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Racconti di vita di alcuni ospiti dell'Istituto "De Pagave" vissuti durante la Seconda Guerra Mondiale




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Racconti di vita di alcuni ospiti dell'Istituto "De Pagave" vissuti durante la Seconda Guerra Mondiale


Se c'è una cosa che non mi annoia mai quando mi capita di fare quattro chiacchiere con gli ospiti dell'Istituto "De Pagave" è quella di ascoltarli: ritengo che gli anziani possiedano una ricchezza interiore data dalla loro esperienza di vita che può essere in grado di comunicare ed insegnare moltissimo. Certo, mi rendo benissimo conto che non tutte le persone siano disposte in ugual modo a parlare della propria vita, a voler comunicare qualcosa; alcuni vogliono semplicemente finire i loro giorni in pace, ma altri invece impazziscono di gioia quando possono raccontare a qualcuno la loro storia. E si sa: anche senza arrivare alle demenze senili, capita spesso che loro ripetano sovente racconti già detti e ridetti, ribadiscano eventi importanti per la loro vita fino alla nausea. Ma poco importa: penso che sia assolutamente apprezzabile il loro sforzo di mettere a disposizione degli altri la propria esperienza. Può anche essere un tentativo di sfuggire alla morte: dopo tutto, come diceva già Foscolo, si può sfuggire alla morte vivendo nella memoria dei propri cari e dei propri amici. Forse alcuni anziani pensano la stessa cosa: ritengono che regalando parte della loro esperienza ad altri potranno, in qualche modo, rimanere impressi nella memoria di queste persone.

Riporterò di seguito brevi articoli scritti da alcuni ospiti per il giornalino del "De Pagave" che narrano alcuni momenti della loro vita. In questo caso penso di fare loro un favore perché, in questo modo, la loro storia esce dall'Istituto e approda in una scuola, dove mi auguro possa restare e venir letta da qualche studente in futuro, quando magari gli autori di queste testimonianze non potranno più parlare.


Ricordi

«Gennaio 1939. Sabato, ore 13. Scarpe chiodate di circa 3 chili, temperatura a zero gradi, 30 centimetri di neve. Parto per il lavoro e ci sono 3 chilometri di sentiero ghiacciato in collin, poi 140 metri di scale sotto terra. Alle 14 sono sul lavoro, alle 21 il capo reparto mi chiede di fare il doppio turno. Avevo energie da vendere e ho accettato. Esco dalla miniera alle 6 di domenica, col mio aiutate avevamo mandato fuori 40 tonnellate di pietra per fare il cemento .Adesso i gradi sotto zero erano 10, c'era la nebbia e mancava circa un chilometro a casa. Le gambe si piegavano e gli occhi volevano chiudersi. C'era un paracarro, desideravo solo sedermi a riposare. Se l'avessi fatto sarebbe stata la fine, perché per quel sentiero non passava nessuno fino a lunedì mattina.

Un ricordo difficile da dimenticare."

E.G.







Politica d'altri tempi

Quello che segue è un raccolto corale. Tante voci, raccolte all'indomani delle elezioni che hanno portato alla costituzione del nuovo Parlamento in Italia. Voci raccolte al quarto piano di lunedì mattina, con una quindicina di persone impegnare a raccontare e a raffrontare la politica per quello che era all'indomani della Seconda Guerra Mondiale con ciò che è oggi. Nostalgia e disillusione accompagnano le parole dei nostri ospiti, non troppo contenti, a quanto pare, di ciò che l'Italia è diventata.

G.C.

