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Le civiltà mediterranee




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Le civiltà mediterranee

Quando i Fenici, verso il 2750 a.C., dopo essersi assicurati il monopolio del commercio con l'Arabia, avevano fondato Tiro e Sidone, viveva da tempo nell'isola di Creta un popolo intelligente e felice che manteneva un intenso commercio con l'Egitto e con i paesi del Vicino Oriente, donde aveva accolto molte conoscenze tecniche, alle quali aveva apportato perfezionamenti in vari settori della produzione.


Il benessere economico derivato dal vivace commercio di questa gente spintasi verso le coste italiche e spagnole ed anche oltre lo Stretto di Gibilterra, favorì la fioritura della civiltà minoica, così denominata dal nome di Minosse, il leggendario re dell'isola; da questo momento si può dire che abbia avuto inizio la prima importante civiltà europea.
I Minoici costruirono palazzi imponenti e crearono squisite opere d'arte che gli scavi hanno messo in buona parte in luce.


Ciò che dei Minoici è certamente più familiare a molti è il mito del Minotauro, il mostro mezzo uomo e mezzo toro. Il toro era un simbolo importante nella vita Cretese ed antichi affreschi indicano che il gioco al quale si dedicavano i giovani di Creta era il 'salto del toro', una vera esibizione acrobatica che consisteva nel balzare in groppa all'animale puntandovi le mani sul dorso dopo aver evitato con un agile salto le corna e nel ricadere a terra con una artistico volteggio. Tra i molti sport nei quali i Minoici si esercitavano v'erano anche le rischiose esibizioni che si svolgevano in una arena di tori. I Cretesi avevano dunque molta dimestichezza con gli animali e non è escluso che ne abbiano sfruttate le pelli in vario modo. Purtroppo gli scavi non hanno restituito residui di materiali di cuoio, ma da pitture e da altre testimonianze si capisce che presso questo popolo le pelli erano ben note e sfruttate in vario modo.


Per esempio, in una tavoletta dipinta, proveniente da un sarcofago di Haghia Triada, risalente circa al 1600 a.C., si possono osservare uomini e donne indossanti abiti e gonne di pelliccia 'a vello' molto simili a quelle usate dagli antichi Sumeri; per di più queste sottane mostrano la presenza della coda dell'animale da cui furono tratte.

Nella citata pittura i personaggi sono a piedi scalzi; si sa a questo proposito che in quel tempo i calzari si usavano solo per uscire di casa, cosicché nei palazzi Cretesi si possono vedere i gradini esterni molto logorati mentre quelli interni ed i pavimenti risultano ben conservati.


I Cretesi erano un popolo molto pacifico, tuttavia possedevano anch'essi armi da offesa e da difesa. I loro elmi erano fatti di strisce di cuoio intrecciate ed avevano forma conica, all'apice della quale i guerrieri applicavano spesso una specie di cresta guarnita di zanne di cinghiale. Altre volte rivestivano il copricapo con una pelle di riccio con gli aculei, oppure la ornavano con un pennacchio.


Gli scudi erano generalmente molto grandi, sicché coprivano tutta la figura dalla testa ai piedi: da ciò si è dedotto che se fossero stati tutti di metallo avrebbero avuto un peso eccessivo e quindi è logico pensare che avessero una struttura metallica relativamente leggera, ma rivestita con ampie pelli, probabilmente di bue. Anche le gambe non si proteggevano con armature metalliche, bensì con ripari di cuoio muniti di robusti legacci.


