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La natività della Luna dannunziana: "La sera fiesolana"




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La natività della Luna dannunziana: "La sera fiesolana"


"Fresche le mie parole ne la sera

ti sien come il fruscio che fan le foglie

del gelso ne la man di che le coglie

silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta

su l'alta scala che s'annera

contro il fusto che  s'inargenta

con le sue rame spoglie

mentre la Luna è prossima a le soglie

cerule e par che innanzi a sé distenda un velo

ove il nostro sogno si giace

e par che la campagna già si senta

da lei sommersa nel notturno gelo

e da lei beva la sperata pace

senza vederla.


Laudata sii pel tuo viso di perla,

o Sera, e pe' tuoi grandi umidi occhi ove si tace

l'acqua del cielo![.]"


In questa poesia ogni strofa, svolgendo un suo motivo, è autonoma dalle altre e forma quasi una lirica indipendente e infatti nella prima pubblicazione ciascuna recava un titolo particolare. La prima era intitolata "La natività della Luna", poiché in essa l'immagine centrale è appunto il sorgere della Luna. La poesia consta di tre strofe di quattordici versi (endecasillabi, novenari, settenari, quinari che si alternano senza uno schema fisso con vario rispondersi di rime ed assonanze); esse sono inframmezzate da "riprese" di tre versi (un endecasillabo, un ipermetro composto da un endecasillabo e da un quinario o due settenari, un quinario). In questo componimento si alternano quasi tutti i versi della tradizione poetica italiana.

Il discorso si apre con una sinestesia: il poeta spera che le sue parole pronunciate nella sera (cioè la poesia) suonino fresche a chi le ascolta. La sensazione uditiva si fonde con quella tattile, le parole assorbono la freschezza della sera nella quale risuonano. Il fluire delle immagini prosegue: il suono della parola poetica richiama il fruscio delle foglie del gelso, quindi due sensazioni foniche (parole e fruscio) sono associate tramite il termine comparativo della freschezza. Esse assumono un valore magico in un'atmosfera sospesa ed indefinita. L'uso dell'allitterazione (fruscio, fan, foglie, fresche) è proprio di una formula quasi liturgica.

Se i primi tre versi giocano prevalentemente su suggestioni uditive, quelli successivi propongono delle immagini visive, con un progressivo allargarsi della visione nello spazio: prima essa si concentra sul particolare della mano che coglie le foglie, poi passa alla scala, al tronco dell'albero e infine si estende alla campagna che attende il sorgere della Luna.

Questo allargarsi della prospettiva iniziale prepara il tema della luce lunare, che è il nucleo centrale della strofa. I primi versi costituiscono un preambolo, immerso in un'atmosfera silenziosa di rito che preannuncia il carattere mitico-religioso del successivo sorgere della Luna. Esso può essere considerato una teofania, cioè un'apparizione della divinità (come suggerisce l'originario titolo della strofa "La natività della Luna", un termine di derivazione religiosa che nella tradizione è impiegato per indicare la nascita del dio).

La Luna è sempre stata vista come una divinità nelle religioni primitive ed in quelle antiche e D'Annunzio spesso si compiace di recuperare delle figurazioni mitiche del passato senza tuttavia appesantire il discorso poetico con espliciti richiami mitologici: lo stesso evento naturale nella sua semplicità si innalza alla dimensione di mito.

La Luna che nasce ha qualcosa di divino e quindi solo la poesia può evocarla: le parole del poeta, fresche nel silenzio della sera, sono la formula magico-liturgica che propizia l'apparizione della divinità. Infatti il poeta sceglie di evocare l'attimo inafferrabile che precede il sorgere della Luna, poiché il suo sorgere effettivo sarebbe un evento troppo concreto che farebbe svanire l'atmosfera di sospensione. La Luna non ancora sorta distende davanti a sé un velo luminoso, che dona refrigerio alla campagna dopo l'arsura del giorno con il suo "gelo": la luce argentea è come un liquido fresco che dà sollievo alla campagna assetata. A questo punto risulta chiaro il legame fra il gelo lunare e la freschezza delle parole del poeta: esse hanno la stessa natura e le stesse prerogative della divinità, poiché portano il sollievo e la vita.

Il motivo della liquidità refrigerante è riproposto nella ripresa della prima strofa. Anche in questo caso al centro si trova una raffigurazione mitica, la sera personificata in una divinità femminile. Il "viso di perla" della sera riprende il motivo della luce lunare con la stessa tonalità cromatica, il colore argenteo. Il carattere religioso della figurazione femminile in questo caso rimanda alla religiosità francescana (si riecheggia il "Cantico delle Creature") più che al mito antico. L'immagine del viso di perla proviene dagli stilnovisti, che paragonano spesso la bianchezza di un bel viso femminile al colore delle perle. D'Annunzio ama molto queste commistioni di sacro e profano, di sensualità e liturgia, poiché ha un senso estetizzante della religione cattolica.


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