«Subito dopo la guerra si faceva politica ragionata e la si faceva bene! Non c'erano insulti, allora. Oggi ci sono politici troppo maleducati, volgari, invadenti. Negli anni Cinquanta la lotta politica era forte ma non volgare, andavano in piazza e via! C'era il Nenni, il Togliatti, e ci dicevano "Andate a votare, non importa chi, ma andate a votare!". Prima anche noi ci fidavamo di più. Oggi non è possibile perché sono meno di parola, adesso è tutto un promettere, un insultare chi c'era prima. Chi governa ruba, questo è quello che si crede oggi, mentre prima non pensavamo così! E poi c'erano persone che partecipavano molto, che davano tanto. Qualcuno ha dato anche la vita. Cinquant'anni fa c'erano anche le prime donne che facevano politica, poche ma c'erano. E c'erano i sindacati, dobbiamo ringraziare loro se siamo migliorati. Pensiamo ai comizi: andavamo a sentire tutti, per poi poter scegliere quelli che ci sembravano i migliori. Era anche un'occasione per uscire. Quando è venuto Berlinguer a Novara, non negli anni Cinquanta ma dopo, siamo rimasti tutti fermi, in piedi, per ore. Poi commentavamo tra di noi, si parlava ma senza manganelli, senza botte e sassi come succede adesso. Perché poi una volta i comizi c'erano di sovente, e non solo per le elezioni come succede adesso! E si parlava con tutti, anche con chi la pensava diversamente da noi. Certo, la Chiesa combatteva i comunisti che non andavano in chiesa, ma in entrambi i campi c'erano persone in gamba, tutte d'un pezzo, in gamba! Adesso c'è troppa distanza fra chi parla e noi, che non siamo niente. Prima da parte nostra c'era la sensazione di contare di più, e da parte dei politici c'era più disponibilità. Per esempio, parlare coi sindaci era più semplice, ricevevano la gente, non bisognava aspettare mesi, il fatto è che adesso il poverino non lo vogliono più vedere! Ma è proprio tutto ad essere diverso: basta pensare a tutti i cambiamenti che ci sono stati, a quanto duravano le cose un tempo rispetto allo spreco che c'è oggi. Più abbiamo e più vogliamo, più abbiamo e meno siamo affabili. In compenso abbiamo guadagnato più comodità, questo sì!»


Nata il 25 Aprile 1927

«Sono nata il 25 aprile 1927 e il giorno della liberazione dal nazifascismo ho compiuto 18 anni. Quindi per me quella è stata una giornata due volte importante, della quale non ho dimenticato nulla. Mi ricordo persino com'ero vestita: indossavo un soprabito color nocciola, sagomato, con le spalle dritte, aderente sul corpo e con lo spacco dietro. Il compleanno l'ho festeggiato con una torta preparata da mia sorella. Preparata con quello che c'era, perché in quel periodo anche il cibo scarseggiava. Poi siamo andati in centro, dove non si capiva nulla di quanto stava succedendo. C'erano stati i carri armati, erano passati i tedeschi, infine gli inglesi lanciando cioccolato, scatole di carne e di tonno. Da n lato pensavamo "finalmente", dall'altro mi sentivo umiliata dalla loro elemosina. Alla fine a Sant'Agabio, il mio quartiere, sono arrivati gli americani. Noi avevamo paura ad avvicinarci. Facevano le feste, suonavano e noi ragazze passavamo a guardarli, ci invitavano ma scappavamo via. Quando c'è la guerra non ti rendi conto di quello che succede. Prima della liberazione c'era l'oscuramento, i repubblichini, i tedeschi che facevano i padroni. E non c'era la televisione, ma solo la radio che non tutti captavano bene. Sapevamo in ritardo le cose che accadevano. Eravamo terrorizzati da tutto e spesso la sera non potevamo uscire. Ho ancora nelle orecchie il rumore degli aerei la notte, se veniva dalla parte di Sant'Agabio voleva dire che erano sopra Milano, noi uscivamo dalle case e scappavamo nei campi o nei rifugi. Noi giovani ci trovavamo la sera nei pressi di un mulino per parlare e raccontare le barzellette. A volte sentivamo dei rumori nell'erba e non capivamo cosa fosse. Dopo il 25 aprile scoprimmo che lì s era nascosto a lungo un partigiano e che spesso aveva faticato a trattenersi perché le nostre barzellette lo facevano ridere!»

G.G.


Passione politica

«Mi è sempre piaciuta la politica, ho sempre pensato che fosse il massimo. Incoraggiavo i giovani a partecipare, ma non per raggiungere scopi personali, bensì per realizzare obiettivi non facilmente conseguibili da chiunque e pensati per il bene pubblico! Della politica mi piaceva tutto: soprattutto svolgere attività in mezzo alla gente. Da allora ad adesso non mi sembra sia cambiato molto: la politica è sempre la stessa!»

S.C.


1948: si vota!

