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Interviste - CARCERE




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Interviste - CARCERE


Adriano Morrone



D: Lei è stato un educatore .

R: Ebbene sì, ho fatto l'educatore in Toscana, a S. Gimignano, in provincia di Siena.

Poi ho fatto un breve periodo di missione a Prato, e poi sono stato per un periodo anche a Frosinone.

D: Quando ha iniziato?

R: Be', nell'amministrazione penitenziaria sono entrato nel 1987, come educatore nel '91 . fino al '96.

D: In che consiste il lavoro dell'educatore?

R: La legge dice che uno deve occuparsi dell'attuazione del trattamento penitenziario e quindi di tutti gli interventi in ambito soprattutto intramurario, dell'organizzazione di attività culturali, ricreative e  sportive, e chiaramente nell'ambito di questo organizzare l'equipe e seguire i lavori per quanto riguarda l'osservazione scientifica della personalità, per l'individuazione del programma di trattamento. Fa opera di coordinamento, in questo ambito, nel senso di assemblare i contributi degli altri professionisti e seguire le scadenze.

È l'educatore che individua i casi da sottoporre all'equipe, ma è sempre legato alle esigenze della magistratura, comunque.

D: Ad esempio?

R: Ad esempio: "il 25 novembre c'è l'udienza alla camera di consiglio, chi c'è? Andiamo a vedere: ci sono Tizio e Caio che hanno presentato istanza, questo per la liberazione condizionale, questo per l'affidamento in prova: bisogna mandare la relazione al Tribunale di Sorveglianza. Quindi ci dobbiamo vedere prima".

Tuttavia esigenze di sovraffollamento, esigenze di carenza di organico, difficoltà di coordinamento, di tempi, e di sovraccarico del lavoro possono portare anche a non svolgere questo tipo di attività. E allora la Magistratura, spesso l'educatore, fa una relazione comportamentale.

D: Cioè sulla condotta?

R: Sì, fa qualche tipo di osservazione che riguarda il comportamento esteriore del detenuto all'interno del carcere, quindi il comportamento con i compagni, con gli operatori .

Poi c'è la famosa frasetta "NON HA COMMESSO INFRAZIONI DISCIPLINARI", oppure "HA UN COMPORTAMENTO PRIVO DI RILIEVI DISCIPLINARI", oppure "GLI È STATA IRROGATA QUESTA SANZIONE".

Personalmente quando ho trattato queste persone . spesso neanche le conoscevo. Le considerazioni si facevano quasi esclusivamente in base al fascicolo, si vedeva se aveva infrazioni disciplinari.

D. E il contatto educativo con il detenuto?

R: Si realizzava nell'ambito delle attività, e comunque anche nell'ambito del colloquio di primo ingresso dei detenuti, e quella già era una fase di approccio, di prima osservazione.

Dunque anche andare a vedere se era presente stress da evento detenzione.

D: Usufruivano di questo servizio soltanto coloro i quali provenivano dalla libertà?

R: Si fa anche per chi proviene da altre carceri.

E poi si facevano altri colloqui, spesso su domanda del detenuto, altre volte su iniziativa dell'educatore, legato magari proprio al tipo di attività: come le dicevo prima, se c'è il 25 novembre la camera di consiglio, c'è Tizio, che io so che c'è l'equipe una settimana prima, domani o dopodomani entro nella sezione, lo chiamo e ci faccio una chiacchierata.

E  comunque è l'educatore l'operatore più presente in carcere.

D: Quali sono le maggiori difficoltà che un educatore può incontrare nello svolgimento delle sue mansioni?

R: Sono quelle legate all'emergenza quotidiana: se un educatore ha centocinquanta o trecento detenuti .

Poi c'è anche la realtà specifica nella quale uno opera, spesso difficoltosa, non solo per i grandi numeri ma anche nell'ambito delle relazioni con il personale dello studio, della custodia, o con la direzione.

D: Come mai con gli agenti di custodia?

R: Sicuramente per il generale livello socio-culturale basso, ma comunque c'è una concezione differente dei rapporti da instaurare con i detenuti e della finalità della pena.

È legata anche al fatto che indubbiamente la custodia è in sezione dalla mattina alla sera, vede certe cose .

D: Ha un diverso approccio .

R: Sì, lei consideri che gli educatori, quando entrarono nel '68 non erano visti bene.

D: Da chi?

R: Dal personale di custodia, dalla stessa direzione.

Hanno dovuto fare grossi sforzi per entrare ad operare all'interno della sezione. Alcuni direttori addirittura i colloqui non volevano farli fare all'educatore, bensì al comandante dell'amministrazione penitenziaria.

Bisogna anche capire l'opposta concezione della pena, si ricordi a tal proposito che si era negli anni settanta, e molto spesso chi si avvicinava al lavoro dell'educatore considerava l'ideologia trattamentale in maniera molto più estremistica ed illusoria di ora.

D: Sono cambiate le cose da allora?

R: Considerando che non ci sono state grosse assunzioni da allora, e che i colleghi sono pressappoco sempre gli stessi, c'è sicuramente più disillusione, perché il contatto quotidiano con la realtà, anni passati in quella realtà . molti hanno anche sindrome da burnout.

È sicuramente molto meglio fare il direttore che non l'educatore .

D: Davvero?

R: Siiii . Ho fatto l'educatore: è un lavoro da sfigati, questo lo scriva! (ride)

D: Come mai lo ha scelto, allora?

R: Be', quando uscì il concorso io ero già nell'amministrazione.

Uscì solo quello, se fosse uscito quello da direttore, l'avrei fatto sicuramente: mi sono sempre più sentito vicino ad un direttore che non ad un educatore . Mi sono dovuto gestire persone uscite fuori di testa, persone che magari aspettavano il lavoro da tanto . sempre "Non c'è posto, non c'è posto", però la realtà è che siccome non sei prepotente il posto non ce l'hai .

È capitato che qualcuno è andato fuori di testa . Però poi nella cella ci sono dovuto andare io. Così come un tizio che voleva parlare da giorni con il direttore, e noi dicevamo "Il direttore non c'è, il direttore è impegnato, eccetera eccetera", mentre io parlavo con questo detenuto, dalla cella lui ha visto con lo specchietto che il direttore stava all'inizio del corridoio della sezione, ha cominciato a chiamare, ma il direttore s'è girato e se ne è andato.

È facile fa' il direttore, così .


D: Il regime del 41-bis, nella sua opinione, quanto tende alla rieducazione e in che misura è invece una misura puramente affittiva?

R: La Costituzione dice che le pene devono tendere alla rieducazione, dunque l'amministrazione penitenziaria offre un'opportunità, che il soggetto è libero di decidere se cogliere oppure no.

Per determinati tipi di criminalità, come la criminalità mafiosa, bisogna prendere atto che gli interventi rieducativi sono .

D: A vuoto?

R: Sì. Già ci sono grosse difficoltà nel raggiungere l'obiettivo della rieducazione in generale.

La sottocultura mafiosa è così particolare che è molto difficile che si possa perseguire effettivamente un obiettivo del genere. Al tempo stesso è un tipo di criminalità che all'interno del carcere è particolarmente pericolosa, perché . sopraffazione nei confronti degli altri detenuti, nei confronti del personale . comunque contatti con l'esterno riescono sempre ad averli .

E allora è comunque giusto che un regime differenziato, più rigido, dove i diritti umani siano comunque compressi al minimo, perché è inevitabile .

Tra queste misure, quella di derogare al principio di territorializzazione della pena: generalmente la politica dell'amministrazione carceraria è quella di consentire l'espiazione della pena del soggetto in un luogo per quanto possibile vicino al luogo di residenza. Ad un certo punto si è invece proprio fatta una politica per i mafiosi di mandarli nella carceri del Nord, perché magari, come è capitato all'Ucciardone, ad un certo punto è uscito fuori che nelle sezioni c'erano i telefonini cellulari .

D: Era anche più facile ricattare gli agenti di custodia di servizio in sezione .

R: Certo, del tipo "Noi sappiamo chi sei, la famiglia tua . ".

Se continuano a stare nel territorio e ad avere contatti, hanno più possibilità di far passare ordini o comunque di ottenere benefici di tipo illecito attraverso gli altri compagni di detenzione. Ed ecco che così si arriva all'esigenza di una rigida separazione tra i detenuti.

Nel circuito di massima sicurezza vi confluiscono anche autori di reato che pur non avendo la condanna per i reati del 416-bis, sono comunque organici all'associazione.

D: Per quale reato pensa possa essere ancora valido un trattamento risocializzativo?

R: Mah, il discorso non è legato tanto al tipo di reato, quanto proprio al soggetto, alla sua volontà, alla situazione socio-familiare che ha alle spalle, quindi poi sostanzialmente alla concezione di vita che ha.

D: Non crede che tutto questo confluisca poi anche nella scelta, diciamo così, del crimine da intraprendere?

R: Mah, io le posso riferire del primo colloquio con un detenuto, anziano, condannato per reati contro il patrimonio . una vita condotta dentro e fuori dal carcere . venne da me e mi disse: "Ma io che ci vengo a fa' da lei? Ma lei che me deve rieduca': io è 'na vita che faccio così, lei è giovane, ma che ne può sape'", e io risposi che lo stato deve dare un opportunità, e che chi la vuole cogliere la colga.

Quando è così, come nel caso di questo detenuto, il carcere diventa un momento della vita.

D: Un evento messo in conto.

R: Soprattutto nelle case circondariali, dove portano gli imputati, chi arrestano, sostanzialmente, a differenza delle case di reclusione, dove vanno i definitivi . e questi che entrano e escono si conoscono con le guardie e con gli altri detenuti . "Ah! Sei già rientrato? Ma come? Sei uscito una settimana fa!"

D: Lei che correttivi apporterebbe a questa situazione?

R: Mah . questi sono handicap fisiologici, sia perché stiamo parlando di lavorare sulle persone . il trattamento si basa sulle scienze umane che sono fallibili . Bisogna solamente essere consapevoli che l'obiettivo è raggiungibile solo qualche volta.

Vale la pena, comunque, di conseguire l'obiettivo, perché già il risultato minimo è una qualche persona in meno che delinque.

Inoltre ormai il trattamento sta evolvendo verso il tipo disciplinare, rispetto al modello correzionale, che proponeva un tipo di intervento per modificare la personalità. Le difficoltà hanno portato alla concezione di indurre il detenuto a porre in essere determinati comportamenti per ottenere determinati benefici.

Al tempo stesso lo Stato si accontenta di ottenere comportamenti conformi, e non va a vedere un discorso di redenzione del reo: si guarda solo al comportamento esteriore.

D: La conformità si richiede solo rispetto alle regole penitenziarie?

R: No, anche alle regole sociali. È il discorso che le facevo prima: "HA TENUTO UN COMPORTAMENTO PRIVO DI RILIEVI DISCIPLINARI"; non esprimo quindi un giudizio sulle sue intenzioni, così come quando, riferendoci al contesto socio-familiare, si annotano se ha contatti, con quali parenti, se lega con i detenuti, e così via, ma niente di più . Lo psicologo non so proprio cosa potrebbe scrivere, vista la situazione!

D: Mi può riferire dell'esperienza di un detenuto reinserito nella società?

R: Rammento che c'era un pluriomicida, a cui uno avrebbe dato tranquillamente le chiavi di casa, perché nel corso degli anni e una vita passata in carcere, aveva dato più volte prova di lealtà, di ravvedimento, anche in situazioni critiche, di rivolte, aveva dato una mano al personale di custodia. E comunque i reati che aveva commesso, li aveva commessi svariati anni prima, in determinate circostanze.

Devo dire che lui era chiaramente un soggetto ravveduto, anche se lui diceva che si era pentito del primo omicidio, che lui aveva commesso accidentalmente a seguito di una rapina a mano armata, ma non si era pentito dell'omicidio della moglie e del di lei amante che aveva commesso anni dopo. Lui era appena uscito in permesso, volle fare una sorpresa alla moglie e .

D: Un classico .

R: Umanamente è anche comprensibile. Io l'ho conosciuto che era in semilibertà, con una nuova compagna, un tipo di vita regolare, un'attività lavorativa .

Qui si vede la differenza tra il reinserimento sociale e l'emenda, il cambiamento interiore. In quel caso c'è stato il cambiamento interiore, però non è stato al punto tale che il soggetto si sia pentito del secondo omicidio, e il detenuto però si è reinserito, dunque la risocializzazione ha sortito il suo effetto.

D: Tornando alla figura professionale dell'educatore, come si rapporta il detenuto a questo operatore? Mostra un'altra faccia?

R: Sì indubbiamente sì, soprattutto nei primi colloqui . perché bene o male tu sei sempre un rappresentante dell'istituzione, tu sei quello che scrive la relazione comportamentale utile per la concezione dei benefici.

Poi c'è chi si mostra falsamente accondiscendente, ma anche chi rimane tendenzialmente se stesso, o che fa vedere che non ha bisogno di nessuno e quindi non vuole avere colloqui con gli operatori perché è un duro, eccetera.

D: Mi può riferire un episodio significativo?

R: Come no? Ricordo ancora che uno mi spiegava come puoi diventare persuasivo nei confronti degli operatori: prima di chiedere il colloquio, lui per giorni si preparava una balla, che doveva essere la sua verità, e lui giorni e giorni ci pensava fino al punto da convincersi delle cose che si era inventato; quindi quando poi la esternava, lo faceva con convinzione.

