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Mies van der Rohe: dalla scuola all'officina




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Mies van der Rohe: dalla scuola all'officina


L'incapacità di Hannes Meyer di gestire appieno la scuola, unita al suo crescente appoggio verso la filosofia marxista e all'aperta propensione agli scandali coniugali, costrinse il sindaco Hesse e il consiglio dei maestri ad un licenziamento con effetto immediato. Al suo posto fu nominato direttore Ludwig Mies van der Rohe, uno degli architetti moderni più in vista della Repubblica di Weimar: proveniente da una famiglia di scalpellini, prima di diventare architetto Ludwig aveva lavorato come artigiano e decoratore. Come Gropius, aveva svolto il tirocinio nello studio di Peter Behrens dove, con una serie di progetti di grattacieli e residenze di campagna, si era conquistato un posto dell'avanguardia architettonica.

La posizione indipendente di Mies van der Rohe all'interno sia dell'ambito politico, rivelatosi un piacevole rimedio all'ormai esasperante politicizzazione dell'opera di Meyer, sia dell'ambito avanguardistico, con la sua scelta di conciliare materiali, spazio, spiritualità, tradizione e tecnica, fu un modello imperioso per gli studenti.

Mies definì l'architettura "espressione della tecnica e dell'industria dell'epoca in cui si sviluppa; perciò per comprenderla occorre quindi confrontarla con il passato", e grazie a quest'espressione egli riuscì a reintrodurre nello studio dell'architettura la storia: il nuovo direttore propugnava di fatto una distinzione tra "l'architettura", che per lui era puro conseguimento dello scopo, e "l'arte della costruzione", a cui aspirava. La finalità di quest'ultima era più del mero scopo, perciò non si dovevano sopravvalutare la standardizzazione e la codificazione, tipiche del pensiero di Gropius, né assumere i rapporti sociali come dati inoppugnabili, come invece intendeva fare Meyer.

La sua concezione dell'attività del Bauhaus era sostanzialmente indipendente:

Ci occupiamo principalmente di questioni relative alla progettazione, generate dallo sviluppo della tecnica e dell'industria. Considero l'elaborazione di tali questioni di straordinaria importanza sul piano culturale. Non si tratta di impiegare nuovi materiali in maniera insensata, bensì di attribuire a tali materiali, che sono una realtà concreta, un valore spirituale.

(Ludwig Mies van der Rohe, lettera a Martin Mächler)




Tensioni politiche e la battaglia dei nazionalsocialisti


Come direttore del Bauhaus, Mies van der Rohe vedeva davanti a sé una montagna di difficoltà, in parte imputabili alla crisi economica del 1929, in parte all'atteggiamento sempre più ostile della città di Dessau nei confronti della scuola. L'amministrazione comunale ridusse nettamente i finanziamenti, i bilanci del 1931 e del 1932 erano notevolmente inferiori a preventivi di spesa calcolati dal direttore, inoltre alla scuola non furono affidate commesse perla progettazione di edifici pubblici come era invece accaduto sotto la direzione di Gropius e Meyer, cosicché molti degli spazi del Bauhaus dovettero essere liberati a favore degli istituti tecnici.

Alla già precaria situazione finanziaria si aggiunse quindi un clima intellettuale a dir poco teso: gli studenti comunisti si lamentavano infatti delle scelte della scuola che, a detta loro, preferiva la "borghese" esposizione di architettura del 1931 all'esposizione "proletaria" allestita per contrastarla, mentre gli allievi di destra organizzavano petizioni a favore della scuola.