«Delle prime elezioni politiche, quelle del 1948 ricordo. Ricordo poco! Per me erano le prime alle quali partecipavo. C'erano delle lunghe file che arrivavano fino in strada e poi c'era l'emozione di partecipare alla vita civile. La scelta, fra i vari partiti, era abbastanza ampia. La campagna elettorale era fatta di comizi per la strada: a Milano quelli dei personaggi più importanti venivano fatti in piazza del Duomo, nelle altre città nella piazza principale, e questi erano i più affollati. Tra il pubblico discussioni, anche litigi e ci scappava anche qualche pugno. I comizi di personaggi minori, invece, si tenevano nelle piazze dei rioni col candidato in piedi su una cassetta della frutta. Candidati donne c'erano pochissime: all'epoca non si parlava ancora di quote rosa, anche se allora le donne cominciavano ad interessarsi alla politica e a capire che, attraverso quella, potevano trovare dei vantaggi, sia sul lavoro che avevano sempre svolto, sia nella vita famigliare. Certo è che nelle famiglie aveva molto peso l'opinione dell'uomo di casa. Il telefono era un mezzo molto adoperato per fare propaganda con gli amici e i conoscenti. Attraverso la politica ho fatto molte nuove conoscenze che durano ancora, perché non sono una voltagabbana!»

E.C.


Ho trovato particolarmente interessanti gli articoli riportati sotto due punti di vista. L'aspetto che subito salta all'occhio è quello composto dalle opinioni degli anziani sull'attuale politica. Non sembrano essere molto soddisfatti, ma sono io il primo a dire che alcuni giudizi vanno presi con una certa distanza, perché come praticamente ogni persona, anche loro tentano di difendere il proprio tempo, i propri spazi e ciò in cui hanno sempre creduto. L'altro lato molto interessante emerge da un'analisi più accorta dei testi riguardo al lavoro della memoria sugli eventi passati. Si può notare che raramente c'è la descrizione di un evento preciso e particolareggiato: nel primo articolo c'è una grande caratterizzazione dell'evento, forse proprio a causa della sofferenza che il signor E.G. ha collegato a quel ricordo, rendendolo molto più profondo di altri. Allo stesso modo la descrizione del vestito che la signora G.G. indossava il giorno del suo diciottesimo compleanno è un ricordo rimasto così vivido forse grazie proprio al carico affettivo che la signora ha legato a quei momenti. Le altre testimonianze sono più che altro resoconti vari, pennellate impressioniste di scorci di vita del secondo dopoguerra, quando in Italia si tentava di ricostruire uno stato dopo lo sfacelo fascista.

Non soddisfatto di queste testimonianze, ho deciso di intervistare tre signore, sempre ospiti dell'Istituto "De Pagave", così da sentire dalla loro viva voce le esperienze, focalizzando l'attenzione sugli anni della guerra. Ne sono nati discorsi carichi di coinvolgimenti, di occhi lucidi e di emozioni che difficilmente un'intervista scritta può riportare. Sono stato particolarmente fortunato nella scelta delle signore da intervistare perché tutte e tre sono state ben contente e ben disposte a raccontarmi la loro storia.


La signora E.G. è nata nel 1917; ha vissuto in Emilia fra la città di Ferrara e le campagne circostanti.


D: Signora E., dove si trovava nel 1940 quando l'Italia è entrata in guerra?


R: Mi sono trasferita a Ferrara del '39. Mi sono sposata nello stesso anno e sono rimasta incinta e. Dopo soli sette mesi dal matrimonio, nel '40 mio marito fu chiamato in guerra. Era del 1913 lui! È stato via cinque anni. Il pericolo in città era dappertutto sotto alle bombe. Due case mi hanno bombardato, due! C'era una paura da farsela addosso. Ogni tanto mio marito tornava a casa in licenza; era nel sud Italia, nella retroguardia. Doveva controllare la costa e. Una notte vide qualcosa di lucente, nell'acqua; s'è nascosto. E solo quando quel luccichio sparì, saltò fuori. Ha passato delle paure tremende. Ah! Ma l'importante è stato che alla fine è tornato a casa sano e salvo. E. INTERO! E non era mica una cosa da poco, sai? Tsh. Sia io che lui per colpa della guerra abbiamo perso gli anni più belli.


D: Posso chiederle che cosa faceva lei, a casa, oltre ad occuparsi del figlio?


