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L'identità schizofrenica, ovvero dalle detenute alle ricomincianti




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L'identità schizofrenica, ovvero dalle detenute alle ricomincianti






L'argomento re-inserimento è molto delicato, lo stesso Focault, in Sorvegliare e punire, specificava che il carcere non attuava la correzione e la ri-abilitaizone che comunque poneva tra i suoi fini, aumentando invece la difficoltà di un re-inseriemento in quanto si creava nuova delinquenza.

I detenuti dopo anni di vita in carcere, con percezioni spazio-temporali diverse da quelle della società esterna, che travolge e velocizza all'estremo tutto, che vive secondo tempi consumistici e non rarefatti come quelli del carcere, escono carichi di paure e angosce in quanto non riescono ad affrontare nel modo migliore il re-inseriemnto sociale, sono abbandonati, poco assistiti.

Spesso a causa dei trasferimenti i detenuti sono "pacchi postali" in continuo movimento, e perdono punti di riferimento esterno, e qualora abbiano avuto la fortuna di trovare strutture penitenziarie in grado di fornire formazione e lavoro, a causa degli spostamenti improvvisi, devono ricominciare tutto da capo e una volta usciti, sono in balia di loro stessi, o comunque vivono nella precarietà di ritornare a delinquere per poter sopravvivere.

A questo proposito è interessante quello che dice una detenuta semi-libera del carcere della Giudecca, la quale sottolinea come, usciti dal carcere, i ristretti, perdano i, pochi, privilegi che avevano (lavoro-formazione professionale-istruzione), per tornare ad essere niente:

«Dunque le uniche soluzioni possibili che ci rimangono sono accettare lavori poco qualificati, mal pagati e frustranti, comunque non in grado di consentirci una vita 'decente', e una riqualificazione sociale, lavorativa, umana quantomeno dignitosa».

Questo appiattimento della dignità personale spinge molte volte a non avere più speranza, a non credere più in niente, a considerare la propria vita come non degna di essere vissuta, se non nell'unico contesto che precedentemente ci ha portato in carcere.»

Bassetti (2003), parlando di ri-abilitaizone, sostiene infatti, ad esempio che il prefisso "ri", che tanto si usa e abusa davanti alle parole educazione e socializzazione, sia da distribuire con parsimonia e attenzione, in quanto, non deve considerarsi scontato il fatto che il detenuto entrato in carcere possieda già, in modo pieno e maturo, quel contesto socio-culturale proprio delle persone cosiddette "normali" e ben inserite nella società, e pone in evidenza la criticità di uno Stato che ha il diritto-dovere di tutelare le persone nelle relazioni quotidiane intervenendo, secondo l'Autore, non solo sul fare ma anche auspicando una modifica del volere per un buon equilibrio sociale.

Quando si parla di ri-abilitaizone, il pensiero va alle misure alternative al carcere, le quali, dovrebbero riuscire a dare una seconda possibilità ai detenuti, creando opportunità lavorative e sociale i cui benefici, possono essere goduti da coloro che hanno già scontato almeno metà della pena detentiva.

Le misure alternative possono avere varie definizioni, rifacendosi a Barbagli, Colombo, Savona (2003), si parla di diversion (misura alternativa), mediation (mediazione penale) e probation .

Diversion, è «ogni deviazione alla normale sequenza di atti nel processo penale prima della pronuncia sull'imputazione

In realtà però questo termine designa sia le misure alternative al processo penale sia alla detenzione in ambito italiano si ha un riscontro nella messa a prova dei minori per cui il processo penale a loro carico viene sospeso e i ragazzi non solo evitano un brutale scontro con il sistema penale, ma hanno l'opportunità di usufruire di sistemi alternativi al carcere, di percorsi di recupero che se portati positivamente a termine faranno abbandonare in maniera definitiva il processo a loro a carico.

La mediazione penale, ha avuto attuazione nei paesi che non prevedono l'obbligo di una azione penale contro i reati commessi, in quanto alla base della mediation sta una risoluzione del problema contratto tra le due parti (vittima e reo) tramite una terza persona che aiuta i soggetti (due o più) a interagire tra di loro trovando delle riparazioni simboliche prima ancora che materiali

Per quanto riguarda la probation, vi sono degli istituti alternativi alla detenzione che mutano dipendentemente dalle esperienze penali che vengono prese in considerazione.

Il probation quindi varia da una serie di obblighi e restrizioni che sono alla base della sospensione della pena finanche a una sanzione autonoma

In Italia, si ha per esempio, l'affidamento in prova ai servizi sociali.

Le misure alternative hanno il loro obiettivo nel modificare il comportamento del reo, per ri-educarlo e/o portarlo a ricomporre il conflitto sociale causato dal crimine commesso al fine di ripararlo.

Le misure alternative si distinguono in alternative alla detenzione e alternative al processo penale.

Tra le prime rientrano l'affidamento in prova ai servizi sociali, l'affidamento al ser.T, la semi-libertà.

In Europa sono presenti anche il monitoraggio elettronico e i lavori di pubblica utilità, introdotto anche nel nostro ordinamento e che il giudice di pace penale può comminare assieme alla permanenza domiciliare

Le misure alternative al processo penale, in Italia non sono attuate, eccetto il caso della sospensione di cui si è precedentemente parlato.




