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La belle epoque: il nazionalismo politico in europa




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LA BELLE EPOQUE:  IL NAZIONALISMO POLITICO IN EUROPA


Gli ultimi anni dell'800 e i primi decenni del 900 furono un periodo di apparente stallo nei rapporti fra i paesi europei, che vollero mantenere uno stato di benessere mai visto prima: tuttavia fu un epoca inquieta, in cui l'ostentata fede verso il progresso scientifico e tecnologico si scontra però col recupero dell'irrazionalità da parte degli intellettuali; in cui l'idea di società di consumo costruita dalla borghesia si contrappone al disagio sociale del proletariato che pervade tutto il continente.

Si iniziano a notare anche le conseguenze nefaste della corsa all'imperialismo: quasi tutti i territori conquistabili nel mondo sono nelle mani di due grandi potenze europee (Gran Bretagna, Francia) e l'azione politica di queste, volta a sostenere e difendere le conquiste da ogni eventuale minaccia, è sempre più intrisa di nazionalismo; le nazioni plutocratiche esaltarono sempre più la propria supremazia nel campo scientifico, tecnologico, esplorativo (la nascita delle "Esposizioni Universali" venne appunto da questa esigenza ostentatrice) e, in secondo luogo, militare. L'Impero Tedesco, mantenendo sempre una forte politica militarista, ostentò e raggiunse la supremazia nazionale in termini di potenza bellica, e la volontà di manifestare questa superiorità scaturì con lo scoppio della Grande Guerra nel 1914.


Il nazionalismo tuttavia non pervase soltanto le nazioni imperialistiche: il caso più importante che si può analizzare è quello dell'Italia. Questa nazione, unificata dopo un processo di rivalsa nazionale senza precedenti, dal 1861 mantenne il ruolo di "cenerentola" all'interno degli stati europei, soprattutto in termini di reputazione internazionale: in particolar modo la ricerca di prestigio  nella conquista coloniale sfociò nella fallimentare campagna d'Etiopia voluta da Crispi che nella battaglia di Adua del 1896 ottenne la più grande sconfitta subita da un paese europeo in Africa.

Il sentimento di rivalsa si ripercosse enormemente durante gli anni del governo Giolitti: sia la volontà di dare uno sbocco al capitale finanziario (dopo anni di politica protezionista e guerre di dazi con la Francia) sotto la pressione del potere economico italiano, sia l'individuazione di un luogo in cui "deviare" il flusso migratorio che da decenni ormai interessava le popolazioni del sud Italia verso le Americhe accesero nuovamente lo spirito espansionista della politica italiana.

La Libia divenne brama della nuova politica coloniale del Regno.

I nazionalisti italiani, riuniti sotto l'egida di un partito, propagandarono fortemente l'espansionismo, rappresentando ormai gran parte della classe intellettuale italiana: tra i principali ricordiamo i poeti come Gabriele D'Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti (fondatore del futurismo (riferimento artistico), movimento fortemente pro-bellicista) e soprattutto il politico Enrico Corradini dalle pagine de Il Regno.

Quest'ultimo fu in particolare l'esponente di punta del nazionalismo italiano, ed è curioso notare il suo adattamento di termini tipicamente marxisti (borghesia e proletariato) rielaborando lo strumento della lotta di classe in una dimensione internazionale, tuttavia rifiutando l'ideale socialista in sé per il suo carattere pacifista e egualitario.

Come affermò nel discorso costitutivo dell'Associazione Nazionalistica a Firenze:


"Dobbiamo partire dal riconoscimento di questo principio: ci sono nazioni proletarie come ci sono classi proletarie; nazioni, cioè, le cui condizioni di vita sono con svantaggio sottoposte a quelle di altre nazioni, tali quali le classi. Ciò premesso, il nazionalismo deve anzitutto batter sodo su questa verità: l'Italia è una nazione materialmente e moralmente proletaria. Ed è proletaria nel periodo avanti la riscossa, cioè nel periodo preorfanico, di cecità e di debilità vitale. Sottoposta alle altre nazioni e debile, non di forze popolari, ma di forze nazionali."


Corradini riconobbe il dualismo fra le nazioni plutocratiche, ricche di un enorme potere politico ed economico a livello mondiale (Gran Bretagna e Francia), e le nazioni proletarie, prive di un forte potere economico e di territori colonizzati, di cui fa parte l'Italia alla quale invoca, conscia della propria inferiorità, una forte presa di coscienza volta a costituirsi come forza nazionale coesa pronta a schiacciare il nemico mediante l'arma dell'imperialismo.


<< Come il socialismo insegnò al proletariato il valore della lotta di classe, così noi dobbiamo insegnare all'Italia il valore della lotta internazionale. >>


Nega che il pacifismo possa essere utile alla causa, in quanto non farebbe altro che mantenere lo status quo:

<< Ma la lotta internazionale è la guerra?
Ebbene, sia la guerra!
E il nazionalismo susciti in Italia la volontà della guerra vittoriosa. >>

La guerra vittoriosa è il culmine del progetto nazionalista di Corradini, ma la necessarietà della guerra si deve applicare nella preparazione ad essa, mediante un metodo morale di disciplina nazionale che renda la nazione coesa e non individualista, guidata da uno spirito non democratico ma aristocratico, ovvero dagli uomini migliori che sappiano rappresentare la grandezza spirituale della nazione.

La guerra è soltanto l'atto supremo di realizzazione di questo progetto.


Corradini fu ovviamente uno dei primi che esaltò la conquista della Libia al termine della guerra italo-turca del 1911, assieme ad un gran numero di intellettuali, tra i quali ricordiamo Giovanni Pascoli, che ne La grande Proletaria s'è mossa (riferimento letterario) riprese proprio la terminologia corradiniana per esaltare la grande impresa della nazione.


Il nazionalismo raggiunse ormai la sua dimensione politica non solo in Italia ma in tutta l'Europa pre-bellica, avendo un ruolo di fondamentale importanza nella rottura della situazione di stallo politico del continente con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale:

in Italia sostenne l'interventismo, che portò il paese in guerra nel 1915 e fu uno dei fattori chiave che formularono la base del fascismo;

in Germania portò ad una crescita esponenziale della militarizzazione;

in Francia si riflesse nel Revanchisme, sentimento di rivincita che prese piede dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana (che causò la perdita dell'Alsazia e della Lorena);

nei Balcani risvegliò un sentimento assopito da secoli di dominazione Asburgica e Ottomana, e i movimenti nazionalistici che promossero l'idea della Grande Serbia scossero il panorama politico non solo della regione ma di tutta l'Europa, diventando una delle cause dello scoppio della Grande Guerra e fomentando una serie di tensioni che ancora oggi infuocano la penisola balcanica.






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