R: Abitavo vicino ad una caserma; andavo là, con altre donne, e aggiustavamo le tende, le tele. Facevamo i vestiti da mandare al fronte! Tutto si comperava nel mercato nero perché quello ufficiale. Eh! Era pochissimo! C'era il sussidio, pochissimo, non potevo mantenere me e mio figlio. Meno male che stavo con i miei suoceri. Per forza. Ero sfollata, come ho detto due case mi hanno distrutto! E poi. Boom, anche la casa dei suoceri. E allora ero sfollata di nuovo, a casa dei miei, nella campagna emiliana. E. Sai una volta? La casa dei miei era in mezzo alla campagna, e c'era un fiumicello. Al di là era modenese, di qui ferrarese. Al di là del fiumiciattolo c'era la vigna di un'altra cascina. Era enorme. Immensa! Tralci di vite a perdita d'occhio! Allora io. Qui eravamo nel '42, eh? A settembre. Quando c'erano dei bei grappoloni maturi. Sono andata con una mia amica a rubare qualche grappolo. Qualche minuto e sentimmo delle urla «Mettete giù quell'uva!!!». La mia amica scappò. Io rimasi lì con l'uva in mano. Il contadino mi stava minacciando con il forcone. E io gli dico «Tu hai tutta quest'uva. Io ho un bambino piccolo! Non ho niente da dargli!» e lui. Niente! Non mollava. E allora io ci dico «Ascolta, io lavoro per te e tu mi dai qualcosa da mangiare.» e così, fin dopo Natale ho lavorato nella vite e lui mi dava la farina, il pane, la legna per il fuoco, qualche volta le uova. E l'uva. Eh caro mio! Questa sì che è onestà!


D: Lo credo bene. Complimenti! Ma arriviamo adesso alla fine della guerra. Come.?


R: Ahhh!! Era il primo maggio 1945. Non lo scorderò mai! Dopo gli ultimi bombardamenti c'erano parecchie bestie morte. Allora il macellaio del paesello vicino aveva aperto per vendere la carne. La mia mamma mi dà i soldi e mi dice di andare a prendere un po' di carne. Allora io ci vado. Non che ne avessi tanta voglia, eh?! Ma non potevo mica dire no. Arrivo e c'era una coda lunghissima. Poi, all'improvviso, dei rumori, dei furgoncini militari arrivano nella piazza e. Tutta la gente corre a vedere! Ma io, furba. Ehehehe. Che non stavo tanto bene, sono corsa dentro alla macelleria, ho preso il mio pezzo di carne e sono tornata a casa. Mentre tornavo a casa, un ragazzino mi chiama. Mi giro e lo vedo sbracciarsi e urlava «Sono tornati! Sono tornati!». Allora io corro subito indietro al paese e. Lo vedo: sano, salvo e. Mio marito era a casa!

D: Dev'essere stata una sensazione fortissima.


R: Eheh. Pensa che quando siamo tornati a casa mia, dove erano venuti ad abitare anche i suoceri, non volevo più mollarlo!! E suo padre, ridendo mi disse «Lasciane un po' anche a noi!» ero felicissima! Scoppiavo di gioia. E poi la vita lentamente riprese. Era difficile, eh? Non c'erano soldi, c'era ancora poco cibo. Sai cosa facevamo io e mio marito per mettere da parte qualche soldo? Allora la gente impazziva per il fumo. Noi raccoglievamo le cicche da terra con un bastoncino appuntito. Poi a casa le aprivamo e tiravamo fuori il tabacco rimasto. E con quello facevamo delle sigarette che poi vendevamo!


D: Questa sì che è inventiva! Signora E. posso chiederle se c'è un momento particolare che ricorda?


R: Oh, sì. C'era Pippo. Sai chi è Pippo? Eh, no queste cose non ve le insegnano a scuola. Pippo era il nome che avevamo dato ad un aereo che ogni tanto passava e RATAM! Mitragliava a caso. Noi avevamo un maialino. Era affettuoso. Io mi ci ero affezionata, quando andavo a fare il bucato me lo portavo dietro vicino al fiumiciattolo. Il bambino ovviamente lo lasciavo in casa, troppo pericoloso farlo uscire. Un giorno, mentre lavavo i panni. Sento arrivare Pippo. Allora pianto lì tutto e via giù per una collinetta a nascondermi fra i cespugli e. Scalza, eh? Le scarpe le avevo lasciate vicino ai vestiti. Pippo passa. Mitraglia un po'. E se ne va. Allora io esco dai cespugli e torno verso i miei panni. E li trovo tutti mitragliati. Anche il catino, anche le mie scarpe! E poco più in là. C'era il maialino, sventrato dai colpi. E poi una volta bombardarono anche la casina. Per fortuna distrussero poco! Ma. Il pollaio distrutto, le galline in fiamme. Questi qui sono ricordi che non si possono dimenticare.