1 Il lavoro alla Giudecca


Considerando il carcere della Giudecca, parlando di lavoro, interessanti sono le rilevazioni compiute dall'Associazione Antigone, (2004)

L'istituto fa parte di un progetto-pilota del ministero di Grazia e giustizia, che si pone come obiettivo la compilazione di un'anagrafe professionale dei detenuti, inoltre all'interno dell'istituto, è presente anche uno sportello di Assistenza.

Vi sono presenti dei percorsi di inserimento lavorativo, grazie anche alla collaborazione di rete tra la direzione del carcere e il Centro di servizio sociale per adulti (CSSA), gli enti pubblici (Comune di Venezia e in parte anche Provincia di Venezia e Regione Veneto) e terzo settore (cooperazione sociale, volontariato, privato-sociale).

Vi sono anche aziende che impiegano ex-detenuti e quindi questo network, permette la realizzazione e lo studio di inserimenti lavorativi in base alle esigenze delle persone e all'andamento del mercato.

Grazie alla legge Smuraglia, che abbattendo i costi di oneri sociali per le cooperative o le aziende che assumono persone che provengono da percorsi penali, è stata facilitata la messa in regola degli ex-detenuti.

I lavori presenti nel carcere veneziano sono di tipo intramurario: 20 persone ruotano con turni di 6 e 3 ore, e anche le cuoche hanno questo tipo di rotazione.

Ci sono inoltre 8 detenute in art. 21 che lavorano all'Orto delle meraviglie, gestito dalla cooperativa Rio Terà dei pensieri. I prodotti dell'orto sono venduti poi fuori dal carcere, e questa attività di vendita è in aumento, inoltre sono occupate anche 3 persone a tempo pieno al laboratorio di cosmetica, e 4 persone, di cui una a tempo pieno, nel laboratorio di sartoria gestito dalla cooperativa Il Cerchio.

Inoltre c'è anche un laboratorio di impiraperle sempre gestito dalla cooperativa Il Cerchio, che dovrebbe occuparsi anche dell'allestiemnto di una lavanderia gestita dai detenuti del carcere.

Le borse-lavoro finanziate dall'amministrazione comunale sostengono l'operato delle cooperative, e coprono 3-4 ore di lavoro al giorno per circa 200 euro al mese, a cui sono aggiunti gli introiti della vendita dei prodotti all'esterno.

Alla cooperativa Il Cerchio sono passati 160 detenuti, scontando così in modo alternativo al carcere, la loro pena. E molti sono stati riassunti al termine della pena.

Ma una volta uscite dalla protettività del carcere e da un impiego, per quanto a volte non sufficiente a coprire le spese delle detenute o con poche possibilità di poterlo svolgere perchè le esigenze sono molte e i lavori sono a turni, lavorativo, cosa trovano le detenute ad aspettarle?




2 L'identità doppia delle semi-libere


Trattando l'argomento della detenzione, si è voluto inserire un paragrafo inerente la semi-libertà e le misure alternative al carcere, in quanto le detenute intervistate erano tutte semi-libere, e con il loro contributo hanno permesso di esplorare un mondo particolare, il mondo delle ristrette che cercano di reinserirsi, così come dall'art. 3 della Costituzione italiana già citato a inizio capitolo 1, mostrando così le difficoltà reali dell'uscire dal carcere e del ri-cominciare ad assaporare piccoli spicchi di libertà al fine, poi di recuperare se stesse e iniziare une nuova vita, si spera, fuori dal carcere.

Dire "si spera", può sembrare pessimistico, ma dalle stesse donne sentiamo pareri poco sicuri su cosa sia davvero il reinserimento e su come si debba fare per poter ricominciare a integrarsi nella società da cui, si è state tolte per tempi anche molto lunghi.

C'è da premettere che nessuna delle ristrette ha cercato di giustificare i propri atti, anche quando umanamente parlando le giustificazioni sarebbero state capibili per il tipo di situazione sociale in cui i reati erano avvenuti, anzi hanno ammesso i propri sbagli specificando la propria coscienza a dover/voler scontare la pena e poi poter uscire fuori dal carcere e ritornare dalle proprie famiglie, dai propri affetti.



In uno degli incontri fatti per presentare il libro Donne in sospeso, ricordo che una detenuta in art. 21, che faceva la sarta all'interno della Giudecca disse di aver sbagliato, di essersi ritrovata a commettere un reato perché nel suo paese le condizioni economiche erano molto precarie e di essere finita in Italia lontana dalla sua famiglia, affidando i due figli alla figlia più grande, all'epoca quattordicenne.

Alla domanda, su che cosa avrebbe fatto dopo aver scontato la sua pena, la donna ammise candidamente che se fosse stata costretta a tornare in patria, avrebbe probabilmente ricommesso dei reati per poter mantenere la propria famiglia, perchè con lo stipendio di sarta, in Romania non avrebbe potuto dare il necessario ai figli.

Il problema del dopo-carcere è un dramma di cui non si parla spesso, anche perché al di fuori della struttura penitenziaria sono poche le persone che aiutano gli ex-detenuti a recuperare e re-integrarsi.

Usciti si è in balia della corrente e spesso senza essere capaci di nuotare.

