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La rappresentazione dell'infinito nell' arte




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La rappresentazione dell'infinito nell' arte

Certamente l'arte è stato uno dei campi, in cui si è tentato di cogliere le dimensioni di infinito in vario modo: dalle configurazioni, per esempio, spaziali, in certa arte astrattista, che danno un segno di questa tensione, ma sono molteplici i modi in cui certamente l'arte dà  questa idea.

Quest'ultima è come se estendesse il nucleo ristretto della nostra vita quotidiana  e ci facesse toccare dei significati più alti e dei significati superiori.

L'infinito acquista per ognuno una diversa raffigurazione: per gli esploratori è il mare, i grandi deserti, le vaste pianure; per altri, come il pittore Vasilij Kandinskij, l'infinito è associato al silenzio, eterno e vuoto, e lo spagnolo Joan Mirò associò a questo perenne silenzio il colore blu, forse attingendo al colore del cielo. Il concetto d'infinito è stato diverse volte motivo d'ispirazione per opere pittoriche e scultoree.
Una delle prime tecniche utilizzate nella pittura per rappresentare l'infinito furono la tridimensionalità e, soprattutto, la prospettiva. Per dare prospettiva ad un quadro bisogna innanzitutto tracciare l'orizzonte, detto pure "retta all'infinito" per il motivo che rappresenta lo spazio più lontano possibile, verso cui tutte le figure si rimpiccioliscono, e sull'orizzonte, il cosiddetto "punto di fuga". In questo punto particolare, che varia  assieme all'orizzonte a seconda del punto da cui si guarda il paesaggio, tutte le linee tendono a convergere, comprese due parallele. Ma se per definizione due parallele si incontrano solo all'infinito, allora quel punto rappresenta l'infinito, che per uno che guard
a un paesaggio molto esteso, si identifica con un punto.

Successivamente Leonardo da Vinci ( 1412-1519 ), pittore, scultore, scienziato ed inventore toscano, perfezionò ulteriormente questa tecnica, introducendo effetti incredibili, de gni solo della sua mano d'artista. Il più incredibile è l'effetto ad "infinitum", presente in celebri opere quali "La Madonna delle rocce" e "L'ultima cena". Il paesaggio sullo sfondo di entrambi i dipinti è composto da diverse catene di montagne che si susseguono ripetutamente. La bravura di Leonardo fu nel saper dipingere montagne sempre più piccole e lontane, con una minuziosità unica, in modo da creare l'effetto dell'infinito.

Questo effetto viene ripreso nel periodo romantico  in cui, come già accadeva in ambito letterario e filosofico, il sentimento prevaleva sul ragionamento ricorrendo a temi esistenziali come la meditazione sul trascorrere del tempo e sugli spazi infiniti.

La rappresentazione della natura viene fortemente personificata con ambientazioni fosche, ricche spesso di riferimenti simbolici, magici e misteriosi. In questo modo gli artisti cercano di toccare il tasto dell'emozione e della sensazionalità, promuovendo il coinvolgimento emotivo e l'adesione passionale degli spettatori.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento la rappresentazione esatta della realtà viene sentita come una limitazione alla creatività artistica. Nascono nuovi modi di rappresentare la realtà esterna ed interiore, cambiano i criteri di rappresentazione dello spazio e delle cose nello spazio, si cerca di rendere sulla tela il mutare e lo scorrere del tempo, il movimento, il ritmo della vita moderna e l'infinito nelle sue sfaccettature.

Nell'Impressionismo, nato nella seconda metà dell'ottocento, i pittori si differenziano dalle altre forme di pittura per il diverso modo che essi hanno di porsi in rapporto con la realtà esterna. Essi, infatti, si rendono conto che tutto ciò che percepiamo attraverso gli occhi continua di fatto al di là del nostro campo visivo all'infinito. Ecco dunque spiegata, nei loro dipinti, la quasi totale abolizione della prospettiva geometrica. Non è più ammesso imprigionare gli spazi della rappresentazione pittorica nella ristretta visione del reticolo prospettico: sarebbe come tentare di inscatolare qualcosa che per definizione deve essere libero e naturale e che comunque si estende anche al di là dei limiti fisici di un dipinto. Per questi motivi nella trasposizione della realtà sulla tela nulla potrà essere definito con un disegno netto e meticoloso.

Ciò che più conta in ogni rappresentazione è dunque l'impressione che un determinato stimolo esterno suscita all'artista il quale, partendo dalle proprie sensazioni, opera una sintesi sistematicamente tesa ad eliminare il superfluo per arrivare a cogliere la sostanza delle cose e delle situazioni, nel continuo tentativo di ricercare l'impressione pura.

Uno dei principali esponenti dell'impressionismo è Claude Monet (1840-1926), dipingendo come se frantumasse lo spazio e lo gettasse a manciate sul quadro.