La signora L.F. è nata nel 1924 e, anche lei, passò quegli anni fra l'Emilia e l'Umbria.


D: Signora L., lei mi ha detto che è nata nel '24. Quindi in pieno periodo fascista; come lo ricorda?


R: Il fascismo ci entusiasmava! Il sabato c'erano tutti i festeggiamenti e si andava a scuola in divisa! Pensi. Ero capo manipolo!


D: Perdoni l'ignoranza, ma che cos'era un capo manipolo?


R: Le classi erano divise come se fossero dei gruppi. E ogni gruppo aveva dei capi che parlavano con i professori e presenziavano alle attività ufficiali! Ho anche incontrato Mussolini a Bologna, sempre in qualità di capo manipolo.


D: Quindi lei ha visto Mussolini dal vivo!


R: Eh sì! Mussolini dal vivo era in grado di trasmetterti l'orgoglio di essere fascista! All'epoca avevo dodici. Forse tredici anni. Eravamo piccoli e indottrinati fin dall'infanzia. Non potevamo capire quello che facevamo. In casa mia c'è sempre stata grande libertà in questo senso. Mio padre era socialista. Ma un socialista serio, uno di Nenni! Mia madre invece era monarchica. Sai? Una di quelle donne dell'antica aristocrazia. Noi figli eravamo liberi. E sai? La libertà ci stimolava a capire le nostre scelte. E io ringrazio moltissimo mio padre per avermi educata in questo modo.


D: Beh certo. Imparare fin da piccoli ad usare la propria testa credo che sia fondamentale! Ma ora passiamo ad altro, se non ha niente da aggiungere. Ecco, come ricorda il periodo durante la guerra?


R: Gli ultimi tempi si sentiva pesante il clima di guerra; lasciammo Foligno e scappammo in montagna perché dopo il settembre del '43 i tedeschi erano come impazziti. Scappavano verso il nord e razziavano tutto dove passavano. Papà scappò con i partigiani; i contadini si avvertivano a vicenda per non essere derubati. Eravamo tre famiglie in quel rifugio in montagna. Noi stavamo nascosti sotto alla paglia, hanno sparato al figlio maggiore dei proprietari della cascina. Noi eravamo sei ragazzi che ci nascondevamo sotto alla paglia. Ricordo ancora adesso. Quanta paura! Papà andò in città a vedere com'era rimasta e tornò piangendo. La città e le case erano state tutte devastate. Mia mamma pianse per mesi. Era sconvolta. Riaprirono le scuole qualche settimana dopo e le maestre ci facevano raccontare ciò che ci era capitato. Poi alla fine, nel '46, ci siamo trasferiti a Torino.


D: Ho capito. E invece com'era la situazione all'inizio della guerra?


R: Beh io ero in un contesto socialista a causa di mio padre. E quindi sentivo sempre ricorrere la frase "I tedeschi infami vanno annullati". Posizione che poi non fu più solo dei partiti di sinistra! Erano antipatici, prepotenti. Tutti li odiavano. La voglia di partecipare alla guerra era moltissima, soprattutto da parte dei giovani. I primi anni non si capiva che si era in guerra. Tutto era mascherato molto bene, ma poi. Beh, poi s'è visto! Anche le maestre ci dicevano di non ascoltare i tedeschi e di evitarli se era possibile. C'era anche la tessera per razionare il cibo. A ogni famiglia spettava tot cibo, si doveva perdere le proprie abitudini! A me mancava il pane soprattutto. Secondo me quello era davvero troppo poco!


D: Capito, grazie. Posso chiederle se le capita spesso di ripensare al suo passato?


R: Spesso ripenso al mio passato, più che altro perché , essendo papà un ingegnere delle ferrovie, riuscivo a viaggiare molto. Invece adesso! Io penso che arricchire il cervello ci aiuta. Si deve leggere sempre! E oggi ancora di più perché oggi è indispensabile riuscire ad avere uno sguardo critico. Io, che so di essere vicina alla fine, ho messo l'acceleratore e leggo il più possibile! Leggo di tutto! Finché il cervello va si deve andare avanti! Proprio per questo ho un pochino di rammarico ripensando al passato. Secondo me la vita di oggi, sotto certi aspetti, viene un po' sprecata!


