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Relazione sul luogo della bottega Rinascimentale




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Relazione sul luogo della bottega Rinascimentale


L'accresciuta richiesta di opere d'arte finisce per elevare l'artista dalla condizione di artigiano piccolo-borghese a quella di libero lavoratore individuale. Gli artisti, infatti, cominciano a formare un ceto economicamente sicuro e socialmente consolidato, pur non rappresentando una classe omogenea. Essi si ritengono artigiani più raffinati degli altri, ma gli viene dato del tu come ai domestici. L'artista è soggetto alle corporazioni e non è certo il talento a consentirgli di esercitare il mestiere, bensì il tirocinio compiuto nella bottega. La sua educazione si fonda sui comuni rudimenti dell'artigiano, egli non va a scuola ma a bottega, non viene istruito teoricamente ma praticamente.

Gli artisti dei Quattrocento come Brunelleschi, Ghiberti, Paolo Uccello, Antonio Pollaiolo, Verrocchio, Botticelli, provenivano in gran parte dall'oreficeria, ma le più rinomate botteghe di questo secolo, nonostante l'organizzazione ancora sostanzialmente artigiana, seguono già metodi didattici più individuali. Questo avviene anzitutto per le botteghe dei Verrocchio e dei Pollaiolo a Firenze e pure per altre in cui, come in queste, il capo è ugualmente famoso come maestro e artista. Gli allievi non vanno più in una qualsiasi bottega ma presso un maestro determinato che li accoglie tanto più numerosi, quanto maggiore è la sua fama di artista. Questi ragazzi costituiscono appunto la mano d'opera che, se non sempre era la migliore, sicuramente era quella più a buon mercato. Questo è anche il motivo per cui il discepolato artistico da allora andò sempre intensificandosi.

Il tirocinio all'interno della bottega comincia con lavori di ogni sorta, così l'apprendista diventa un aiuto più o meno indipendente che generalmente va tenuto distinto dallo scolaro, infatti non tutti gli aiuti di un maestro sono anche suoi allievi, né tutti gli scolari rimangono come aiuti. L'aiuto è spesso un artista che vale quanto il maestro, e può essere anche uno strumento impersonale nelle sue mani. Da questa combinazione mutevole di possibili interventi diversi (all'interno della stessa opera), nasce un miscuglio stilistico spesso difficile da analizzare, e talvolta un effettivo livellamento delle differenze individuali.

Nella bottega dell'artista quattrocentesco domina ancora lo spirito collettivo del cantiere e della corporazione, l'opera non è ancora l'espressione di una personalità indipendente. L'esigenza di condurre l'opera di propria mano dall'inizio alla fine partirà solo da Míchelangelo, che sotto questo aspetto si può definire il primo artista moderno. Per tutto il Quattrocento il lavoro artistico conserva il suo carattere di collaborazione. Per realizzare le grandi opere, soprattutto di scultura, si fondano vasti laboratori di tipo industriale con molti aiuti e manovali. Così, per esempio, nella bottega dei Ghiberti quando eseguiva le porte del battistero, una delle massime imprese artistiche dei Quattrocento, lavoravano circa venti aiuti. Alcuni padroni di botteghe erano più imprenditori che Il rapporto della committenza con la bottega: artisti e di solito si assumevano delle ordinazioni per poi farle eseguire ad un pittore adatto.

Esistevano anche altre forme di lavoro artistico collettivo in questo periodo: ad esempio la bottega tenuta in società da due artisti, solitamente ancora giovani che non potevano altrimenti affrontare le spese. E' il caso, tra gli altri, di Donatello e Michelozzo. Sono ancora nel complesso forme di organizzazione collettiva che impediscono l'atomizzarsi delle tendenze artistiche.

Lo spirito che domina nel Quattrocento si rivela anzitutto negli incarichi di modesto artigianato spesso assunti dalle botteghe. Dai ricordi di Neri di Bicci possiamo sapere quali oggetti potessero uscire da una fiorente bottega di pittore: quadri, stemmi, bandiere, insegne, intarsi, intagli in legno policromo, modelli per tappezzieri e ricamatori, decorazioni per feste e molte altre cose. Poteva anche succedere che alcuni artisti, anche se diventati illustri pittori e scultori, continuassero a tenere una bottega e in essa producessero i più disparati oggetti. Ad esempio: Donatello per il suo protettore Martelli non esegue solo il celebre stemma, ma anche un prezioso specchio d'argento, Botticelli fornisce disegni per ricami, Luca della Robbia fabbrica formelle di maiolica per chiese e case private. Comunque incarichi come quelli di dipingere le insegne per il fornaio o il macellaio non venivano più accettati nelle loro botteghe. Una svolta fondamentale nella valutazione dei lavoro si nota solo a partire dai tempi di Michelangelo. Per il Vasari incarichi di tipo artigianale non possono più dirsi confacenti con la dignità di un'artista. Nell'anno 1590, inoltre, fu deciso che gli statuti della corporazione non erano vincolanti per l'artista che non tenesse bottega aperta, ciò concluse definitivamente un processo di trasformazione durato quasi due secoli.

Verso la metà dei secolo vi è un mutamento stilistico le cui cause sociali sono da cercare nella diminuzione della clientela. La signoria medicea con la sua oppressione fiscale ha sensibilmente ridotto il volume degli affari, costringendo molti imprenditori a lasciare Firenze trasportando altrove le loro aziende. Questo insieme ad un regresso della produzione sono sintomi dei declino industriale. Il pubblico dei committenti d'arte nella prima metà dei secolo tendeva sempre più ad estendersi fra i privati cittadini, mostra ora, invece, una tendenza a restringersi. Le ordinazioni provengono principalmente dai Medici e da poche altre famiglie; la produzione già per questo fenomeno assume un carattere più esclusivo e raffinato.