Per carità, il colloquio può anche essere veritiero, leale e aperto, ma ciò solo nel momento in cui è voluto, e anche in quel caso, nasce comunque in un istituzione totale, coercitiva .

D: Che lo fa nascere comunque già viziato .

R: Sì: c'è questa grossa barriera che "io detenuto sto di qua, e tu educatore fai parte di un'istituzione che io non condivido, alla quale io mi contrappongo".

D: L'educatore rappresenta l'istituzione che in quel momento lo reclude.

R: Lui non se ne sente parte, come non si sente parte della società stessa.

Per carità, ci sono anche occasioni in cui il detenuto poi effettivamente si ravveda, tolga quella maschera strumentale e cominci effettivamente ad intraprendere un percorso diverso.

Succede in genere dopo anni di detenzione e per i detenuti più impegnati di trattamento, come nel caso dei soggetti che lavorano a Padova: ecco, quei soggetti sono quotidianamente impegnati, realizzano tutta una serie di iniziative, c'è un percorso rieducativo concreto che può dare una chance.

Probabilmente in questo caso si può fare già un discorso differente, con le dovute cautele: sono pochi, in realtà, i detenuti coinvolti rispetto al totale.

D: Ho intenzione, una volta terminato questo lavoro, di approfondire questa realtà. Mi piacerebbe entrare in contatto diretto con i detenuti, seguendo magari il percorso dell'associazionismo .

R: Il problema è che se il detenuto deve scegliere, preferisce fare il colloquio con lei e non con me.

È nella natura delle cose, prima di tutto perché non vede una donna da . Carina o non carina, se carina e meglio, se non è carina è uguale.

C'è anche ancora l'idea che in una donna può fare più breccia: sia come aggressività, sia utilizzando il pathos. A me ad esempio è capitato un detenuto, che poi era un mafioso, che dopo un atteggiamento molto aggressivo nei miei confronti, ha visto da me una fermezza e un'assenza di timore. Per cui poi alla fine mi ha chiesto scusa, ma cercava di andare a colloqui con le mie colleghe e non con me, pensando di ottenere qualche cosa che con me, nel momento in cui è stato aggressivo, non è riuscito ad ottenere perché gli ho opposto freddezza e sicurezza. Da quella volta, con me, massimo rispetto: mi ha presentato anche al boss all'interno, che io ero duro, eccetera eccetera.

Collaborazione, ma rispetto: i ruoli sono ben chiari.

Io faccio l'operatore, tu fai il detenuto.

D: "Io faccio l'operatore, tu fai il detenuto"?

R: Certo, è fondamentale. Il detenuto ha i diritti e i doveri.

Massima disponibilità, rispetto la dignità della persona, ma mai confondere. Io glielo dico: "Faccio l'operatore, non faccio il prete".

D: Che percezione ha, invece, del rapporto tra detenuti italiani e stranieri?

R: Innanzi tutto ci sono delle difficoltà legate all'aggregazione all'interno del carcere: italiani con italiani, stranieri con stranieri, etnie con etnie .

Poi c'è anche il fatto che gli stranieri hanno delle regole loro, non rispettano quelle dei detenuti italiani, al di là anche delle difficoltà di comunicazione.

Dipende poi anche dalle etnie: i magrebini, ad esempio, appaiono sempre sottomessi alla realtà e poi invece sfogano un'aggressività latente. All'inizio cercano di nascondere.

Così anche sull'ammissione al lavoro, è capitato ad esempio quando c'è da rispettare le graduatorie, spesso si verifica che alcuni decidano di rifiutare sotto pressione dei compagni. Lo straniero se ne frega: una volta ottenuto il lavoro per lui è il massimo.

D: Dunque una differenza culturale che, come nella società libera, per ora rende difficile l'integrazione .

R: La difficoltà d'integrazione c'è: loro preferivano vivere per conto loro, stare per conto loro, gli italiani stessi li vedevano come persone di serie B, che magari potevano dare fastidio.

Non è un caso che il lavoro degli scopini lo facciano i detenuti extracomunitari e non gli italiani. Perché non è dignitoso, è considerato di basso rango, mentre per i detenuti stranieri questa è un'occasione per guadagnare due soldi da mandare alle famiglie.

Gli italiani preferiscono il lavoro in cucina, il lavoro negli uffici, il cosiddetto "spesino".

D: Assolutamente assente ogni tipo di solidarietà tra i due gruppi?

R: In pratica sì, se non quella minima legata alle regole non scritte della comunità carceraria: "non fare la spia", "la guardia e gli operatori stanno dall'altra parte dell'istituzione" .

D: D'accordo . La ringrazio molto per avermi mostrato il suo punto di vista.


Mirko



D: Prima dell'ultima volta che ci siamo sentiti pensavo di avere a che fare con un ex detenuto: non avevo capito che eri il responsabile della Papillon!

R: No, non sono un detenuto. Per ora! (sorride)

In cosa consiste precisamente il lavoro che stai portando avanti?

D: Sto analizzando, spero in maniera più ampia possibile, la sottocultura dei detenuti: valori, dinamiche relazionali, comportamenti, linguaggio, rappresentazioni che essi hanno della realtà .

R: Ho capito. Volevo mi spiegassi meglio il sostantivo "sottocultura": l'avevo messo in relazione con la cultura generale, quella della società esterna.

D: Sicuramente c'è una relazione: quella che ho affrontato io è più che altro incentrata sui processi di stigmatizzazione che la società mette in atto nei confronti dei detenuti, ma soprattutto degli ex detenuti.

R: Io credo invece che sia anche importante analizzarla proprio per la genesi della cultura carceraria.

D: Credi ci sia anche un rapporto di questo tipo?

R: Sicuramente: se la cultura della società ti mette in condizioni che "se non hai successo e se non hai i soldi non sei nessuno", questo non può non avere ripercussioni sullo stato delle cose .

Ci dovremmo tutti chiedere se non sia il caso operare un cambiamento a livello più generale.

D: Intervenire cioè non solo sulla sottocultura carceraria, ma anche sui valori che orientano la comunità libera.

R: Certo. Anche perché, parliamoci chiaro, la società tutta è impregnata della cultura dell'illegalità. Pensiamo a chi compra lo stereo o il telefonino rubato .

D: A chi chiede raccomandazioni .

R: Solo che non vengono beccati . Il fatto è che questi soggetti non si ritengono delinquenti, e allora quando qualcuno viene messo in prigione, sono capaci anche di dire "Buttate la chiave".

Sarebbe dunque auspicabile che la risocializzazione dei detenuti avvenisse anche attraverso una diversa proposta culturale, nel senso più ampio del termine.

Una cultura che, partendo anche dalla "borgata", permetta di evitare quel potremmo definire "un moderno feticismo del denaro", la ricerca di soldi facili come unica via d'uscita da una condizione di disagio.

D: Tu che lavori a contatto con i detenuti, cosa pensi debba essere fatto per far "cambiare rotta" ad alcuni di loro?

R: Innanzi tutto aprire il carcere alla società. Valorizzare quindi tutte quelle attività che fanno conoscere la realtà penitenziaria alla gente e che permettano ai detenuti di relazionarsi con l' "esterno".

D: Ad esempio quali?

R: Beh, secondo la mia esperienza, ho visto ad esempio che il teatro sortisce degli effetti positivi, più che altro a livello di rimando. Vedere che un pubblico rappresentato da persone non detenute ti applaude, premia il tuo lavoro con l'entusiasmo, è un ritorno per gli attori-reclusi: un'iniezione di autostima e di positività.

D: Dunque, secondo te, le attività ricreative sono un valido elemento del trattamento risocializzativo. Quali altri elementi promuovi?

R: La famiglia: è importantissima durante e dopo la reclusione, sia come sostegno affettivo ed economico, sia per un eventuale reinserimento lavorativo: molti reclusi tornano a delinquere perché, una volta usciti, non sanno dove andare a sbattere la testa.

D: La religione?

R: (scuote la testa) No, direi di no. Il lavoro, quello sì.

Avrai visto che il problema ricorrente è sempre lo stesso, per chi abbia deciso veramente di cambiare vita.

Il problema è che la società reclama giustamente lavoro anche per sé, che manca, quindi questo problema suscita nell'opinione pubblica reazioni contrastanti.

D: Dato per pacifico che la società reclami istanze di difesa, che correttivi apporteresti all'esecuzione della pena?

R: Suggerirei di sperimentare nuove forme di pena: il carcere sempre di più sta diventando una sorta di "pattumiera" della società, dove delegare il disagio e l'emarginazione. Penso che la soluzione sia un progressiva decarcerizzazione attraverso l'uso di pene alternative alla detenzione. Gli strumenti ci sono, ed anche gli esempi: è la volontà politica che manca.

Noi, come associazione, sappiamo bene che il carcere non perviene a nessun risultato, e non rispetta il dettato costituzionale, che vuole la pena detentiva funzionale alla risocializzazione: esso restituisce alla comunità libera soggetti peggiori di come sono entrati.

Inoltre proporrei una depenalizzazione dei reati minori: in carcere entra pure il ragazzetto per un reato di lieve entità, poi sta a contatto con i criminali incalliti . come pensi che uscirà? Risocializzato?

D: Pensi si possa intervenire sulla cultura dei detenuti?

R: Guarda quello che sta succedendo ora: una protesta pacifica, che va avanti ad oltranza da quest'estate. Non so se sai quale era l'ambiente carcere prima della legge Gozzini e meglio ancora prima della legge del '75 .

D: Credo di immaginare .

R: Sarebbe stata impensabile vent'anni fa una protesta pacifica: nonostante la popolazione detenuta avesse, rispetto ad oggi, maggiore solidarietà, il carcere nella sua totalità era un'istituzione più violenta, l'unica risposta ai molti soprusi e disagi era anch'essa violenta.

La protesta pacifica è un grandissimo esempio di maturità, di questi tempi. I detenuti hanno preso coscienza di essere un unico gruppo, coeso.

In tutta Italia è diffusa la protesta: è la dimostrazione che qualcosa sta cambiando. Il codice della subcultura criminale, più che di quella carceraria, è l'apologia dell'individualismo: "Ognun per sé e Dio per tutti". Invece i detenuti sono riusciti ad organizzare le proprie forze e ad agire come un unico corpo, con degli obiettivi comuni.

D: Il guaio è che questa protesta non è molto visibile.

R: Certamente i media hanno le loro responsabilità, l'opinione pubblica è poco sensibilizzata .

Ma è anche vero che i politici, le autorità, si vedono solo per farsi pubblicità. E poi promesse, promesse . Ci sono però anche degli esponenti politici che vengono periodicamente, senza telecamere, a vedere la situazione. Fanno i giri dei locali, delle sezioni . e succede trasversalmente alle aree politiche, ma rimangono casi isolati .

D:  . perché il carcere non porta voti.

R: Hai centrato il problema. È più redditizio l'allarme sociale, la politica di difesa .

D: Indubbiamente . Ok, ti ringrazio veramente tanto della disponibilità e del materiale che mi hai reperito.

R: Figurati . Mi raccomando, però: una copia della tesi la vogliamo!



Carlo



D: Parlami un po' della tua esperienza . Per quale reato è stato dentro tuo padre?

R: Per un reato associato al traffico di droga: ha fatto parte di una maxi ratata, per cui sono finiti dentro pesci grossi e pesci piccoli . e lui è finito dentro dopo un'intercettazione telefonica.

Conosceva delle persone implicate in questi traffici, ma le telefonate che aveva fatto con queste persone erano normalissime.

Però l'avevano accusato comunque di far parte di questo giro.

D: A quanti anni è stato condannato?

R: Mi sembra tre . ma poi so' diventati de meno per la condotta che c'ha avuto . i corsi ai quali ha partecipato . il comportamento sociale che ha avuto là dentro . e il carattere. Soprattutto.

D: Cioè?

R: Non s'è fatto prende dal panico, s'è adattato all'ambiente, e ha cercato di sfruttare il suo carattere estroverso e compagnone nel migliore dei modi.

S'è fatto sempre benvolere dagli assistenti sociali, dal direttore, da chi organizzava il corsi .

D: Quando è iniziato tutto?

R: La prima volta, quando lo presero la prima volta cioè, fu il '94 .

Io avevo gli scritti della maturità, pensa come sono andato in classe quella mattina . Poi è entrato definitivamente nel '97.

D: Cosa successe quella mattina?

R: Piombarono di notte le guardie a prendersi mio padre. Io andai via la mattina perché avevo gli esami, mio fratello lo cacciarono via.

Non ci dissero subito che cosa era successo, ma io immaginavo che non lo avrei trovato quando sarei tornato .

Dopo quella mattina l'ho rivisto solo ai colloqui.

D: Quale fu la tua reazione quando ti informarono di ciò cosa era successo?

R: Cercai di realizzare l'accaduto, non me lo aspettavo.

Da là fu una corsa a cercare gli avvocati.

D: Chi ti ha messo al corrente?

R: Mio fratello.

D: Non tua madre?

R: (scuote la testa).

D: Chi ha assunto il ruolo di capo famiglia, durante l'assenza di tuo padre?

R: Sempre mio fratello.

D: Perché proprio lui?

R: Lui era più grande e quello che aveva maggior possibilità di movimento: andava a sbrigare le pratiche per mio padre, a parlare con l'avvocato .

Mia madre non guidava, quindi non si poteva tanto muovere autonomamente.

D: Chi era a quel punto la fonte di reddito di tutta la famiglia?