La signora V.G. è nata nel 1924 e ha trascorso gli anni della guerra fra Sovazza e Novara.


D: Signora G., cosa ricorda della Seconda Guerra Mondiale?


R: Io durante la guerra ero praticamente sempre a Sovazza. E lì dopo l'8 settembre i militari erano allo sbando!! Alcuni si sono uniti alla repubblica di Salò, altri hanno formato le fila di partigiano e altri. Eh! I più furbi! Si sono dati alla macchia. Io ho avuto quattro fratelli. I primi tre hanno combattuto tutti e. Beh. Sono morti quasi tutti in guerra o comunque poco dopo per le malattie. Il quarto invece. Il più sveglio! Era nell'aeronautica di Cameri. E il giorno prima che partisse per il fronte. Via che se n'è andato!! È letteralmente sparito, nessuno sapeva più dov'era. È saltato fuori a guerra completata e adesso è un cuoco famoso in America. Beato lui! Mi ricordo che mio papà era socialista. Ma si doveva prendere la tessa del partito fascista se si voleva lavorare!

D: Ah, ho capito. E fra i giovani?


R: Non c'era coscienza della guerra, né del fascismo. Non ce ne rendevamo conto! E come potevamo? Eravamo stati cresciuti così! Col tempo poi, più avanti. Abbiamo capito. Ma ormai era troppo tardi. Solo gli intellettuali potevano essere anti-fascisti perché loro, dall'alto del loro sapere, potevano capire cosa era giusto e cosa no. Ma noi, le masse, cosa vuoi che capivamo?! Noi prendevamo quello che ci veniva detto e stavamo buoni. C'era la tessera per il cibo. E. Eheheh! Il primo che si alzava alla mattina andava a prendersi la roba e mangiava! Bisognava essere svelti! Altrimenti facevi la fame. Poi il resto lo barattavamo. Anche se più che polenta non mangiavamo! Adesso quando qui fanno polenta e funghi sembra una cosa straordinaria. A me esce dalle orecchie! Pensa. Eravamo tutti magri. Chissà perché!? Sai che ho conosciuto Terracini di persona? Un signore. Di una galanteria. Se solo tutti i comunisti fossero stati educati come lui!!


D: Ehehe. Ad ogni modo, cosa si ricorda dell'entrata in guerra dell'Italia?


R: Per i giovani era bello. Era certo che avremmo vinto! Eravamo ignoranti.. La mentalità era quella! Dovevamo avere più istruzione. Anche i ragazzi della repubblica di Salò erano in buona fede! Loro si sentivano dei traditori dei tedeschi e quindi hanno voluto rimanere con loro anche oltre l'armistizio. Non si può accusarli! A loro sembrava giusto così. Certo, questo non vuol dire che avessero ragione, eh? I tedeschi dopo l'armistizio erano inferociti. Una volta vicino a Sovazza ne fu ucciso uno. Le truppe vennero in paese, presero dieci uomini a caso e li portarono a Lesa per fucilarli! Però tutto questo lo abbiamo capito dopo. Mussolini era un grande ammaliatore. Nel 1934 è venuto a Novara. Mio fratello si era arrampicato su un albero per vederlo! Era pieno di gente che lo seguiva e lo ascoltava. E poi non è che finita la guerra sono finiti i massacri, eh? Alcuni partigiani hanno continuato ad uccidere solo per rivendicazioni personali. E a volte senza neanche più motivo!


D: E si ricorda com'era Novara durante la guerra?


