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Delitti contro la personalita' dello stato




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DELITTI CONTRO LA PERSONALITA' DELLO STATO

NOZIONI GENERALI

Al primo posto, nella gerarchia dei beni protetti nella parte speciale del codice penale, il legislatore del '30 ha collocato i delitti politici, intitolandoli "delitti contro la personalità dello Stato". Più in particolare, il titolo primo del libro secondo ricomprende a sua volta, nella predetta intitolazione, cinque capi così distinti:

Delitti contro la personalità internazionale dello Stato (art. 241 a 275);

Delitti contro la personalità interna dello Stato (art. 276 a 293);

Delitti contro i diritti politici del cittadino (art. 294);

Delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi e i loro rappresentanti (art. 295 a 300);

Disposizioni generali e comuni ai capi precedenti (301 a 313).

Una tale scelta sistematica sottintende una corrispondente opzione di valore. Collocando al primo posto la tutela della personalità dello Stato, il codice Rocco ha voluto anche simbolicamente evidenziare l'importanza prioritaria che la tutela penale dello Stato rivestiva specie nell'ambito della concezione fascista allora dominante.

Le maggiori innovazioni legislative sono frutto della legislazione dell'emergenza emanata per fronteggiare la criminalità terroristica dilagante nel nostro paese sul finire degli anni settanta. Vengono introdotte nel codice le seguenti nuove fattispecie di reato:

Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione dell'ordine (art. 289 bis);

Associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (art. 270 bis);

Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280).

Lo Stato ha inteso innanzitutto rassicurare la collettività circa la volontà politica di combattere efficacemente il terrorismo ; nello stesso tempo, lo Stato democratico ha voluto munirsi di strumenti repressivi diversi dalle fattispecie del codice Rocco. Le novità sono risultate più di forma che di sostanza.

I DELITTI DI ATTENTATO

Il delitto di attentato prende anche il nome di delitto a consumazione anticipata: il reato è cioè perfetto già in presenza del fatto diretto a realizzare l'obbiettivo preso di mira, senza che ne sia necessario l'effettivo conseguimento. Il codice penale non contiene una disciplina generale della figura in esame, limitandosi a prevedere singole ipotesi di attentato soprattutto nell'ambito dei delitti contro la personalità dello Stato. Le fattispecie di attentato sono tornate al centro del dibattito penalistico a seguito della loro riscoperta applicativa sul finire degli anni cinquanta e, più di recente, nel contesto dell'emergenza terroristica. Tale riscoperta ha finito con il riproporre le obiezioni che da sempre il delitto in esame aveva suscitato. Tali obiezioni si riferiscono soprattutto all'originario modello storico di attentato, quale fattispecie criminosa diretta a reprimere remoti atti preparatori lontani dalla soglia di punibilità del tentativo: l'illiberalità insita in questa fattispecie deriverebbe, appunto, dalla sua attitudine a incriminare proposito delittuosi non ancora tradotti in fatti oggettivamente idonei a minacciare gli obbiettivi presi di mira.

La riscoperta del principio di idoneità ex art. 49 comma 2 ed il riconoscimento del suo carattere di generalissimo principio informatore della struttura di tutte le fattispecie incriminatrici, non potevano non avere come conseguenza il rifiuto delle incriminazioni poggiate su una mera direzione soggettiva della volontà. Di qui la ritenuta esigenza di ricostruire le stesse fattispecie di attentato, arricchendole del requisito non scritto della idoneità: l'espressione "fatto diretto a" diventa "fatto idoneo diretto a". è però da escludere che attraverso l'introduzione di un simile correttivo sia raggiungibile un livello ottimale di garanzia. E ciò perché la gran parte delle fattispecie di attentato contenute nell'ordinamento positivo sono incentrate su eventi di così grandi proporzioni, da rendere problematico il giudizio circa l'idoneità delle singole condotte incriminabili a provocarne la verificazione.

DELITTI DI ASSOCIAZIONE POLITICA

Un'importante modello delittuoso tipico del diritto penale politico è quello del reato associativo. Nel nostro ordinamento, la legittimità costituzionale del reato associativo è subordinata ad alcune irrinunciabili condizioni. Posto innanzitutto che la Costituzione tutela la libertà di associazione, il legislatore penale non può mai criminalizzare fatti che costituiscono libero esercizio del diritto di associarsi. I criteri di una legittima criminalizzazione di fatti associativi non possono, perciò, che essere dedotti dai limiti che lo stesso art. 18 Cost. pone alla libertà associativa: detta disposizione invero subordina il diritto di associazione al perseguimento di "fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale" e, inoltre, proibisce "le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare". Ne consegue che sono legittimamente incriminabili:

Le associazioni che perseguono un programma criminoso;

Le associazioni che perseguono scopi leciti mediante mezzi vietati.