Nelle seguenti interviste riportiamo la testimonianze di alcune detenute semi-libere del carcere della Giudecca in merito al lavoro, alla semi-libertà e al reinserimento, per meglio analizzare le difficoltà e le reali problematiche che tutt'oggi persistono a livello sociale nel dopo-pena.

All'interno del carcere la sezione delle semi-libere è a parte: «Siamo alloggiate in infermeria in questo momento, perché ci sono dei lavori nella nostra sezione, così passiamo sempre davanti a tutte le altre detenute.

Noi siamo lì però comunque passiamo davanti alle altre detenute che ci sono in infermeria.

Non puoi avere un contatto con le detenute perchè stanno dall'altra parte però noi le vediamo, in atre carceri non le vedi.

Alla Giudecca è tutto lì per cui comunque le vedi passare.

I lavori poi sono a rotazione. Alla Giudecca siamo molto avvantaggiati perché per fare avere i soldi a tutti i lavori vengono ruotati ogni quindici giorni» (Sogg B).

«Sì allora il carcere al primo piano ha la Sezione, al secondo si trova l'infermeria in fondo alla quale sono state collocate le semilibere che stavano al primo piano in una zona separata, io sto al terzo piano in una piccola stanza di quattro letti con bagnouna stanza piccola che non permette di muoversi moltoforse l'hanno fatta così perché noi, in quanto semilibere, usciamo! All'inizio in questa stanza eravamo in tre poi quattro ora siamo di nuovo in tre e tra poco saremo in due, Abbiamo orari di rientro e di uscita diversi, quindi bisogna un po' adattarsi l'un con l'altro» (Sogg. A).

Durante il periodo di semi-libertà spesso le donne riscontrano delle difficoltà: «Lo stato di abbandono.. quando uno comincia ad uscire spesso è più solo di quando era dentro, certo è meglio lavorare fuori, però la semi-libertà. Soprattutto per le donne spesso è un regime abbastanza limitato poi hai tempi calcolati molto stretti per tornare dentro e hai poco tempo per stare fuori soprattutto se non hai la famiglia li sul posto.

A volte poi le donne si trovano a fare lavori faticosi o poco gratificanti, ad esempio a Venezia c'è la gestione dei bagni pubblici, non è il massimo naturalmente delle aspirazioni di una donna dopo di che, quando hai finito di lavorare hai il tempo solo per tornare dentro.

Le donne sostengono, che i programmi dei semi-liberi sono calcolati con tempi più aperti, non so se sia vero.

Comunque se anche una ha qualche ora per rientrare più tranquillamente non sa dove andare, infatti noi pensiamo di fare un progetto per una casa in cui gestire attività dopo-lavoro come c'è anche a Firenze, in modo che il detenuto abbia dei punti di riferimento, le celle sei semi-liberi sono piene per cui dopo il lavoro rientrano ma non ci sono attività, non hanno nemmeno la messa la Domenica, peggio di quando stavi dentro» (volontaria C).

«Ho anche avuto, nel mio periodo trascorso in carcere, un momento di difficoltà, facevo fatica, anche adesso è così, è difficile, mi manca poco e tutti me lo dicono e questo mi crea angoscia, va bene è vero mi manca poco, ma è il periodo più difficile.

Un giorno uscendo da qua, dovevo andare a destra invece sono andata a sinistra, e mi sono chiesta:ma dove sto andando?e dentro sentivo di voler andare alla stazione a prendere un treno, avevo una voglia pazzesca involontaria, perché non è che la mattina pensavo di andarmene,anche perchè ormai che sono alla fine sarei scema a farmi rinchiudere per latri sei mesi (pena aggiuntiva a chi tenta di evadere).

Piuttosto mi chiudo e sto dentro fino al fine pena, non farei mai così»

«Dipende sempre dalla personalità, se una è debole gli pesa questo fatto della giornata metà dentro e metà fuori, all'inizio sei contenta di uscire dopo ti viene la voglia di essere libera totalmente, allora le persone forti dicono: il percorso è questo e devo farlo un gradino alla volta e riescono ad andare avanti, altre invece appena sentono l'aria della libertà, anche se solo quella metà crollano.

Io non crollo, vado avanti anche perché ho ancora tanti anni da fare perciò.mi dà un po' fastidio, però va beh piano piano.» (Sogg. B).

«Io credo che se anche guadagni di più fuori, si sta meglio dentro.

Qua lavori agitato per il controllo che ti fanno.

Non si è sereni.

Io sono troppo nervosa per qualsiasi cosa.

Anche se poi ricevo delle notizie da mia figlia, rimango male» (Sogg. C).

«Adesso la vita è "casa"-lavoro. Il carcere sarebbe una specie di dormitorio, mi alzo la mattina  e torno a casa la sera alle 20, e poi mangio dormo, poi mi alzo e torno a lavorare.

Io ho due giorni di riposo in cui sto chiusa in stanza, perchè noi semi-libere abbiamo i blindi chiusi.

Perché non possiamo avere contatto con le altre e stiamo praticamente in una stanza di quattro metri per tre.