A tutto ciò si aggiunse l'aspra opposizione che il regime nazista già da alcuni anni aveva intrapreso, e che raggiunse il suo culmine proprio negli anni di direzione di Mies van der Rohe: già a pochi mesi dalla fondazione del Bauhaus, nel 1919, nella lotta per la scuola finanziata con fondi statali si rifletteva già la divisione della Repubblica di Weimar in uno schieramento conservatore e nazionalista e in uno schieramento socialdemocratico e comunista. Posizioni che un tempo riguardavano esclusivamente la sfera dell'arte acquisirono una valenza politica e l'appropriazione di posizioni culturali da parte dei due schieramenti portò ad una nuova visione politico-culturale nella quale tradizione contro modernità corrispondeva a destra contro sinistra. Il Bauhaus fu classificato tra le forze politiche di sinistra.

La fine della scuola di Weimar fu perciò ineluttabile con l'invigorimento del Partito Nazionalsocialista a partire dal  1929, il quale rinverdì l'accusa di "bolscevismo culturale" che già accompagnava il Bauhaus, etichettando la scuola come uno dei principali esponenti di tale tendenza così, nel 1932, con una delibera del consiglio comunale, il Partito Nazionalsocialista di Dessau ottenne che il Bauhaus fosse chiuso il 30 settembre 1932. A nulla valsero i tentativi di numerosi insegnanti di elaborare argomentazioni per dimostrare che le moderne correnti non erano culturalmente bolsceviche bensì autenticamente tedesche, così come fu inutile la riapertura della scuola da parte di Mies van der Rohe a Berlino come istituto privato nell'ottobre del 1932: con la "presa di potere" del 31 gennaio 1933 il corpo insegnante fu costretto a dichiarare sciolto l'istituto.

Articolo del  quotidiano Berlinen Tageblatt sulla chiusura del Bauhaus di Dessau nel 1932.


 




















Lo studente giapponese Iwao Yamawaki creò questo collage in occasione della chiusura del Bauhaus di Dessau


 


La politica culturale nazista

L'11 marzo del 1933 Joseph Goebbels fu nominato capo di un nuovo ministero per la cultura popolare e la propaganda che si sarebbe incaricato di definire un unico modello culturale e artistico accettato dal nuovo regime.

Il primo risultato di questa politica fu l'abbandono della Germania da parte di migliaia di intellettuali, artisti e scienziati che cercarono rifugio nei paesi limitrofi e, quando anche questi caddero sotto la mannaia nazista, in Inghilterra o negli Stati Uniti. In Germania, a quel punto, si poteva produrre solo "arte tedesca", quella cioè che biecamente celebrava il regime: pittura di genere, architettura monumentale, musica militaresca. Il 15 novembre del 1933 Goebbels formò la Camera della cultura del Reich che di fatto stabiliva chi poteva lavorare e cosa si potesse mostrare al pubblico: ciò si presentò come una ferrea censura che costrinse i pochi artisti non allineati rimasti in Germania al silenzio.

Dal 1937, ogni anno, nell'Haus der Kunst - monumento alle glorie del regime - vennero organizzate esposizioni che mostrassero al popolo tedesco l'arte "sana": un'accozzaglia di tele che mettevano in scena momenti di vita contadina, famiglie coi capelli biondi e gli occhi azzurri o, punta di diamante di un simile repertorio, l'eroico Führer. Parallelamente, in quello stesso 1937, venne organizzata a Monaco la prima mostra dell'"arte degenerata", che riuniva oltre seicentocinquanta opere delle avanguardie del XX secolo, con grande concentrazione di quelle espressioniste. Un opuscolo fungeva da guida, essenzialmente in senso concettuale: mostrava al visitatore quale fosse il modo "giusto" di interpretare le opere esposte avvicinandole a prodotti di dilettanti o di malati di mente.

Adolf Ziegler, che nel discorso d'inaugurazione della mostra di Monaco definiva i lavori "prodotti della follia, della spudoratezza, dell'incapacità e della degenerazione", fu incaricato di epurare tutti i musei tedeschi. Si calcola in circa sedicimila il numero di tele, disegni, sculture che finirono nella categoria "arte degenerata": il loro destino fu, nel migliore dei casi, di essere vendute all'estero, nel peggiore, il rogo.






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