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Roma




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Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) Bernini nacque a Napoli il 7 dicembre 1598
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le fonti letterarie

Le testimonianze delle fonti letterarie, in particolare quelle storiografiche, rappresentano il primo blocco d'informazioni con cui ci si deve confrontare per ricostruire la storia di Roma arcaica. Tali fonti ci offrono un quadro narrativo, una cronologia ed una notevole quantità d'informazioni. Tuttavia, si tratta di opere che risalgono ad epoche molto posteriori agli eventi narrati.

La comparsa della scrittura a Roma, verso la fine del VII secolo a.C., non determinò cambiamenti fondamentali: non si può parlare né di storiografia né di archivi di famiglia. Per il periodo regio, dunque, la tradizione orale deve aver giocato un ruolo di rilievo nella trasmissione dei ricordi storici.

Nella prima parte dell'età repubblicana, l'esistenza di documenti scritti è sicura, ma ci si deve interrogare sulle modalità della loro utilizzazione da parte di chi ha elaborato la più antica storiografia.

I primi storici dei quali possiamo leggere le narrazioni su Roma arcaica vissero nel I secolo a.C. Tito Livio, di Padova, contemporaneo dell'imperatore Augusto, scrisse una grande storia di Roma dalla sua fondazione, in 142 libri.

Lo storico greco Dionigi di Alicarnasso fu attivo a Roma in età augustea. Le sue "Antichità Romane", in 20 libri, coprivano il periodo che andava dalla fondazione di Roma allo scoppio della Prima Guerra Punica (264 a.C.). Roma non aveva suscitato, sino alla metà del IV secolo a.C., nessun interesse da parte della storiografia greca; solo da quest'epoca, a fronte dell'emergere della potenza romana, ci si preoccupò di organizzare le informazioni disponibili. Lo scopo di Dionigi è quello di dimostrare che i Romani erano una popolazione di origine ellenica.

La versione più nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l'arrivo di Enea nel Lazio ed il regno di Romolo. Nel I libro dell'"Eneide", il poeta latino Virgilio (I secolo a.C.) s'ispira a questa tradizione: Alba Longa è fondata dal figlio di Enea, Ascanio/Iulo, trent'anni dopo la fondazione di Lavinium, la città cui il padre dà il nome della moglie, Lavinia. Virgilio mette in relazione il nome di Alba Longa con il prodigio della scrofa bianca (alba) che, dando alla luce trenta porcellini, indicò ai Troiani il numero di anni che dovevano trascorrere per la fondazione della nuova città.

Secondo la leggenda, il fondatore e primo re di Roma, Romolo, è figlio di Marte e di Rea Silvia, figlia di Numitore, l'ultimo re di Alba Longa.

Nella tradizione trovava posto anche l'antefatto del conflitto tra Cartagine e Roma. Enea, infatti, era giunto fino a Cartagine, dove aveva conosciuto la regina Didone: quando Enea aveva deciso di ripartire, Didone giurò che un odio eterno avrebbe contrapposto Cartagine a quella città che Enea ed i suoi discendenti si preparavano a fondare nel Lazio ed a far regnare nel Mediterraneo.

Il territorio di Alba Longa era dominato dalla vetta del Monte Cavo, su cui sorgeva il santuario di Iuppiter Latiaris, sede di una delle più antiche e famose leghe politico-religiose del Latium Vetus, quella dei Populi Albenses.


i sette re di roma

La tradizione fissa anche il periodo monarchico della storia di Roma, dal 754 al 509 a.C., anno dell'instaurazione della Repubblica. In questo periodo, su Roma avrebbero regnato sette re: dopo Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. A Romolo viene attribuita la creazione delle prime istituzioni politiche; a Numa Pompilio si assegnano i primi istituti religiosi; a Tullo Ostilio le campagne militari di conquista (tra cui la distruzione di Alba Longa); ad Anco Marzio la fondazione della colonia di Ostia. Il regno di Tarquinio Prisco segna una seconda fase della monarchia romana, nella quale gioca un ruolo importante la componente etrusca. A Prisco sono attribuite opere pubbliche, mentre a Servio Tullio si fa risalire la costruzione delle prime mura della città (le mura serviane) e l'istituzione della più importante assemblea elettorale romana, i comizi centuriati. Tarquinio il Superbo assume i tratti tipici del tiranno che infligge ai cittadini ogni tipo di vessazione.

