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La ricerca: il burnout negli agenti di polizia penitenziaria




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LA RICERCA: IL BURNOUT NEGLI AGENTI DI POLIZIA PENITENZIARIA


Negli ultimi venti anni si è riscontrato un crescente interesse verso le ricerche e le pubblicazioni sulla sindrome di burnout nelle diverse realtà lavorative, concentrando l'attenzione sulle professioni prettamente "di aiuto". Sono relativamente poche, invece, le ricerche scientifiche che si occupano di investigare la presenza del fenomeno del burnout nelle professioni che non rientrano specificatamente nelle "helping professions", ma che possono considerarsi professioni, facenti parte del settore terziario del lavoro, 'di confine', rispetto alle professioni che hanno come obiettivo principale quello di istaurare una relazione di aiuto che Perlman (1979) definisce con delle caratteristiche ad essa necessarie: calore, accettazione, empatia, interessamento, autenticità.

Le categorie professionali cui si fa riferimento sono quelle di: avvocati, dipendenti di pubblica amministrazione, vigili del fuoco, poliziotti e tra questi anche gli agenti di Polizia Penitenziaria che non si basano sulla cosiddetta "relazione di aiuto" ma in cui il rapporto, diretto o indiretto, con lo specifico utente è possibile fonte di stress per la sua continuità e particolarità.

Solo nell'ultimo decennio si sono effettuate delle ricerche su alcune di queste categorie che sono andate a implementare l'elenco delle professioni a rischio di burnout; pochi, invece, sono gli studi che citano in questo elenco il personale di sorveglianza dei penitenziari (Burke, 1987; Angelini, Cascio, Papa, 2000).

Il contributo di ricerca pone l'attenzione sulla Polizia Penitenziaria, su una professione spesso dimenticata o bistrattata e che, piuttosto, dovrebbe essere lodata e tenuta in notevole considerazione per i rischi e la continua tensione che devono sostenere quotidianamente. È sicuramente una professione senza eguali: a nessuna persona piacerebbe rinchiudere, costringere, punire un proprio simile, anche se è un compito loro ordinato per ricevere uno 'stipendio mensile'; anche i detenuti la considerano "una delle professioni più difficili al mondo, perché è l'uomo che rinchiude l'uomo"[1].

Le situazioni di stress dettate da condizioni personali, da condizioni organizzative/istituzionali, i conflitti che possono nascere con i superiori, colleghi e detenuti ed il mancato sostegno e riconoscimento sociale possono essere valutati come fattori che possono causare demotivazione e insoddisfazione, provocando quell'atteggiamento rigido e distaccato con i detenuti e gli internati, tipici del burnout (Stotland, Pendleton, 1989).

Queste situazioni possono essere alcuni dei motivi che indurrebbero gli agenti ad abbandonare il proprio lavoro, perché giunti al punto di non riuscire più ad affrontare e trovare una soluzione a queste condizioni problematiche.

Da una ricerca effettuata in PsichoLit, negli ultimi anni solo uno studio ha affrontato l'analisi del fenomeno del burnout negli agenti che operano all'interno degli istituti di pena. Si tratta di una ricerca empirica effettuata in Francia nel 1999 che indaga presso i sorveglianti dei penitenziari la relazione tra burnout e autostima; i risultati hanno riscontrato una tendenza a resistere ad una sindrome da esaurimento occupazionale, ed una correlazione tra l'autostima e il burnout: più è basso il livello d'autostima più alta è la percentuale di burnout. Si è anche riscontrata una più alta autostima nei soggetti più giovani e, quindi, una percentuale più alta di burnout nei soggetti con più anni di impiego.



La ricerca


L'idea di condurre una ricerca sulle condizioni di lavoro degli operatori penitenziari è nata con l'intento di fare luce e cercare di analizzare una realtà professionale, estremamente delicata, che si ritiene debba essere monitorata con costanza e profondità per tenere sottocontrollo, non solo l'effettivo svolgimento di compiti e funzioni di questi agenti, ma soprattutto la relazione esistente fra condizioni soggettive e oggettive di stress e l'attuazione del proprio lavoro. Se si verificasse un declino sempre maggiore delle capacità di resistenza al proprio lavoro da parte degli agenti, sarebbero diversi i problemi e le conseguenze che si ripercuoterebbero, prima nei detenuti, poi nella realtà penitenziaria, nell'istituzione giustizia e, infine, sulla società intera.

Il burnout è una reazione emotivo-cognitivo e comportamentale ed i suoi effetti si ripercuotono sia sulla salute dell'operatore sia sulla sua produttività ed efficienza nell'adempimento dei compiti e servizi realizzati nell'organizzazione lavorativa; per questo motivo il problema non si esaurisce nell'individuo ma diventa un problema pubblico, poiché il disagio si ripercuote sul benessere generale della comunità.

