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I modelli di intervento della giustizia riparativa




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I modelli di intervento della giustizia riparativa


Tra i principali modelli in cui la giustizia riparativa mette in gioco le sue potenzialità, vanno annoverati i programmi di riconciliazione autore-vittima (ed in particolare la mediazione), la Neighbourhood justice, il Family Group Conferencing ed i c.d. "consigli commisurativi" e "resoconti di vittimizzazione" (come fasi commisurative della pena); sono questi i quattro istituti che per struttura, compatibilità con il sistema penale e frequenza applicativa, rappresentano le principali modalità d'intervento.[1]


1 I programmi di riconciliazione autore-vittima e la mediazione


I victim-offender reconciliation programs (VORP) nascono a metà degli anni Settanta, conoscendo un rapido ed inarrestabile declino, a livello americano, dei programmi di riconciliazione e mediazione, il cui numero cresceva esponenzialmente.

La promozione e gestione di tali programmi viene affidata ad organizzazioni estranee al circuito giudiziario, pur collaborando, spesso, con lo stesso.

Nonostante il loro carattere mediatorio, i VORP si differenziano dalla vera e propria attività di mediazione; tale divergenza è visibile già a partire dal profilo semantico[2].

Tuttavia il VORP si avvale della guida di un mediatore o terzo neutrale la cui presenza è finalizzata al superamento del conflitto che può scaturire dall'incontro tra vittima ed autore di reato.

Il ruolo del mediatore si esaurisce nel sollecitare il reciproco riconoscimento delle parti senza investire il campo proprio della riparazione. La logica della mediazione implica, infatti, che il "reparation agreement" scaturisca dalla libera volontà delle parti.

La negoziabilità della soluzione del conflitto concorre a far sì che l'esito di un tale programma non sia scontato e prevedibile, come accade invece all'esito di un processo che, in linea di massima, si conclude con un vincitore ed un vinto.

Tra gli epiloghi possibili, i principali sono:

- la soluzione del conflitto (implica che il reo abbia posto in essere una condotta anche solo simbolicamente riparativa);

- la riparazione vera e propria;

- la riconciliazione delle parti.

Il successo dei VORP deriva dal fatto che la mediazione ha dato alle vittime la possibilità di esprimere emozioni e sentimenti connessi alla commissione dell'azione delittuosa, che non avrebbero trovato altrimenti alcun canale di veicolazione all'interno del processo penale. Questo perché il sistema giuridico nordamericano tende a confinare come reati bagatellari tutte quelle azioni che,  penalmente perseguibili, si situano nel contesto della piccola criminalità, rinunciando a perseguirle in modo standardizzato. Una via di fuga dall'incombenza penale incentrata preferibilmente sulla riparazione dell'offesa o del danno, a prescindere da una reazione punitiva statuale diretta all'autore.


All'interno dei VORP una posizione di tutto rilievo è occupata dalla mediazione, segmento fondamentale e indefettibile del processo che conduce alla riparazione dell'offesa e alla riconciliazione tra vittima ed autore di reato.

La mediazione, sia che venga considerata come processo autonomo sia come nodo di raccordo per giungere alla riparazione, viene generalmente articolata in un numero finito di fasi. A tal proposito si è soliti far riferimento allo schema suggerito da Umbreit [3] perché idoneo a descrivere tutti i tipi di mediazione: penale, scolastica familiare, sociale.