Il problema che ci si pone rispetto ad un racconto di questo genere riguarda la sua attendibilità di fondo, dal momento che esso risale ad una fase successiva ed evoluta della storia di Roma. Il fatto che gli storici romani non si siano preoccupati di condurre ricerche, ma semplicemente di presentare una vicenda nota in forme diverse solo dal punto di vista dell'elaborazione letteraria, costituisce un ulteriore invito alla prudenza. Per i loro racconti, essi si basavano su diversi tipi di fonti:

Opere storiche per noi perdute. Livio e Dionigi sono venuti alla fine di una lunga serie di storici, ciascuno dei quali ha trattato la storia di Roma a partire dalla sua fondazione. Questi storici sono noti con il nome di "annalisti", perché hanno organizzato il materiale in ordine cronologico, secondo una successione anno per anno. Il primo romano a narrare la storia di Roma è stato Fabio Pittore (fine del III secolo a.C.), il quale scrisse in greco, mentre il primo storico romano a scrivere in latino fu Marco Porcio Catone il Censore.

La tradizione famigliare. La struttura della società romana in età repubblicana era dominata dalla competizione tra le famiglie dell'aristocrazia di governo. Ciascuna di esse cercava di accreditare il proprio titolo di superiorità sulle altre, celebrando le glorie degli antenati. Poiché i primi storici erano membri dell'aristocrazia senatoria, è probabile che attingessero come fonte anche alle tradizioni preservate all'interno delle varie famiglie.

La tradizione orale. La struttura delle leggende legate all'origine di Roma ha caratteristiche tali da rendere credibile che si siano tramandate oralmente. Come canale di trasmissione sono stati indicati i canti celebrativi delle imprese dei personaggi illustri, che si cantavano durante i banchetti.

Documenti d'archivio. I primi storici di Roma hanno in comune una medesima struttura narrativa: essa consiste nel menzionare per ogni anno i nomi dei magistrati principali e degli eventi ritenuti degni di nota. Tra queste fonti, quella che gode di maggior credito sono gli Annali dei pontefici, ovvero la registrazione sommaria degli avvenimenti fondamentali, tenuta, anno per anno, dalla suprema autorità religiosa di Roma, il pontefice massimo. Gli eventi salienti d'interesse pubblico erano riportati su di una tavoletta di legno, che veniva poi sbiancata con la calce, che il pontefice esponeva di fronte all'ingresso della propria abitazione. Attorno al 130 a.C., questi Annali furono pubblicati, in 80 libri, dal pontefice Muzio Scevola, con il nome di "Annales Maximi".


la storiografia moderna

Il compito degli storici moderni è consistito nel sottoporre ad un esame critico e ad un confronto i dati della tradizione. I risultati della ricerca archeologica hanno fornito elementi preziosi. Nel racconto tradizionale devono essere state fuse due versioni sulle origini di Roma: una greca, che ricollegava la fondazione della città alla leggenda di Enea, ed una indigena, nella quale Romolo rappresentava un mitico re-fondatore autoctono.

Il racconto recepisce alcuni elementi sicuramente storici:

la compresenza di popolazioni diverse, i Latini ed i Sabini, all'origine della storia di Roma;

la fase di predominio etrusco nel periodo finale della monarchia.


la fondazione di roma

I dati più problematici della tradizione riguardano l'episodio leggendario della fondazione della città e la figura del fondatore. La nascita della città fu il risultato di un processo formativo lento e graduale, per il quale si deve presupporre una federazione di comunità separate che vivevano sparse sui singoli colli. Alcuni villaggi situati sul colle Palatino possono essere considerati come il nucleo originario della futura Roma, la cui storia iniziò attorno all'VIII secolo a.C.