R: Nessuno: io e mio fratello lavoravamo saltuariamente, ma comunque non abbastanza per mandare avanti una casa, mamma non lavorava .

La nostra fortuna sono stati i pochi soldi che mio padre aveva da parte, e gli aiuti della famiglia.

D: Che ripercussioni ha avuto su di te questo evento?

R: Sicuramente mi ha rafforzato. Ho sofferto, è vero: ho dovuto vende la moto, insieme a tutte le altre cose di cui ci siamo dovuti libera' per far fronte alle spese e alla mancanza di un reddito fisso.

Abbiamo dovuto stringere la cinghia, per noi abituati a tutti gli sfizi non è stato facile, ma tutto questo m'ha indubbiamente maturato.

Certo. me rode che pe' le cazzate sua, adesso stamo come stamo

D: Questa cosa ha influito sul tuo modo di vedere tuo padre?

R: Il mio giudizio su di lui non è mai cambiato, ma perchè sapevo che comunque non aveva fatto niente di male.

La cosa che gli rimprovero è di essersi sempre fidato di tutti, di non aver saputo riconoscere che stava con lui per puro interesse e che magari lo ha fatto trovare poi nei casini.

Quando ero ragazzino per me era un modello da imita': lo vedevo come uno furbo, uno che sapeva sempre come fare. Un giorno m'hanno svegliato e me so' reso conto che non era proprio così .

È certo che eviterò in tutti i modi di non ripetere gli stessi suoi sbagli, in futuro.

Nei suoi confronti ho sempre cercato di non far trapelare niente, di farmi vedere tranquillo . anche se in reltà non era così.

D: E lui come si mostrava nei vostri confronti?

R: Pure lui si faceva vedere calmo e tranquillo, ma mia madre me lo diceva che quando era con lei, piangeva .

D: Perché?

R: Perché gli mancavamo. In cella c'aveva appese tutte le foto nostre.

Quando era con noi minimizzava tutto . credo per non farci preoccupare. Magari ci raccontava dei corsi che faceva: de cucina, pittura, teatro . Per noi era comico . Mi' padre che fa' l'attore!

Pensa che andava pure a messa! Ma quando mai mi' padre a messa?!

D: Perché prendeva parte a queste attività?

R: Così je passava er tempo . E poi sempre pe' il discorso della buona condotta. Ma comunque poi l'angoscia usciva fuori . L'impressione che dava sempre era il senso di colpa, per quello che ce stava a fa' vive: anche se non lo ha mai detto esplicitamente, trapelava da tutto quello che diceva e faceva.

Non ci ha mai reso partecipi delle cose brutte che succedevano dentro, ma ogni tanto gli sfuggivano non volendo . Per esempio che la maggior parte dei secondini li trattavano come animali. Ma solo quelli . poveri.

D: In che senso, "poveri"?

R: Quelli poveri de intelligenza, che magari all'esterno nun c'hanno le palle per competere con le altre persone, poi se la rifanno dentro perché c'hanno l'autorità de trattarli male.

Però c'è pure qualcuno bono, che magari se non sei un delinquente, sei 'na persona tranquilla, cerca da aiutatte, de datte 'na mano.

Però, pe' ditte, assiti a certe cose che te mandano er sangue ar cervello . (racconta un episodio che preferisce non sia riportato). Nun so' cose fatte per bene, capito? Te ne sei approfittato.

D: Se ti consola, anche mia madre è successo un fattaccio del genere . Però non vuol dire niente: le mele marce sono ovunque.

R: Che significa? Le mele marce non possono stare tra chi ha scelto di stare da quella parte, sennò stavi da quell'altra e facevi er delinquente!

È troppo comodo così, troppo facile!

D: Anche questo è vero. Apparte tutto, come hanno reagito le persone che vi conoscevano?

R: Apparte i parenti, siamo riusciti a tenere nascosto tutto abbastanza bene.

Anche se a me, se se fosse venuto a sape', non me ne sarebbe fregato niente. Non me interessa quello che pensa la gente, anche perché sapevo che comunque non aveva fatto niente, mi' padre.

D: Cosa ricordi con più dispiacere di quel periodo?

R: Le giornate passate qua a casa con mi' madre .

Anche se noi eravamo abituati a non avere a casa mio padre perché ha sempre lavorato fuori Roma, la situazione era diversa. Cercavamo di tirare su mia madre, mancava soprattutto a lei . cercavamo di non lasciarla mai sola, la portavamo al mare .

D: E cosa ti disturbava principalmente, quando andavi a colloquio?

R: Il contatto con determinate persone che non mi sarei mai aspettato di pote' avvicina' .

D: Ti dava fastidio?

R: Abbastanza . I familiari degli altri detenuti . non erano come noi.

D: Come eravate, "voi"?

R: A noi anche i secondini ce lo dicevano: "Ma voi che fate qua dentro?". Ce vedevano che noi eravamo una famiglia normale.

Lì stavamo in mezzo a gente che erano cani proprio: magari se menavano tra de loro . bestemmiavano . C'era de tutto là dentro.

Per carità, c'erano pure famiglie per bene, eh, però, la maggior parte, je usciva de tutto da quelle bocche .

Nun c'avevano rispetto de niente, strillavano a tutta callara . Stavamo nello stesso ambiente, ma non ero come loro.

Ah, ma i mejo erano i detenuti che se vantavano de sta lì: per loro era motivo de orgoglio .

D: Di cosa si vantavano?

R: Ch'erano forti, che erano coatti, che erano stati furbi . Pori stronzi

D: Cosa ricordi invece di piacevole in quella situazione, per quanto brutta possa essere stata?

R: Quando andavamo all' "Area Verde". L' "Area Verde" in pratica era uno spazio attrezzato all'aperto, con i tavoli e le sedie, dove tu puoi pure mangiare con i tuoi familiari .

Mejo che dentro al parlatoio . Lì potevi sta in tranquillità, senza i secondini che te stavano alle costole . Noi in genere a papà je portavamo le cose cucinate pure pe' quando stava in cella.

In genere se ne portava sempre un po' de più per chi magari non ce l'aveva . Se usa.

D: È un'usanza diffusa?

R: A meno che non sei un cane Però sì, è la prassi.

Portavamo pure altre cose per chi non poteva: maglioni, sigarette . Anche a lui hanno fatto dei regali, eh.

D: Ad esempio?

R: C'era un ragazzo in cella insieme a lui che stava sempre ad allenarsi, c'aveva sempre le tute, le scarpe da ginnastica . e quando è uscito gli ha regalato le scarpe da ginnastica per ricordo, poi lui me le ha passate a me .

D: Aveva quindi buoni rapporti con i compagni di cella .

R: Come no? Lo chiamavano "zio". "A zi'!".

D: Perché?

R: Perché era er più grosso, l'altri erano tutti più giovani.

D: Ricordi qualche particolare invenzione di cui ti ha parlato?

R: Sì . Mi ricordo che si erano costruiti addirittura un forno!

D: Un forno?!

R: Pensa: avevano usato uno scaffaletto di legno con lo sportello . come il microonde! L'avevano tutto rivestito dentro con la carta argentata, poi hanno usato il fornelletto a gas.

Non me chiede come funzionava che non lo so, però so che funzionava!

D: Ricordi qualche evento particolare a cui tuo padre abbia partecipato? Sportivo, culturale .

R: La Maratona de Rebibbia.

D: Che cos'era?

R: Facevano una corsa lungo le mura, c'avevano pure le pettorine tipo la Maratona de Roma . "Rebibbia per un giorno" se chiamava . una cosa del genere . "Rebibbia per la vita" .

Sì, ma lui ha fatto un giro e s'è fermato: ma ce lo vedi mi' padre a corre?!

D: Decisamente no . Per quale occasione era stata organizzata?

R: Per loro . per da' importanza ai detenuti, per fargli fare qualcosa . La maglietta poi se la mettava mamma pe' spiccia'

E poi ha recitato a "Un prete tra noi", lo sceneggiato co' Massimo d'Apporto.

D: Gli è rimasto qualche amico tra i compagni di detenzione?

R: All'inizio sì . lui scriveva a chi era rimasto dentro, poi si sono visti anche fuori, ma poi i rapporti se so' diradati.

D: Cosa ricordi dei vostri incontri con gli operatori?

R: Ci volevano conoscere. Per farsi un'idea dell'ambiente di provenienza di mio padre .

Loro pure ce lo dicevano che se lo chiedevano come una persona che viveva in un ambiente familiare del genere potesse poi trovarsi là dentro. Ci dicevano di continuare a stargli vicino, perché la maggior parte delle persone recuperate hanno alle spalle famiglie solide.

Tante persone se perdono perché dietro nun c'hanno persone positive.

D: Credi sia davvero così?

R: Sì. Noi abbiamo aiutato lui, ma è pure vero che altri hanno aiutato noi: da soli non lo so se ce l'avremmo fatta.

D: Chi vi ha aiutato?

R: La mia famiglia allargata: zii, cugini . E poi gli amici veri, che avevamo prima che succedesse tutto.

D Gli amici vi sono quindi rimasti vicino?

R: Macchè! Gli amici veri de mi' padre alla fine erano i tre "Soliti Ignoti"! Gente che come lui veniva dalla borgata e che conosceva da quando era ragazzino.

Quelli se so' levati pure le mutande pe' aiutacce. Tutti l'altri . appena hanno visto che nun c'era più da magna' .

D: In che senso?

R: Noi stavamo veramente bene. Economicamente, parlo.

C'avevamo la barca, i machinoni . I vestiti più costosi ce l'avevamo noi, pe' nun parla' delle settimane bianche tutti l'anni .

Cene de qua, pranzi de là, ma parlamo de ristorantoni, no de . "Er Quaglietta"

E mi' padre offriva a tutti: erano tutti amici, pe' lui. Poi però, quanno semo andati a zampe pe' l'aria . So' spariti tutti.

Invece quelle poche persone ce so' state vicine, moralmente ed economicamente.

D: Quest'esperienza in che cosa ha cambiato tuo padre?

R: Da allora passa molto più tempo a casa. Non frequenta più certi giri.strani: ha cambiato amicizie ed attività .

Sta più tempo a casa: non si verifica più che torna dopo tre giorni perché sta chiuso a casa de amici a gioca' a pocker o perché stava al bar. Sicuramente quest'esperienza lo ha cambiato in questo senso.

D: Sono contenta per voi, ti auguro che tutto possa andare per il meglio.


Nicola Sansonna



R: Ho letto la tua e-mail, il tema che hai scelto come tesi di laurea mi piace . Ho preso l'incarico di cercarti un po' di materiale ed in più ti esporrò alcune mie considerazioni su quella che viene definita sottocultura carceraria.

D: In genere appena ne parlo, le persone mi chiedono esterrefatte: "E che roba è?"

R: Hanno ragione a chiederti che roba è! Non è materia d'uso quotidiano. Comunque riconosco che il problema esiste e quindi è giusto affrontarlo.

D: Parlami un po' della tua esperienza.

R: Sono Nicola Sansonna, ho 47 anni e frequento dall'età di 18 anni il carcere, e da allora ho fatto fuori dal carcere un po' più di tre anni: il resto è tutta immersione in questo marasma umano che è diventato il carcere, capace di stritolare uomini e coscienze, ed è solo con la forza di volontà, l'autostima, la voglia di riappropriarsi della propria esistenza che si riesce a sopravviverci.

D: Pensi sia corretto parlare di una sottocultura in riferimento alla realtà del carcere?

R: Parlare di sottocultura carceraria è corretto se si riferisce alla cultura sviluppata in una comunità di uomini circoscritta, come si può parlare di sottocultura gitana, sottocultura valdese, sottocultura montana.

Se invece si volesse parlare di una cultura che nei fatti si contrappone alla cultura generale della società civile, bisognerebbe parlare in questo caso di controcultura, ma li entriamo in un altro livello.

D: Di cosa è fatta, secondo te?

R: È l'etica carceraria . gesti rituali, dinamiche relazionali, regole non scritte, gerarchie . Indubbiamente è interessante studiarli da un punto di vista antropologico, e di relazioni sociali ed umane. Ma non sempre queste porte sono aperte da parte di chi il carcere lo vive, perché sovente la ragione di queste regole, gesti, dinamiche, sono alla base di una sorta di politica di sopravvivenza.

D: Potresti parlarmi di qualche aspetto di essa?

R: L'etica carceraria è riassumibile in due o tre questioni importanti:

per essere accettato dalla comunità detenuta non devi anzitutto mai aver collaborato o permesso l'arresto di qualche tuo complice o fosse anche un estraneo per te.

Questo sta alle fondamenta di questa pseudo cultura come il Primo Comandamento sta alla Chiesa.

La seconda è quello che anche se non hai fatto arrestare nessuno non devi mai fare niente che possa danneggiare in qualche modo i detenuti.

La terza è che devi essere sempre a disposizione per quello che puoi con i tuoi compagni di detenzione.

D: Rispettare queste norme cosa ti porta?

R: Ti porta alla qualifica di "bravo ragazzo", che è un termine che vuol dire tutto e niente, ma se non sei ritenuto tale sei tenuto fuori "per precauzione" da tutte le iniziative collettive, anche di socializzazione.

D: Perché?

R: Ad esempio scherzando tra amici si possono fare apprezzamenti, manifestare intenti, validi solo per quell'attimo di gioco o di scherzo, ma se quegli stessi intenti vengono presi per veri da un eventuale confidente e riferite come tali alle autorità possono avere gravi ripercussioni (in gergo si chiama "montare una bicicletta").