Lo "stress"[2] è una conseguenza delle relazioni con l'ambiente ed insorge tutte le volte che una persona avverte una discrepanza o uno squilibrio tra le richieste dell'ambiente e le sue risorse personali; gli stressors nell'ambito lavorativo sono i più intensi e svariati: l'incertezza sulla retribuzione, la precarietà del lavoro, le cattive relazioni con i colleghi e i superiori, il rapporto continuativo con un numero elevato di soggetti (stressors esterni); i bisogni, le aspettative, gli ideali, le motivazioni, i conflitti personali (stressors interni).

Queste fonti di stress potrebbero condurre ad un deterioramento delle prestazioni professionali degli agenti ed alle eventuali strategie di coping, messe in atto per lenire lo stato di stress costante e crescente e il senso di incapacità a cambiare la condizione di malessere, che risultano sicuramente in contrasto con lo svolgimento del lavoro: ritiro (assenteismo), distacco, evitamento di situazioni spiacevoli, etc.

In questo senso si considera la sindrome del burnout, non tanto uno strumento utile per individuare modificazioni intra-individuali, piuttosto, in modo più sociologico, un indicatore che consente, analizzando il disagio del singolo, di valutare le condizioni organizzative in cui esso si trova ad operare (Cifiello, Pasquali, 1989).

Tutto ciò è in linea di principio con la prospettiva della psicologia di comunità che s'intende seguire nell'analisi del fenomeno del burnout, cercando di non ridurre lo studio del singolo agente in difficoltà ma osservando in toto la realtà professionale della Polizia Penitenziaria, e quindi suggerire eventuali interventi basati sulla promozione del benessere.

La psicologia di comunità si propone, come obiettivo principale, di migliorare l'interazione tra l'individuo e i suoi contesti di vita, il suo ambiente e, più in generale, di migliorare la qualità della vita promuovendo il benessere individuale e sociale attraverso lo sviluppo della comunità e delle capacità individuali di coping (Fracescato, Ghirelli, 1997).

Nel valutare i fattori che contribuiscono alla genesi del burnout si considerano fondamentali, nella ricerca sul territorio siciliano, le caratteristiche socioculturali che influenzano questa categoria professionale. Infatti, è ancora presente in Sicilia una certa sfiducia e diffidenza verso i rappresentanti dello Stato che indossano una divisa, e per riflesso si presenta anche un atteggiamento autoritario e distaccato nei confronti 'dei cittadini' da parte di coloro che rappresentano la Legge.

Questo contributo di ricerca si propone di osservare se la categoria degli agenti penitenziari sia da considerarsi a rischio di burnout, per le caratteristiche professionali e organizzative cui è sottoposto, dando maggiore luce alla relazione che intercorre tra agenti e detenuti. In particolare si devono considerare le varie tipologie di detenuti e internati che l'agente deve controllare, sorvegliare e rieducare: nuovi giunti, detenuti in attesa di giudizio, condannati, stranieri, tossicodipendenti, sieropositivi, serial killers, pedofili, malati mentali, mafiosi, pentiti, "colletti bianchi", etc.

Se si considerano gli agenti di Polizia Penitenziaria, che operano all'interno di uno stesso istituto di pena, come una 'comunità', è possibile notare che in questa particolare 'comunità' non è riuscito a svilupparsi un sano senso di comunità, che solitamente conduce ad una forma di resilience (capacità di risposta ad eventi stressanti) matura e adattiva (Sonn, Fischer, 1998). Al posto di quest'ultima, gli agenti penitenziari utilizzano dei meccanismi di difesa e degli stili di coping, per far fronte ad avversità e a continui eventi stressanti, che permettono il superamento delle difficoltà in maniera effimera e non permanente. In questo caso il senso di comunità, o meglio il senso del 'Corpo' (che si è esposto nel capitolo secondo), incrementa modalità errate di adattamento e di reazione non specifici agli eventi problematici, conducendo invece ad un uso di meccanismi di protezione: generalizzato per contesti e per soggetti, o totale come una corazza difensiva che protegge da qualsiasi stimolo esterno.

Questa ipotesi, purtroppo non dimostrabile attraverso la ricerca, intende focalizzare l'attenzione sul fatto che solo un miglioramento della 'comunità' penitenziaria, nelle sue diverse componenti, può sviluppare un sano e proficuo contatto tra i soggetti che ne fanno parte migliorando la condivisione e la risoluzione dei problemi e delle difficoltà presenti.



Ipotesi di partenza


L'ipotesi di partenza di questa ricerca è che gli agenti di Polizia Penitenziaria sono sottoposti ad un continuo stress dovuto: sia alla relazione con i detenuti, le loro problematiche, le loro condizioni; sia alla relazione con i colleghi, i superiori e i dirigenti dell'istituto penale; sia alla realtà organizzativa e ai compiti istituzionali più o meno delineati e contradditori.