Roma sorgeva a ridosso del basso corso del Tevere, in una posizione di confine tra due aree etnicamente differenti: la zona etrusca ed il Lazio antico (Latium Vetus). Nel periodo in cui si colloca la formazione di Roma (VIII-VII secolo a.C.), la differenza etnica, culturale e linguistica dei popoli abitanti di tali aree, era già definita.


il "muro di romolo"

Gli scavi condotti sulle pendici meridionali del Palatino hanno portato alla luce i resti di una palizzata e di un muro databile all'VIII secolo a.C.: nella palizzata si deve vedere la linea dell'originario solco di confine, il pomerio, e del muro arcaico in scaglie di tufo, il "muro di Romolo". Verso la metà dell'VIII secolo a.C., dunque, un re-sacerdote eponimo avrebbe celebrato un rito di fondazione tracciando con l'aratro i limiti della città.


il pomerio ed i riti di fondazione

Il rito di fondazione di una città italica è descritto da Marco Terenzio Varrone, un antiquario latino attivo nel I secolo a.C.

Nella fondazione di una città, un'importanza fondamentale dal punto di vista religioso era rivestita dal pomerio: esso era, in origine, la linea sacra che ne delimitava il perimetro in corrispondenza con le mura. In un secondo tempo, il nome servì a designare una zona di rispetto che separava le case dalle mura, dove non era permesso fabbricare né seppellire né piantare alberi.

Il pomerio non sempre coincideva con le mura, in quanto esso era tracciato secondo la procedura religiosa, cioè secondo gli auspici che avevano preso gli auguri. Le mura rispondevano ad esigenze di difesa in rapporto al territorio.

L'area del pomerio era limitata da cippi infissi nel terreno a seguito di una cerimonia religiosa presieduta dal pontefice massimo. Per estendere l'area del pomerio era necessario aumentare la superficie dello Stato romano con un nuovo territorio tolto al nemico.


lo stato romano arcaico

Alla base dell'organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie, alla cui testa stava il pater. Tutte le famiglie che riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la gens, un gruppo organizzato politicamente e religiosamente.

La popolazione dello Stato romano arcaico era divisa in gruppi religiosi e militari, detti "curie": esse comprendevano tutti gli abitanti del territorio, ad esclusione degli schiavi. Le curie praticavano propri riti religiosi e rappresentavano il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, quella dei comizi curiati. Ai comizi curiati rimasero sempre attribuite determinate funzioni inerenti il diritto civile; ai comizi spettava il compito di votare la lex de imperio, che conferiva il potere al magistrato eletto.

Un altro importante raggruppamento è quello delle tribù, la cui creazione fu attribuita allo stesso Romolo. Esse originariamente erano tre: Tities, Ramnes e Luceres.

Nel periodo del predominio etrusco, lo Stato romano si organizzò secondo criteri più precisi: ogni tribù fu divisa in dieci curie e da ogni tribù furono scelti cento senatori. Su questo modello si fondò anche l'organizzazione militare: ogni tribù era tenuta a fornire un contingente di cavalleria ed uno di fanteria, rispettivamente di cento e mille uomini. La componente fondamentale dell'esercito, la legione, risultava composta da tremila fanti e da trecento cavalieri (celeres).


la monarchia romana

La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva: l'elezione del re era, infatti, demandata all'assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in vista. Originariamente il re doveva essere affiancato da un consiglio di anziani composto dai capi di quelle più nobili e più ricche (i patres); questi uomini rappresentavano il nucleo di quello che poi sarebbe stato il senato.

Della realtà storica di una fase monarchica a Roma rimangono due testimonianze:

la prima è data dall'esistenza di un sacerdote che portava il nome di rex sacrorum e che aveva il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal re;

la seconda è che col termine interrex veniva definito il magistrato che subentrava nel caso di indisponibilità di entrambi i consoli.