D: Mi sono fatta un'idea, nel corso del lavoro, sulla solidarietà. Potresti dirmi, secondo te, che cosa muove questa dinamica?

R: Credo che sia la stessa che si sviluppa nelle piccole comunità dove tutti si conoscono, dove può capitare di avere bisogno di un bicchiere d'olio un po' di zucchero ecc . e dove sai che quelle cose puoi procurartele al momento solo se hai un buon rapporto con il tuo vicino; sono dinamiche di sopravvivenza, giustamente definite di mutuo soccorso.

D: In che modi si manifestano? Sono sempre esenti da doppi fini . magari da un ritorno?

R: Beh, ad esempio quando arriva un nuovo giunto, ma ora si fa di meno, ci si avvicina per vedere se ha bisogno di qualcosa, ma allo stesso tempo per vedere chi è.

Spesso in carcere nascono questioni, e se il nuovo arrivato appartiene ad un gruppo che per qualsivoglia motivo mi è stato rivale, è buona cosa saperlo prima possibile. Ecco che in questo caso la solidarietà è strumentale a capire se il nuovo arrivato può rappresentare un pericolo.

D: Parlami un po' delle dinamiche relazionali fra reclusi .

R: Sono un po' quelle del mondo libero: ci si aggrega per simpatia, per appartenenza ad una regione o ad una nazione, nel caso degli stranieri.

Quando poi si formano dei gruppi le regole relazionali sono quelle che in psicologia si definiscono dinamiche di gruppo. Avrai il leader naturale, il gregario, l'assoggettato. Metti insieme dieci persone qualsiasi e nel giro di un giorno si formeranno le gerarchie: credo sia nella natura umana, anzi animale.

Per le relazioni interpersonali poi entrano in gioco altri fattori, come la sensibilità, la capacità di adattamento, la simpatia.

Ci sarebbe da scrivere un trattato .

D: E quello che sto tentando di fare!

R: Sono certo che tu farai bene la tua tesi. Ci piacerebbe averne poi una copia. A giorni sarò fuori in misura alternativa, se potrò esserti ancora utile contattami alla sede esterna di Ristretti Orizzonti.

D: Volentieri, ti ringrazio molto per l'aiuto. Vorrei anche farti i miei complimenti per la capacità di aver dato alla problematica il "taglio" che più mi interessava.

R: Spero di esserti stato utile. Ti saluto caramente anche a nome di tutta la Redazione. In bocca al lupo per tutto. Ciao!


Stefano Bentivogli



D: Buongiorno Stefano, potrebbe parlarmi brevemente della sua esperienza?

R: Sono un detenuto la cui conoscenza del carcere inizia alla fine degli anni '90 ed ho un'esperienza penitenziaria principalmente trascorsa al nord Italia.

D: Come ha letto nella mia mail sto scrivendo una tesi sulla sottocultura carceraria. Cosa ne pensa?

R: Quando sento parlare di cultura o sottocultura carceraria, ho sempre in mente due cose molto differenti, la prima è quella che conosco direttamente, l'altra è quella di cui ho solo sentito parlare o al massimo ne ho percepito la presenza.

D: Cioè?

R: Il carcere in Italia è in generale rimasto molto simile a quello che è sempre stato, quello che è cambiato, soprattutto al nord, è la tipologia del detenuto.

Se si vuole affrontare la questione della cultura carceraria è meglio tenere sempre presente la realtà attuale, fare dei distinguo tra nord e sud del paese e soprattutto evitare i luoghi comuni e gli stereotipi che sopravvivono solo in chi di carcere non sa nulla.

D: Mi sembra una giusta precisazione .

R: Quello di cui parlerò sarà comunque molto filtrato dalla parziale esperienza che ho del carcere e, soprattutto quando mi riferirò alla cultura carceraria, così come è tradizionalmente intesa, lo farò spesso per sentito dire, con tutti i limiti che questo comporta.

Per comodità limiterò la definizione di cultura - non sottocultura - a quel patrimonio di conoscenze, usanze, codici non scritti, strategie che nascono dietro le sbarre e parzialmente lì restano.

D: Perché ha scelto di usare il concetto di "cultura"?

R: Non mi piace il termine sottocultura, perché in questo caso l'ambiente a cui è riferito è talmente chiuso e diverso dagli altri da farne un mondo a sé: non bisogna dimenticare che in carcere c'è gente che ci ha trascorso o ci trascorre quasi tutta la vita, quello diventa il loro mondo ed al suo interno, col tempo, i bisogni creano una sovrastruttura che si può definire cultura a pieno titolo.

Con questa poi non si confrontano solo i detenuti, ma anche tutti gli altri soggetti che col carcere, per ragioni diverse, condividono una parte della loro vita: la polizia penitenziaria, gli operatori, i sanitari, e secondo me anche i volontari che negli ultimi anni hanno aumentato notevolmente la loro presenza.

Questi sono influenzati dal carcere, ma sicuramente sono uno dei maggiori elementi che, con la loro cultura, stanno influenzando quella del carcere.

D: Me ne potrebbe descrivere alcuni aspetti?

R: Cominciamo dalla parte che conosco meno direttamente che sono tutte le regole e le usanze nate come sistema di protezione ed identificazione del detenuto all'interno del sistema della cosiddetta "mala".

Molte sono state addirittura codificate, anche se non scritte, sono veramente antiche a quanto mi hanno raccontato, e sono state il pilastro sul quale all'interno del carcere si sono gestiti i conflitti, stabiliti gli equilibri, definite le gerarchie e gli obblighi che ne derivano tra detenuto e detenuto: erano talmente forti e consolidate da essere parzialmente riconosciute anche dagli agenti di custodia.

D: Addirittura . Che cosa comportavano?

R: Che quando uno entrava in carcere sapeva ben presto cosa doveva fare e cosa gli era vietato, con chi poteva parlare e con chi no, quale era la sua posizione nella gerarchia e a chi doveva fare riferimento.

Era il sistema di sopravvivenza della mala ed era fatto di gesti, linguaggi verbali, ma anche segni e simboli come gli arcinoti tatuaggi con cui certi detenuti si tappezzavano il corpo.

Se per alcuni di essi era possibile conoscerne il significato, per altri, a meno che non si fosse a pieno titolo dell'ambiente, questo era negato.

D: Dunque un sistema fatto di norme ben precise?

R: Il carcere era definito da regole chiare, potevi essere da una parte o dall'altra, tra i detenuti o isolato da questi per come ti eri comportato o per il reato che avevi commesso, o eri guardia o eri ladro.

Le cose sono cambiate, sono cambiati i detenuti, soprattutto al nord la gran parte di essi non hanno niente a che fare con la criminalità così come era tradizionalmente intesa, ma sono cambiate anche le leggi, l'ordinamento penitenziario, sono cambiati anche gli agenti.

D: Quindi?

R: Se nel sud la cultura del carcere tradizionale resiste ancora, al nord l'aver riempito le carceri di extracomunitari e tossicodipendenti ha cambiato molte cose.

Sono persone spesso di provenienza talmente diversa, che l'aver commesso reati non basta più a farle sentire parte di una stessa categoria. Spesso poi le loro caratteristiche e le loro peculiarità le pongono addirittura in contrapposizione, la religione, la lingua, gli usi, se sono troppo diversi, impediscono ai sistemi di identificazione tradizionali di funzionare.

I tossicodipendenti, che sono ormai il 30% della popolazione detenuta e le persone con disagio psichico, che arrivano al 12%, pongono problemi veramente nuovi, introducono nelle dinamiche già difficili tutta la disperazione che li caratterizzano: spesso la solidarietà tra i detenuti è la prima vittima, la paura, la diffidenza la fanno da padrone.

D: Suppongo ci siano anche altre difficoltà, legate alla realtà della maggior parte degli istituti penitenziari .

R: Il sovraffollamento rende difficile la convivenza, e quanto prima era gestibile secondo la regola, nel bene e nel male, ora viene esasperato rendendo veramente drammatica l'esperienza carcere.

E' cambiata anche la legge, quella codificata, l'introduzione dei benefici per chi collabora con la giustizia ha spesso scardinato il muro di protezione che il detenuto aveva a disposizione, ma anche i benefici per buona condotta hanno provocato degli sconquassi.

Non scontrarsi mai con gli operatori penitenziari, aderire positivamente ai programmi trattamentali di rieducazione dove viene richiesto un atteggiamento, almeno formale, contrario alla mentalità criminale, hanno creato una zona d'ombra. A guardie e ladri si sono aggiunte le varie tonalità di quelli che aspirano ad anticipare la scarcerazione il prima possibile, al di là di un reale cambiamento di mentalità.

Anche questo crea confusione e i paradigmi della cultura tradizionale non sono sempre in grado di affrontare la situazione. Il carcere di oggi ha comunque il compito di rieducare, ed anche gli agenti, da poco integrati nel trattamento, almeno alcuni, non hanno più lo stesso atteggiamento nei confronti dei detenuti, anche perché hanno a che fare con soggetti talmente diversi da non poter più avere sistemi di riferimento chiari e semplici.

D: Ritiene dunque che la situazione sia cambiata rispetto a qualche tempo fa.

R: E' cambiato un po' tutto, almeno al nord, ma ci sono elementi della cultura del carcere che invece restano immutati.

Io difatti penso che nella cultura del carcere siano importantissime le strategie di sopravvivenza in generale, non quelle legate all'identificazione del detenuto con il suo ruolo nell'ambito criminale.

La privazione della libertà, attuata in ambienti molto ristretti, con limitazioni di ogni genere, sensate e non, ha prodotto tra chi vi era sottoposto usi, linguaggi, regole e strategie finalizzate alla sopravvivenza.

D: Mi può parlare del linguaggio?Quali sono le sue funzioni, la sua origine?

R: Il linguaggio identifica chi il carcere lo conosce dagli altri, i vocaboli utilizzati sono esclusivi di questa realtà, ma non hanno solo riferimenti all'ambiente criminale ed a questioni losche, come sarebbe più naturale immaginare.

"Liberante, permessante, lavorante od oziante, cellante " sono alcuni dei participi presenti classici con cui viene definito un detenuto secondo la sua posizione in carcere. Sono vocaboli presi dalla burocrazia e sono comprensibili nel loro significato solo se, a qualsiasi titolo, si è stati in carcere. In carcere poi il livello di istruzione, al di là di quello certificato, è veramente basso, ed anche qui la sopravvivenza ha portato ad assimilare nel linguaggio scritto tanta sintassi, non in maniera sempre corretta, della burocrazia penitenziaria e giudiziaria.

Fare un inventario dei termini appartenenti al linguaggio del carcere è una bella impresa e ci si accorge facilmente di come questo mondo viva in un isolamento tale da essersi creato una cultura a parte.

Al linguaggio poi si possono aggiungere le tecniche di cucina, l'abbigliamento, il modo di farsi il letto, le letture più diffuse, fino al modo di camminare.

D: Ritiene che l'etica carceraria sia avulsa da quella della società libera?

R: Se poniamo l'etica all'interno dell'ambito culturale, oggi non è più possibile parlare di questa come completamente slegata da quella della società dei liberi.

Come dicevo prima sono cambiate molte cose, in particolare le leggi hanno creato un varco con l'esterno che prima non esisteva.

D: Si riferisce ai benefici?

R: Esatto, alle possibilità di accelerare la scarcerazione contro le quali tanta opinione pubblica si scaglia invocando una maggior "certezza della pena".

Queste possibilità sono state vincolate, nella gran parte dei casi, proprio all'adesione del detenuto alle "offerte trattamentali", alle attività rieducative per le quali, almeno formalmente, si deve adottare un'etica diversa da quella tradizionalmente criminale.

Questo ha determinato un cambiamento notevole perché in molti hanno colto al volo l'utilità delle regole del mondo libero, almeno per quel che serve ad uscire prima dal carcere.

D: Quindi due etiche che sembrano coesistere .

R: Si può dire che, allo stato attuale, esse sono formalmente riconosciute, una per tradizione e l'altra per utilità, magari tra questi due confini c'è anche un po' più di spazio per agire secondo coscienza, con maggior libertà.

Oggi quindi ci sono le guardie, i ladri ed i ladri muniti di coscienza e ci si può trovare a parlare e discutere di tutto senza grossi drammi.

D: C'è dunque, come avviene anche nella comunità libera, un margine di dissociazione rispetto alle dinamiche culturali del proprio gruppo di appartenenza. Crede che la situazione possa mutare in meglio?

R: La questione della cultura del carcere è abbastanza complessa, nelle nostre discussioni, com'è giusto che sia, emergono sempre posizioni diverse.

Il senso di appartenenza a questo mondo è sempre molto forte, soprattutto quando si parla di omertà, reati da disprezzare, rapporto con le istituzioni, ma il fatto che si riesca a parlarne sempre più liberamente e senza tanti pregiudizi è il segno che la situazione è viva e che neanche il carcere, per quanto chiuso ed isolato possa essere, riesca a congelare la capacità critica.

D: Me ne rallegro. La ringrazio per l'aiuto, e mi complimento per la lucida analisi del problema che mi ha fornito.


Roberto e la sua compagna



D: Durante la tua detenzione, hai mai avuto l'impressione di dover rispettare delle regole, oltre quelle giuridiche?

R: E come no? Ce stanno delle regole pure tra noi, sennò sarebbe un macello, no?

D:Se qualcuno non le volesse rispettare, cosa succede? Come ci si comporta?