Nei Comuni italiani, durante gli ultimi due secoli, i diretti committenti di architetture ecclesiastiche e di opere non erano più i prelati, ma i laici che ne rappresentavano e ne curavano gli interessi, cioè da un lato il Comune, le grandi corporazioni e le confraternita religiose, dall'altro le fondazioni private e le famiglie ricche ed illustri. L'attività edilizia e artistica dei Comuni giunse all'apice durante il Trecento, coi primo fiorire dell'economia urbana. In questo periodo l'ambizione dei cittadini si manifestava ancora in forme collettive e solo più tardi incominciò ad esplicarsi in forme individuali. I Comuni italiani in questa attività profusero i tesori, e in seguito, nella maggior parte dei casi i signori cittadini giungendo al potere proseguivano l'attività artistica dei Comuni e, se possibile, la superavano in prodigalità. Fecero così la più efficace propaganda a se stessi e al loro governo, lusingando la vanità dei cittadini e regalando opere d'arte a quegli stessi che poi, di regola, dovevano pagarle. Ciò avvenne ad esempio per la costruzione dei duomo di Milano.

Al principio le ordinazioni della borghesia consistevano soprattutto in doni per chiese e conventi; solo verso la metà dei secolo si cominciò ad ordinare in maggior numero opere profane per uso privato. Da allora anche le case dei ricchi cittadini insieme ai castelli e ai palazzi dei principi cominciavano ad ornarsi di quadri e statue. Considerazioni di prestigio, il desiderio di brillare e di farsi un monumento giocano un ruolo forse più rilevante dell'esigenza estetica, e questi movimenti non erano certo estranei alle donazioni di opere d'arte alle chiese. Ma in questo periodo le condizioni sono mutate così che i cittadini in posizione più preminente, come i Ruccellai, si curano molto di più dei loro palazzi che delle cappelle di famiglia. Probabilmente Giovanni Ruccellai è il più rappresentativo di questi nuovi mecenati interessati soprattutto all'arte profana. Uno dei più celebri zibaldoni dei tempo afferma che le sue fondazioni ecclesiastiche gli hanno dato e gli danno la massima soddisfazione, perché tornano a gloria di Dio, ad onore e perpetuano anche la sua memoria. Ma Giovanni Ruccellai è anche un collezionista, possiede opere di Andrea dei Castagno, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Antonio Pollaiolo ed altri.

Questo processo di trasformazione dell'amatore d'arte da donatore a collezionista lo si vede molto chiaramente nei Medici: Cosimo è ancora soprattutto il fabbrichiere delle chiese (San Marco, Santa Croce, San Lorenzo e della Badia di Fiesole); suo figlio Piero è già un collezionista sistematico; e Lorenzo è esclusivamente un collezionista.

L'arte dei Quattrocento conserva ancora nell'insieme un carattere artigianale per cui di volta in volta si adegua alla natura della commissione, cosi che spesso bisogna cercare l'origine dell'opera non nell'impulso creativo, ma nelle precise richieste del cliente.

A determinare il mercato artistico in questo periodo non è l'offerta ma la domanda. Ogni opera ha la sua destinazione precisa e la sua connessione con la vita pratica, ogni scultura è progettata in vista di una collocazione ben definita, ogni mobile di pregio è disegnato per una determinata stanza. L'artista sapeva, ma doveva anche sottostare, come ad un articolo di fede, alla costrizione dall'esterno, la quale era un fattore indubbiamente favorevole o addirittura benefico. I risultati paiono giustificare quest'opinione ma gli artisti la pensavano altrimenti. Ed infatti essi cercarono di liberarsi da ogni vincolo, non appena le condizioni dei mercato lo permisero. Ciò accadde quando al semplice committente subentrò l'amatore, l'esperto, il collezionista, cioè quel moderno tipo di cliente che non ordinava più quel che gli occorreva, ma comprava quel che gli veniva offerto. La sua apparizione sul mercato artistico significò la fine della produzione determinata unicamente da committente e compratori, ed assicurò alla libera offerta possibilità nuove e insospettate.

Dopo l'antichità classica, il Quattrocento è la prima epoca che di nuovo offra una produzione d'arte profana. Le cose cambiano solo dopo che viene riconosciuta l'autonomia della grande arte, libera da ogni fine pratico, e questa viene contrapposta al carattere meccanico dell'artigianato. Solo allora l'artista si differenzia dall'artigiano e il pittore comincia a dipingere i suoi quadri con animo diverso da quello con cui dipinge pannelli decorativi, bandiere e gualdrappe, piatti e boccali. Ma allora egli comincia a sentirsi libero dai desideri dei committente, e a trasformarsi da produttore per il cliente in produttore di merce, aprendo così la via all'amatore, all'esperto, al collezionista. Questo presuppone nell'acquirente una concezione formalistica dell'opera.

Contemporaneamente all'apparizione della figura dei collezionista è l'altro fenomeno nuovo dei mercato artistico, conseguenza diretta dei rapporto impersonale che si stabilisce tra compratore e opera d'arte, tra compratore e artista, ma questo tipo di commercio nasce solo nel Cinquecento quando la ricerca di opere dei passato e l'acquisto di opere di contemporanei diventa abituale.



Bibliografia:


  • "Storia sociale dell'arte" Arnold Hauser; Volume secondo - Rinascimento, Manierismo Barocco; Piccola biblioteca Einaudi

  • Enciclopedia Compact dell'Arte - De Agostini, Novara
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Appunti su: hauser storia sociale dell27arte bottega apprendista, https:wwwappuntimaniacomsuperioriarte-culturarelazione-sul-luogo-della-bott33php,



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