Il potere del re doveva trovare una limitazione in quello detenuto dai capi delle gentes principali. Il re era anche il supremo capo religioso, e nella celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi dei sacerdoti. Tra questi, particolarmente importante fu quello dei pontefici: costoro erano i depositari e gli interpreti delle norme giuridiche, prima che si giungesse alla redazione di un corpus di leggi scritte. Il collegio degli auguri aveva il compito di interpretare la volontà divina allo scopo di propiziarsela; quello delle vestali era composto da donne votate ad una castità trentennale, il cui compito era di custodire il fuoco sacro che ardeva perpetuamente nel tempio della dea Vesta.


patrizi e plebei

La massima incertezza regna sull'origine della divisione sociale alla base di Roma arcaica, quella tra patrizi e plebei. Per la tradizione, i patrizi erano i discendenti dei primi senatori (i patres), la cui nomina si faceva risalire a Romolo. Tra le ipotesi che sono state avanzate c'è quella che fa dei plebei i clienti dei patroni patrizi. Un'altra interpretazione riconosce nei patrizi i Latini e nei plebei i Sabini, entrati a far parte della comunità civica in una condizione d'inferiorità. Un'ulteriore ipotesi mette in primo piano il fattore economico: i patrizi sarebbero stati i grandi proprietari terrieri, mentre i plebei corrisponderebbero alle classi degli artigiani e dei ceti emergenti economicamente, ma tenuti in una condizione di inferiorità rispetto alla rappresentanza politica.

Nessuna di queste teorie appare pienamente soddisfacente: è probabile, dunque, che la differenziazione tra patrizi e plebei sia il punto d'arrivo di un'evoluzione sociale complessa.


l'influenza etrusca

Roma conobbe uno sviluppo notevole nel corso del VI secolo a.C., nel periodo in cui si trovò sotto il controllo etrusco. La realtà di tale supremazia etrusca traspare nella vicenda relativa all'ascesa al potere di Tarquinio Prisco. Tarquinio è il figlio di un greco originario di Corinto, Demarato, che, arrivato a Tarquinia, sposa una giovane appartenente all'aristocrazia locale; alla morte del padre, ne eredita le ricchezze, ma la sua origine straniera gli impedisce di accedere al governo della città. Il giovane decide di trasferirsi a Roma; giunto a Roma, il Lucumone (così si chiamò originariamente Tarquinio) si guadagnò il favore di Anco Marzio e, cambiato il suo nome in quello di Lucio Tarquinio, alla morte del re venne eletto suo successore.

Una versione simile, che avvalora una prospettiva "latina" della nascita di una monarchia etrusca a Roma, conserva il ricordo di un'epoca in cui Roma era inserita in un contesto più ampio di quello delle sue origini, che vedeva l'Italia centro-meridionale sede di relazioni tra Greci ed Etruschi. Questi ultimi avevano manifestato un interesse ad assicurarsi il controllo delle vie d'accesso alla Campania, e si trovarono coinvolti in scontri volti ad assicurarsi il controllo di Roma. Nella tomba François a Vulci sono raffigurati i fratelli Vibenna, che lottano insieme ad un personaggio chiamato Mastarna contro un certo Gneo Tarquinio, di Roma. L'episodio del signore di Chiusi, Porsenna, che riuscì ad impadronirsi di Roma dopo aver scacciato i Tarquini, s'inserisce in questa situazione di equilibri incerti. Porsenna, dopo essersi impadronito della città, ne fu allontanato a seguito dell'intervento di Aristodemo di Cuma e dei Latini intervenuti in soccorso dei Tarquini.

servio tullio e tarquinio il superbo

Il nome di Mastarna è connesso a quello di Servio Tullio, con il quale viene talvolta identificato. La figura di questo sovrano è circondata, nella tradizione latina, di elementi eroici. Quando Tarquinio fu assassinato dai figli di Anco Marzio, Servio assunse i poteri regi senza che la sua successione fosse legittima, in mancanza della nomina da parte dell'interrex. Questa tradizione lascia intravedere una fase della monarchia romana nella quale il principio della monarchia elettiva entra in conflitto con una propensione al principio dinastico.

La figura di Tarquinio il Superbo riceve i connotati tipici del tiranno greco. Promotore di grandi opere pubbliche e di una politica espansionistica, era inviso al popolo. Secondo la tradizione, fu cacciato da una congiura capeggiata da Publio Valerio, detto Publicola, il "sostenitore del popolo", che instaurò il regime repubblicano.


la documentazione archeologica

La documentazione archeologica offre problematici riscontri a queste tradizioni. La dedica di un calice di bucchero nel santuario di Veio attesta un possibile passaggio di Aulo Vibenna in questa città verso la metà del VI secolo a.C. Il nome dei Vibenna (Vipina) compare in Etruria su numerosi documenti arcaici: i Vibenna dovevano appartenere ad una famiglia potente nel VI secolo a.C., giocando un ruolo importante nelle lotte che, in quell'epoca, opposero Vulci alle altre città etrusche.