Quando vennero scoperte a Creta le rovine d'un villaggio denominato Gournià, nel quale esistevano numerosi laboratori artigiani destinati quasi certamente a prestare la loro attività per il palazzo reale di Cnosso, si trovarono i resti di una falegnameria, di una fucina e di altri impianti; vi si rinvennero anche coltelli e raschiatoi usati per la lavorazione delle pelli, per cui si ritiene che esistesse in quel luogo anche qualche conceria. Molto interessante, per quanto concerne la storia del cuoio, ci sembra quanto è emerso dall'ardua decifrazione della scrittura denominata 'lineare B', esistente in un numero abbastanza soddisfacente di tavolette trovate a Cnosso, a Micene, a Pilo ed in altri luoghi. In diverse di queste tavolette esistono espressioni riferentisi alle pelli; particolarmente interessanti sono gli elenchi di finimenti per cavalli, articoli di selleria, elmi rivestiti di cuoio e guarniti di pelli su alcune parti, corazze pure rinforzate col cuoio sovrapposto in parecchi strati. Su alcune tavolette trovate a Pilo compaiono elenchi e descrizioni di offerte tra le quali sono citate pelli di vari animali.


Nella scrittura 'lineare B' alcuni ideogrammi rappresentano schematicamente la forma di pelli di vari animali, di alcuni dei quali è stato identificato il nome. Anche in una tavoletta rotonda di argilla trovata fin dal 1908 a Festo nel meridione di Creta, e perciò denominata 'Disco di Festo', si trovano su entrambe le facce delle iscrizioni e degli ideogrammi che rappresentano i disegni di pelli d'animali; di queste iscrizioni non si è però giunti fino ad ora a decifrare il significato. Si tratterebbe di una scrittura non Cretese, ma piuttosto d'una alquanto più antica, forse venuta da qualche regione della Palestina.

Mentre a Creta si svolgevano le vicende di cui abbiamo qui sopra trattato, in Europa i nomadi Ariani erano andati perdendo la primitiva unità e s'erano scontrati in varie regioni. Tribù celtiche erano salpate andando a popolare l'attuale Inghilterra; altre avevano sospinto i Bretoni e i Galli verso le sponde dell'oceano ed altre ancora s'erano urtate nei Balcani contro popolazioni pelasgiche che si ritiravano sulle montagne. In questo costante moto migratorio, intorno al 1900 a.C. era giunto alle porte della Grecia il primo popolo ariano che, scendendo dalla Macedonia verso il Peloponneso, aveva fondato diverse città, la più importante delle quali fu Micene, la 'ricca d'oro' come la definì Omero, abitata da quella gente che il poeta stesso chiamò Achei: gente rozza e bellicosa ma disposta ad accettare la superiore umanità dei pacifici e raffinati Cretesi. Così a poco a poco la Grecia meridionale si permeò della civiltà Cretese, finché Micene divenne l'erede diretta di Cnosso.


I rudi Achei e, più tardi, i nuovi invasori Dori, impararono a conoscere e a praticare le vie marittime e si misero in contatto con i popoli mesopotamici. Dagli Ittiti appresero l'allevamento dei cavalli e dai Fenici conobbero alcune arti industriali tra le quali quella della tintura, compresa quella con la porpora, come testimonia Omero, il quale ricordava l'abilità delle donne della Lidia e della Caria nell'uso di questo prezioso colorante. L'abilità delle donne della Lidia nell'eseguire questa tecnica è ricordata dalla poetessa Saffo che ne lodava l'arte di colorare in rosso le corregge di cuoio per allacciare i sandali. I Greci furono indiscutibilmente influenzati dall'introduzione di conoscenze tecniche già sperimentate e collaudate dalle antiche civiltà del Vicino Oriente e soprattutto dall'Egitto, ma, mentre le formule e le regole dei Mesopotamici e degli Egizi restavano sempre delle raccolte di procedimenti empirici che si limitavano a notare le operazioni da eseguire e le norme da applicare per risolvere il tale o il tal altro problema pratico, i Greci applicarono in ogni attività, comprese quelle relative ai diversi rami dell'artigianato, un singolare amore per l'opera perfetta, un vero e proprio gusto di perfezione, di precisione, di senso del bello, diciamo pure di purezza intellettuale. Sono queste le qualità che distinguono il procedere dei Greci, anche nelle realizzazioni a fini utilitari delle attività tecniche e del lavoro manuale: un sentimento che permise loro di superare in ogni campo il livello intellettuale dei popoli vicini ancora asserviti ai bisogni materiali ed al meccanismo delle loro tradizioni.


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