L'analisi dei compiti e delle funzioni degli agenti penitenziari ha portato a considerare una possibile contraddizione che si fa strada nel ruolo di agenti: l'assodata partecipazione degli agenti all'osservazione e al trattamento, che si considera un progresso civile e coerente con le linee costituzionali, potrebbe non essere in sintonia di ruolo e mansione con la più consolidata funzione di controllo e sorveglianza dei detenuti e internati. Questo conflitto di ruolo incrementerebbe, negli agenti maggiormente sensibili e inclini ad un alto livello professionale soprattutto nella relazione con i detenuti, un ulteriore fattore di rischio di burnout.

Analizzando i livelli di burnout, attraverso le tre sottoscale del modello della Maslach (1981), questo contributo cerca di indagare:

la correlazione che sussiste tra la sindrome del burnout, ed in particolare le sue tre scale, ed il grado di soddisfazione lavorativa, e le sue tre subscale (intrinseca, nei rapporti con i colleghi e con i superiori);

l'influenza di alcune variabili anagrafiche (età, sesso, titolo di studio, stato civile, presenza o meno di figli), lavorative (posizione e/o ruolo nel corpo della Polizia Penitenziaria, anni di servizio, servizio svolto, ore lavorative giornaliere) e relative alla vita quotidiana (tempo libero).

Nonostante, siano presenti dei fattori caratteristici dell'origine del burnout anche in questa categoria professionale, si ipotizza che, come dimostrano molte ricerche (Di Maria, Lavanco, Novara, Meli: "Insegnanti in Burnout"; Lavanco, Meli: "Una ricerca su poliziotti e burnout")[3] effettuate in Sicilia su diverse tipologie di lavoratori, il burnout in questa regione non esiste nella sua forma completa, cioè anche 'agita', e nel suo livello più alto. È presente un ingente rischio di burnout in molte professioni del settore terziario, ed in particolare nelle professioni di aiuto, visibile in molti dei servizi rivolti al sociale che risultano scadenti e insufficienti a causa del declino qualitativo e quantitativo dell'impegno personale degli operatori coinvolti (Di Maria, Di Nuovo, Lavanco, 2001).

Questa osservazione nasce dal fatto che la sindrome del burnout nella sua totale manifestazione dovrebbe condurre il soggetto 'bruciato' all'unica scelta strategica consentitagli, ovvero la fuga consapevole dal posto di lavoro per garantire la propria integrità psicofisica; quindi, una rottura con l'esperienza di lavoro che lo ha portato ad un lento esaurimento, a sentirsi costretto a cambiare lavoro.

Nella realtà del meridione il posto di lavoro e il valore che gli si attribuisce sono condizionati dalla crisi socio-economica e dall'alto tasso di disoccupazione, che crea un attaccamento costante al posto di lavoro senza dare possibilità alcuna di abbandonare la posizione di impiego.

La posizione, cui si trova il lavoratore meridionale, di non poter scegliere il lavoro che più soddisfa i suoi bisogni, le sue motivazioni, le sue aspettative, le sue attitudini e capacità, per l'assenza di lavoro e per una forte crisi delle dinamiche lavorative, è un'ulteriore fonte di stress non solo nei disoccupati, ma anche in coloro che, avendo trovato un posto di lavoro fisso, risultano dipendenti e legati ad esso per il resto della vita lavorativa.

Tutto ciò non significa che, non essendoci un 'agito' del burnout attraverso l'abbandono del posto di lavoro, il problema non sussiste, anzi, si aggrava dato che un operatore 'bruciato' implica conseguenze pericolose sulla salute dell'individuo e dell'organizzazione; a questo si aggiunge una quota di stress nell'operatore in burnout che vive in un contesto comunitario che non offre alternative professionali e che non dà sostegno emotivo alle scelte e ai bisogni espressi da un soggetto della comunità (ibidem).

La psicologia di comunità nello studio del fenomeno del burnout può essere considerata la giusta lente di analisi del fenomeno, perché non si limita al disagio del singolo individuo, ma va oltre per osservare l'interazione complessa tra l'individuo, il suo ambiente e l'intero contesto sociale. Inoltre, per quel che riguarda gli interventi sul burnout, la prospettiva della psicologia di comunità si propone come disciplina che guarda in modo più lungimirante la risoluzione del rischio di burnout negli operatori attraverso interventi prevalentemente di tipo preventivo e non solo 'riparativo'; nella realtà siciliana questa è l'ottica più consapevole dato che non si tratta di aiutare 'gli operatori dell'aiuto' ma di dover far fronte ad un elevato rischio di burnout.



Gli strumenti utilizzati


Per effettuare la ricerca si è stilato un protocollo di cinque pagine che comprende la scala di valutazione del burnout (MBI), la scala di soddisfazione del lavoro di Weiss e coll. (MSQ) e un questionario socio-anagrafico, per la raccolta di informazioni inerenti il target.