FASI DELLA MEDIAZIONE

I. Presa in carico del caso

Presa in carico del caso

Raccolta ed analisi delle informazioni relative al contesto in cui si è sviluppato il conflitto

II. Preparazione della mediazione

Acquisizione di ulteriori informazioni attraverso i contatti con le parti in conflitto

Spiegazione diretta alle parti del significato e dell'iter della mediazione

Acquisizione del consenso delle parti a mediare

Programmazione della sessione di mediazione

Individuazione della strategia da utilizzare per condurre la mediazione

III. Conduzione della mediazione

Considerazioni introduttive da parte del mediatore

Racconto del proprio vissuto da parte di ciascuna delle parti

Identificazione dei punti della questione e degli interessi nascosti delle parti del conflitto

Formulazione delle diverse opzioni per la riconciliazione/riparazione

Raggiungimento di un accordo formale eventualmente siglato dalle parti

Considerazioni conclusive

IV. Follow-up

(monitoraggio degli esiti)

Valutazione della conformità della condotta riparativa all'accordo di riparazione siglato dalle parti

Verifica del livello di soddisfazione delle parti




TABELLA 1 - Descrizione del modello generale di mediazione.

La mediazione penale richiede maggiori attenzioni rispetto alle altre forme di mediazione sopra citate in quanto il terreno su cui impostare delle fasi di lavoro non è scevro di difficoltà.

Le vittime, comprensibilmente, sono tendenzialmente restie ad incontrare l'autore di reato e quando decidono di affrontarlo, permangono sentimenti d'ansia e di diffidenza, quando anche di vero e proprio rancore. Il mediatore ha il compito di tranquillizzare la persona offesa, offrendo  uno spazio strutturato e protetto e comunicando i benefici derivanti dalle risposte che normalmente la persona si pone dopo aver subito un reato. Le pratiche di mediazione lavorano essenzialmente sugli effetti e sui danni cagionati dal delitto per poter, in tal modo, pervenire ad una risoluzione consapevole e responsabile da ambo le parti in causa.

Il mediatore, nei confronti del reo, si pone come promotore di un percorso che l'autore di reato intraprende per capire e motivare le ragioni della propria condotta, riconoscendo la portata dell'offesa arrecata alla vittima, che va riconosciuta come persona.

L'atto mediatorio si pone come obiettivi principali la ricomposizione dell'ordine infranto dal reato e la definizione di modalità riparative dell'offesa, senza andare a minare il campo di colpevolezza del reo.

Una volta ottenuto il consenso delle parti, il mediatore organizza l'incontro, contrassegnato da un evidente squilibrio in quanto le parti in causa non agiscono in condizioni di parità, avendo l'uno subito l'offesa che l'altro ha perpetrato. Si rischia così di incorrere nella già citata vittimizzazione della parte lesa; è per tal motivo che la partecipazione alla mediazione da parte della persona offesa deve essere assolutamente volontaria. Parimenti, si rende necessario, per la scelta del luogo e dei tempi, dare priorità alle esigenze della vittima, per garantirle un senso di sicurezza.[4]

E' necessario che il mediatore incoraggi una modalità di relazione non aggressiva che renda possibile l'ascolto dell'altro , insegnando alle parti ad esprimere, in modo ponderato ed equilibrato, le proprie emozioni che potrebbero portare, se lasciate all'arbitrio istintuale, ad un atteggiamento aggressivo e, come è facile presagire, alla chiusura della comunicazione.

La dicotomia che si delinea relativamente lo stile di conduzione dell'istituto mediatorio contrappone due linee di intervento:

- il modello "non-direttivo": nel c.d. empowering style la figura del mediatore assume un ruolo marginale, lasciando ampio spazio discrezionale alle parti nella gestione del conflitto. Tale formula è tanto più praticabile quanto maggiore è stato il lavoro preparatorio svolto dal mediatore (basato sulla raccolta di informazioni, sui colloqui individuali e sulla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia). Il modello non-direttivo, dunque, nella sua fase iniziale relega al mediatore il compito di illustrare le modalità di svolgimento dell'incontro, per rafforzare nelle parti il rispetto delle regole della discussione e per dissuadere dall'uso di comportamenti ed espressioni intimidatorie o ingiuriose. Nelle fasi centrale e finale la gestione del conflitto e le modalità per la sua soluzione sono relegate agli attori presenti.