Abbiamo degli orari, io per esempio finisco di lavorare alle 18.30 e devo tornare per le 20 in carcere e ho giusto il tempo per rientrare, non posso neppure dirmi faccio un giro per Venezia e mi compro quello che mi serve, che so una maglia ecc., passi e le guardi ma non hai il tempo di provarle etc.

A volte ti devi anche sbrigare a farti la spesa altrimenti se perdi il battello buonanotte.

Da fuori si possono comprare cose basta che stiano nei limiti delle legge per entrare nel carcere, perchè abbiamo dei termini, praticamente il mangiare non passa niente, solo affettati, salami e roba del genere, o se no carne cruda non passa, le mele e le pere non passano, adesso c'è una restrizione per l'insalata, prima per esempio passava la rucola adesso non passa più così fai domandina al comandante e tutto un traffico» (Sogg. E).

«E' molto difficile, da una parte hai un grande beneficio perché questa vita è tanto meglio di prima, ma è come avere due vite, tutto questo uscire e entrare, tutte queste costrizioni, tutto quello che non permesso di avere e di portare, noi abbiamo il regolamento uguale a quello della sezione, noi non possiamo avere niente di più un permesso o un pacco, rispetto a una normale detenuta.

E' strano perchè se io lavoro, guadagno eppure ci sono tante cose vietate, che non passano e già questo fa soffrire.

Io sono da sola e dopo tanti anni uscire e affrontare questa vita reale da soli è molto difficile, sono andata due volte in crisi, mi sono piegata, ho avuto due crisi, non sono riuscita a risolverli, sono stata aiutata sì e anche compresa, sto meglio e mi sento meglio, cerco di non mettere troppa attenzione  a questi problemi che comunque sono reali,, e di risolverli in futuro, ho archiviato, perché ho paura in questa situazione che comunque è pesante, di non riuscire a risolverli da sola, ho paura di toccarli anche perchè fanno male» (Sogg. D).

Con riguardo all'accesso al lavoro, tutti hanno lo stesso diritto o ci sono dei meccanismi che favoriscono alcuni rispetto ad altri?

Tutti hanno diritto di fare richiesta di lavoro e il lavoro in carcere dovrebbe essere dato per rotazione, ma, come ogni altro aspetto del carcere, va sottolineato il condizionale. Alla fine spesso sono sempre le solite persone, magari per questioni di maggiore fiducia certo, ma penso che è proprio li che le persone devono imparare a guadagnarla e/o acquisirla. Quindi sicuramente funziona come fuori: i posti dove si guadagna di più in genere sono occupati sempre dai soliti e ci sono meccanismi di preferenza come fuori.

Il condizionale quindi è d'obbligo, infatti se si va a leggere un qualsiasi regolamento vedi che è disatteso, ad esempio a metà pena si avrebbe diritto alla semilibertà, ma così non avviene; oppure dopo un determinato periodo di tempo avresti diritto a dei permessi, non è cosìora capisco in una pena di vent'anni, in cui la carcerata prima di uscire deve farsi almeno dieci anni, ma su pene di pochi anni non lo capisco. E' anche una questione di organizzazione, nel senso che un'educatrice per certe persone non va bene. Sta mattina sono andata dal medico e prima di me c'era una di primo ingresso, è arrivata ieri e il medico di turno la doveva visitare(!)» (Sogg. A).

«[.] alla Giudecca da quello che ho capito cercavano di mettere le persone più bisognose, che non avevano famigliari vicino, o incarichi da fuori, guardano i libretti, guardano tutto, poi in certi posti dove non puoi mettere tutti ma solo chi è capace, mettono chi lavora di sicuro, perchè poi alcune anche se hanno il lavoro poi non lavorano» (Sogg. B).

«Non ci sono preferenze, si tratta di posti liberi della cooperativa, se ci sono te li danno.

Ci si deve conformare al tipo di lavoro, alcune sono la bar altre ai bagni pubblici. Dipende.

Noi ci conformiamo al lavoro.

Quando mi hanno dato la semi-libertà io sapevo poi dove mi avrebbero mandata. Dipende dalle possibilità» (Sogg. C).

«Dentro si guarda la condizione economica, vengono aiutate le persone che stanno male psicologicamente perchè hanno bisogno di lavori più lunghi e impegnano di più per far riscattare queste persone dalla crisi e dalla depressione, questo è vero, e poi si guarda la condizione economica» (Sogg. D).

«Tornando al lavoro, se ci fosse per tutti e ci fosse un "obbligo", un minimo perché in carcere lavori pochissimo adesso si lavora tre ore e venti al posto dalle sei e quaranta perché sono troppe le persone che hanno bisogno di lavorare, soprattutto quelle che devono mandare qualcosa a casa, in quanto il carcere passa il vitto e dà una mercede, non si chiama salario, poi sulla mercede un quinto viene vincolato, i soldi sono 180 euro di una che lavora al sopravitto, uno dei lavori considerati migliori, una parte va al mantenimento anche se non è una quota fissa, in quanto dicono che dipenda dal caro vita, poi il resto dei soldi sono per te che puoi comprare all'interno del carcere ma anche lì non si sa se i prezzi sono concorrenziali rispetto a fuori» (Sogg. A).