Per la misurazione della sindrome del burnout si è utilizzato l'adattamento italiano, a cura di Sirigatti e Stefanile (1993), del Maslach Burnout Inventory composto da 22 item, cui gli autori hanno apportato modeste modifiche di forma; in linea con quanto da loro indicato, al posto del generico termine di "utente" si è preferito, per chiarezza, specificare la categoria di soggetti al quale gli agenti di Polizia Penitenziaria indirizzano la loro attività, cioè i detenuti e/o internati.

Come già detto, il Maslach Burnout Inventory (MBI) è un questionario, messo a punto all'Università della California di Berkeley da Christina Maslach e Susan Jackson, che permette di misurare e valutare la sindrome del burnout secondo la teorizzazione di un costrutto multifattoriale, riconducibile a tre dimensioni tra loro indipendenti: l'esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale.

Per la misurazione della soddisfazione lavorativa è stata adoperata una scala di valutazione derivata dal Minnesota Satisfaction Questinnaire (Weiss, Davis, England, Lofquist, 1967), composta da 20 item, che possono essere raggruppati in quattro subscale che misurano: la soddisfazione nei rapporti con i superiori, con i colleghi, relativamente al trattamento economico e alle mansioni. Gli autori definiscono la soddisfazione o insoddisfazione lavorativa come una variabile riferita a positive o negative reazioni che la gente assume a lavoro, e che può essere misurata lungo un continuum che va dalla soddisfazione all'insoddisfazione passando per gradi intermedi.

Della versione italiana sono stati utilizzati 11 item, adoperati in precedenti ricerche (Di Nuovo, Alba, 1990; Di Nuovo, Carfì, 2001; Di Maria, Lavanco, Meli, 2001), che prevedono quattro possibilità di risposta all'affermazione, sullo schema delle scale Likert a 4 punti senza punto centrale, che vanno da "Totalmente d'accordo" a "Totalmente non d'accordo". Il punteggio assegnato per ciascun item varia pertanto da 1 a 5, non considerando il valore intermedio 3.

Si è scelto questo strumento perché consente di valutare sia la soddisfazione personale rispetto alla propria attività lavorativa, "soddisfazione intrinseca", sia quella che deriva dai rapporti interpersonali con i colleghi e con i superiori, "soddisfazione estrinseca", permettendo di suddividere il punteggio in tre subscale: una di soddisfazione intrinseca e due di soddisfazione estrinseca.

Infine, una scheda socio-angrafica ci ha permesso di conoscere alcune caratteristiche del gruppo coinvolto: sesso, età, stato civile, livello di istruzione, numero di figli, tipo di attività lavorativa, anzianità di servizio e anzianità di servizio nell'attuale sede, quindi di valutare gli eventuali effetti di queste variabili sul fenomeno del burnout nella professione presa in esame dalla ricerca.



Il gruppo coinvolto


Per la reperibilità del gruppo coinvolto si è trovata estrema difficoltà, poiché non si è trovato consenso dalle parti dirigenziali e amministrative dei penitenziari. Si è fatta, inizialmente, richiesta al direttore della casa circondariale di Palermo "Pagliarelli" di un'autorizzazione che permettesse di somministrare i protocolli agli agenti di Polizia Penitenziaria nelle aree non detentive dell'istituto, precisando il tipo di ricerca e l'anonimato dei protocolli. Tale richiesta, indirizzata al direttore dell'istituto, è stata trasmessa al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) di Roma che a sua volta ha rimandato al Provveditorato regionale dei penitenziari, sito a Palermo, la facoltà di decisione sulla richiesta d'autorizzazione. Dopo un'attesa di circa cinque mesi tale richiesta è stata rifiutata addicendo motivi di privacy e di sicurezza. Nell'attesa, si è preso contatto con l'Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria (OSAPP) della regione siciliana[4] che, interessata alla ricerca, ha disposto il suo aiuto per il completamento della ricerca e la reperibilità del gruppo coinvolto.

Hanno collaborato alla ricerca 34 agenti di Polizia Penitenziaria che svolgono la loro attività in due istituti di pena, e precisamente 24 agenti nella "Casa Circondariale Ucciardone" di Palermo e 10 agenti nel nuovo plesso "Casa Circondariale Pagliarelli" di Palermo (vedi in Appendice il Grafico 1).

La ricerca punta ad esaminare il fenomeno del burnout nella categoria professionale degli agenti di Polizia Penitenziaria, non tenendo conto dell'istituto dove si espleta il servizio, quanto della territorialità di tali istituti che insistono, appunto, sul territorio della Provincia.