Publio Valerio ha un riscontro, a livello onomastico, nel tempio di Mater Matuta, una divinità laziale, a Satricum: un'iscrizione in latino arcaico lo nomina espressamente.


rafforzamento della monarchia

Il predominio etrusco su Roma portò ad un rafforzamento dell'istituto monarchico, come provano le insegne del potere regio. In questo periodo dovette essere costruito, nei pressi del tempio di Vesta, l'edificio sede ufficiale del re, la Regia. Nella parte nord-occidentale del Foro venne definita l'area riservata all'attività politica del popolo e del senato. Tra il VII ed il VI secolo a.C., venne creato il comitium, il luogo dove il popolo si riuniva per deliberare, sede della vita politica; di fronte ad esso fu costruito lo spazio della curia Hostilia, la prima sede per le assemblee del senato.

La tradizione attribuisce a Tarquinio Prisco l'aumento del numero dei senatori ed a Servio Tullio l'introduzione dell'ordinamento centuriato, che prevedeva l'organizzazione della popolazione in classi, articolate in unità dette "centurie", secondo un criterio che teneva conto della capacità economica dei cittadini. In questo periodo, la comunità civica era organizzata secondo raggruppamenti non più basati su fattori gentilizi (dovuti alla nascita) o locali, ma stabiliti sulla base del censo, cioè della ricchezza degli individui. Il censo fu il criterio con cui si arruolavano i componenti del nuovo esercito serviano, che prese il nome di classis e che era formato da cittadini in grado di procurarsi un armamento pesante; con infra classem si designarono i soldati armati alla leggera.

L'istituzione di quattro tribù territoriali (dette poi "urbane" per distinguerle da quelle extracittadine, dette "rustiche", create a seguito dell'ampliamento del territorio), rispecchia l'evoluzione della società romana: le nuove ripartizioni corrispondono alle regioni nelle quali Servio Tullio suddivise la città. Questa grande Roma avvertì la necessità di dotarsi di una prima cerchia di mura, dette "serviane".


tradizione orale e storiografia

La tradizione orale pone una serie di questioni:

a.      chi trasmette, che cosa viene trasmesso e per quale scopo;

b.     quanto è passato della tradizione orale, tramite un filtro selezionatore, nella ricostruzione storica.

Le tradizioni orali variano a seconda degli usi e dell'ambiente sociale che le conserva, le elabora e le trasmette: le tradizioni gentilizie sono differenti da quelle appartenenti agli strati popolari. Formule, materiali giuridici e contenuti legislativi hanno avuto un loro impiego ed una loro vita indipendente, estranea alla tradizione storica. Un buon numero di dati relativi ad eventi storici deve essere stato trasmesso nell'ambito delle famiglie nobili; essi sono riconducibili alla lista dei consoli e ad una cronologia sicura.

A Roma la letteratura, la narrativa e il dramma sorsero nella seconda metà del III secolo a.C.: solo a partire da allora ci furono testi scritti che poterono sopravvivere molto tempo dopo l'occasione che era stata alla base della loro redazione.

Nel VII e nell'VIII secolo a.C., l'uso del sumpÒsion aristocratico era stato adottato dalle élites locali del Lazio e dell'Etruria. I canti, le storie ripetute in questi banchetti maschili possono aver contribuito a creare la memoria comune del gruppo, basata sulla celebrazione dei grandi fatti dei suoi membri passati e presenti. Gli ~ta greci sono i sodales del convivium: la valorizzazione del passato rafforzava la coesione sociale del presente.

Il problema che si è imposto negli ultimi tempi sembra riguardare l'"anello di congiunzione" mancante tra la fase favolistica e mitologica del pensiero romano e quella compiutamente storiografica.

un esempio di elaborazione storiografica: servio tullio

La figura di Servio Tullio ha un risalto particolare nella tradizione sui re di Roma: questo sovrano opera tali trasformazioni nella città da poter essere considerato un rifondatore. La tradizione storico-letteraria rispecchia i problemi che attendono chi si confronta con la storiografia su Roma arcaica.