R: Lo emarginiamo.

D: In che modo?

R: Dipende che regole non rispetta. Poi va da carcere a carcere comunque .

Ce sta l'infame, quello che se l'è cantata, ha fatto carcera' altre persone . tanto se sà.

D: Che cosa si sa?

R: Se sa che è 'n infame.

D: Come si viene a sapere?

R: Se viene a sape', tramite Radio Carcere, o anche tramite giornale, televisione . Viene arrestato Tizio .

Poi ce sta l'infame de du' sordi, cioè nel senso che ha fatto arresta' qualche d'uno pe' 'na stronzata, no?

Però se viene a sapè uguale, perché entra qualche d'un altro: "Ah, ma io quello, lo conosco, ha fatto questo" . Allora se va da lui . "Senti un po', ma tu sei .?"

Da come reagisce, è 'n attimo, se vede proprio da come je arivi là . E allora, o se ne va da solo . o se ne va .

Come io: io ho mandato via della gente, e poi m'hanno denunciato.

D: "Mandato via" in che senso?

R: Mandato via dalla sezione, perché nun ce doveva sta'.

D: Quindi queste persone tenderebbero a stare tutte insieme?

R: Beh, no, 'na volta forse . Adesso stanno là, sparse, nessuno je dice più niente. Fanno le attività .

A me me dicono che so' antico.

D: Antico?

R: Cioè so' de stampo antico, che non accetto determinate cose.

D: Tu quand'è che sei entrato dentro la prima volta?

R: A 19 anni, nel '78 .'79.

D: Ricordi le sensazioni che hai provato allora?

R: C'avevo paura . io ero un pischello, capirai, c'avevo diciannov'anni . Me se so' presentati tutti st'omaccioni: brutti, tatuaggiati .".

D: Sono cambiate le cose nel carcere da allora?

R: Siii .

D: Da che punto di vista?

R: Fa schifo! Era mejo prima, almeno prima se rispettavano certe cose, adesso nun se rispettano più.

Adesso l'infame sta in mezzo a noi, lo fanno stare in mezzo a noi .

Io per loro ero un asociale: a me non me dovevi saluta', io me la facevo con i compagni mia, che conoscevo, che sapevo che erano bravi ragazzi, che poi alla fine i bravi ragazzi me l'hanno messa ar culo.

D: In base a cosa li consideravi "bravi ragazzi"?

R: Che nun erano infami, hanno sempre rispettato la regola della strada, e poi invece, quanno è la fine .

Io per esempio so' stati trasferito da Rebibbia, dal penale, denunciato da un detenuto perché gli ho menato.

Ma non gli ho menato solo io: eravamo in sei. Gli hanno messo 60 punti.

D: Perché gli avete menato?

R: Perché nun s'era comportato bene, aveva rubato 'na bottiglia di vino dentro a 'n'altra cella.

D: E' un'altra regola quindi questa?

R: E certo! Nun è che puoi anna' a rubba' dentro 'n' altra cella, che sei matto?

Nun esiste, ma manco 'na spilla, se lo vengono a sape' te sei fatto l'affari tua . Cioè, te sei annato a arricchi'[12] pe' 'na stronzata.

E lui aveva rubato una bottiglia di vino e un paio di scarpe a dei stranieri.

D: Di che nazionalità erano?

R: Erano dei marocchini . So' venuti, avevano saputo che era stato lui, io ero uno dei più anziani là, a livello de galera .

Poi lì tu vieni rispettato pe' quello che hai fatto.

D: Rispettato, cioè, in base al reato che hai commesso?

R: Sì, per come te conoscono . cioè, se tu hai fatto 'na rapina a un tabaccaro sei 'no scemo, capito che vojo di'.?

Io facevo 'e rapine all'uffici postali, ai furgoni blindati, contavo insomma, no?

Tu sei 'no scemo. Ma io dentro al carcere nun è che nun te considero, eh? Se sei un bravo ragazzetto parlo co' te, mangio co' te, però so' più considerati i professionisti .

E insomma so' venuti 'sti stranieri, a di' "Guarda questo ha rubato".

Je volevano mena', lo volevano massacra', e noi "No, no, questo ce pensamo noi, è nostro, è romano" .

Che fai? Ce famo pensa' 'i stranieri?

E allora "Vabbè Robbe', nun c'è problema", e infatti così è stato.

D: Perché sono venuti da te?

R: Perché ero quello tenuto più in considerazione in mezzo a quelli.

So' annato là e gli ho detto "Te ne devi anda', vattene". Questo ha preso 'a robba e se ne è andato.

D: Si è fatto trasferire di sezione?

R: No, se ne doveva anda' proprio dal carcere.

D: E come avrebbe potuto fare, scusa?

R: Vai giù, je dici "Qua nun ce posso più sta', c'ho problemi".

Invece lui che ha fatto? Er giorno dopo se lo semo ritrovati su, 'n'artra vorta .

Semo entrati in cella, in sei, co' la machinetta der caffè . (Mima il gesto) In testa.

Sessanta punti, tra testa, faccia .

"Vabbè . sei cascato da le scale" . Er cazzo: ha fatto i nomi de tutti. Tutti.

Infatti a me alle cinque de mattina me so' piombati in cella, "Annamo va'". A (località omessa).

D: Cosa hai visto in carcere che ti ha particolarmente colpito?

R: Ho visto morti, gente co' le budella de fuori . Anche questo è il carcere.

D: E le armi come entrano?

R: Le armi pure se fanno . Se tu prendi er tappo der tonno, te faccio vede', te apro, eh . vedi i tagli . (Mostra l'avanbraccio solcato da vecchie cicatrici)

D: Sono tutti paralleli .

R: Sì, così (mima il gesto) . con la lametta .

D: Sei stato tu?

R: Questi so' stati fatti quando . nun capivo un cazzo .

D: Perché una persona lo fa? Sempre che tu mi voglia rispondere.

R: Sì, come no . Per nun fatte mena' dalle guardie .

Questi so' perché noi stavamo a fa' 'no sciopero, loro entravano, io me tajo, pensavo "Così nun me menano", invece l'ho prese più dell'altri.

Li vedi che arivano "Eccola là, tanto mo' me gonfiano

Li vedi come arivano: tutti bardati . Te fanno male, te fanno.

D: Perché non avrebbero dovuto menarti? Davanti a che si sarebbero dovuti fermare?

R: Be', pure pe' loro so' rogne, perché poi lo devono giustifica' tutto 'sto sangue che nun so' stati loro .

Ma poi pure perché tu poi prendi (fa il gesto di succhiarsi la ferita) e je sputi er sangue . se sei malato, loro lo sanno . Diventa 'na arma poi, er sangue, no?

D: Quindi secondo te non ci sono altri motivi, magari più intime?

R: Ma no, per quanto me riguarda è 'na protesta e un modo de evita' le botte. Pe' me, però.

D: Sei mai venuto a sapere di compagni che si sono suicidati mentre erano detenuti?

R: C'ho amici che se so' impiccati . (Tira fuori dal portafogli la foto di un suo amico)

S'è impiccato al carcere di Parma, è successo nel 2001. E' questo il compare mio .

D: Perché secondo te si arriva a questo?

R: Perché . perché arrivi a un certo punto che nun gliela fai più, dipende da come stai.

Poi ce sta chi ce prova . Io pure me so' impiccato, c'ho provato . Ma era pe' usci' e pija la malattia.

D: La situazione è così insostenibile in tutte le carceri?

R: Er carcere funziona addirittura pe' direttori: se er direttore der carcere de quello vole fa' come je pare a lui, fa come cazzo je pare a lui.

A me a (località omessa) nun m'hanno menato pe' rispetto. Cioè, mancava l'acqua da giorni, battevamo su le sbare, m'hanno preso de peso, so' entrati in cella . perché m'hanno detto che io ero sobillatore dei detenuti .

Io me so' adeguato all'altri, io ero annato dietro all'altri, gli ho detto: "Io so' stanco", m'era rimasto 'n anno, ma chi ve se incula .

E niente nun gliene è fregato niente, m'hanno preso e m'hanno mannato a (località omessa) . Altro carcere.

Aspetta! Co' trenta giorni de punizione de cella.

L'hanno fatta loro, senza interpellammo . queste so' le prepotenze che fanno dentro ar carcere, perché ne fanno tante. Pe' fortuna er giorno dopo so' uscito, so' venuto a casa.

Ma aspetta, all'altri quattro cinque, l'hanno gonfiati de botte, e hanno battuto (sulle sbarre) come ho battuto io. A me nun m'hanno menato ma ce so' annato vicino .

I carceri so' questi . nun guardà mo' Rebibbia: Rebibbia è 'n hotel, a livello de carcere, poi ce stanno l'altri carceri che fanno schifo .

Là dentro commannano loro. I coatti so' loro!

D: A chi ti riferisci? Agli agenti di custodia?

R: Ar comandante, l'ispettori . 'A guardia no, 'a guardia esegue l'ordini, esegue .

Che poi te ritrovi 'a guardia che te mena in sezione che fino all'altro ieri te faceva i sorisetti, 'e cose . e te lo ritrovi là sotto, eh, perché chiamano pure a lui, e nun può nun fallo, capito?

D: Cosa ne pensi allora di quell'atmosfera di serenità che traspariva dallo speciale "Il mestiere di vivere"?

R: Tutta 'na farsa. Cioè, tu nun vede' er Rebibbia penale, er Rebibbia G8 .

D: Che settore è, il G8?

R: Il G8 è il "penalino" (con aria di sufficienza), ce stanno anche i travestiti.

D: Come è stata la tua permanenza a Regina Coeli?

R: Ma guarda, te parlo de quanno so' entrato io là, verso er '93.

Io stavo discretamente, ma stavo discretamente sempre riguardo a chi conosci.

D: Quindi anche quello incide?

R: Incide, incide, come no?

D: Le "amicizie" che hai dentro?

R: Dentro e fori, pe' quello che hai fatto e quello che nun hai fatto.

Vieni trattato pe' il personaggio che tu sei.

D: Quindi anche gli agenti sembrano rispettare questo stato di cose?

R: Certo, lo sanno, lo sanno. Quanno chiudevano la cella sempre "Buonanotte", er giorno "Buongiorno, Buonasera" .

Però io nun te do la confidenza, tu nun te la prendi.

Poi invece ariva er poro disgraziato, porello, che le pija a destra e sinistra, e nun è giusto.

D: Potresti stilare una specie di classifica, diciamo così, parlando di detenuti: da quelli più rispettati a quelli più odiati .

R: Quelli più rispettati so' sempre quelli che se so' comportati bene . Poi, certi omicidi, certi nun so' rispettati.

D: Alcuni di essi sì, quindi. In base a che cosa un omicida viene giustificato ed un altro no?

R: Quelli che ammazzano le persone per niente.

Cioè, come te posso di' . Il sequestro, per esempio. Il sequestro è calcolato un brutto reato, perché è brutto come reato, perché tu prendi 'na persona, la leghi, la fai .

D: Quindi del reato non è ben visto il maltrattamento.

R: Certo. Cioè, vatteli a prende a 'n artro modo i soldi, capito?

Nun me piace che te te vai a prende 'na persona, la privi della libertà, te la leghi, la incateni, e la tieni 'n anno . poi se la vendono, perché nun ponno più pija' er riscatto, e te la vendono a 'n'artra batteria .

Nun è bello, nun è bello . Come nun me piace a me er reato dentro a 'e case, 'e rapine co' l'ostaggio.

E come a me, nun piaciono a tanti altri detenuti.

Però parlamo sempre de 'na generazione un po' più indietro, eh, perché oggi nun gliene frega più niente a nessuno, cioè: 'ndo se può pija', se pija, ma a me nun me piace .

A me me dicevi "Entra in banca, entra dentro 'na posta, pijamo quer furgone", io lo facevo, ma no a entra' dentro 'na casa e sequestra' 'na famiglia.

D: Quindi dal tuo punto di vista, la vittima non era una persona.

R: No, esatto. Io personalmente me so' andato a prendeme i sordi dello Stato, nun ho danneggiato nessuno.

D: E gli autori di reati sessuali?

R: I reati sessuali, quelli levali proprio, lontani da . dentro al carcere, dico.

Il pedofilo, lo stupratore, . quelli non vengono proprio accettati da nessuna parte . Però poi te li ritrovi dentro al penale, che ce sta de tutto.

Tu stai là, e che devi da fa'? Che devo fa'? Don Chisciotte?

Oggi è così, nun è come 'na vorta.

Io me ricordo, 'na vorta, 'e guardie, te lo dicevano loro "Guarda, quello ha fatto così e così . Io vado giù e me vado a fa' er caffè . Fate voi", ma adesso no . adesso je servono, je servono proprio.

D: Chi?

R: 'Sta monnezza! Perché dell'infami? Ne volemo parla'?

D: Da quando gli sono utili?

R: Dall' ottantasei, dalla legge Gozzini. Io potevo ave' finito da mo', co' i giorni, invece nun l'ho presi perché . "rapporto de qua, rapporto de là".

D: Perché tutti questi rapporti disciplinari?

R: Perché io nun gliela faccio . O sei nato tondo o sei nato quadrato.

Adesso te evito, prima magari te spaccavo 'a testa, mo' "Vattene".

D: Invece questa "monnezza" . ?

R: Questi che c'hanno lo spaccio de droga . so' tutti pentiti.

Pentiti infami.