A ciascuno dei soggetti del gruppo coinvolto è stato somministrato, individualmente o a piccoli gruppi (due o tre agenti), il protocollo contenente le due scale, MBI e Soddisfazione Lavorativa, e la scheda socio-anagrafica. È stato garantito ai partecipanti l'anonimato del protocollo e chiarito che l'analisi statistica sarebbe stata effettuata, per scopi scientifici, aggregando complessivamente i dati e i risultati. Sono state fornite spiegazioni sulla compilazione del protocollo, ed è stato chiesto ai soggetti di leggere e rispondere a tutti gli item con la massima sincerità e veridicità.

Il gruppo coinvolto è composto da 30 soggetti di sesso maschile (88,2%) e 4 di sesso femminile (11,8%); la proporzione tra i sessi nella composizione del gruppo rispecchia quella esistente nella popolazione di questa professione, che vede prevalere nettamente gli agenti uomini (d'altra parte, la popolazione detenuta è in gran parte di sesso maschile). È necessario, nell'analisi dei dati, tenere conto di questa differenza di numerosità (v. in Appendice il Grafico 2).

Nella composizione del gruppo coinvolto, riguardo allo stato civile, risulta che 24 soggetti (70,6%) sono attualmente coniugati, 8 agenti (23,5%) risultano celibi o nubili e 2 risultano divorziati o separati (5,9%). Del gruppo coinvolto 14 soggetti (41,2%) non hanno figli (v. Grafico 3).

Relativamente alla variabile del titolo di studio conseguito, 15 soggetti (44,1%) sono in possesso di licenza media inferiore, 17 agenti (50%) hanno conseguito il diploma di scuola media superiore e solo 2 agenti (5,9%) hanno ottenuto la laurea (v. Grafico 4).

Gli agenti, partecipanti alla ricerca, presentano una composizione rispetto alla posizione e/o grado nel Corpo di Polizia Penitenziaria così distribuita: 4 soggetti del gruppo coinvolto (11,8%) ricopre la posizione di "agente semplice", 7 agenti (20,6%) sono "agenti scelti", 10 soggetti hanno raggiunto il grado di "assistente" (29,4%), altri 10 il ruolo di "assistente capo" e soltanto 3 agenti (8,8%) del gruppo coinvolto ricopre la posizione di "ispettore" (v. Grafico 5). Si deve tener conto che gli scatti di anzianità di grado all'interno del Corpo di Polizia Penitenziaria, prescindendo dall'avanzamento per merito, sono così distribuiti: da zero a 5 anni si ricopre il grado di "agente", da 5 a 10 si raggiunge la posizione di "agente scelto", da 10 a 15 anni di anzianità si ricopre il grado di "assistente", da 15 anni a fine carriera si raggiunge il grado di "assistente capo", e solo grazie a concorso interno, si arriva alla posizione di "ispettore".

Rispetto al servizio svolto dagli agenti all'interno degli istituti di pena, si è riscontrata la distribuzione seguente: 19 agenti (55,8%) svolgono, al momento della ricerca, il servizio di "turnazione", in pratica non hanno un servizio ben preciso ma vengono disposti i loro turni dalla dirigenza della Casa Circondariale in cui operano secondo le necessità, in modo che tutti svolgano gli stessi servizi a turno; 9 agenti (26,5%) svolgono servizio di "posto fisso", ossia vengono assegnati loro delle mansioni e dei compiti bene determinati (ad esempio, i posti di ragioneria, di contabilità e di spaccio); infine, 6 agenti (17,6%) esplicano la funzione di "traduzioni", vale a dire il servizio di trasporto dei detenuti e degli internati al di fuori del carcere (trasporto in ospedale e in tribunale) (v. Grafico 6).

Infine, per quanto riguarda il tipo di occupazione nel tempo libero il gruppo coinvolto dichiara di passarlo prevalentemente in famiglia e facendo sport, sono da enunciare due sole risposte insolite: un agente dichiara di passare il tempo libero dormendo e un altro agente di passarlo nel tragitto da Palermo a Trapani e viceversa (v. Grafico 9).

Nella tabella 1 sono inserite le medie e le deviazioni standard delle variabili: età, numero di figli, anni nella Polizia Penitenziaria, anni di servizio nell'attuale istituto di detenzione, anni nel servizio attuale, ore lavorative giornaliere.


Tab. 1 - Media e deviazione standard delle variabili: età, n° di figli, anni nella Polizia Penitenziaria, anni nell'istituto attuale, anni nel servizio svolto attualmente, n° di ore di lavoro al giorno


Età

Numero di figli

Anni

P.P

Anni

istituto

Anni

servizio

Ore

giorn.

MEDIA







D.S.









Analisi dei dati e risultati


I dati raccolti sono stati elaborati mediante il programma computerizzato per l'elaborazione statistica Spss, supportato, per la semplicità d'uso, dal programma per fogli di calcolo: Excel del pacchetto "Office 2000".