L'adozione di un modello non-direttivo limita il potere di controllo del mediatore, che, in tal modo, si astiene da eventuali condizionamenti sull'esito del processo.

il modello "direttivo": il ruolo del mediatore si circoscrive ad incanalare la discussione su binari predefiniti, eludendo la sfera emozionale e comportamentale. Dal momento che, in questa prospettiva, l'incontro è funzionale al raggiungimento dell'accordo di riparazione, il mediatore tende a focalizzare i punti fondamentali della discussione ed a proporre autonomamente una modalità di soluzione della controversia, equamente controbilanciata per entrambe le parti.


Fra i due stili di mediazione sopra descritti, si apre un ampio ventaglio si alternative possibili per la conduzione dell'attività mediatoria.

Umbreit[6] propone una tabella riassuntiva per individuare le differenze tra i due modelli:



ELEMENTI DELLA

MEDIAZIONE

STILE

NONDIRETTIVO

STILE DIRETTIVO

Comunicazione diretta tra le parti

Massima

Minima

Incontro faccia a faccia

Frequente

Sporadico

Ambito della discussione

Ampio

Ristretto

Importanza contesto ed emozioni

Massima

Minima

Indicazioni opzioni da parte del mediatore

Frequente

Infrequente

Tono formale e statuizioni del mediatore

Infrequente

Frequente



TABELLA 2 - Comparazione tra le caratteristiche dei due stili di conduzione della mediazione: "direttivo" e "non-direttivo".




La Neighbourhood justice


La c.d. "giustizia del vicinato" o "giustizia della comunità" [7], si è sviluppata agli albori degli anni Settanta, trovando ampia applicazione soprattutto negli Stati Uniti ed in alcuni Paesi europei come la Norvegia. Si tratta di centri di intervento extra giudiziario sui conflitti, istituiti su base locale e con il supporto concreto dei servizi sociali e, a volte, della comunità.

Il punto focale di questo strumento risiede nell'aver tentato di allargare la mediazione, incentrata su uno specifico caso e quindi selettiva e settoriale, elevandola ad un piano superiore, ad un intervento che possa prevenire la commissione di illeciti all'interno di una comunità. Intervenire sul problema, piuttosto che sulla situazione consente alla mediazione di esplicarsi non solo come tecnica gestionale di situazioni conflittuali, ma anche come contributo alla costruzione o ricostruzione di un apparato normativo in grado di sviluppare interazioni sociali significative.

L'intervento mediativo si offre, quindi, come attività volta all'individuazione, all'interpretazione ed all'accompagnamento delle modificazioni che intervengono nel sistema relazionale, connotandosi quale "processo di confronto sociale finalizzato alla comprensione ed alla gestione delle ragioni e delle condizioni della compatibilità relazionale .

La multisfaccettata realtà caratterizzante i Neighbourdhood justice Centres, ipedisce la formulazione di un modello operativo unitario, diversamente dalla ricostruzione quadrifasica costruita per la mediazione.


Il Family Group Conferencing (FGC)


L'incontro di mediazione previsto nel FGC coinvolge non solo l'autore e la vittima del reato, ma si estende ai rispettivi gruppi familiari o a quei soggetti che possono svolgere un ruolo significativo di supporto nei confronti delle parti.

Nel FGC, definito come una forma di dialogo allargato ai gruppi parentali o come "dialogo clanico"[10], convergono, a sostegno del mediatore, operatori dei servizi sociali o funzionari dell'amministrazione della giustizia.

Tale struttura prevede, inoltre, la presenza di soggetti appartenenti all'Autorità che ha inviato il caso (normalmente il corpo di polizia) il cui ruolo è limitato alla descrizione del caso ed al parere circa l'accordo di riparazione formulato.