Alla stregua del principio della personalità della responsabilità penale, il legislatore è tenuto a costruire la fattispecie in modo tale che ciascun associato sia chiamato a rispondere nei limiti del contributo personalmente arrecato all'associazione.

Nell'ambito della normativa penale vigente, il modello del reato associativo si articola in maniera diversificata, in funzione della tecnica di tipizzazione utilizzata dal legislatore. Alcune ipotesi di reato presentano una struttura essenziale e scarna, perché ruotano fondamentalmente attorno al mero fatto associativo. Altre fattispecie specificano meglio le caratteristiche dell'apparato strumentale di cui l'associazione deve dotarsi per raggiungere gli obbiettivi perseguiti: ad es. la nuova fattispecie dell'associazione segreta introdotta con la legge n. 17 dell'82 tipicizza le modalità di svolgimento delle attività sociali; analogamente l'art. 416 bis tipicizza il metodo mafioso. Proprio queste fattispecie incriminatrici caratterizzate dalla tipizzazione più dettagliata degli elementi strutturali del reato associativo, sono quelle che meglio si conformano ai principi costituzionali in materia penale. Essendo irrealistica la prospettiva di una completa abolizione dei reati associativi in sede di riforma dell'attuale sistema penale, è auspicabile che il futuro legislatore ne perfezioni la struttura arricchendola il più possibile di elementi che ne incrementino il livello di determinatezza e l'attitudine offensiva.

Nel tipizzare le condotte associative, il legislatore è solito utilizzare una tecnica incriminatrice imperniata sulla distinzione tra attività di rango superiore e attività di semplice partecipazione. I ruoli di rango superiore ricomprendono, a loro volta, le seguenti attività: promozione, costituzione, organizzazione, direzione. Tali attività, punite con sanzione equivalente e comunque più grave rispetto alla semplice partecipazione, configurano di regola rispetto a quest'ultima un titolo autonomo. È promotore colui il quale prende l'iniziativa per la creazione dell'associazione, portando a conoscenza dei terzi il programma sociale. È costitutore chi crea l'associazione, facendola venire a esistenza nel mondo esterno mediante il reclutamento del personale e il reperimento dei mezzi. Si definisce ancora organizzatore colui il quale fornisce una struttura operativa al sodalizio criminoso, agendo con autonomo potere decisionale. È infine direttore chi svolge funzioni di guida e di gestione. Controversa è la figura di partecipazione. Tale nozione ha un indubbio contenuto minimo e carattere psicologico, consistente nella coscienza e volontà di essere membro dell'associazione criminosa e di farne proprie le finalità e gli obbiettivi. Di solito la giurisprudenza definisce il contenuto della partecipazione in forma negativa, e cioè includendo in tale concetto tutti i comportamenti diversi dalla promozione, costituzione e organizzazione. Così ad es. si è sostenuto che è partecipe colui che svolge compiti meramente esecutivi e non rilevanti ai fini della vita e della sopravvivenza dell'associazione sovversiva o colui che svolge attività perfettamente fungibile, priva di rilevanza risolutiva nella struttura dell'organizzazione. Correttamente intesa, la condotta di partecipazione implica la realizzazione di attività materiali, di ordine esecutivo, finalizzate alla sopravvivenza della associazione e/o al perseguimento degli scopi sociali.

Uno dei nodi cruciali dell'intera problematica dei reati associativi riguarda il rapporto tra il fatto dell'appartenenza all'associazione ed il concorso nei reati oggetto del programma dell'associazione criminosa. Si tratta di stabilire se la partecipazione alla deliberazione del programma sociale criminoso implichi per ciò solo la responsabilità per i singoli delitti programmati. Dottrina e giurisprudenza sono tendenzialmente orientate ad escluderlo, ritenendo insufficiente la semplice partecipazione alla associazione ai fini della responsabilità concorsuale. Una corretta impostazione del problema non può partire dalla semplice appartenenza all'associazione, ma dall'attività svolta all'interno dell'associazione.

Leggere articoli 270, 270 bis, 271, 304, 305, 306 e 307.