«Io ho orari molto rigidi all'inizio mi è stato impostato un orario per cui io dovevo andare a lavorare in un posto e mi è stato data un'ora ma non era possibile fisicamente andare perchè solo col vaporetto erano 55 minuti, e questo non mi piace, perché semi-libera, perché io esco a lavorare e devo re-inserirmi in quel tempo io devo prepararmi per vivere normalmente, io esco per lavoro e devo correre per rientrare, è difficile ottenere un po' di tempo di più, questo non mi piace ma tanto lo psicologo mi ha detto che io devo solo andare a lavorare e ritornare e anche quando ero in matricola, io scherzando ho detto a cosa serve uscire poi non abbiamo il tempo di fare niente, per esempio a me piace camminare, ma dove vado? Da sola non posso risolvere questo problema, per fortuna che finisco perché soffro molto di questo.



Io da un mese prendo le pastiglie perché ho problemi di stomaco, è nervoso perché sempre di corsa, sempre di fretta a guardare l'orologio e poi devo interrompermi perchè devo tornare e non posso ritardare un minuto perchè mi chiedono un minuto e con cinque minuti di ritardo viene scritto e allora siccome io avevo già problemi per queste mie crisi e poiché non voglio più avere problemi mi tengo quest'orario.

Potrei chiedere però io so che anche quando chiederò e motiverò e verrà rifiutato io rimarrò molto male e non so se vale pena, mi farebbe bene perchè per esempio a me piacerebbe andare  a camminare, ma dove vado? da qua a là? Non ho tempo.

Io non conosco nessuno, non ho nessuno qui,  però mi piacerebbe muovermi, e non poterlo fare mi fa male» (Sogg. D).

Parlando del lavoro all'esterno c'è un giorno di riposo che si passa dentro chiuse.

Si lavora tutta la settimana a parte il weekend (Sogg. C)

«[.], prima mi davano solo mezz'ora di tempo per arrivare.

Io comincio alle 12 e uscivo alle 11.30, poi ho chiesto un'ora in più perchè così non avevo il tempo di parlare con mia figlia, poi me l'hanno data e così ora sto bene» (Sogg. C).

«[] dentro lavoravo sempre in cucina, io non è che speravo di fare la cuoca però visto che ero in cucina, potevo aiutare il cuocoinvece faccio di tutto, anche le pulizie, in cucina entro tardi, anche dopo le 11:30, magari preparo l'insalata, le verdure, pulisco il pesce. All'inizio non me l'aspettavo così e ci sono rimasta un po' male, oramai mi sono rassegnata, l'importante è essere fuori e avere un lavoro. Non si hanno molti spazi, si ha un'ora di tempo dopo il lavoro per rientrare, però ti devi accontentare: mezza giornata sei con le persone con cui lavori e non hai tempo per conoscere altre persone, perché appunto hai un ora di tempo per percorrere il tragitto di ritorno, e in un'ora non riesci a fare altro. Certo puoi telefonare e quindi riesci a comunicare di più: io chiamo mia madre, i miei figli ma anche con gli altri famigliari, cosa che non ti è permessa dentro (dove puoi comunicare solo con i famigliari stretti)» (Sogg. B).

(Parlando della differenza tra semi-libertà e art. 21) «Solo perché abbiamo la possibilità di guadagnare un po' di più e di metterci in contatto con la nostra famiglia telefonicamente, è quella l'unica differenza.

L'art. 21 è solo dentro il carcere. Però per esempio presentando domandina si poteva andare dalle suore per vedere la propria famiglia (Sogg. C).

Qui ci sono due cooperative, una è il granello di senape che si occupa prevalentemente di cucito dove si fanno evasiti e borse poi c'è un negozio a Venezia che appartiene al carcere dove vendono tutti i prodotti che vengono fatti in carcere.

Poi cinque 5 o 6 donne assunte dalla cooperativa che lavorano come sarte e in questo periodo stanno facendo dei vestiti bellissimi del settecento perché hanno ricevuto una commissione.

Fanno vestiti per cantati.. vestiti d'epoca.

Poi c'è la cooperativa rio terà dei pensieri che lavora anche al maschile ed è responsabile dell' orto che c'è all'interno.

Poi credo che organizzeranno anche delle lavanderie per i vestiti dei detenuti e verrà fatta alla Giudecca.

Poi ci sono i lavori del ministero che sono scopina (puliscono ambienti comune) 3/4 al mese sono in cucina, poi la pulizia del nido e dell'infermeria e poi ci sono le scuole» (volontaria B).

Dopo-carcere: il reinserimento c'è?

«Quando esci non sei migliore di quando sei entrato, perché sei rimasto fuori dalla società per molto tempo, innanzi tutto è cambiato tutto. Anche nel giro di sei mesi cambiano le cose.

Se hai degli amici, tu entri che hai lasciato una certa realtà poi piano piano dopo un po', cominci a ricordartela ma vivi su quello che ti dicono, dopo un po' lo immagini sui ricordi che hai e dopo quando esci tu ti ritrovi fuori con una situazione completamente diversa, hai perso dei punti perché sei stato protetto fino a quel giorno, quindi dove vai? Ti ritrovi spiazzato, questo procura scompenso emotivo e psicologico grande» (Sogg. A).