R: Mah io non è che sono venuta molto a Novara. Più che altro stavamo in montagna. Mi ricordo che c'era il coprifuoco alle otto di sera e c'era l'aereo Silvestro, chiamato così perché quando arrivava lui "Ti dava il resto!". Mitragliava a caso, di notte, di giorno. Sempre! Ogni tanto passava e mitragliava. Comunque io ho pietà per i repubblichini. Perché io sono convinta che loro siano innocenti! Non si può colpevolizzarli, loro credevano di essere in buona fede! E poi sai una cosa che mi fa troppo innervosire? Ormai la festa della liberazione è diventata la festa dei comunisti. Si vedono solo bandiere rosse! Ma non è vero! La liberazione è avvenuto anche grazie ai partigiani, ma c'erano anche coloro che poi hanno formato la DC, c'erano gli americani, alcuni repubblichini che si sono accorti dell'errore. Ce n'era di gente! Non solo comunisti! E poi, come ho già detto, i partigiani a volte esageravano e si vendicavano a sproposito. Hanno ucciso il papà di un mio amico perché lo accusavano di essere una spia. Ma fidati! Io lo so! Non era una spia! Eh. Una volta i politici non erano così corruttibili! Però adesso sono contenta di essere libera, perché capisco che allora eravamo schiavi. Però se dopo la guerra siamo riusciti a risorgere è stato solo perché ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo lavorato! E adesso? Mah. Adesso c'è troppo permissivismo. E poi i ragazzi? A breve ci ritroveremo in condizioni per peggiori di quando c'era il duce! Non hanno futuro, non c'è lavoro. Studiano, studiano e poi fanno i precari! Non c'è da stupirsi se fra un po' ci sarà una rivoluzione. Avranno ragione! Sai qual è il bello? Il bello è poter restare persone semplici, come una volta. Adesso. Beh, adesso sono tutti motorizzati! Ti racconto un'ultima cosa. Una delle ultime volte che sono andata al cimitero, là in montagna, ho trovato per caso la tomba di un mio amico. E al posto di dirgli una preghiera sai cosa mi è venuto da dirgli!?! «Ciao Bruno! Ti ricordi quando andavamo a rubare le uova?!»



Queste tre interviste sono state molto utili sia perché mi hanno portato a conoscenza di fatti che sui libri di Storia non vengono trattati, sia perché ho visto come la memoria si è comportata nella gestione di questi ricordi.

Gli aspetti storici delle interviste sono davvero molto interessanti: la scarsità del cibo razionato, gli aerei con i nomignoli "Pippo" e "Silvestro", forme di sopravvivenza come il baratto e il rubacchiarsi a vicenda che diventa una solida collaborazione do ut des. Sono stili di vita molto particolari che spero che nessuno si debba più trovare ad adottare per poter vivere, ma è notevole come gli uomini siano stati in grado di collaborare e mettere da parte le diverse barriere pur di aiutarsi reciprocamente. Ho trovato commovente il racconto della signora E.G. riguardo all'incontro con suo marito dopo la guerra; credo che una simile emozione sia difficilmente riproducibile. Forse un congiunto malato che guarisca potrebbe dare un simile sollievo. Del racconto della signora L.F. ho apprezzato la serenità con la quale mi parlava della sua infanzia sotto al fascismo e la consapevolezza di essere stata completamente in errore. Nelle parole della signora V.G. invece ho trovato singolare l'interpretazione sui ragazzi che si arruolarono fra le fila della Repubblica di Salò, soprattutto secondo l'interpretazione per cui il gesto fu sentito come un dovere verso i tedeschi.

Sotto un punto di vista maggiormente psicologico è interessante notare come i ricordi più intensi e dettagliati siano quelli legati ad emozioni più forti e singolari. Andando oltre a questa banale constatazione, possiamo anche notare come la riflessione sul presente sia fortemente influenzata da quelle stesse vicende che sono state narrate. Questo dimostra che il giudizio che esprimono sul presente è innegabilmente legato alla loro esperienza di vita, che ha lasciato in loro un solco così profondo. Questo soprattutto a causa di avvenimenti intensi come quelli inerenti alla guerra, che non permette loro di ragionare in maniera obiettiva e distaccata dalla loro personale esperienza; tutto viene focalizzato in quell'ottica e paragonato a quell'esperienza soggettiva.


Nothing is forever

The house, the place, the morning, all seemed strangers to her. She had no attachment here, she felt, no relations with it, anything might happen, and whatever did happen, a step outside, a voice calling, was a question, as if the link that usually bound things together had been cut, and they floated up here, down there, off, anyhow. How aimless it was, how chaotic, how unreal it was, she thought, looking at her empty coffee cup.


Niente è per sempre

La casa, il luogo, la mattina, tutto le sembrava estraneo. Qui non aveva legami, sentì, nessun rapporto, poteva accadere di tutto, e qualunque cosa, un passo da fuori, una voce che chiamava, era una domanda, come se il filo che prima annodava tutte le cose fosse stato tagliato e ora le cose galleggiassero qui, là, a caso. Com'era tutto insensato, pensò, guardando la propria tazza vuota.


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