DELITTI CONTRO I SEGRETI DI STATO

Il legislatore del '30, in conformità con l'ideologia fascista, volle tutelare sia la sicurezza dello Stato sia tutti gli altri interessi politici fondamentali, dalla saldezza economica al migliore assetto sociale della nazione. Il codice razionalizza e completa la tutela delle notizie riservate, già introdotta con la legislazione speciale in epoca prossima all'entrata dell'Italia nel primo conflitto mondiale, con l'obbiettivo di vietare la divulgazione di notizie attinenti alla forza, alla preparazione o alla difesa militare dello Stato. La distinzione tra le notizie segrete e le notizie riservate è il perno della originaria disciplina codicistica. Le notizie segrete costituiscono il segreto di Stato in senso stretto. Il segreto può essere sia politico che militare. Le notizie riservate sono invece quelle che, pur conosciute da un numero indeterminato di persone, non devono essere divulgate per decisione della competente autorità amministrativa, sia centrale che periferica. La disciplina del codice è stata riformata, ancorché non integralmente ed organicamente, con la legge n. 801 del 1977, che provvede a ridefinire la nozione di segreto di Stato. L'art. 12 comma 1 di questa legge statuisce che "sono coperti da segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità dello Stato democratico anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi Costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato. In nessun caso possono essere oggetto di segreto fatti eversivi dell'ordine costituzionale". A questa definizione di segreto si deve far ora riferimento per interpretare le fattispecie del codice penale. Le singole ipotesi di reato poste a tutela del segreto si distinguono in due grandi categorie: quelle di procacciamento e quelle di divulgazione delle notizie segreti. I reati di procacciamento sono tre: il procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, lo spionaggio politico o militare e l'agevolazione colposa.

Leggere gli articoli 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262 e 263.

I DELITTI DI APOLOGIA E ISTIGAZIONE

Nell'ambito dei delitti contro la personalità dello Stato, un ruolo non secondario è stato attribuito alla fattispecie di apologia e di istigazione dal legislatore del '30. La rilevanza penale delle condotte apologetiche e istigatrici appare invece oggi assai problematica, giacché si tratta di forme di comportamento che in ogni caso interferiscono con l'esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero: di qui il problema dei limiti di compatibilità tra le norme che  incriminano le condotte predette e l'articolo 21 della Costituzione. La nozione di apologia è controversa già sul piano definitorio: nel linguaggio comune, il termine allude a un discorso tendente a difendere o esaltare una persona o una dottrina o un fatto. Il codice ha omesso di definire l'apologia. Di conseguenza, la determinazione della nozione giuridico-penale di apologia è rimasta affidata alla giurisprudenza, la quale ha tradizionalmente sostenuto che essa consiste in un discorso tendente a persuadere un gran numero di persone mediante l'uso di un linguaggio articolato e suggestivo: la Cassazione a Sezioni Unite, in una sentenza della fine degli anni cinquanta, è giunta addirittura a sostenere che per aversi apologia è sufficiente la formulazione di un giudizio favorevole che implichi l'approvazione convinta dell'episodio verificatosi e per conseguenza l'adesione spirituale ad esso da parte del dichiarante che lo considera come proprio. Quanto alla istigazione, essa viene solitamente definita, secondo una accezione abbastanza lata, come qualsiasi condotta diretta a eccitare, determinare, rafforzare o alimentare l'altrui risoluzione.

Quanto ai rapporti tra istigazione e libera manifestazione del pensiero, vanno subito richiamate le prese di posizione della Corte Costituzionale. Nella sentenza 16/'73, la corte ha escluso che l'istigazione rappresenti una forma di manifestazione del pensiero rientrante nell'area di tutela dell'art. 21 Cost.; questa piuttosto costituirebbe "azione e diretto incitamento all'azione", e questa sua caratteristica ne determinerebbe la illiceità. Un tale punto di vista non è però accettabile. È infatti arbitrario delimitare l'area della manifestazione del pensiero alla sola comunicazione di conoscenze astratte prive di conseguenze pratiche. Nella successiva sentenza n. 108/'74, la illiceità della istigazione è stata invece subordinata alla sua attitudine a rappresentare un "pericolo concreto", in quanto suscettibile di provocare, attraverso l'azione sulla psiche dei destinatari, comportamenti lesivi di beni dotati di rilevanza costituzionale. Questa soluzione è più in linea con l'ispirazione di fondo dell'ordinamento democratico. Penalmente rilevante è la istigazione che, secondo un giudizio ex ante e in concreto, si riveli idonea a commettere un determinato reato.