Sono state calcolate medie e deviazioni standard delle tre dimensioni del burnout (Esaurimento Emotivo, Depersonalizzazione, Realizzazione Personale) e della soddisfazione lavorativa totale e delle tre subscale (Intrinseca, Rapporto con i Colleghi, Rapporto con i Superiori); si è tenuto conto dei limiti derivati dalla differenza numerica della composizione del gruppo coinvolto riguardo al sesso, ed è stata valutata la significatività delle differenze tra le medie dei maschi e delle femmine utilizzando la t di Student (v. tab. 2).


Tab. 2 - Media e deviazione standard delle scale nei due sessi e nel gruppo coinvolto totale

 

Maschi

(n = 30)

Femmine

(n = 4)

Tot. Gruppo

(n = 34)


MEDIA

D.S.

MEDIA

D.S.

MEDIA

D.S.

EE







DP







RP







SL







SLI







SRC







SRS







* = p<.05

(EE= Esaurimento Emotivo, DP= Depersonalizzazione, RP= Realizzazione Personale, SL= Soddisfazione Lavorativa, SLI= Soddisfazione Intrinseca, SRC= Soddisfazione Rapporto con i Colleghi, SRS= Soddisfazione Rapporto con i Superiori)


Non è stata riscontrata una significativa differenza tra le medie della scala EE, come risulta da altre ricerche sul burnout in cui le donne ottengono maggiori valori rispetto agli uomini. C'è, invece, una differenza statistica significativa (p<.05) per quanto riguarda le scale DP e RP; questo si può spiegare considerando il lavoro di agente penitenziario prettamente maschile, secondo lo stereotipo comune, in quanto è una professione che indurisce e che non è confacente alla realizzazione personale e professionale nelle donne.

Nel complesso, si nota una media del gruppo coinvolto totale leggermente maggiore, ma sempre intorno al livello medio, nella scala EE rispetto al campione totale (n = 1779) della standardizzazione italiana effettuata da Sirigatti e Stefanile (1993), e notevolmente maggiore, invece, la media della scala DP (10,65) sempre rispetto al suddetto campione (5,34). Questo valore, che arriva a superare di molto un livello alto della componente depersonalizzazione del burnout, si può spiegare solo considerando la particolare tensione e atmosfera in cui gli agenti si trovano a lavorare e l'indurimento emotivo che scaturisce dal contatto con i detenuti; infatti, all'item 22 dell'MBI (Ho l'impressione che i detenuti/internati diano la colpa a me per i loro problemi) si è riscontrata una prevalenza di valori alti, in quasi tutti i protocolli.

Anche per quanto riguarda la scala RP si è riscontrato un valore interessante (29,18) che, rispetto la soglia critica del campione di standardizzazione (33,99), può essere considerato un valore di bassa realizzazione personale e, quindi, di elevato livello di burnout. Quest'altro indice è spiegabile considerando che la professione di agente di Polizia Penitenziaria non permette di realizzare le aspettative e i valori che motivano gli operatori, forse a causa della situazione lavorativa "sovradelineata" che restringe il ruolo e le funzioni in modo preciso e dettagliato (v. pag. 84).

Relativamente alla scala di soddisfazione lavorativa e le sue subscale, i valori ottenuti si aggirano ai livelli medi di soddisfazione, ad eccezione di un indice maggiore per la scala di soddisfazione dei rapporti con i colleghi che è riferibile alla stretta collaborazione tra colleghi e alla partecipazione ad un Corpo dello Stato, cioè quel senso del 'Corpo' che abbiamo enunciato nel secondo capitolo.

Sono state calcolate, quindi, le correlazioni, utilizzando il coefficiente r di Pearson (-1,00 < r < 1,00), fra le tre scale dell'MBI (Esaurimento Emotivo, Depersonalizzazione, Realizzazione Personale) e le quattro subscale dell'MSQ (Soddisfazione Lavorativa, Soddisfazione Lavorativa Intrinseca, Soddisfazione dei Rapporti tra Colleghi, Soddisfazione dei Rapporti con i Superiori) (v. Grafico 7).

Tab. 3 - Correlazione fra le scale

SCALE

EE

DP

RP

SL

SLI

SRC

SRS

EE








DP








RP








SL








SLI








SRC








SRS








* = p<.01 (limite critico r >0.50); ° =p<.05 (limite critico r >0.39);

# = effect-size superiore al valore critico secondo Cohen (r >0.30).


Oltre a considerare i tradizionali limiti di probabilità (p<.05; p<.01) sono state pure evidenziate le tendenze rilevanti in quanto superiori al coefficiente r=.30, corrispondente al "mean effect-size" (dimensione di effetto medio) formulato da Cohen (1977).

Dalla tab. 3 va evidenziato che i tre fattori che costituiscono il burnout non sono indipendenti, ma, al contrario, fortemente correlati tra loro (r 0.50), positivamente l'"esaurimento emotivo" e la "depersonalizzazione" e negativamente queste due con la "realizzazione personale", in linea con gli studi effettuati con questo strumento. Inoltre, la scala di soddisfazione lavorativa presenta una buona correlazione (r>0.50) con tutte e tre le sue subscale.