«Ci sono moltissimi problemi, è molto difficile, i legami famigliari si spezzano e non sempre uno trova ad attenderlo la famiglia, e anche avendo un lavoro uno si trova solo, tant'è vero che i fallimenti delle misure alternative spesso non sono dovuti al fatto che uno commetta vari reati ma alla solitudine, le persone finito il lavoro magari vanno al bar, bevono e tornano ubriache così poi le chiudono.

I fallimenti spesso sono dovuti a questo, alla solitudine.

C'è da dire che anche quando hai la famiglia, si parlava proprio con la psicologa se il rientro a casa era indolore (avendo situazioni in cui si aveva affidato i figli ai nonni etc.)

E' molto complesso il rapporto, le persone dovrebbero essere molto aiutate, non è che una arriva in famiglia dopo anni che è mancata e dice: "Oh che bello sono tornata".

Ci sono situazioni in cui i figli possono essere ostili» (volontaria C)

«Allora, le tossicodipendenti tornano, le zingare tornano, le atre si reinserirono, alcune straniere tornano con altri documenti, alcune vanno in altre nazioni, c'è una percentuale abbastanza alta di ritorno al carcere ancora, poi c'è una fascia che si reinserisce, bisogna dire anche questo altrimenti sembra che si voglia essere negativi come in televisione!» (volontaria B).

«Comunque io ho quasi finito e questo mi stressa moltol'altro giorno è venuta a trovarmi la signora dell'ufficio dell'impiego dicendomi che un lavoro lei me lo darebbe subito, io le ho risposto "trovamelo!"; è giusto ed è un bene che ci siano ma io nutro sempre grossi dubbi in merito a queste cooperative sociali, è giusto che ci siano ma solo per un periodo, poi dovrebbero essere collegate ad altre situazioni per permettere alle persone di inserirsi davvero nel mondo del lavoro, altrimenti le persone rimangono fossilizzate lì oppure è facile che dopo qualche anno le persone ritornino in galera. Non è facile trovare lavoro, soprattutto perché spesso non esci che hai vent'anni e ti proponi come apprendista, esci che ne hai quaranta e allora cosa puoi fare? Non puoi pensare che esci e trovi subito lavoro, innanzitutto io, ad esempio, voglio trovare un lavoro che mi piaccia, so già che non prenderò il primo che mi capita rischiando di fossilizzarmi lì, rischi davvero, pur di avere un minimo, di andare a fare stupidate. Io preferisco farmi mantenere il primo mese da qualcuno e cercare l'occasione buona, io mi son già mossa, ma non è tanto il lavoro che mi preoccupa, io so già che lo trovo, ma è la casa il vero problema, io posso andare a lavorare anche in fabbrica, non è un problema.. L'altro giorno la signora dell'ufficio mi ha chiesto:"che cosa vorresti fare?" io gli ho risposto:"senti parliamo concretamente e domandiamoci cosa posso fare uscita da una situazione così", quello che voglio fare è un'altra cosa, lo potrò fare nel tempo libero, se voglio» (Sogg. A).

«La mia assistente sociale si interessa in modo vivo, quindi credo ci siano possibilità, le persone che conosco dopo si devono organizzare da sole, però credo che l'assistente sociale aiuti» (Sogg. D).

Quando le detenute straniere escono dal carcere com'è la loro situazione?

«Allora fino a qualche anno fa, c'era una preparazione per quando uscivano ma adesso vengono tutte espulse: ci sono due tipi di espulsione in sentenza, la questura viene a prenderle e vengono accompagnate all'aeroporto o ai Centri raccolta stranieri e li stanno fin quando non hanno il biglietto del treno, oppure viene datala possibilità di rimanere loro in Italia e di organizzarsi loro la partenza.

Comunque restano quasi tutte come clandestine e quindi non possono essere aiutate perché non hanno diritto alla casa, non hanno diritto al posto di lavoro, non possono più assumerle perchè è favoreggiamento alla clandestinità e poi anche loro spariscono un po' però hanno anche paura quindi raggiungono i loro punti e poi spariscono.

Accompagnate nei loro paesi se la loro povertà è così grande se ne vanno di nuovo ma in altri posti» (volontaria religiosa B)

Il carcere condiziona la vita dei detenuti una volta usciti:

«Quando esci non sei migliore di quando sei entrato, perché sei rimasto fuori dalla società per molto tempo, innanzi tutto è cambiato tutto. Anche nel giro di sei mesi cambiano le cose.

Se hai degli amici, tu entri che hai lasciato una certa realtà poi piano piano dopo un po', cominci a ricordartela ma vivi su quello che ti dicono, dopo un po' lo immagini sui ricordi che hai e dopo quando esci tu ti ritrovi fuori con una situazione completamente diversa, hai perso dei punti perché sei stato protetto fino a quel giorno, quindi dove vai? Ti ritrovi spiazzato, questo procura scompenso emotivo e psicologico grande.

[] I pregiudizi poi come li hanno fuori, li hanno anche quelli dentro per cui il delinquente che viene a lavorare da te, pensa che sarai fintanto bravo ad assumerlo, ma anche al fatto che viene pagato poco forse perché è stato dentro, anche perché non è informato su certe cose inerenti le cooperative sociali etc.

Tu non sei più informato su queste cose, non hai libertà di andare a cercarti una soluzione.