Al fine di rendere compatibile l'incriminazione dei fatti di apologia o di istigazione con l'art. 21 Cost., la Corte Costituzionale con sentenza n. 65/'70 ha fissato il principio per cui l'apologia punibile "non è la manifestazione del pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti".

Leggere gli articoli 266, 272, 302 e 303.

DELITTI DI VILIPENDIO POLITICO

Sotto la denominazione di delitti di vilipendio politico vengono ricomprese le figure previste negli articoli 290 (vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate", 291 (vilipendio alla nazione italiana) e 292 (vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato) del codice penale. Si tratta di ipotesi di reato che si ispirano alla medesima ratio di tutela, quella cioè di evitare che determinate istituzioni possano essere scalfite nella loro considerazione generale e che possa essere conseguentemente pregiudicato il principio di autorità. Dal punto di vista definitorio, la nozione di vilipendio è ambigua e controversa: vilipendere equivale a "tenere a vile", ad esprimere cioè disprezzo per una persona o per una cosa.

La compatibilità dei reati di vilipendio politico con i principi fondamentali dello Stato democratico è stata contestata con una intensità e forza sempre crescenti, ed in ogni caso direttamente proporzionali alla maturazione politica che si andava conseguendo nel paese. Ma con pari energia parte della dottrina e la stessa Corte Costituzionale si sono sforzate di dimostrare che  i vilipendi politici sono conformi a Costituzione, ma nessuno degli orientamenti è riuscito a dimostrarlo in modo convincente. I vilipendi non sono dunque compatibili con la libertà di manifestazione del pensiero. Questa conclusione non muta neppure se si interpreti additivamente il concetto di vilipendio con l'aggiunta dell'elemento del pericolo della disobbedienza quale effetto del disprezzo espresso (cosa che ha fatto la Corte Costituzionale con sentenza n. 20 del 1974). Negli ultimi anni si è tentato di eliminare dal nostro ordinamento penale i vilipendi politici mediante proposte di legge in senso abrogativo e richieste di referendum abrogativo. Tutte queste iniziative sono però rimaste senza esito.

Leggere gli articoli 290, 291 e 292.

OFFESE AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Gli articoli da 276 a 279 incriminano alcuni comportamenti lesivi della persona del Capo dello Stato. Nella versione originaria del codice, queste fattispecie proteggevano la persona del Sovrano ma, a seguito del mutamento istituzionale, alla persona del Re è stata sostituita quella del Presidente della Repubblica. Ciò ha modificato in qualche modo il senso della tutela, la quale è oggi predisposta in considerazione della altissima funzione che svolge il Capo dello Stato quale rappresentante della suprema unità della Repubblica. L'entrata in vigore del nuovo Concordato tra l'Italia e la Santa Sede ha modificato la disciplina della tutela penale della persona del Sommo Pontefice. Ed invero, oggi la persona del Sommo Pontefice è tutelata nella sua qualità di Capo di uno Stato estero.

Leggere gli articoli 276, 277, 278 e 279.

OFFESE CONTRO GLI STATI ESTERI

I delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi e rappresentanti pongono in pericolo, secondo il legislatore del '30, la sicurezza politica e/o militare dello Stato e non già soltanto i beni personali del soggetto che riveste la carica. Partendo da questo presupposto, si è sostenuto che i fatti in essi contenuti devono essere prevenuti per impedire "le gravissime ripercussioni che possono produrre nei rapporti internazionali". Le fattispecie di reato di cui agli articoli 295-299 tutelerebbero così un bene giuridico nazionale, mentre l'oggetto materiale sarebbe per così dire straniero. I fatti incriminati da tali articoli sono punibili solo in presenza di alcuni presupposti, e cioè:

Che siano commessi nel territorio dello Stato: si tratta di un elemento costitutivo della fattispecie;

Che vi sia la condizione di reciprocità: questa sussiste non solo quando nell'ordinamento straniero sia presente la corrispondente fattispecie, ma anche quando il fatto dia luogo ad un diverso titolo di reato ovvero integri una circostanza aggravante;

Che vi sia la richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia (salvo che si tratti di un attentato alla vita, all'incolumità o alla libertà personale).

Leggere gli articoli 297, 298 e 299.