Riguardo alla correlazione tra le tre componenti del burnout e le tre subscale della soddisfazione lavorativa e il suo valore totale, risulta una forte correlazione negativa tra le scala SLI e SRC con le scala EE e DP, ed una correlazione positiva tra le prime due scale e la scala RP.

Quindi, si può concludere che ad un innalzamento del livello di burnout, seguendo l'andamento delle sue tre componenti (la scala di "realizzazione personale" è inversamente correlata) si verifica, in stretta connessione, un abbassamento della soddisfazione lavorativa.

Si è anche calcolato (tab. 4) l'indice di correlazione tra le scale interessate e le variabili del gruppo coinvolto: età, numero di figli, anni nella Polizia Penitenziaria, anzianità nell'Istituto attuale, anni svolti nell'attuale servizio e le ore lavorative giornaliere (v. Grafico 8 in Appendice)


SCALE

Età

N° figli

Anni P. P.

Anni

Ist. attuale

Anni serv.

Ore giorn.

EE







DP







RP







SL







SLI







SRC







SRS







Tab. 4 - Correlazioni tra scale e variabili socio-anagrafiche del gruppo coinvolto

° =p<.05 (limite critico r >0.39);

* = effect-size superiore al valore critico secondo Cohen (r >0.30).


Le correlazioni significative (-0.30< r >0.30) tra le scale e le variabili del gruppo coinvolto sono: l'EE con gli anni nel servizio svolto e con le ore lavorative giornaliere, spiegabile attraverso la stanchezza del lavoratore a svolgere più ore sempre nello stesso servizio; la scala DP correla negativamente con il numero di figli, con l'anzianità nell'istituto attuale e le ore giornaliere, dipendenza dovuta ad una sorta di fattore protettivo che i figli, e forse anche la permanenza nello stesso istituto, hanno nell'indurimento emotivo degli 'agenti padri' (questa correlazione in altre ricerche si è verificata maggiormente nell'esaurimento emotivo); la scala di soddisfazione lavorativa intrinseca (SLI) presenta due correlazione positive con l'anzianità nel Corpo di Polizia Penitenziaria e nell'Istituto dove si svolge servizio attualmente perché con l'aumentare dell'anzianità si consolida la soddisfazione e la scelta personale del lavoratore, anche grazie all'aumentare di posizione e/o grado; la correlazione negativa tra la scala SLI e le ore di lavoro svolte giornalmente non ha bisogno di spiegazioni, più si lavora e meno si è soddisfatti; infine, c'è una forte correlazione negativa tra la soddisfazione dei rapporti con i colleghi (SRC) e gli anni in cui l'agente svolge il medesimo servizio, forse perché all'aumentare degli anni in un determinato servizio (a turno, posto fisso e traduzioni) si indebolisce il rapporto con i colleghi diventando, sempre più, insoddisfacente.

Per confermare alcune tendenze che emergono dai risultati delle correlazioni che abbiamo preso in esame precedentemente, è bene differenziare le medie delle scale secondo tre classi di anzianità nella Polizia Penitenziaria, scelte secondo la distribuzione del gruppo coinvolto, da 2 a 10 anni, da 11 a 19 anni e da 20 a 29 anni di servizio svolto come agente penitenziario (tab. 5).

Come si può notare emergono dei dati rilevanti: nella classe di anzianità centrale si è verificata una media maggiore della scala EE che nelle altre classi (p<.05), lo stesso vale per la scala di RP (p<.05), ciò significa che negli anni di anzianità centrali c'è una maggiore realizzazione personale, ma anche un maggior rischio di esaurimento emotivo; andando avanti negli anni si verifica, anche, una maggiore resistenza agli effetti di inaridimento emotivo e di depersonalizzazione; seguono l'andamento dell'anzianità nel Corpo di Polizia Penitenziaria, anche le scale di soddisfazione lavorativa (totale, intrinseca e di rapporto con i colleghi), ad eccezione del rapporto con i superiori.

Tab. 5 - Medie e deviazioni standard delle scale in tre classi di anzianità nella Polizia Penitenziaria

Scale


da 2 a 10 anni

da 11 a 19 anni

da 20 a 30 anni

EE

MEDIA




D.S.




DP

MEDIA




D.S.




RP

MEDIA




D.S.




SL

MEDIA




D.S.




SLI

MEDIA




D.S.




SRC

MEDIA




D.S.




SRS

MEDIA




D.S.




* = p<.05

Altra variabile del gruppo coinvolto importante è il tipo di servizio svolto dagli agenti, che ha degli andamenti da segnalare per quanto riguarda le medie e le deviazioni standard delle scale dell'MBI e dell'adattamento italiano dell'MSQ. Nonostante siano solo tre i servizi evidenziati durante l'analisi, "turnazione", "posto fisso" e "traduzioni, si denotano delle differenze significative tra le medie nelle scale (tab. 6).