Il problema è l'identificazione perché la prima cosa quando sei dentro è il sapere di essere un detenuto, ma quando esci non sei libero ma neppure solo detenuto.

Quando sei dentro dici: d'accordo sono un detenuto, quando cominci a uscire non sei libero, non vivi più in sezione con gli altri, puoi comprarti delle cose da solo da portarti da mangiare dentro, poche, ma cominci almeno ad avere un po' di potere decisionale: decidi come truccarti, come vestirtiTi è inoltre concesso il telefono quindi puoi comunicare, puoi decidere cosa mangiare senza avere comunque i vincoli che hai in carcere sebbene tu possa cucinarti da sola le cose a disposizione, già queste sono comunque belle cose. Però quando cominci ad uscire dopo anni che sei stato chiuso ti definiscono e impongono gli orari di uscita e rientro e la strada che devi percorrere. Poi ti devi ricordare cosa puoi portare dentro e cosa no, ad esempio i soldi li devi depositare, quindi ogni sera all'entrata devi fare mente locale a ciò che puoi o non puoi avere in tasca, processo che si ripete tutti i giorni. L'art. 21 è così: tu esci per lavorare e basta, quando passi a semilibero ti si aprono un po' di più gli orizzonti, però anche in questo caso ti viene dato l'orario di uscita, l'orario di rientro, ti viene imposta la strada più breve per raggiungere e tornare dal lavoro, devi pranzare in un esercizio vicinoquindi vuol dire che io non posso decidere la strada da fare o il posto dove pranzare, se non mi va di pranzare sempre lì non posso prendere il vaporetto e farmi un giro diverso, perché potrei essere fermata dai carabinieri. All'inizio la cosa non pesa, non ti preoccupa perché comunque almeno sei fuori, ma dopo un po' comincia a starti stretto. Già le relazioni sono un po' particolari perché: dove vieni mandato a fare volontariato? Da qualcuno che sa già che sei in galera! Lavori in una cooperativa che prende gente che è in galera. Con chi lavori? Con gente che è in galera come te! Allora la situazione è quella in cui, nonostante ti sia vietato frequentare pregiudicati, ti ci trovi a lavorarci assieme! Ci lavori 8 ore al giorno e magari ci fai anche la strada assieme, anche se non si dovrebbe per il divieto che dicevo. Ma queste sono cose da matti! Io mi rifiuto di fare una cosa del genere: stare lontani e non parlarsi durante il tragitto perché la persona che lavora con te e che fa la tua stessa strada è, ovviamente, un pregiudicato. E' assurdo perché con queste persone ci lavori, ci stai assieme, ci mangi assieme, scambi tutto! Allora il mondo delle tue relazioni si limita sempre e solo all'ambiente carcerario. Lavorando, io lavoro in un bar, magari conosci altre persone, ma quando le puoi frequentare? Al cinema con loro non posso andare, non posso decidere di uscire prima dal lavoro e andare al cinema invitando un'altra persona, non è una vita di una persona diciamo, "normale", e allora quando impareremo a fare una vita normale? Ogni tanto infatti, e io mi trovo in imbarazzo, le persona "saltano": poco prima che io cominciassi ad uscire, una che usciva si è fatta chiudere, e secondo me si è fatta chiudere perché non ci stava più con la testa, rischiava di diventare pazza, perché la situazione ti richiede una forza sovraumana. Questa persona forse, prima di entrare in galera, viveva una vita normale, questa non è una vita normale, io sfiderei chiunque a provareAllora io dico, esiste questa benedetta semilibertà? Esiste per gradi: prima facciamo "il 21", poi la semilibertàma gli stranieri hanno come pena accessoria l'espulsione!



[.] Nonostante le associazioni, i convegni e gli incontri, sul territorio non c'è niente! Io ho trovato una casa attraverso l'assistente sociale! Ma allora perché non è possibile trovare un appartamento per queste semilibere? Altrimenti vieni stravolta dal fatto che dalle 9:40 di mattina alle 23:30 di sera quando rientri sei per strada e a lavorare, non è una vita normale. Come si fa a non andare fuori di testa? Mancano tutta una serie di relazioni che  nella vita normale di una persona ci sono: le preoccupazioni che spesso tra noi ci confessiamo riguardano l'esigenza, una volta uscite, di trovare lavoro e di trovare un uomo perché si ha bisogno di affetto, ma queste cose qui non le trovi! Non hai neanche il tempo di coltivare queste cose! Per cui vivi in una solitudine mostruosa e come puoi pretendere che una persona viva in solitudine? Ecco perché molte ragazze non ce la fanno e si fanno chiudere di nuovo a fine pena, sfiancate dagli innumerevoli divieti e vincoli. Poi c'è questa differenziazione tra semiliberi maschi e femmine: con i primi infatti la direzione è più aperta, forse per un senso di protezioneanche perché poi la Giudecca è un po' un set: spesso ci sono giornalisti, fanno spesso concerti, viene la televisioneuna ragazza, che spesso si identifica con me, dice spesso: "io come te volevo andare in galera non in un collegio!"».





Mutuo l'espressione ricomincianti dal libro Donne in sospeso op. cit. .