DELITTI DI INFEDELTA'

In questa sezione sono raggruppate alcune fattispecie incriminatrici previste nei primi due capi del titolo relativo ai delitti contro la personalità dello Stato, le quali presentano una duplice comune caratteristica. Da un lato, si tratta di figure di reato genericamente ruotanti attorno al paradigma concettuale della infedeltà del cittadino nei confronti dello Stato. Dall'altro lato, le fattispecie in questione appaiono tra le più datate, appunto perché manifestamente influenzate dall'ideologia dominante in epoca fascista. Sicché, si tratta della parte più caduca dell'intera materia dei delitti politici, come è anche dimostrato dalla quasi totale mancanza di applicazioni giurisprudenziali.

Leggere gli articoli da 242 a 254, da 264 a 269, 275, 287 e 288. Leggere inoltre gli articoli 289 bis e 294.

DISPOSIZIONI COMUNI

Il titolo primo del libro secondo contiene norme di varia natura che possono essere considerate come disposizioni comuni a tutti i reati o ad almeno un gruppo dei reati contro la Personalità dello Stato.

Una circostanza attenuante comune a tutte le fattispecie poste a tutela della Personalità dello Stato è prevista nell'art. 311, per il quale "le pene comminate per i delitti preveduti in questo titolo sono diminuite quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulta essere di lieve entità".

La misura di sicurezza personale dell'espulsione dallo Stato è prevista dall'art. 312 nei confronti dello straniero condannato a una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti contro la personalità dello Stato.

La condizione di procedibilità dell'autorizzazione a procedere o della richiesta di procedimento prevista dall'art. 313 per alcuni reati che investono gli organi Costituzionali. L'autorizzazione del Ministro per la giustizia è necessaria per procedere per i delitti di cui agli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 277, 278, 279, 287 e 288 nonché per quelli preveduti dagli articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252 quando sono commessi a danno di uno Stato estero associato o alleato, a fine di guerra, allo Stato italiano.

Una particolare disciplina del concorso di reati è introdotta dall'articolo 301, per il quale "quando l'offesa alla vita, alla incolumità, alla libertà o all'onore, indicata negli articoli da 276 a 278 e da 295 a 298, è considerata dalla legge come reato anche in base a disposizioni diverse da quelle contenute nei capi precedenti, si applicano le disposizioni che stabiliscono la pena più grave. Nondimeno, nei casi in cui debbono essere applicate disposizioni diverse da quelle contenute nei capi precedenti, le pene sono aumentate da un terzo alla metà. Quando l'offesa alla vita, alla incolumità, alla libertà o all'onere è considerata dalla legge come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato, questo cessa dal costituire un reato complesso, e il colpevole soggiace a pene distinte, secondo le norme sul concorso dei reati, applicandosi, per le dette offese, le disposizioni contenute nei capi precedenti".

LA LEGISLAZIONE DELL'EMERGENZA

La disciplina codicistica dei delitti contro la personalità dello Stato ha subito una serie di innesti, anche di durata determinata, ad opera della legislazione dell'emergenza agli inizi degli anni ottanta.

Le circostanze attenuanti sono le tre seguenti:

La prima forma di dissociazione dal terrorismo è prevista dall'art. 4 della legge n. 15 del 1980, il quale così dispone: "per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, salvo quanto disposto dall'art. 299 bis del codice penale, nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia e l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà. Quando ricorre la circostanza di cui al comma precedente non si applica l'aggravante di cui all'art. 1 del presente decreto".

La seconda forma di dissociazione dal terrorismo è disciplinata dall'art. 2 della legge n. 309 del 1982, per il quale, salvo quanto disposto dall'art. 289 bis, la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione da quindici a ventuno anni e le altre sono diminuite di un terzo, ma non possono superare, in ogni caso, i quindici anni per gli imputati di uno o più reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale, i quali, tenendo, prima della sentenza definitiva di condanna, uno dei comportamenti previsti dall'art. 1, commi 1 e 2, rendano, in qualsiasi fase o grado del processo, piena confessione di tutti i reati commessi e si siano adoperati o si adoperino efficacemente durante il processo per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o per impedire la commissione di reati connessi a norma del numero 2 dell'art. 61.
Quando ricorrano le circostanze di cui al precedente comma non si applica l'aggravante di cui all'art. i D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 75".

La terza circostanza attenuante è la c.d. fattiva collaborazione ed è prevista dall'art. 3 1. 29 maggio 1982, n. 304, per il quale, "salvo quanto disposto dall'art. 289 bis c.p., per i reati commessi per finalità di terrorismo o eversione dell'ordinamento costituzionale la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dieci a dodici anni e le altre pene sono diminuite della metà, ma non possono superare, in ogni caso, i dieci anni, nei confronti dell'imputato che, prima della sentenza definitiva di condanna, tiene i comportamenti previsti dall'art. 1, primo e secondo comma, rende piena confessione di tutti i reati commessi e aiuta l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per la individuazione o la cattura di uno o più autori di reati commessi per la medesima finalità ovvero fornisce comunque elementi di prova rilevanti per l'esatta ricostruzione del fatto e la scoperta degli autori di esso.