Tab. 6 - Medie e deviazioni standard delle scale in relazione al servizio svolto

Scale


Turnazione

Posto Fisso

Traduzioni

EE

MEDIA




D.S.




DP

MEDIA




D.S.




RP

MEDIA




D.S.




SL

MEDIA




D.S.




SLI

MEDIA




D.S.




SRC

MEDIA




D.S.




SRS

MEDIA




D.S.




* = p<.05                                                   

Si evince un maggior livello di esaurimento emotivo nel servizio di "traduzioni", ma un livello più alto (p<.05) della componente di depersonalizzazione nel servizio "turnazione", questo probabilmente perché in questo servizio si profila un contatto più frequente con i detenuti/internati, rispetto agli altri servizi. Altro dato da sottolineare, è un maggior livello di soddisfazione lavorativa (in tutte le sue subscale) nel servizio di "traduzioni" (p<.05), questo perché è un servizio di maggiore responsabilità e professionalità, e dove molto tempo viene impiegato all'esterno degli istituti di pena durante il trasporto dei detenuti, il piantonamento e il controllo degli stessi nei tribunali e ospedali.



Considerazioni conclusive


Il limitato numero di soggetti che compongono il gruppo coinvolto suggerisce di considerare i dati emersi come indicazioni di tendenza, più che elementi su cui trarre vere e proprie conclusioni.

Dai risultati emersi si può evincere un livello di burnout medio-alto, in quanto gli agenti di Polizia Penitenziaria manifestano segni particolarmente marcati di depersonalizzione, infatti, il gruppo coinvolto presenta un valore medio molto alto (10,65) rispetto al valore dal quale il manuale (Maslach, 1981) considera alta questa dimensione (6); lo stesso vale per la scala di realizzazione personale, che il manuale considera come alto livello di burnout al di sotto di 31 e che nel gruppo ha raggiunto un livello medio di 29,18 evidenziando una ridotta realizzazione personale. Invece, la media della scala di esaurimento emotivo (20,79) non si allontana molto dal livello medio stabilito dal campione di standardizzazione del manuale (tra 14 e 22).

Pur ricordando le differenze di numerosità presenti nei sottogruppi dei partecipanti alla ricerca è interessante sottolineare un maggiore livello di burnout espresso dal sesso femminile, in tutte le sue tre componenti, in accordo con la letteratura sull'argomento; si evince anche una minore soddisfazione lavorativa da parte di questo sesso.

Le correlazione significative tra dimensioni del burnout e aspetti socio-anagrafici sono abbastanza limitate, ma ci permettono di mettere in rilievo che i soggetti più a rischio sono i soggetti appartenenti ad una fascia centrale di anzianità nel Corpo di Polizia Penitenziaria (da 11 a 19 anni) e che all'aumentare degli anni aumenta la soddisfazione lavorativa intrinseca e nel rapporto con i colleghi e diminuisce il livello di depersonalizzazione. Probabilmente, l'esperienza acquisita negli anni di lavoro è un fattore di protezione verso l'inaridimento emotivo e, quindi, verso il burnout. Invece, il livello di esaurimento emotivo risulta correlato positivamente con il passare degli anni in un medesimo servizio.

Riguardo al tipo di servizio svolto, si è notata una maggiore soddisfazione lavorativa in tutte le subscale da parte di coloro che svolgono servizio di "traduzione", nonostante presentino un valore medio più alto di esaurimento emotivo; probabilmente si spiega per una maggiore partecipazione 'emotiva' dato che sono impegnati al trasporto dei detenuti in situazioni più delicate (ospedale e tribunale).

In ogni modo, la componente del burnout che ha presentato un livello maggiore e che comporta più alte quote di tale sindrome è il fattore di depersonalizzazione, da tenere sotto controllo in questa professione.




Dichiarazione di detenuti in: Ristretti Orizzonti Anno 3 n° 1 febbraio 2001, Periodico di informazione e cultura dal carcere Due Palazzi di Padova.

Selye definisce lo "stress" come una sindrome generale di adattamento, cioè un insieme di modificazioni psicofisiologiche che gli organismi presentano in risposta agli stimoli esterni per mantenere la propria integrità; più precisamente, lo stress è una risposta non specifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso (Selye H., 1956, The stress of life, McGraw-Hill, New York).

Ricerche presenti in: Di Maria F., Di Nuovo S., Lavanco G. (2001), Stress e Aggressività 'Studi sul burnout in Sicilia', Franco Angeli, Milano.

Si ringrazia il vicesegretario dell'OSAPP della regione siciliana e i suoi collaboratori.

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Appunti su: polizia penitenziaria burnout, percentuale di meridionali nella polizia penitenziario, burnout polizia penitenziaria,



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