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L'interpretazione di Leonardo Borgese (1952)




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L interpretazione di Leonardo Borgese (1952)




Di notevolissimo interesse, nonostante il consueto tono sarcastico dell autore (che non nutre alcu- na simpatia né nei confronti del Futurismo, né del MAC, e più in generale manifesta sempre chia- ramente la sua avversione per l'arte d'avanguardia), è l'articolo del 0 agosto 19 2 con cui Leo- nardo Borgese commenta sul «Corriere della Sera» la Biennale di Venezia

Come è più che noto, Borgese è stato, per moltissimi anni, uno dei più temuti critici italiani, anche e soprattutto grazie all'autorevolezza che gli conferiva il ruolo di esperto d'arte del «Corriere della Sera», ricoperto ininterrottamente dal 1943 al 1967; e a rileggere oggi i suoi articoli piccati e talvol- ta verbalmente violenti così come d'altra parte erano anche quelli dei suoi 'avversari' sulle testate concorrenti) si coglie anche tutta la differenza tra un paese in cui i giornali erano il primo mezzo di informazione e un'Italia, oggi, in cui la critica di una stampa quotidiana sempre più in difficoltà pre- ferisce semmai ignorare, piuttosto che affossare. Nato a Napoli nel 19 4, era figlio di Giuseppe An- tonio, lo scrittore e storico della letteratura autore di Rubé; dopo aver studiato pittura a Brera e a Parigi, cominciò ad esporre le proprie opere giovanissimo, studiando però - parallelamente - per laurearsi in archeologia. In seguito, cominciò a dedicarsi anche alla critica, mantenendo sempre una posizione decisamente antiavanguardista e occupandosi spesso - attraverso interventi che nei casi migliori hanno il sapore dell'inchiesta giornalistica - anche della devastazione del paesag- gio causato dalla speculazione edilizia nei decenni immediatamente successivi alla Seconda guer- ra mondiale.

Anche l'articolo di Borgese, evidentemente, non è un testo dedicato specificamente a Regina e al suo passato futurista (che è comunque ripercorso in maniera abbastanza precisa e soprattutto 'ca- taloghi alla mano'), ma è comunque assai significativo perché di fatto l'autore - pur dando un giu- dizio altamente negativo di entrambe le esperienze - postula una sorta di assoluta continuità tra il Futurismo e il MAC, e più in generale tra il movimento marinettiano e tutte le più recenti ricerche degli «astrattisti, concretisti, spazialisti, nuclearisti e così via». L'operazione di Borgese è piuttosto chiara: in sostanza, egli utilizza il discredito in cui versa il Futurismo (se non altro presso i più fedeli lettori dei suoi articoli) per sminuire - proprio attraverso il loro apparentamento con l'odiato sodali- zio marinettiano - l'interesse dell'opera di tutti quegli artisti, e di quei nuovo gruppi d'avanguardia, che alla Biennale di quell'anno avevano presentato il frutto del loro lavoro. In primo luogo, dopo una articolata critica all'organizzazione della mostra (rea di far bella mostra di criteri di «rotazione» tra gli artisti in realtà mai seguiti), Borgese rilegge con parole salaci l'esperienza del Futurismo in seno al fascismo e alla stessa Biennale, sottolineando come il movimento fosse in realtà favorito dal regime ; poi, Borgese passa a dimostrare dati alla mano la presenza futurista in Biennale, ci- tando volutamente «solo pochi nomi scegliendoli appena fra quelli di artisti viventi e che magari possono oggi vantarsi di essere astrattisti, concretisti, spazialisti, nuclearisti e così via, o di essere stati i precursori dei tanti movimenti d'avanguardia che arrivano a ondate» (e tra di essi, natural- mente, compare anche Regina . Infine, dopo una larga citazione dal testo introduttivo di Marinetti alla sezione futurista del catalogo della Biennale del 193 , e prima di chiudere con toni quasi a- pocalittici ecco il nucleo principale della polemica borgesiana:



Non si trova dunque tutto nel futurismo, e in Marinetti? Ha forse torto il buon pubblico comu- ne a non guardar troppo per il sottile e a mettere in fascio nel «futurismo» anche l'astrattismo, il concretismo, l'automatismo, l'atomismo ecc ? Quel che però è veramente straordinario è che i proclami lanciati da Marinetti vent'anni addietro oggi, con poche modificazioni nello stile, potrebbero servire magnificamente diciamo al settantacinque per cento dei critici italiani e stranieri. Si trova tutto. E - credeteci senza obbligarci a copiare - si trova anche subito dopo una bella virata, perfino una tirata, cioè, contro l astrattismo occidentale, contro l'astrattismo degli avanguardisti francesi» onde dimostrare che invece l'astrattismo italiano parte «da un punto di vista reale» e che insomma è un realismo dei buoni e non è punto astrattismo.

Ah Dio Dio! Finché le scriveva Marinetti certe cose, pazienza. Erano nel suo stile. Ma che vent'anni dopo, criticamente, esteticamente, moralmente si rimanga sempre alle solite confu- sioni, è scoraggiante, è angosciante, è disperante.



Gli eccessi antiavanguardisti sono davvero palesi e non serve commentarli, così come non occorre sottolineare oltremodo che l'accesso dei futuristi alle manifestazioni espositive promosse dal regi- me è stato molto meno agevole di quanto Borgese non tenti di sostenere (soprattutto, direi che la 'separatezza' di cui le opere futuriste godevano nelle esposizioni assomiglia - almeno ad una let- tura odierna - molto più ad una forma di ghettizzazione, piuttosto che ad un privilegio). Ma al di là di queste (volute?) imprecisioni e della posizione violentemente e per molti versi gratuitamente cri- tica, certo Borgese coglie alcune punti fondamentali. Innanzitutto, da critico chiaramente maldispo- sto, individua con puntualità diverse delle moltissime ed innegabili contraddizioni del Futurismo, e di Marinetti in primis; e d'altra parte, se vogliamo, non si trattava di un'impresa particolarmente dif- ficile. Soprattutto, però, per quanto ci riguarda più da vicino, di grande interesse è proprio il fatto che Borgese individui una assoluta continuità nell'arte di quei transfughi del Futurismo (tra cui tro- viamo appunto Regina, esplicitamente citata due volte) che hanno deciso di rimanere nelle fila dei movimenti d'avanguardia: in altre parole, cio , qui Borgese esprime una posizione davvero vicinis- sima - fatte salve le opposte valutazioni qualitative - a quella che Regina stessa aveva di fatto proposto avallando il testo con cui il marito l'aveva presentata alla mostra presso la Libreria Salto nel 1951. C'è però, oltre all'opposto giudizio di merito, anche un'ulteriore differenza: perché mentre Bracchi e Regina, come abbiamo detto, si erano soprattutto preoccupati di rileggere il Futurismo in termini concretisti (perché in quel momento, per chi volesse valorizzare la propria opera, era forse preferibile sottolineare non una sua filiazione dal Futurismo, ma piuttosto - con una significativa sfumatura di senso - il fatto che essa fosse una sorta di Futurismo ormai maturato e ripulito dagli eccessi), qui invece Borgese legge il concretismo (e l'astrattismo, il nuclearismo, lo spazialismo) in termini precipuamente e dichiaratamente futuristi, perché questo gli consente di estendere anche sulle nuove correnti d'avanguardia - che avversa recisamente - quell'aura altamente negativa che ancora a questa data, come abbiamo visto, il Futurismo si porta dietro, non solo presso tanta parte della critica ma anche e soprattutto presso la stessa opinione pubblica.


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