Quando i comportamenti previsti dal comma precedente sono di eccezionale rilevanza, le pene sopraindicate sono ridotte fino ad un terzo.

Quando ricorrono le circostanze di cui ai precedenti commi non si applicano gli articoli 1 e 4 del D.L. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito in legge,  con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15".

La circostanza aggravante della finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico è stata introdotta dall'art. 1 della 1. 6 febbraio 1980, n. 15, secondo il quale "per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, punibili con pena diversa dall'ergastolo, la pena è aumentata della metà, salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato.

Quando concorrono altre circostanze aggravanti, si applica per primo l'aumento di pena previsto per la circostanza aggravante di cui al comma precedente.

Le circostanze attenuanti concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa ed alle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o ne determina la misura in modo indipendente da quella ordinaria del reato".

CAUSE DI NON PUNIBILITA'

La prima causa di non punibilità prevista dalla legislazione dell'emergenza è costituita dal recesso attivo ex art. 5 della legge 1980 n. 15, per il quale, "fuori dei casi previsti dall'ultimo comma dell'art. 56 del codice penale, non è punibile il colpevole di un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico che volontariamente impedisce l'evento e fornisce elementi di prova determinanti per l'esatta ricostruzione del fatto e per l'individuazione degli eventuali concorrenti".

L'art. 11. 29 maggio 1982, n. 304, prevede ben quattro cause di non punibilità per i reati associativi e per quelli ad essi connessi, costruite sul modello del ravvedimento-collaborazione processuale proprio delle figure di dissociazione.

In forza dell'art. 1, "non sono punibili coloro che, dopo aver commesso, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, uno o più fra i reati previsti dagli articoli 270, 270 bis, 304, 305 e 306 del codice penale e, salvo quanto previsto dal 30 comma del presente articolo e dal secondo comma dell'art. 5, non avendo concorso alla commissione di alcun reato connesso all'accordo, alla associazione o alla banda, prima della sentenza definitiva di condanna concernente i medesimi reati: a) disciolgono, o comunque determinano lo scioglimento dell'associazione o della banda; b) recedono dall'accordo, si ritirano dall'associazione o dalla banda, ovvero si consegnano senza opporre resistenza o abbandonando le armi e forniscono in tutti i casi ogni informazione sulla struttura e sulla organizzazione dell'associazione o della banda.

Non sono parimenti punibili coloro i quali impediscono comunque che sia compiuta l'esecuzione dei reati per cui l'associazione o la banda è stata formata.

Non sono altresì punibili: a) sussistendo le condizioni di cui al primo comma, coloro che hanno commesso i reati connessi concernenti armi, munizioni od esplosivi, fatta eccezione per le ipotesi di importazione, esportazione, rapina e furto, i reati di cui ai capi secondo, terzo e quarto titolo settimo del Libro secondo del codice penale, i reati di cui agli articoli 303 e 414 del c.p., nonché il reato di cui all'art. 648 del codice penale avente per oggetto armi, munizioni, esplosivi, documenti; b) coloro che hanno commesso uno dei reati previsti dagli articoli 307, 378 e 379 del codice penale nei confronti di persona imputata di uno dei delitti indicati nel primo comma, se forniscono completa informazione sul favoreggiamento commesso. La non punibilità è dichiarata con sentenza del giudice del dibattimento, previo accertamento della non equivocità ed attualità della condotta di cui al primo ed al secondo comma.

Non si applicano gli articoli 308 e 309 del codice penale".

L'art. 5 della legge 29 maggio 1982, n. 304, prevede una causa di non punibilità per il tentativo e i delitti di attentato.

Dispone questa norma che "per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale non è punibile colui che, avendo compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il delitto, volontariamente impedisce l'evento e fornisce comunque elementi di prova rilevanti per la esatta ricostruzione del fatto e per la individuazione degli eventuali concorrenti.

Se il colpevole di uno dei delitti previsti dagli articoli 241, 276, 280, 284, 285, 286, 289 e 295 del c.p. coopera efficacemente ad impedire l'evento cui gli atti da lui commessi sono diretti soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.

Non si applica l'art. 5 del D.L. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980 n. 15".



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