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Il carcere della Giudecca: le origini




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Il carcere della Giudecca: le origini


Costituisce eccezione, assieme al sestiere di Dorsoduro, l'isola della Giudecca, a formazione rocciosa, più resistente delle altre isole ai terremoti e ai fenomeni di sprofondamento. Si fermò col tempo una lunga lingua di terra a forma di crinale, separata da un largo canale, essa rimase sempre disgiunta dalle altre sorelle, nonostante i numerosi progetti formulati varie volte.»


Il carcere della Giudecca, nasce (benché le sue origini siano incerte poiché gli storici non fanno pervenire molte notizie a riguardo) come convento-ospizio di Santa Maria Maddalena, suore Agostiniane, Convertite), e per questa istituzione, nell'arco di tempo che va dal 1524 al 1530, vengono acquistate alcune case alla Giudecca, ma bisognerà aspettare tra il 1542 e il 1548 perché vi sia un trasferimento in un edificio progettato per quelle ex peccatrici, che non dovevano essere tentate di riprendere le antiche vie della a-moralità.

Le Convertite, nome imposto a queste donne poiché ispirato alla Maria Madalena che si pentì davanti a Gesù, prima del 1551 non prendevano il velo ma passavano un certo periodo di tempo (una sorta di noviziato), prima in una casa a San Marcilian, da dove poi venivano trasferite in modo cerimonioso fino alla chiesa parrocchiale di Santa Eufemia, in cui venivano loro tagliati i capelli entrando così, con questo passaggio di rinuncia alla superficialità delle vanità terrene, nel convento.

Nel 1531 ad opera del cardinale Francesco Pisani che intercesse presso il Papa Giulio III , queste suore adottarono la regola di Sant'Agostino e divennero poi, nel 1562 claustrali.

Quest'ordine di suore, non era formato da giovani di alta classe, ricche e con una dote cospicua affidata loro dalle famiglie ma, anzi, da fanciulle molto povere al punto che le suore stesse,  richiedevano spesso che fossero tassate le cortigiane e i benestanti per poter dare alle convertite dei soldi, oltre alla sovente richiesta di essere nominate nei testamenti al fine di poter ricevere delle elemosine per poter vivere.

Certo non era neppure facile che queste suore ricevessero visite, appunto perchè l'ordine era formato da molte ex-cortigiane o peccatrici, per cui la mancanza di appoggi esterni non giovava all'aspetto economico del convento (i parenti non amavano difatti far sapere ad altri che le loro figlie o sorelle o altre parenti erano ricoverate in quella fondazione).

Grazie ad umili lavori (quali il merletto e il ricamo e la composizione e impressione di libri), le suore cercarono di poter guadagnare il tanto che bastava per potersi mantenere.

Il ricco mercante Bontempelli aiuterà questo Convento facendo restaurare a proprie spese gli edifici, ma la priora dell'Istituto, nel 1620 cercherà comunque di attirare l'attenzione esterna parlando addirittura del pericolo di dispersione delle Convertite, a causa della mancanza di finanziamenti che pervenivano nella struttura.

L'edificio fu consacrato dal patriarca Trevisan nel 1579 e rimase aperto fino all'intervento napoleonico che fece chiudere i monasteri e i conventi, e che spogliò degli arredamenti il convento.

Nel 1601, quando la peste cominciò a mietere vittime, il Senato veneto, tramite un suo decreto, nominò 12 governatori (metà patrizi e metà cittadini, poi aumentati fino a 20), per fare in modo che le suore e le ex peccatrici potessero ricevere aiuto e sostegno, in quanto la loro povertà era nota a tutti.

Il Patriarca Tiepolo nel 1630, segnalò il fatto alla pietà dei fratelli affinché nelle elemosine fossero ricordate le convertite, e il convento fu anche incluso tra i monasteri che ricevevano delle "staia" di grano.

Nel 1835, e poi nel 1837 e nel 1848, la chiesa fu adibita a Lazzaretto a causa del colera.

Nel 1849, la chiesa fu adibita a Ospedale militare a causa dell'evacuazione di quello di Santa Chiara a causa dei bombardamenti.

Nel 1856 fu istituita la I.R. Casa di Pena per  condannate.

Da alcune notizie si può vedere come nel 1859 le condannate venissero mandate a Innsbruck, mentre le traviate tornavano a fare il mestiere, inoltre l'ex convento rimase rimasto adibito a carcere definitivamente. (vedi foto 1 e segg.)

A proposito del carcere leggiamo anche da Basaldella che l'isola della Giudecca era formata da molti quartieri di baraccopoli, in cui erano presenti i Cason, (vedi foto 9 e 10) ossia i carceri di quartiere per reati meno gravi come debiti, piccoli furti  ecc..

