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La sofferenza psichica




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LA SOFFERENZA PSICHICA


Malattia mentale e stereotipi



È opinione comune che: 

uno "Schizofrenico" sia un pazzo     un "Depresso" sia un debole


un "Ansioso" sia una tipo che se la prende troppo!


Niente di tutto questo: si tratta di malattie mentali,  a proposito delle quali

non si sa ancora abbastanza


L' alterazione delle funzioni della mente non sono visibili come le alterazioni corporee

Ciò che si sa è che:

La malattia mentale = grande sofferenza interiore


Normalità e patologia nel corso della storia

Nel corso del tempo, si sono  avvicendate concezioni diverse della malattia, nel tentativo di chiarire la differenza tra malattia mentale e salute mentale attraverso le categorie della normalità ed anormalità

I malati mentali sono stati oggetto di interpretazioni culturali molto diverse


Fino al medioevo: erano ritenuti esseri subumani, oggetto di scherno. Di fronte a comportamenti di ribellione venivano rinchiusi nelle carceri


Nel medioevo: erano ritenuti "invasati" dal demonio e quindi sottoposti a pratiche di purificazione violente, fino al rogo.                                                  



Si voleva togliere di mezzo chi non era in grado di svolgere un'attività utile alla comunità


Durante il Rinascimento, la malattia mentale era sinonimo di "follia", "mancanza di ragionevolezza". Vennero rinchiusi in ospedali tutti quei soggetti dal comportamento non conforme alla "Ragione", intesa come osservanza alle regole morali della società

Follia = ragionevolezza morale             malati psichici = libertini, bestemmiatori, prostitute, streghe, alchimisti, padri dissipatori, figli ingrati,..


Solo nell'800, la follia viene medicalizzata e per questo affidata alla cura del medico. Nasce una branca specialistica della medicina chiamata psichiatria.

La psichiatria diagnosica  e cura i disturbi mentali nei manicomi ( dal greco "Mania", cioè pazzia e "Komeo", cioè cura)

In realtà, lo scopo dei manicomi era non tanto quello di curare ma di rinchiudere il folle, separandolo dalla società in nome della sicurezza della "gente normale".

In questo senso, sono comprensibili i metodi "terapeutici" dei manicomi, quali:

l'elettroshock o induzione di scariche elettriche al cervello

l'immersione del paziente in acqua gelida

l'asportazione dei lobi frontali o della corteccia cerebrale


( Oggi, queste terapie sono sostituite dall'introduzione delle cure farmacologiche)


Freud  alla fine dell'800 parlò di continuità tra normalità e patologia

Prova ad indicare un motivo addotto dal fondatore della psicoanalisi


Oggi esistono  tre criteri che hanno una qualche validità in ambito clinico. In particolare, il criterio sintomatico-descrittivo è quello accolto dal DSM IV, cioè il manuale diagnostico internazionale delle malattie mentali

CRITERIO STATISTICO: secondo questo criterio, è anormale ciò che è infrequente e normale ciò che è frequente. Questo modo di ragionare ha un certo fondamento, in quanto è vero che per lo più i disturbi psicologici sono esperienze che nell'arco della vita interessano una modesta quota della popolazione; tuttavia la normalità psicologica non si può ridurre alla normalità statistica. Esistono manifestazioni sicuramente patologiche che non sono affatto rare e le persone che nella vita hanno sofferto almeno di un disturbo sono una parte consistente della popolazione. Inoltre la difficoltà più grossa del criterio statistico sta nel fatto che non sempre i fenomeni psicologici infrequenti sono patologici: a volte sono addirittura condizioni di eccellenza o estremo benessere (es.: soggetto con Q. I. sopra i 130; non si parla certo di patologia psichica anche se, a volte, i superdotati incontrano problemi nei nostri sistemi scolastici e stentano ad affermarsi).


CRITERIO SOCIO-CULTURALE:  ci si rifà alle norme della società e della cultura in cui l'individuo vive; una persona è sana quando si conforma alle aspettative della sua società, non crea problemi intorno a sé e conduce una vita ben integrata. È malata se è socialmente disadattata. Sarebbero i rapporti con l'ambiente umano circostante a far emergere la normalità e la patologia dei singoli. Tale criterio ha un fondo di verità: chi soffre di disturbi mentali spesso si integra male nel proprio ambiente sociale (vedi ad es. una persona con l'ossessione per la pulizia).

L'approccio socio-culturale ha il pregio di spiegare la relatività storico-culturale della malattia mentale, il fatto che i giudizi su ciò che è normale e patologico possano variare da una cultura all'altra. Ad esempio i deliri di persecuzione sono normali in varie culture in cui è diffusa la credenza di poteri occulti che alcuni individui possono esercitare contro gli altri consapevolmente o inconsapevolmente. Per alcuni indiani le visioni sono esperienze decisive dell'esistenza in grado di condizionare il successo o l'insuccesso nella vita. Con questo criterio c'è il rischio di confondere la patologia psichica con la devianza o con qualsiasi forma di diversità. Non è vero che malattia mentale e disadattamento sociale vadano di pari passo: infatti ci sono persone malate che si conformano alle regole e non hanno problemi di integrazione. D'altra parte si può andare contro le norme sociali senza essere malati.


CRITERIO SINTOMATICO-DESCRITTIVO: si concentra sulle manifestazioni patologiche, sforzandosi di inquadrarle in maniera distaccata e obiettiva (criterio preferito dagli psicologi di orientamento comportamentista, sta alla base del DSM). Si tratta di ridurre al minimo indispensabile le teorie sull'uomo per attenersi ai fatti e privilegiare le descrizioni.

Di solito viene etichettato come patologico quel comportamento che




a.      È anormale

b.     È pericoloso per sé e per gli altri

c.      Rende difficoltosa o impossibile la "Partecipazione" del soggetto

d.     È caratterizzato da reazioni emotive incontrollate

Dalla medicalizzazione della follia alla nascita dell'antipsichiatria

Paradossalmente, dalla nascita della psichiatria come strumento di cura della malattia psichica nasce un movimento all'interno stesso della psichiatria, chiamato movimento dell'antipsichiatria.

I motivi

Il manicomio, che solo in teoria nasce per la cura, in realtà

Separa i malati dalla cosiddetta  "società sana"

Li costringe a vivere in luoghi degradati

Restano in balia dei "controllori", divenendo oggetti passivi del loro arbitrio

Trascorrono la giornata in uno stato di abbandono, tra una "terapia" e l'altra

Proteste eventuali vengono soffocate attraverso sistemi punitivi tra percosse e farmaci sedativi

Le conseguenze

Solitudine e disperazione: il soggetto diventa inerte, sporco, scontroso

Regressione: il soggetto torna ad uno stato infantile e richiede continuo accudimento

Perdita delle capacità residue

Acutizzazione della sofferenza:


Comparsa di atteggiamenti               catatonici

ebefrenici

deliri  - allucinazioni

Franco Basaglia: il fondatore dell'antipsichiatria in Italia

Nasce a Venezia nel 1924

Si laurea in medicina e successivamente si specializza in psichiatria

Nel 1962 dirige un ospedale psichiatrico a Gorizia:  tenta coraggiosamente di trasformare la struttura in una comunità più aperta e umana

Nel 1971 si traferisce all'ospedale psichiatrico di Trieste, dove riesce a chiudere l'ospedale stesso per creare centri di accoglienza alternativi

Nel 1979 si trasferisce a Roma con l'intenzione di organizzare una rete di strutture psichiatriche Nel 1980, per una grave malattia, muore lasciando il progetto incompiuto


 





























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