Da una parte abbiamo un racconto che appare contenere una base folklorica. Le origini di Servio Tullio sono avvolte nell'incertezza, ma nella tradizione non si nasconde l'illegalità che è alla base della sua presa del potere. Secondo la versione romana, Servio Tullio era nato schiavo, figlio di una schiava, e cresciuto nel palazzo di Tarquinio Prisco.

Un evento prodigioso lo segnala come predestinato ad una sorte fuori del comune: delle fiamme, sprigionate intorno al suo capo mentre dormiva, non gli causarono alcun male. Da allora godette di protezione a corte: divenuto il più stretto collaboratore di Tarquinio, ne sposò la figlia. Due sicari, al soldo dei figli di Anco Marzio, ferirono mortalmente Tarquinio: questi venne ricoverato al palazzo della moglie, Tanaquilla, che, nascondendo la sua morte, annunciò al popolo che il re si stava riprendendo, ma che aveva disposto che Servio regnasse in sua vece. Dopo pochi giorni, Tanaquilla annunciò la morte del marito, mentre Servio iniziò il suo periodo di regno presiedendo i funerali del suo predecessore. Su questa base favolistica s'innestò l'azione politica di Servio Tullio, con le sue riforme istituzionali.

Nella tradizione si realizza un caratteristico meccanismo di amplificazione rispetto ad un nucleo primitivo. L'organizzazione centuriata, che implicava la valutazione economica e numerica della popolazione, poneva Servio in rapporto con la moneta, che di tale valutazione era alla base.

A Servio una tradizione unanime, che ne fa un nuovo Romolo, attribuisce una serie di misure relative all'assetto territoriale ed amministrativo di Roma. Servio creò le tribù territoriali in cui i cittadini venivano iscritti sulla base del loro effettivo domicilio. Era automatico che al sovrano che aveva riorganizzato il territorio romano si attribuisse la creazione delle feste religiose che competevano alle sue nuove componenti.


la famiglia

La prima forma di aggregazione che si sostituisce al primitivo legame basato sui vincoli di sangue è l'organizzazione famigliare. La nozione di familia comprendeva un raggruppamento sociale più ampio di quello che intendiamo oggi. A Roma facevano parte di una medesima familia tutti coloro che ricadevano sotto l'autorità di uno stesso capofamiglia, il paterfamilias, al quale spettava anche il controllo sui beni.

Il vincolo di fondo della famiglia romana non era rappresentato dai legami contratti con il matrimonio, ma dal potere (potestas) esercitato dal pater sulle persone che rispettavano la sua autorità.

Nella sua forma più antica, la famiglia romana presentava i caratteri tipici di una società prestatale: era un'unità economica, religiosa e politica. Il fine di questa struttura era quello della propria perpetuazione.

Tra i vincoli fondamentali della famiglia romana primitiva c'era quello religioso. I riti famigliari (sacra privata) si trasmettevano di padre in figlio, e la loro osservanza era ritenuta doverosa. Gli antenati del ramo paterno furono i primi manes (le anime dei defunti), oggetto di culto all'interno della famiglia romana.


la donna

Il ruolo della donna aristocratica, che riceveva un'educazione intellettuale, non si esauriva nella sola vita domestica, con la sorveglianza del lavoro delle schiave e lo svolgimento di lavori più fini, quali il ricamo e la tessitura. La moglie accompagnava il marito nella vita pubblica e condivideva con lui il compito dell'educazione dei figli.

Il carattere patriarcale della famiglia si riflette nella supremazia dell'uomo sulla donna. Il potere del marito sulla moglie (manus) non conosce limiti. La tutela della castità femminile spiega la severità con la quale venivano giudicati i comportamenti poco consoni a quel costume di riservatezza e di sobrietà che una donna bene educata doveva osservare. Lo scopo di norme così austere è legato ad un concetto di matrimonio finalizzato al solo scopo di avere dei figli legittimi.

I Romani si sposavano presto; tuttavia, la legge proibiva che le ragazze prendessero marito prima di aver raggiunto i 12 anni. Toccava al padre cercare uno sposo: questo avveniva con un'apposita cerimonia di fidanzamento, detta sponsalia, accompagnata da una serie di riti.