Nell'isola le due carceri di pena maschile e femminile, funzionavano da carcere giudiziario ma non essendo sufficienti i due edifici della Paglia e di S. Severo furono poi sostituiti dall'edificio di Santa Maria Maggiore.

Le due case di correzione o di Forza, poi di lavoro, furono istituite nel 1856, sotto il dominio austriaco, nei conventi e chiese soppressi da Napoleone nel 1808: quello della Croce (per reati comuni e politici nel 1848/49), unitamente a quello delle convertite riservato alle donne.

I maschi erano impiegati in lavori di falegnameria e cordami mentre le detenute eseguivano lavori di maglieria, sartoria, stireria, cartonaggio, collane di perline colorate e altri oggetti di artigianato.

La casa di Pena fu inaugurata il 15 Aprile del 1856, al suo interno erano presenti 15 suore di Carità come sorveglianti-vigilatrici e un cappellano. Le detenute erano 320.

Dopo soli 15 giorni, fu disposto un trasferimento di detenute e detenuti a Insbruck e solo nel 1859 il fabbricato fu riattato a carcere.

A ricordo di Francesco Giuseppe I d'Austria (il quale tolse la palla di ferro al piede delle detenute) e delle vicissitudini del convento si trova una lapide.

Qui sotto viene riportata l'inscrizione


«Qui- sul principio del XVI secolo fondatosi per cura di zelanti fedeli- cooperante il Veneto Senato sotto la vocazione della penitente Maddalena- a termine convertite- addetto da Giulio P.P. III alla regolare agostiniana disciplina- un cenobio- riedificatovi nel MDLXXIX dal veneziano Bontempelli dal calice- e dal patriarca Trevisan dedicatovi il tempio- poi nella soppressione dei chiostri del MDCCCVIII deserte le mura- e per lustri profanate sfigurate manomesse- Francesco Giuseppe I imperatore apostolico- ad un cenno splendidamente rinnovato l'edificio- e consegnato animamene alle suore di Carità di San Vincenzio De Paoli- della Congregazione di Lovere- visitato il XIX Dicembre MDCCCLVI- delle condannate e delle corrigende di molta parte dello stato- la pietosa custode il decreto- fidando re sapiente in mano della religione la forza della giustizia- diligenti esecutori del sovrano mandato-  a cav. Weiss di Starkenfels Ispettore generale delle carceri austriache- Aurelio Mutti patriarca di Venezia- il Conte di Bissingen regio luogotenente nelle venete province- il cav. Muzani consigliere luogotenenziale- e il conte Sanfermo Giuseppe ingegnere- compendo il decoro della illustre istituzione- vacante la veneta sede patriarcale- Antonio Gava vescovo già di Feltre e belluno- che nel XXIX di Ottobre del MDCCCLVI- anno XI del pontificato di Pio P.P. IX- il tempio riformato ed abbellito ebbe di nuovo solenne consacrazione- sotto il cui altare le deposte reliquie dei Martiri- furono ottenute dal Vicario di Roma- con altre della penitente titolare- dal primo cappellano Confr. Pietro Bagni che scrisse questa memoria»


Tra le vicende che si narrano, e di cui è rimasta memoria, inerenti al monastero ci sono lo scandalo di Leon da Valcamonica, e la presenza, quando il monastero era diventato carcere, della contessa Tornowska.

Nel 1561 , venne decapitato, e poi bruciato, in piazzetta san Marco, il prete Leon da Valcamonica, rettore dell'istituto, con l'accusa di commercio carnale con venti delle recluse convertite.

L'uomo, reo confesso, si macchiò anche di infanticidio, poiché affogo i frutti colpevoli del suo amore.

Prima di morire ricusò le accuse mosse a carico anche della badessa, la quale invece fu comunque condannata e morì in carcere dopo 15 giorni di malattia.

Il nunzio apostolico racconta: «.le Convertite erano di numero 400, la maggior parte giovini e belle e Pre' Leon voleva che le più belle d'estate andassero a bagnarsi nella cavana delle barche per ammirarle e dilettarsi (.) i frutti del suo amore venivano annegati; rubava le elemosine e faceva lavorare dì e notte le povere disgraziate per trar guadagno; teneva la sua mensa ben fornita di vivande di prelibati vini sino che, alcune suore, non potendo più resistere cominciarono a parlare e quindi scoperto fu condannato»

Per quanto concerne la storia della Tornowska[9], essa è nota anche come il "processo dei russi", e vide come protagonista Maria O' Rurke, figlia del conte Nicole e di Caterina Petrowna Sielietzka, moglie separata di Wassilli Tarnowsky.