Fanno i coatti. So' ammanicati co' la Polizia, co' la Finanza .

Je fanno fa' tutto, li lasciano libberi, je fanno fa' er lavoro loro.

D: Cioè?

R: Tipo, no, se fai conto te stanno dietro pe' vede' de pote' arriva' all'altri componenti de la batteria tua, o pe' pija' un pesce più grosso de te, no, e tipo te trovano . che ne so . 'na dose de qualche cosa addosso, te rilasciano.

Mica t'arestano, e che so' scemi?

D: Ti brucia molto l'argomento, come sei finito dentro?

R: Io come ce so' finito dentro? C'era uno che hanno arrestato pe' niente, che lui 'a galera nun se la voleva fa' .

E lui "Senta, io so' a conoscenza de 'na banda", de 'na batteria se dice, "de 'na batteria de rapinatori romani . A capo un certo (omesso) e un certo (omesso)".

Quelli, capirai, se so' messi er tovajolo, se so' messi!

Dice "Vie', vie', raccontace tutto".

Già me conoscevano, già me stavano dietro, nun vedevano l'ora. Ecco come m'hanno arrestato loro a me: loro nun è che m'hanno arrestato perché m'hanno beccato a fa' 'na rapina a un ufficio postale, m'hanno arrestato perché quello se l'è cantata e ha fatto i nomi de tutti.

All'inizio trent'anni m'avevano dato, pareva chissà che me volevano fa' paga' . Poi diciannove, alla fine undici, e io quelli che m'hanno dato me li so' fatti tutti.

Se tu vedi, quello ch'ha ammazzato l'orefice, ha preso l'ergastolo, poi dopo diec'anni sta fori, perché ha collaborato .

'A legge . 'a legge un par de palle, 'a legge.

Ma 'a legge de che? Lasciamo perde 'a legge . !

'A famo 'na pausa? 'A voi 'na birra?

D: Si, perché no?


R: Allora? Che altro vuoi sape'?

D: In base a quali caratteristiche vi aggregate, all'interno del carcere. Scegliete i vostri compagni in base magari alla simpatia.

R: . no, no, ma quale simpatia? Se sei simpatico ma sei 'n infame?

D: Sembra quasi la madre di tutti i mali, l'infamia .

R: Certo . certo. E' la parola più brutta che c'è.

Come s'aggregamo.? S'aggregamo tramite conoscenze.

D: In che senso?

R: Nel senso che io lo conosco già da prima, se sa da fori .

Oppure amici de amici "No, guarda. 'O conosco io, è un bravo ragazzo", cioè tu te prendi la responsabilità che tu me stai a di' a me che quello è un bravo ragazzo, "Vabbè, ok", poi però se quello nun è un bravo ragazzo, io vengo da te, capito?

È una responsabilità che te prendi. Cioè, nun è che uno entra, 'no sconosciuto, che nun lo conosce nessuno, e uno pija e .

Per carità, lo mettono in cella con noi, noi semo cinque in cella e arriva er sesto . Per carità, je fai er letto, tutto quanto, lo accogli bene, lo fai mangia' "Ciao, piacere . ".

Poi però "Tu 'o conosci? Te? Io no, io no, io no . Nun lo conoscemo".

Aspettamo. Er giorno dopo, er giorno dopo ancora .

D: Lo studiate?

R: No: aspettamo che qualche d'uno lo conosca. Ce sta quarc'uno che lo conosce, alla fine, capito? Può passa' un gorno, due giorni, una settimana, un mese.

Però alla fine arriva: "Si guarda, lo conosco, è 'na brava persona.", oppure "Guarda quello è un pezzo de merda, caccelo via!".

D: Ve lo comunicate proprio così, alla luce del giorno?

R: Beh, arivano i fojetti.

D: Come arrivano?

R: Tramite i lavoranti, tramite i portavitti .

Te portano da magna' e "Roberto? Tie'", e me dà er fojetto "Leggitelo", e io là ce trovo scritto si quello è un bravo ragazzo o no, "Firmato . ".

Perché poi in cella se parla de tutto, capito? Come stamo mo' a parla' io e te.

'A cella, te immagginate, è come 'na casa, dove per tutto il giorno stai chiuso co' questi.

Che ne sai che questo nun va' a riporta' quello che te sto a di' io a te?

Io devo sta' tranquillo de chi sei, de chi c'ho dentro casa, capito?

D: Ho capito . E in base a che, invece, un detenuto diventa un leader per gli altri?

R: Oggi come oggi, in base alla robba : ce sta gente che dentro ar carcere pensa alla droga, je fai passa' 'na giornata in galera . diversa.

O co' la cocaina, o co' l'eroina, o co' er fumo, come te pare.

Oppure perché c'ha er telefonino, c'ha questo, c'ha quello . Ecco come ce diventi un leader.

D: Quindi non c'entra la tua personalità in tutto questo.

R: No, no. Ce stanno tanti pezzi de merda che c'hanno queste possibilità.

Perché poi ce stanno sempre 'sti pentiti che so' talmente protetti, che fanno come je pare.

Ce se arricchiscono, quelli c'hanno tutto . A 'ndo' stavo io er telefonino ce l'avevamo quasi tutti, nun c'era problema.

Io a lei (si riferisce alla compagna presente durante l'intervista) nun je telefonavo perchè nun sia mai succedeva qualche cosa, risultava er numero suo, però lo potevo fa'.

C (la compagna): Però questa è una contraddizione, quello che dici.

R: Perché? Nun l'ho fatto perché nun te volevo mette in mezzo all'impicci.

C: Sì, però se tu dici che questi che hanno questi privilegi sono comunque degli infami, tu neanche ce li avresti dovuti avere.

R: Ma io ce l'avevo pe' cazzi mia, mica perché c'avevo dei privilegi, ma che c'entra?!

Io er privilegio me l'ero fatto pe' affari mia, capito?

Però 'a maggior parte de questi se rivolgeva a loro.

A me me lo può ave' portato 'a guardia, perché poi ce stanno quelli che le fanno 'ste cose .

Ogni tanto l'arrestano . So' tutti storti.

D: Però in questi casi sono vostri complici .

R: Be', dar momento che tu te metti d'accordo co' 'na guardia, che vuoi?

Lo sai a quello che vai incontro, no?

D: In che senso, scusa? La guardia sa a che cosa va incontro?

R: No, no, tu. La guardia è scontato a che va incontro.

Tu stai a compete co' una guardia . che se succede qualche cosa quella è 'na guardia, 'o dice subbito.

E' 'na guardia, ma che pretendi?

D: Immagino cosa succederebbe se un agente capitasse da detenuto in mezzo a voi .

R: Ma tante vorte nun vuol di', sai. Perché tante volte se comportano anche mejo de tanti carcerati, sa'. Ce stanno tante guardie che non l'hanno detto, e carcerati che l'hanno detto.

Ecco perché te sto a di' che è 'no schifo . Perché ce sta la collaborazione interna al carcere, ce sta: articolo 47-ter, se chiama, "Collaboratore interno al carcere".

D: E come funziona?

R: Niente, tu dici "Guarda, Roberto ha fatto entra' la robba, c'ha er telefonino", quello che te pare a te .

E loro fanno 'e pomiciate, noi le chiamamo.

D: Sarebbero?

R: Perquisizioni.

D: Perché proprio "pomiciata"?

R: Perché sai . quanno smucini, no? La perquisizione è come 'na pomiciata, in finale (ride).

E niente, ottengono dei benefici: il direttore informa il magistrato che sei un collaboratore interno, hai avuto frutti dalla collaborazione e gli si dà il 47-ter.

E quindi uno magari se sta a fa' 'na canna in cella, ce sta questo, fa fuma' pure lui, e quello . hai capito come? E' un attimo.

Per questo se dice sempre appena arriva uno nuovo: "Chi è questo?". Poi però magari te dicono "E' bono, è bono", invece poi .

Perché poi le notizie magari t'arrivano pure stracciate, o magari c'hanno pure loro l'interessi sotto da ditte che quello è bono. E bono nun è.

Allora ce sarebbe da fa' tutto un mucchio, no?

E da brucialli, come mi' padre fa' co' le foje secche (ride).

E' uno schifo, io non lo so come camperanno . Io preferisco campa' così.

Però te posso di' 'na cosa: a me me ponno pure riarresta', ma io posso anda' da qualsiasi parte a testa alta e veni' da te a ditte "Ah, te stai qua, a bastardo". Io te lo posso di', loro a me no.

A tutti 'sti belli coatti, che s'atteggiano e vanno in giro co' i Mercedes 5000, e io je posso di' "Ma damme 'sta macchina". Ma ho deciso da tiramme fori, capito. Ma 'o potrei fa'.

Ma tanti so' vecchi, eh. Poi ce quello che s'è scopato 'a moglie der compagno suo, è infame pure quello, eh.

Noi dicemo "infame d'azione" e "infame de verbale".

D: Che differenza c'è?

R: L'infame de verbale è l'infame classico, quello che ha fatto carcera' la gente.

Perché t'ha chiamato in correità: io mi accuso a me e ti accuso pure a te, però.

Di conseguenza io me prendo lo sconto, e a te te fanno un culo così.

D: Parlando di altro, c'è ancora l'abitudine di farsi tatuare, una volta dentro?

R: Ma sì, quelli che non so' mai entrati, però.

D: Perché lo fanno?

R: Perché so' encefalitici, perché?! Perché nun capiscono un cazzo.

D: Perché si sente un "fico".

R: Ecco, infatti. Un coatto.

C: Perché non gli fai vedere i tuoi?

R: (Ride imbarazzato) . ma io nun ce l'ho pe' niente . (Dopo varie insistenze) Ma sì, ma ce l'ho, ma . (mostra un tatuaggio ben fatto, professionale)

C: No quello! Quello te lo sei fatto fuori!

D: Un diavolo . sei tu?

R: Si, ma c'ho pure un angelo, però. E' l'angelo il primo tatuaggio che me so' fatto dentro.

Me l'ha fatto uno slavo, "a lametta".

D: Cioè?

R: Fatto il disegno co' la penna, con la lametta me tagliava .

Però devi sape' adopera' la lametta, ovviamente . M'è venuta uguale 'na gamba così, eh, però . !

E dopo, passi l'inchiostro.

D: Quindi quando poi si cicatrizza, l'inchiostro rimane dentro.

R: Sì. Adesso se fanno co' i motorini delle cuffiette (degli walkman).

Se sistema la penna bic, l'ago, le batterie . Fai tipo 'na macchinetta, via.

(Sciolto il ghiaccio, fa vedere gli altri tatuaggi)

R: . Un gattuccio . poi c'ho questo . è tipo un bracciale .

Poi questo, un tribale, e qua sul petto un cuore con il nome di mio figlio. Poi questo .

D: Che cos'è? Sembra un Cristo . c'è anche un falco .

R: Guarda bene . New York sotto . E' un indiano, un indiano metropolitano .

La città è il tronco dove se arregge il falco .

Ma mica che mo' se rientro me ne faccio un altro, eh! Anzi, se me lo chiedono je dico "Ma falla finita, ma quale tatuaggio . ma vedi d'annattene . Ma che è? Quanno esci vattelo a fa', almeno te lo fai fatto bene, no?"

Tanto, parlamose chiaro, ormai oggi i tatuaggi li portano tutti quanti. Prima ce l'avevano chi era stato in carcere.

D: Era quindi un modo per differenziarsi dal resto della società.

R: Sì, certo, ma pure mo': se vedono i tatuaggi quando so' del carcere.

Poi co' er rischio dell'aghi . per cui chi se li fa fa' è encefalitico. So' sempre pischelli

Poi ce stanno tanti che stanno ar trucco . che dentro nun ce so' mai stati.

Oppure tanti che pe' 'na vorta che ce so' stati se so' riempiti tutti co' 'sti tatuaggi . (sfottendo)

D: Immagino che ne vadano fieri, del fatto di essere stati dentro.

R: Uhhhh! Hai da vede' come s'atteggiano!

D: Ma perché?

R: (Glissa)

D: In base a cosa si scelgono i compagni tatuatori?

R: Ovviamente te li deva fa' chi è che li sa fa'.

Ma comunque io da 'n infame nun me li faccio fa'. Pure che me dicono "Aò, quello è fortissimo", però è 'n infame . vattelo a fa fa' te!

Io in mano tua la pelle mia nun ce la metto.

D: C'è qualche simbolo che viene tatuato? Ho sentito parlare dei "cinque punti della malavita" . qualcosa del genere .

R: Ah, vabbe', ma quelli so' antichi . oramai . Renato Vallanzasca.

"Cinque punti" vuol dire "un uomo in mezzo a quattro mura"

Poi ci sono altri segni, quelli dell'ambiente . Quelli sulle mani (mostra i suoi, collocati in punti diversi).

D: Cosa stanno a significare questi?

R: E' un riconoscimento.

D: All'interno del carcere o .

R: No, no, pure fuori, ovviamente sempre nell'ambiente, nel giro Come in faccia.

Ad esempio qua (vicino la bocca), questo vuole dire "Non parlo", vicino l'occhio "Non vedo", all'orecchio "Non sento".

D: Nei hai uno vicino la bocca, sbaglio?

R: No, questo è un neo. Se vede che ero segnato, già dentro a pansa de mi' madre! (ride mestamente)

D: Senti . E la decisione di svolta,di cambiare vita, è stata tua? Sei tu che hai deciso di voltare pagina, diciamo?