Il matrimonio era un'istituzione privata, anche se aveva delle conseguenze giuridiche. Esistevano forme diverse per contrarre un matrimonio: in origine era diffusa la confarreatio (la divisione di una focaccia di farro tra i due sposi), oppure la mancipatio (un atto di compravendita). Il sistema più comune era l'usus, l'ininterrotta convivenza dei coniugi per un anno.




agricoltura ed alimentazione

La riorganizzazione dell'economia pastorale è uno dei caratteri fondamentali delle trasformazioni dell'Italia nella prima età del ferro. Questo processo implica il passaggio da un regime di seminomadismo, con una transumanza disorganizzata, ad uno di regolare trasferimento del bestiame in altura con modalità ed in spazi definiti.

Il Tevere costituiva nell'antichità la linea di demarcazione tra due aree con caratteristiche diverse, quella etrusca a nord del fiume e quella laziale a sud. Tale differenziazione sembra manifestarsi in modo percepibile solo a partire dal IX-VIII secolo a.C., quando il sito della futura Roma acquistò importanza come punto d'incontro di vie che andavano in più direzioni.

L'agricoltura di Roma arcaica era limitata dalle condizioni poco favorevoli del terreno, cui si aggiungeva la bassa qualità delle tecniche agricole. Per Roma arcaica, dunque, il soddisfacimento delle necessità alimentari di base rappresentava un serio problema.

Il cereale maggiormente coltivato in età arcaica era il farro, che veniva macinato dopo che era stato abbrustolito e battuto. La farina di farro era alla base della mola salsa (una farina di grano tostato e salato) e della puls, un piatto liquido o semiliquido, simile alla polenta.

L'associazione di agricoltura di sussistenza e di allevamento di bestiame va intesa all'interno di un rapporto di interdipendenza: le due attività, infatti, dovevano essere complementari. A Varrone, che scrive un'opera sull'agricoltura nel I secolo a.C., dobbiamo la formulazione più compiuta del mito di Roma pastorale.

Le difficoltà conosciute da Roma nel V secolo a.C., all'indomani dell'instaurazione della Repubblica, offrono un riscontro della povertà di risorse agricole dell'area prossima alla città. Una circostanza negativa per Roma nella prima età repubblicana è rappresentata dall'arrivo dei Volsci nel Lazio meridionale, all'inizio del V secolo a.C. L'agro pontino tornò sotto il controllo di Roma solo dopo un secolo. La calata dei Volsci nell'unico territorio che potesse fornire rifornimenti alimentari è all'origine di carestia e tensione sociale.


la proprietà della terra in roma arcaica

Rispetto ad un'originaria proprietà collettiva della terra, la tradizione relativa alla prima assegnazione di lotti in proprietà privata, che risalirebbe a Romolo, implica una ricostruzione delle vicende della proprietà terriera nella Roma arcaica di questo tipo: la prima forma di proprietà era limitata solo alla casa ed all'orto circostante (heredium), mentre da essa era esclusa la terra arabile e quella a pascolo. Il termine sors si applica sia alla nozione di proprietà trasmissibile per via ereditaria sia a quella di lotto assegnato per sorteggio.

I primi due secoli della Repubblica (V-IV secolo a.C.) conobbero un assestamento interno che fu modificato quando, dal IV secolo a.C., iniziarono le assegnazioni di terreno conquistato, mentre si sviluppavano le attività artigianali e commerciali.


l'ideologia "indoeuropea" nei racconti sulle origini di roma

"Indoeuropei" è una denominazione convenzionale di una popolazione vissuta in un'epoca molto remota (VI millennio a.C.), in una regione che si colloca nella grande pianura russa. Tra il III ed il II millennio a.C., questi Indoeuropei si spostarono dalle loro sedi originarie: imposero la loro lingua ai popoli conquistati, ma ne adottarono la scrittura.

