 47-ter Detenzione domiciliare   

"La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente pena residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di:

a)      donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci, con lei convivente;

b)     padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;

c)      persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali;

d)     persona di età superiore ad anni sessanta, se inabile anche parzialmente;

e)      persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia. (.)".

L'art. n° 47-sexies, introdotto dall'art. n° 4 della l. n° 40/2001, disciplina le sanzioni nei casi di allontanamento dal domicilio senza giustificato motivo. Se l'assenza si protrae per non più di dodici ore, non si verificano conseguenze automatiche e la condannata può essere proposta per la revoca della misura in base a una valutazione discrezionale dei motivi dell'assenza. Se invece l'assenza si protrae per un tempo maggiore, la persona è punibile per il reato di evasione e la condanna comporta la revoca della misura

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