In "Impressione, sole nascente", una delle opere più significative di Monet, le immagini sono decomposte in una molteplicità di tratti di colore, stesi a rapide pennellate; le figure sono prive di contorni e di rifiniture. Sembra un abbozzo sommario e approssimativo ma provando ad allontanarsi dall'immagine, le macchie prendono forma, si riconoscono mentre l'insieme dell'immagine provoca impressioni profonde. Si percepiscono, come cose vive, animate e pulsanti, l'atmosfera e la luce nell'aria e nell'acqua. Gli impressionisti hanno capito che all'occhio umano basta dare i suggerimenti giusti perche egli ricostruisca, sulla base della propria conoscenza della realtà, le forme.

Lo spazio della pittura impressionista è definito dal gioco dei colori, frazionati in migliaia di tratti accostati e giustapposti. Monet non vuole dipingere il sole che si leva al mattino, ma l'impressione del sole che si leva: per questo non punta ai particolari, ma alla visione d'insieme.

Subito dopo, il Post-Impressionismo mirò alla conquista impressionistica della natura, indagata senza che l'artista scegliesse un soggetto particolare, poiché tutto quanto si presentava agli occhi era degno di essere rappresentato e rappresentato così come appariva alla vista.

Fra i pittori di questa corrente, Vincent Van Gogh fu quello che dichiarò apertamente di rappresentare l'infinito: "Sto dipingendo l'infinito! ". Così il celebre pittore olandese Van Gogh ( 1853-1890 ) esclamò, nell'atto di dipingere sulla sua tela le immense pianure della Francia settentrionale. Egli e molti altri, tra pittori, scrittori, filosofi, matematici ed esploratori, aspirarono sempre a raggiungere l'infinito, ad assaporarne un poco della sua immensità.

Il periodo trascorso in Francia fu per Van Gogh uno tra i più fecondi. La sua tavolozza divenne talmente luminosa da abbagliare. Nella rappresentazione ricorrente dei paesaggi francesi Van Gogh cerca di esprimere la sua visione dell'infinito.

È il caso dell'opera "campo di grano con volo di corvi" in cui l'artista afferma: "Ci sono campi di grano che si estendono all'infinito sotto un cielo cupo e non ho paventato il tentativo di rappresentare tristezza ed estrema solitudine . Sono quasi convinto che queste immagini vi parlano di cose che non posso esprimere in parole, e cioè della salute e della vitalità che io scopro nella vita di campagna'. Le parole dell'artista sono evocative dell'amore per la natura, dello stato d'animo provato di fronte al paesaggio agreste.

Il 'Campo di grano con volo di corvi' è un quadro che riproduce il suo stato d'animo di tristezza e di estrema solitudine dovuto ai disturbi mentali che ormai quasi quotidianamente lo affliggevano.

La scena è ampia e semplice: campo di grano in primo piano dal quale si aprono tre sentieri che vanno di direzioni diverse e dai quali si leva, in un basso volo scomposto, uno stormo di corvi neri. Il campo di grano giallo del quadro, forse scosso dal vento, domina il dipinto nella dimensione orizzontale mentre il cielo è incupito dal nero delle nubi minacciose.

La luminosità del cielo azzurro e l'oro lucente del grano stanno per soccombere, vinti da un colore scuro che inesorabilmente li copre.

Considerato uno dei quadri migliori di Van Gogh, l'opera esprime un'energia e una qualità che difficilmente si ritrova nei quadri precedenti.

Forse l'ultimo dipinto da Van Gogh, 'Campo di grano con volo di corvi' è stato definito una specie di testamento pittorico.

La rappresentazione dell'infinito nell'arte viene ripresa infine nell'arte informale sviluppatasi nel secondo dopoguerra. In questo movimento l'evento artistico viene ad esaurirsi con l'atto stesso della creazione. Le due componenti fondamentali dell'informale si precisano nel gesto e nella materia. Il primo viene fortemente enfatizzato, in quanto lo si ritiene unico momento veramente creativo. Arte non è dunque la pittura eseguita ma l'atto di eseguirla. E se l'arte è eseguire un gesto, il valore artistico sta nel gesto stesso, non più nel prodotto di quel gesto. Ecco allora che il gesto può essere un gesto qualsiasi, non necessariamente un gesto pittorico.

Tra i vari gesti simbolici quello di tagliare la tela riassume il concetto di rappresentazione dell'infinito. Questo atto si impone come azione di ricerca e apertura verso uno spazio fisico e reale, anche se infinito.

Questa tecnica fu introdotta da Lucio Fontana  che infrangendo la tela con buchi e tagli, superò la distinzione tradizionale tra pittura e scultura.

Lo spazio cessò di essere oggetto di rappresentazione secondo le regole convenzionali della prospettiva. La superficie stessa della tela, interrompendosi in rilievi e rientranze, entrò in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali.

Le sue tele monocromo, spesso dipinte a spruzzo, portano impresso il segno dei gesti precisi, sicuri dell'artista che, lasciati i pennelli, maneggia lame di rasoio.

Tutto è giocato sulle ombre con cui, specie la luce radente, sottolinea le soluzioni di continuità.


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