R: Mah . Io te potrei di' che a me adesso me servono un sacco de cose, no?

E io adesso come adesso uscirei e potrei anda' a Roma e ottene' 'na cifra de cose.

Però nun lo faccio perché nun ce vojo rianda', onestamente.

Un conto è quando stai con la testa da 'n'altra parte . e te ne vai . Però me so' stufato.

Vojo uscinne. Che tanto poi alla fine nun te porta niente, nun te porta.

Poi quando c'hai 'na donna che ami . qual è il problema? (le sorride)

O te ributti là, e dici "Ma vaffanculo a tutti, la vita mia la vojo spreca' così", e da un giorno all'altro posso andamme a ribecca' 'n altri vent'anni .

Non so' più un pischello, me dai 'n altri quindici anni . ho finito, 'ndo vai?

E poi, pe' tutto quello che te sei creato, hai ripreso 'na famiglia, hai ripreso la fiducia, no? Bene o male .

D: Di chi?

R: Di tutti quanti, delle persone che te volevano e che te vojono bene.

Poi, oddio, io so' 'na persona impulsiva, che se incontro magari pe' strada i colleghi, è capace che un giorno faccio finta de niente, oppure un altro . perché magari m'ha guardato strano .

Quindi, speriamo de no, ma se risuccede nun è perché me vojo anda' a rimette in mezzo ai casini, è pe' er carattere mio .

So' cambiato, è vero, ma la mano in testa nun me la metti . capito come, no?

D: E l'esperienza del carcere in sé, quanto ha influito su questo cambiamento di rotta?

R: Partimo che io ce so' cresciuto per strada, in tanti modi.

Però, nun vor di' che chi è cresciuto in mezzo alla strada deve esse per forza un criminale . perché tante volte so' le compagnie che ti ci portano a fa' determinate cose.

Io adesso ha deciso de cambia', oddio, adesso ce sto a riprova', perché io già c'ho provato due anni fà e nun ce so' riuscito, perché nun è facile, nun è facile pe' niente .

Ecco, io adesso sto a aspetta' 'na risposta de 'na proposta de lavoro, ma . Me stanno a pija' pe' il culo . Ma 'ndo cazzo vado a lavora'?

Ma chi me pija a lavora', co' tutti 'st' anni de galera, ma chi te pija? Però, ce sto a prova' a anna' a lavora': a telefonaje, telefonaje.

D: Essendo anche abituato ai soldi facili . io penso anche che ora sia difficile per te condurre una vita normale .

R: Sì, soldi facili . Ma io ne ho buttati veramente tanti, lasciamo perde, nun c'ho più soldi .

Nun me guarda' così, io giravo co' i Ferrari, co' la Corvette, giravo così .

C'avevo cento milioni dentro casa, così che m'alzavo e me mettevo in tasca tutti 'sti fogli .

Ma poi . onestamente . nun se pijano proprio più così facilmente, nun te ce sistemi .

D: "E' più la spesa che l'impresa" .

R: Sì, nun te ce arricchisci. Io ho preso anche un miliardo, no io da solo, eh . Svuotato sopra un tavolino. Nun so' pochi, eh .

E domani ne pijavi seicento . e tra 'na settimana altri cinquecento . e così via.

D: Ma secondo te, alla fine, sei il carcere in se stesso serve a rieducare?

R: Ma nun je da' retta! Allora, te vai in semilibertà . te danno tipo associazioni che ti danno il lavoro . Allora, tu devi pensa' che ce stanno tutti questi che escono dar carcere e vanno là.

Co' quello stipendio che gli danno loro, ce sta chi se accontenta e chi nun se accontenta, e chi ricomincia a fa' l'impicci.

E con chi metteli mejo che tra de loro? Cioè, alla fine creano 'n'associazione a delinque!

Poi tu me vieni a rompe e me richiudi se me becchi a parla' co' un pregiudicato? Perché io so'un sorvegliato, e c'è er rischio che me rimandano dentro.

Ma io come faccio? Io conosco tutti pregiudicati! Dopo tutti 'sti anni in galera, ma chi altro posso conosce?

Me dicono "Ah, ma a te te l'hanno data la possibilità", ma non è vero.

Mo' per esempio, sto senza patente . Se pure me danno lavoro ma come cacchio ce vado a lavora'? Qui l'autobus nun ce stanno, quanno piove e fa freddo come ce vado cor motorino?

Tu me complichi la vita, nun cerchi de agevolammela. Un controsenso, no? Me vuoi aiuta'? Aiutame no?

E vai avanti, e avanti e avanti.

E areggi, areggi, areggi.

E alla fine te vie' da di' "Ma vaffanculo, va'".

Certo, l'importante è ave' le persone vicine, però alla fine te ne sbatti pure de quello.

Ma poi tanto la colpa è sempre la mia, ma chi è che me verrà mai a di': "Ammazza, però c'hai raggione"?

D: Forse che c'è passato, come te.

R: Nooo . Chi c'è passato come me me dice "Ammazza, ancora stai così?" (ride).

L'altri te dicono "E allora, noi perché le difficoltà nun ce l'avemo?", ma nun so' le stesse difficoltà.

Me dicono "E che te l'ha ordinato er dottore de annana' a rubba'. Che te l'avemo chiesto noi? Te lo sei annato a cerca' te".

Però ce devi passa' . Pure i carabinieri che te vengono a controlla' . Ieri so' venuti due volte: una alle due de notte e 'n altro a le cinque de mattina.

"Manco siete stati capaci da metteve d'accordo", gli ha detto mi' padre, "Ah, perché, so' già venuti?" Hai capito? Manco lo sapevano!

D: Be', da una parte è meglio che vengano di notte a fare i controlli, sei meno visibile.

R: Guarda che a me non me ne frega niente, eh. A me me ponno pure di' "Ma che sei stato in galera?", io je dico "Si, e ce sto pure mo', allora?".

Te giuro, a me non me ne frega niente.

Tanto c'hanno tutti la merda dentro la famiglia loro, se guardassero le cornaccia che c'hanno.

A me non me non me devono di' niente, perché io non ho violentato nessuno, non ho mai fatto del male a nessuno.

Io i soldi l'ho rubati allo Stato! Che cazzo volete da me? Mica che l'ho rubati alle vecchiette, eh.

D: Ti sentivi in sfida con qualcuno?

R: Come no? Io me sentivo in sfida con tutti. Io lo sapevo che me stavano pe' arresta', ma era 'na sfida. Tra me e loro.

D: Loro chi?

R: 'O Stato. 'A Polizia. 'A società. Pe' faje vede, capito, "Pezzi de merda!", co' la Ferrari, capito?

'Na rivalsa. Quelle erano le rivalse mia, tanto me la tiravano, me s'erano consumate a forza de grattamme! (Ride)

(Entra la madre)

M: Allora? Hai finito de fa' er professore?

R: A ma', va dellà che nun avemo finito.

M: Capirai! A 'sta ragazzetta je ce vorranno du' anni prima che j'aricconti tutto quello ch'hai fatto . ! (si rivolge alla scrivente, con ironia) Come sta a anda', signori'? È bravo? Risponde bene alle domande?

D: Si, si. Va proprio da solo!

R: A ma'! Te ne voi anna'?!

(Esce la madre)

D: Come erano i tuoi rapporti con i familiari mentre eri dentro?

R: Eh . lo vedi che je stai a fa' un torto. Ecco, vedi lei (la compagna)?

La vedi durante i colloqui che sta male . Certo tu sei contento de vedella, perché t'assicuro, quando vedi che ar colloquio nun viene nessuno . T'assicuro che stai veramente male.

D: Che cosa pensavi?

R: "Ecco: vedi?", pensavo "Ormai, te la stanno a accolla' tutta a te 'sta faccenda

Te senti abbandonato, trascurato.

Passi 'na settimana de merda, finché nun arriva er prossimo, se arriva.

Ma perché io co' lei ce sto bene, eh, perché io non è che faccio colloquio co' lei perché me fa colloquio, ma perché je vojo bene, sennò nun ce l'avrei voluta.

Posso sta male 'na settimana, un mese, ma poi me passa. Che poi in carcere è tutto accentuato: da così diventa tutto così (mima con le mani).

D: Perché non fai che rimuginare.

R: E tanto nun c'hai nient'altro da fa' .

D:Senti, cosa mi dici dell'omosessualità? È diffusa?

R: Si, i rapporti ce stanno, come no? Ma no a livello de violenza, nun guarda' i film americani.

So' consensuali, nel senso perché ce sta quello che è gay, però nun l'ha fatto sape', capito.

Però alla fine, se mangia insieme, se fa socialità insieme, alla fine quello je lo dice, magari a quello je sta bene.

D: Quindi quasi la stessa frequenza dell'esterno?

R: Si, poco e niente. Ce sta poi er braccio dei travestiti, ne hanno fatte de tutte.

Te posso racconta' 'na cosa pe' ride: allora, ce sta l'area dove stanno loro.

Sopra ce stanno i detenuti normali, diciamo, che poi so' normali pure quell'altri, diciamo . che nun so' come me e te, và.

Allora, a Rebibbia nun ce sta la rete, ce stanno le sbarre abbastanza larghe.

Allora, loro gli hanno fatto 'na corda, tipo seggiolino, che la tiravano giù, quella ce se metteva dentro, e la tiravano su. Alla finestra e se facevano fa' . (Mima un atto sessuale) Che è successo?

E' arrivata subito 'na guardia "Oh, ciocca 'a guardia! "e quelli hanno lasciato 'sta corda, e quello è volato giù, s'è rotto tutto, poraccio!

Hai capito? Pensa che se so' inventati!

D: Ma vattene, va'! Ma che mi dici?!

R: Al G8, è vero, eh! Ce sta la regista che le sa tutte 'ste cose.

D: Quale regista?

R: La moglie de Dino Risi, quella che ha fatto "Un prete tra noi". Io c'ho fatto pure le comparse lì.

D: Pure tu?! Ne conosco un altro, di "premio Oscar" . !

R: Chi è? Po' esse che lo conosco .

D: (omesso).

R: No, nun me pare. Vabbè che eravamo talmente tanti .

Hai da vede quanto giravamo, in palestra, a gioca' a pallone .

Io ho voluto fa' solo quelle, de scene, perché nun m'annava de famme ripiglia' in faccia.

Invece l'altri se facevano vede' . pure pe' protagonismo.

D: Perché hai voluto girare solo quelle scene?

R: Ma che sei matta? Così, se me facevo vede' in televisione, rischiavo pure che qualcuno me riconosceva e m'accollavano pure qualche altra rapina! (Ride)

Te ce scherzi, ma guarda che so' successe 'ste cose, eh.

Tu pensa che c'erano i confronti, no?

Allora, a me me chiamavano pe' fa' un confronto, e io me portavo altri tre detenuti che me potevano un po' assomiglia' .

Ma comunque si chiedeva se in quel periodo te eri stato arrestato, perché loro, che facevano?

Se quella diceva che eri te, loro guardavano se in quel periodo t'avevano arrestato: se eri libero te mettevano dentro.

Mo' nun è più così, ma prima è chiaro che i confronti nun li voleva fa' più nessuno: se quello già stava carcerato, invece, te veniva, perché stava tranquillo.

D: A te è mai successo?

R: Come no? A me m'avevano riconosciuto dalle fotografie, pensa, e m'avevano accusato de 'na rapina a un ufficio postale a (località omessa).

E me so' venuti a piglia' a casa, quando io era già un po' che stavo dentro! So' venuti, hanno chiesto a mi' padre "Ma quello so' quattr'anni che sta in galera, ma chi siete venuti a piglia'?". Hanno fatto, l'operazione (enfatizza il termine ironicamente).

Nun ce se crede!

Se la so' presa in quer posto, perché nun m'hanno trovato, ma se io disgraziatamente m'ero preso qualche permesso, me l'accollavano

Perché le guardie so' così, eh, so' maledette da Dio.

D: Perché tutto quest'astio? Perché .

R: Astio? (Tra l'incredulo e l'ironico)

D: Sì . nel senso, ce l'hai con loro perché in quel momento sono loro che ti stanno punendo?

R: No. (Lunga pausa) Io ci sono delle guardie che rispetto.

Però la maggior parte . loro avrebbero voluto fa' i delinquenti e invece se so' buttati dall'altra parte.

E fanno le cose illecite: se fanno porta' lo stereo rubato . So' tutti storti, e poi vonno fa' tutti quanti i puliti, i moralisti.

Poi quando te se mettono de punta e se inventano le cose . perché lo ponno fa'.

Però ce stanno pure quelli bravi, ma nun ce può sta' dialogo.

Allora me devi di', che significa che cor tesserino e co' la divisa, te vai dentro lo sfascio a pigliatte lo sportello della macchina e nun lo paghi? Perché?

Te chi cazzo sei che nun lo paghi?

Perché tu sai che quello taja le macchine e allora lo puoi ricatta'?

E vai là pe' non pagallo?

E allora sei un delinquente come me, anzi sei peggio, perché tu usi pure la divisa, perché nun c'hai er coraggio de fa' quello che faccio io.

C'hanno tutti quanti le storie loro. I "delinquenti autorizzati".

Ma chi je dice niente? Prima dimostralo, e poi devi esse incensurato fracico.

A me, se vado a fa' 'na denuncia a un poliziotto perché m'ha menato, me dicono "A Robbe', ma vatte a fa' 'na passeggiata, và! Sei cascato pe' le scale".

D: Ce l'hai con le istituzioni?