L'idea che informa la concezione del mondo propria degli Indoeuropei è un'"ideologia trifunzionale": il presupposto è che le cose, il mondo e la società venissero colti dagli Indoeuropei con riferimento a tre ambiti o "funzioni", distinte ma complementari:

la potenza del sovrano, che si manifesta secondo due aspetti, uno magico e uno giuridico;

la forza fisica, in particolare quella del guerriero;

la fecondità degli uomini, degli animali e della natura, vale a dire la funzione della prosperità materiale.

Nel caso della storia di Roma arcaica, si può rintracciarvi un'importante eredità indoeuropea. Anche nella teologia romana è mantenuta traccia dell'originario sistema indoeuropeo: così si spiega l'associazione del dio della prima funzione (Giove) a due divinità minori (Terminus, divinità tutelare dei confini, e Iuventus, dio della giovinezza). Si tratterebbe di schemi narrativi e di scenari ereditati dal sostrato indoeuropeo, che ciascuna cultura ha poi attualizzato secondo propri parametri.


la scoperta del lapis niger

La storia di Roma arcaica si è avvalsa del contributo dell'archeologia. Le scoperte a Satricum dell'iscrizione contenente la dedica di Valerio Publicola, del santuario di Enea a Lavinium e dei resti di un muro sul Palatino, forse attribuibile a Romolo, hanno riaperto la questione dell'attendibilità della tradizione storiografica su Roma arcaica.

Una stagione di scavi e di ritrovamenti si ebbe alla fine del XIX secolo, soprattutto nel Foro. Un grande scalpore suscitò la scoperta, nel 1899, nell'angolo settentrionale del Foro, di una pavimentazione in marmo nero distinta dalla restante pavimentazione in travertino. La scoperta fu associata ad una fonte letteraria che accennava all'esistenza di una "pietra nera nel Comizio", che contrassegnava un luogo funesto, la tomba di Romolo. Al di sotto del pavimento fu scoperto un complesso monumentale arcaico, comprendente una piattaforma sulla quale sorgeva un altare. Vicino ad esso era un tronco di una colonna, o una base di una statua, recante il testo mutilo di un'iscrizione, scritta in un latino arcaico: si tratta di una dedica fatta a un re, e si minacciano pene terribili a chi avesse violato questo luogo.


le origini di roma secondo un imperatore romano

La tradizione sulle origini di Roma poneva delle difficoltà agli stessi antichi. Cicerone, attorno alla metà del I secolo a.C., riconosceva l'"oscurità" della storia romana più arcaica.

Nel 48 d.C., Claudio pronunciò un discorso in senato a favore dell'ammissione nell'assemblea di alcuni illustri rappresentanti della provincia della Gallia Comata. Per dimostrare l'apertura di Roma nei confronti degli stranieri, egli prende spunto dalle vicende delle origini della città, fornendo delle informazioni desunte dalla tradizione antiquaria romana ed etrusca. Il testo del discorso fu inciso su una tavola di bronzo collocata nel santuario dedicato al culto imperiale nei pressi di Lione. Il suo contenuto ci è noto anche da Tacito, negli "Annali". Claudio è assai prudente nell'accreditare fiducia ad una versione piuttosto che ad un'altra.


la grande roma dei tarquini

Il quadro politico del Lazio appare, al momento dell'avvento dei Tarquini, condizionato dall'espansionismo romano. Nel corso del VII secolo a.C., Tullo Ostilio, distrutta Alba Longa, fece passare sotto il dominio romano tutta la fascia compresa tra Roma ed il mare: queste conquiste aprirono la via al possesso delle saline che si trovavano nei pressi della costa. Il controllo strategicamente decisivo di Roma sul fiume appare suggellato dalla costruzione di un ponte stabile in legno, a valle dell'isola Tiberina.

Il secolo che intercorre tra l'accessione al regno di Tarquinio Prisco e la cacciata di Tarquinio il Superbo ha un riscontro in un documento eccezionale, risalente al 508 a.C., che Polibio (II secolo a.C.) asserisce di aver visto nell'archivio pubblico di Roma: si tratta del testo del primo trattato tra Roma e Cartagine.

In questo periodo, Roma è già la città più estesa del Lazio. Nel Lazio arcaico, in questo periodo, è accertabile un'omogeneità culturale. Anche se il ruolo prevalente esercitato da Roma è indiscutibile, ciascun centro continua a preservare una sua identità specifica.

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