L'iter di conduzione del FGC è similare a quello della mediazione:

resoconto da parte dell'Autorità;

raccolta di materiale informativo da parte del mediatore;

racconto dell'impatto emotivo che la condotta del reo ha cagionato sulla vittima;

formulazione di scuse formali da parte dell'autore di reato;

predisposizione di un programma di riparazione;

Una cerimonia di "ri-accoglienza" nei confronti del reo conclude l'esito positivo del FGC; rappresenta, simbolicamente, l'abbandono di una reazione sociale incentrata sulla stigmatizzazione e sull'esclusione del reo in favore della sua diretta reintegrazione nella comunità.

La caratteristica principale del FGC è costituita dal fatto che, nell'incontro di mediazione, la vittima può essere rappresentata da un altro soggetto (un componente della famiglia, un amico, .) e può, altresì, decidere di non prendere parte al gruppo, che  viene condotto con l'esclusiva partecipazione del reo, della sua famiglia e/o della comunità. In tal caso lo scopo che il FGC si propone è limitato a promuovere ed incoraggiare la responsabilizzazione dell'autore di reato, escludendosi la componente riparativa che, se contemplata, è ridotta ad un atto unilaterale di volontà.

L'obbligo morale e giuridico di riparare il danno, il cui contenuto deriva da una condotta illecita posta in essere dal soggetto, si rende possibile prescindendo dall'accordo manifestato dalla vittima (è il caso del lavoro prestato a favore di enti o associazioni).





I "consigli commisurativi" ed i "resoconti di vittimizzazione"


Negli ordinamenti giuridici di Common Law[11] vige un modello bifasico di commisurazione penale per il quale la determinazione della sanzione relativa la commissione di un illecito si esplica nel corso di un'udienza diversa e lontana nel tempo da quella in cui viene emesso il verdetto, al fine di acquisire informazioni che, se conosciute al momento della condanna, potrebbero condizionare l'organo giurisdicente che emette la risposta penale.

I "consigli commisurativi" (Sentencing Circles - SCs) ed i "resoconti di vittimizzazione" (Victim Impact Statements - VIS) sono stati istituiti per attribuire una maggiore visibilità della vittima nel processo penale e nella fase di commisurazione della pena.

I due istituti consentono al giudice di conoscere il punto di vista della vittima e le conseguenze psico-fisiche che il reato ha comportato.

I SCs, ampiamente utilizzati in Canada ed in Nuova Zelanda, si sostanziano in gruppi di discussione volti a definire, attraverso il consenso comunitario, la commisurazione della pena. L'accezione semantica del predetto istituto deriva dalla disposizione circolare delle parti, che presenziano all'incontro: una collocazione simbolica e rituale per creare un'atmosfera di rispetto e comprensione.[13]

Il VIS, in particolare, è un rapporto informativo dettagliato diretto al giudice incaricato alla commisurazione della pena, oppure al pubblico ministero per una più completa valutazione del caso.







MANNOZZI, La giustizia senza., pag. 134 ss.

Mentre la riconciliazione si focalizza sull'esito dell'incontro tra autore e vittima, la mediazione indica il processo predisponente la riparazione o la riconciliazione.

UMBREIT, Mediating Interpersonal Conflicts. A Pathway to Peace, St.Paul, 1995, pag. 25.





UMBREIT, Victim Meets the Offender. The Impact of Restorative Justice and Meditation, New York, 1994, pag. 8 ss.

MANNOZZI, La giustizia senza., cit. pag. 145.

UMBREIT, Mediating Interpersonal Conflicts., pag. 30 ss.

WRIGHT, Justice for Victims., pag. 173 ss.

PISAPIA, La scommessa della mediazione, in PISAPIA-ANTONUCCI, La sfida della mediazione, Padova, 1997, pag.5 ss.

PISAPIA, La scommessa della.., cit. pag. 11.

MANNOZZI, La giustizia senza, pag. 152.

L'area di Common Law si caratterizza per un ampio riconoscimento del valore delle politiche riparative.

MONACO, Prospettive dell'idea dello scopo nella teoria della pena, Napoli, 1984, pag. 184 ss.

MANNOZZI, La giustizia senza., pag. 156 ss.

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