Le ricomincianti sono coloro che, con un termine prettamente carcerario modificato in origine sarebbero liberanti, ritornano fuori dopo aver scontato la loro pena. Sono quelle persone che dopo aver passato un certo tempo della loro vita nel carcere, escono e cominciano ad affrontare il mondo, quello vero, quello fuori le sbarre e che per questo è temuto e probabilmente meno sicuro dell'universo detentivo.

Le detenute hanno voluto usare il termine ricomincianti in quanto esprime secondo loro meglio, il concetto e le sensazioni di quando una di loro esce per sempre dal carcere, delle emozioni fortissime che la colgono nel suo ritorno alla vita, perché è una sorta di ri-nascita.

Il carcere crea delle dipendenze, de-responsabilizza e dà una protezione da tutto ciò che è esterno.

L'identità subisce degli arresti, ci si infantilizza e quindi tornare a vivere fuori dall'ambiente carcerario è un ri-appropriarsi di una dimensione di maturità e indipendenza che per tempi più o meno brevi è stata congelata.

Parlo anche di identità schizofrenica perché come dice Giulia, una delle detenute della Giudecca che scrive nella Redazione del giornale quando nel passaggio tra detenzione e semi-libertà si comincia a ri-assaporare la libertà si «vive una condizione di equilibrio, o non equilibrio sarebbe meglio dire, schizofrenico,[.] non si è né carne né pesce, né ristretto totale né libero totale».

Bassetti R., 2003, Derelitti e delle pene, Editori Riuniti, analizza nel capitolo Il delinquente è un prodotto della società, l'evolversi delle teorie sociologiche sulla devianza da Merton (Teoria e struttura sociale) alla Scuola di Chicago molta attenzione alla teoria della sub-cultura di Choen (Ragazzi delinquenti) che analizza  comparandola con Matza (Delinquency and drift) e Sutherland (Il crimine dei colletti bianchi).

Cfr. anche Barbaglia, Colombo A., Savona E., Sociologia della devianza, 2003, il Mulino, Bo, pag. 254-255-256.

In Italia vedi art. 29 comma 4, in cui il giudice, se il reato è perseguibile a querela cerca di far conciliare le parti rinviando qualora sia necessario, l'udienza anche di due mesi, utilizzando anche centri preposti all'attività di mediazione, a livello pubblico o privato.

art. 33, d. lgs 28 agosto 2000, n,. 274

Mosconi G. e Sarzotti C., in Antigone in carcere, Terzo rapporto sulle condizioni di detenzione, 2004, Carrocci Editore.

La cooperativa deve il suo nome dal rio interrato che conduce al carcere di Santa Maria Maggiore ed è attiva dal 1994 occupandosi di formazione professionale e di produzione di manufatti negli istituti di pena di Venezia. Dal Marzo1999 la cooperativa è convenzionata con il ministero di Giustizia (legge 689/81) per il lavoro sostitutivo, ossia un lavoro non retribuito di pubblica utilità svolto dagli insolventi di pene pecuniarie. La commercializzazione dei manufatti cosmetici avviene su banchi ambulanti al Mercatino di Natale a Campo S. Stefano e presso la farmacia Ai due San Marchi vicino Campo dei Frari., inoltre sono realizzate confezioni di cortesia su commesse esterne di alcuni hotel.

Mi chiamo V., sono di nazionalità rumena, ho 38 anni e due anni li ho già persi in carcere, sì sono anni persi che non ritroverò mai, e i miei 4 bambini di 14, 12, 9 e 5 anni, dopo 8 anni che devo passare qui, saranno già adolescenti.

[] La mia fortuna è che al mio paese avevo lavorato come sarta, e così ho fatto la domandina per poter lavorare nel laboratorio di sartoria, che mi è stata accettata, e ho avuto l'opportunità di conoscere Annalisa (l'operatrice della Cooperativa Il Cerchio che coordina il lavoro nel laboratorio).[.].Ora ho uno stipendio di oltre 800 euro che mi permette di mantenere i miei bambini, che tuttora vivono in Romania, ma ho anche tante soddisfazioni, pure se non posso viverle nella loro totalità. Il 25 febbraio abbiamo presentato una nostra mostra dei vestiti del '700 veneziano, [.] I vestiti poi sono stati esposti al Caffé Pedrocchi di Padova: a 'indossarli' erano i manichini prodotti dai detenuti del carcere Due Palazzi per la Cooperativa Giotto.

Essendo semi-libere non ci dovrebbero essere contati visivi o comunicativi con le altre detenute in quanto le semi-libere seguono un programma di reinserimento e non devono avere rapporti con altri pregiudicati.

Questo problema è affrontato anche dal Soggetto A nella precedente intervista.

Chiudere: nel gergo carcerario, s'intende quando una detenuta o un detenuto preferiscono rinunciare alla semi-libertà per poter rimanere di nuovo in carcere con un regime normale. Alcune detenute non reggendo alla discrepanza del dentro-fuori dal carcere, dell'essere libera ma non completamente, preferiscono trascorrere in regime carcerario l'ultimo periodo di pena prima di uscire per evitare di commettere infrazioni e allungare così la pena.

In riferimento vedi anche articolo tratto dal sito di Ristretti Orizzonti sull'espulsione dei detenuti stranieri.

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