Il Basaldella nella sua opera la descrive come una donna ambigua, una sorta di maga Circe dai molti amanti, ma anche una femminista ante-litteram, una donna bellissima, che riusciva ad ammaliare uomini e donne, ricercandone gli averi, per poi dissiparli e, conseguentemente, mandare in rovina i poveri malcapitati.

Questa sorte fu subita per esempio dal cugino van Troubezkoy, morto, o a Piotr Tarnowsky, cognato giovane della donna, il quale, dopo essersi ridotto sul lastrico, si impiccò.

La catena delle morti che seguivano questa donna, non si fermò qui, ma colpì anche l'ufficiale ulano Sergey Bozevsky che fu ucciso dal marito di lei, conte Vassilly per aver avuto la tresca, e che, quando ancora godeva dei favori della Tarnowska, non evitò di spararsi ad una mano per farle piacere.

Pavel Tolstoj, nipote del famoso scrittore e tenente della guardia zarista, si suicida dopo esser stato cacciato dal posto di lavoro e aver sperperato il suo denaro, così come il barone e medico Vladimir Sthal.

Toccò poi al conte Kamarosky il quale felice di sposare Maria, si ritrovò ucciso in un agguato nel suo palazzo di S. Maria del Giglio tesogli dalla futura sposa, per mano di Demiat Prilikoff e il del giovane Nicolay Naumov (la donna potè così prelevare l'assicurazione sulla vita che il fidanzato le aveva intestato).

A questo punto però, la fortuna della contessa finì e lei fu arrestata con i complici e la sua fedele domestica, e rinchiusa nella Giudecca di Venezia.

Il processo divenne un evento, l'aula era stipata di gente più o meno famosa, venuta per poter ammirare la contessa, la femme fatal che aveva, tra gli altri, fans come il giornalista Gabriele D'Annunzio.

Fu proprio D'Annunzio che coniò l'aggettivo fascino slavo, riferendosi alla donna, che poi rimase nella lingua.

La Tarnowska comunque scontò otto anni di carcere a Trani, a parte il tempo trascorso a Venezia alla Giudecca dove, si dice, scrisse le sue memorie a matita  su un quaderno di scuola.

Alla fine fu graziata dal re Vittorio Emanuele III, su intervento dello zar, e poiché le vennero confiscati i suoi beni in patria si trasferì prima in Francia dove ottenne l'impiego in una Società di Spedizioni di Le Havre e poi in America al seguito di un colonnello americano.

Morirà in Argentina, dopo la seconda guerra mondiale nel 1949.






Tratto dal capitolo introduttivo del testo di Basaldella , Giudecca cenni storici, 1983, Union grafica Marcon

Già Patriarca e ancor prima abate di S. Giorgio Maggiore) pose sotto la sua protezione spirituale il convento e l'annesso oratorio dedicato alla penitente Santa Maria Maddalena.

Nel 1556 fu Papa Paolo IV ad proteggere insieme alla protezione temporale del Senato Veneto l'istituzione, con l'assegnazione di grazie e privilegi a "Pubblica Pietade" per poter sostenere le monache.

Dice il Sansovino a proposito di queste convertite: "Et pochi anni sono si fabrichò il monastero delle convertite, acciochè, si come le vergini, consacrate al servizio di Dio, hanno ricetto per conservarsi, così le peccatrici pentite, habbiano parimente, dove salvarsi in tutto dai peccati quivi dimorando assai gran numero di donne, tutte bellissime, (perciochè non si accettano se non quelle, che hanno somma beltà, acciochè pentendosi, non ricaggino né peccati per le forme loro, attrattive degli altri desideri) si esercitassero con ordine mirabile in diversi edifici"

Il mercante bresciano Bontemopelli del Calice riedificò e ampliò a sue spese il tempio.

Il piccolo fu consacrato e arricchito di tre altari in più, rispetto a quelli già presenti, diventando così sei, dei quali il maggiore era per le sole monache.

La Chiesa aveva due ingressi e tre campane ed era ornata di varie pitture.

Testo riportato dal Bonfanti S., La Giudecca nella storia, nell'arte, nella vita, 1930, Libreria Emiliana Editrice

Fra le reliquie presenti vi è anche quella di S. Fausto Martire

Vedi Basaldella F., Spinalonga: storia e nuove testimonianze sulla Giudecca, 1993, Quaderni di cultura giudecchina -5, Ve

Vedi Basaldella, 1993

Vedi foto 7 e 8.

Alla mostra Internazionale d'Arte della città di Venezia nel 1907 le comprò la Popolana, quadro ammiratissimo del pittore Ettore Erler.

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