R: Lasciamo perde, me chiedi perché ce l'ho con le istituzioni?

Io quanno vedo 'na divisa, me se accendono i fari, me se accendono!

D: Ma è sempre stato così?

R: Io me ricordo che c'avevo dieci anni quando me se so' accesi i fari pe' la prima volta.

Io stavo seduto su un muretto con un amichetto mio, un altro ragazzino, e je faccio "Anvedi, Madama!"

Ha frenato 'sta Giulia, "Come c'hai chiamato?", e io "Madama".

E giù 'na pizza

"Noi se chiamamo Polizia, no Madama".

Pensa io che impatto c'ho avuto con loro, che mi' padre nun me l'ha mai data 'na pizza der genere, perché l'ho chiamati "Madama", in gergo, come "Sbirri". E che t'ho detto?!

Era er periodo de l'omicidio de Pasolini. Io lo conoscevo quello che l'ha ammazzato, Peluso.

Sta ancora dentro. Io lo calcolavo un frociarolo.

Tanti je davano importanza, io invece: "Ancora parli? Andavi co' i froci!".

Io gliel'ho pure detto, visto che hanno arrestato solo lui, e hanno sempre sostenuto che nun poteva esse solo uno a farlo, e invece sta a paga' pe' tutti.

"Ma sfruttala 'sta cosa", gli ho detto. Chiama er giornalista, je mannamo 'na lettera, je dici che fai i nomi de chi stava co' te, e steccamo i soldi che je chiedi".

D: E a chi l'avrebbe accollata, poi? Sarebbe stato un infame .

R: Je fai i nomi de du' morti, gliela accolli a loro, tanto nun je ponno fa niente.

Ma lui nun l'ha voluto fa', sto' frociarolo.

D: Mi pare di capire che non tolleri molto gli omosessuali .

R: No, vabbe', ma è pe' scherza'.

Basta che nun fanno niente, che nun te rompono le scatole, chi gli dice niente?

Certo, se m'allunghi la mano .

Però te posso di' che tanti so' più corretti de altre persone.

Ce ne era uno che era proprio 'na brava persona, e quando je serviva qualcosa . a disposizione.

D: Dunque non sono ghettizzati?

R: No, lo sei se ce provi. Anche perché tanto lo sia chi è che ce stà se glielo chiedi.

Ma nun è che te puoi mette a fa' la femminuccia, dai!

Ce stanno tanti che se li vedi so' proprio uomini, ma maschi, eh, e invece poi vieni a sape' che so' froci. Però se li vedi .

D: . non sono effeminati.

R: Nooo! Ma dai! Ma te puoi mette a fa' così? (fa delle "mossette" caricaturali)

Ma 'ndo vai? Ma sai le pizze in testa? Senti come fischiano?!

Ma poi alla fine se rispettano . so' trattati bene. Comunque, alla fine, lui può sta in mezzo a noi, l'infame no.

D: E i tossicodipendenti, invece?

R: Uguale, se è un bravo ragazzo non c'è problema.

D: Non avete paura di essere contagiati da qualche malattia?

R: Io in cella ce l'avevo un sieropositivo, però . tranquillo.

Che c'entra, nun te faccio cucina' . Magari prima nun se sapeva, come se passava, ma mo' mica semo ignoranti.

Stamo attenti co' i rasoi, tu te lo tieni nello stipetto tuo. E basta.

D: Suppongo quindi che anche per gli stranieri sia così, basta essere un bravo ragazzo.

R: Esatto. Deve essere uno straniero pulito, però, cioè, "Vatte a lava'".

Mangia insieme a noi, fa tutto insieme a noi, gioca a pallone con noi.

D: Per quanto riguarda gli atteggiamenti che si assumono generalmente in carcere, hai mai dovuto dimostrarti più forte di quello che eri veramente?

R: Ma l'immagine ce l'hai, ce la devi sempre ave'.

C: Soprattutto mentre ti stanno menando, che vorresti piange e chiama' mamma! (Ride)

R: Si . ma che vuoi piange .?

Quando te dicono "Guardame in faccia", perché te stanno pe' mena' in faccia .

(rassegato, quasi sconfitto) Stronzo . mena se me devi mena' . e falla finita .

Le botte passano. Ma te rimangono dentro.

D: Pausa?

R: Pausa. Faccio fa' er caffè?

D: Eh . magari.


D: Dimmi un po' di te . Sei mai stato di aiuto a qualcuno?

R: Sempre. Sto sempre a aiuta', da quanno so' nato: ce l'ho pe' vizio!

D: Per quale motivo sei stato d'aiuto dentro? Perché qualcuno ha bisogno di aiuto?

R: Beh, perché magari è più debole.

D: Nel senso che non si può proteggere dagli altri detenuti?

R: Vedi tangentopoli. C'era una persona di queste, grande .

Che cazzo ne sa questo de la galera?

Aò era incredibbile! Sbagliava 'na cosa appresso all'altra!

D: Cioè?

R: Che ne so, passavamo davanti a le celle e se metteva a guarda' dentro .

E quelli "Aò, che c'hai da guarda'. Ma che stai a fa'? La conta?", e io "Cammina avanti, ma che cacchio fai? Te metti a impicciatte?", ma quello, che ne sapeva?

"Devi passa' nel corridoio, dritto, regolare. Nun se guarda dentro 'e celle così come stai a fa' te".

D: Perché non si può fare?

R: Perché la cella è come una casa, è una cosa privata, nun te puoi mette a sbircia'.

La guardia fa così, no? Fa la conta, e controlla.

D: Perché sbirciava secondo te?

R: Ma magari pe' curiosità. Tante altre cose . E io gli ho sempre preso le parti.

D: E perché ti sei attaccato a lui?

R: Perché lo vedevo come mi' padre . Anziano, un signore che nun c'entrava un cazzo co' quer mondo.

Aveva fatto i cazzi sua, sì, vabbe', ma a chi aveva fatto male, in finale?

D: Un po' come te?

R: Sì . Ma poi perché te la devi prende con lui? Cioè . che t'ha fatto?

D: Parli degli altri detenuti?

R: Si, se ne volevano approfitta', a fargli la prepotenza, a pigliarlo a male parole .

C: A farlo soggetto

R: Sì, a farlo soggetto . Alla fine li pigliavo "Aò, ma senti un po', ma lascialo perde", "Eh, ma te gli pigli le parti . ", "Embe', che cazzo vuoi?".

Nun me pareva modo de prende così 'na persona . Nun aveva fatto niente.

D: E perché l'avevano fatto "soggetto"?

R: Perché è sempre la stessa storia, no? Che c'è sempre qualcuno peggio de te .

E questo perché era un pezzo de legno[25]. Pensa un po' .

Lui se non avrebbe trovato a me, non so come ne sarebbe uscito . Forse molto più a pezzi de come sta adesso, perché quello nun era er mondo suo. E m'è stato riconoscente, sa'?

D: In che modo ti ha dimostrato la sua riconoscenza?

R: Prima de usci', perché lui è uscito prima de me, m'ha dato un orologio, l'orologio della moje che era morta, e m'ha detto: "Io voglio che quando esci tu mi vieni a cercare . Prendite questo . Tu lo sai quanto ci tengo io a quest'orologio. È un pegno: me lo ridarai quando ci rivedremo. Sappi che per qualsiasi cosa fuori, io pe' te ce starò sempre".

C: L'abbiamo rivisto, ultimamente. Siamo andati a cena insieme a lui e la compagna, una professoressa d'inglese . Devi vede' che gente fine.

R: Però pe' fatte capi'. M'è stato riconoscente pure fuori .

Lì se non sei qualcuno non conti un cazzo, e conti con quello che hai fatto e con quello che tu sei. Nel senso. "Aò, è rientrato Robberto!".

C: "Spalancamo 'e porte!" (Ride di gusto)

R: Ma no, nel senso che so' sempre io, capito?

In quella fase di vita me so' comportato bene, a prescinde da quello che ho fatto fuori. E quindi sempre così me trattano.

E anche se io mo' ho lasciato e sto a cambia' vita, io saprei come comportamme in quel giro là.

D: A conti fatti, in base alla tua esperienza, e rimanendo che comunque si debba scontare una pena, cosa modificheresti del carcere? Come dovrebbe essere?

R: AH! (Ride) Prepara 'n' altra cassetta, và!


R: Innanzi tutto . 'a domandina! (Scandisce il termine enfatizzando il diminutivo)

D: Non credevo che la prima modifica che un ex detenuto apporterebbe al carcere avrebbe potuto essere questa .

R: Ma stai a scherza'?!

Allora, innanzi tutto devi da scrive "Alla Signoria Vostra". E già quello .

Poi . "Il detenuto chiede l'autorizzazione a comprare nummero due confezioni de shampoo antiforfora de marca Clear, però quello coll'etichetta blu, eh, perché quello coll'etichetta verde me fa veni' er prurito" .

"Er detenuto chiede de pote' conferi' coll'assistente sociale, co' questo, co' quell'altro", co' l'animaccia loro!

Appena te movi . "Il detenuto chiede l'autorizzazione de pote' anna' ar cesso"!

D: Quindi è la mancanza di autonomia, la cosa che più ti pesava, la

R: Il dove' dipende da qualcuno pure pe' le cose più stupide. Nun te puoi move se nun fai 'a domandina.

D: Pensi di essere una persona migliore rispetto a quando sei entrato la prima volta in carcere, o il carcere ha peggiorato alcuni aspetti della tua persona?

R: Ma il carcere nun può migliora' le persone.

La gente esce peggio de come è entrata. Può il carcere migliora' le persone?

D: Perché? Da che dipende?

R: Perché te incattivisci. Esci che la vuoi fa' paga' a tutti.

E poi, te impari un sacco de cose, de trucchi . imbastisci i giri .

E quanno esci, stamo sempre là: pure se te vuoi rifa' 'na vita normale, nun c'è lavoro.

Ma chi te lo dà? Nun lo danno ai ragazzi c'hanno studiato, lo vanno a da' a 'n avanzo de galera?

(mostra il certificato di sorveglianza)

Questa poi è 'n artra cosa fatta bene per te, per esempio? Io ho pagato, tutto quanto, perché me devi fa' pure 'sta cosa?

So' un sorvegliato, nun posso usci' fuori dal comune, m'hanno tolto la patente . Tu me complichi ancora de più la vita.

M'hai fatto usci' per l'ultimo anno in sospensione de pena, perché nun me ridai la patente? Che c'entra?

D: La vedi come .

R: . 'na punizione fine a se stessa. Invece er pentito, er collaboratore, c'ha tutti i privilegi.

D: Credi che il lavoro sia una possibile via d'uscita? Un'alternativa?

R: Siii . È l'unica via d'uscita. Lavoro, lavoro, lavoro .

D: E le attività all'interno del carcere? Teatro, sport, corsi .

R: Maddechè . Te servono a fatte passa' mejo le giornate, e a fatte vede' dall'educatori che fai le cose . la bona condotta . ma tutto lì.

C: Io le persone che hanno fatto lo stesso reato di Roberto, proporrei di metterle in un posto di responsabilità tipo . Non so .

A lui lo metterei a fare la guardia giurata davanti una banca .

R: Ma che sei matta?! Ma c'hai detto?! A me davanti a 'na banca?? Co' 'na pistola in mano??

Capirai, li chiamo tutti! "Aò! Famo 'na rapina!".(Ride di cuore)

Ma poi. ma che me metti a fa'? 'A guardia infame?! Ma ch'hai detto, aò?! (Ride)

Apparte li scherzi . Io mo' sto qua, me devo cerca' un lavoretto tranquillo, senza che nessuno me rompe .

Lavoro. Lavoro . È l'unica soluzione pe' quelli come me.

E co' questo, penso che t'ho detto tutto quello che c'avevo da ditte.

D: Grazie Roberto, in bocca al lupo per tutto.





Ex educatore. Testimonianza raccolta il 15 novembre 2004.

Responsabile dell'associazione culturale Papillon Rebibbia. La testimonianza è stata raccolta nell'ambito di un colloquio informale. Testimonianza raccolta l' 8 novembre 2004.

Figlio di un ex detenuto. Il nome è fittizio. Testimonianza raccolta il 26 novembre 2004.

Leggasi: "senza freno".

Leggasi nel senso di: "poveri fessi".

Leggasi: "per fare le pulizie domestiche".

Leggasi: "auto costose e di grossa cilindrata".

È il nome di una trattoria popolare.

Detenuto in misura alternativa alla detenzione. La testimonianza è il frutto di una conversazione via internet del 19 novembre 2004.

Detenuto. La testimonianza è il frutto di una conversazione condotta via internet il 19 novembre 2004.

Detenuto in missura alternativa. Il nome è di fantasia. L'intervista è stata condotta il 30 ottobre 2004.

Leggasi: "Ti sei messo in mezzo ai guai".

Leggasi: "Mi picchiano con molta violenza".

Leggasi: "droga".

Leggasi: "si vantano".

Leggasi: "ragazzetti".

Quattro punti sono i vertici di un quadrato e il quinto è all'interno di questo.

Leggasi: "Ormai ti hanno lasciato da solo a sbrigartela".

Leggasi: "Attento alla guardia!".

Leggasi: "La attribuivano a me".

Leggasi: "rivende i pezzi delle auto rubate".

Leggasi: "schiaffo".

Leggasi: "ci spartiamo".

Leggasi: "a ridicolizzarlo", "a prenderlo di mira".

Leggasi: "impacciato".

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