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L' eternita' della materia




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L' ETERNITA' DELLA MATERIA


Affermato il basilare principio che " nessuna cosa mai può essere generata dal nulla per intervento divino ", si presuppone il concetto di eternità della materia, concetto che non è specificatamente epicureo, ma comune a tutta la filosofia greca ( la creazione dal nulla deriverà ai Cristiani dalla cultura ebraica ). In questa prima parte del poema non sarà però chiarita l'impossibilità dell'intervento divino, ma si avanzeranno solo varie argomentazioni a sostegno del principio dell'eternità della materia.


Per dimostrare che nulla nasce dal nulla Lucrezio adduce cinque prove ricorrendo al ragionamento per assurdo:


se fosse vero il contrario, ogni specie potrebbe nascere a caso, senza distinzioni di ambienti e origini. Ma tutto nasce in determinati ambienti, dove esistono la materia e i semi propri di ciascuna cosa:

" Anzitutto dal mare potrebbero nascere uomini, dalla terra la stirpe dei pesci squamosi e dal cielo scaturire uccelli ".


se le cose nascessero dal nulla, si presenterebbero indifferentemente in qualsiasi stagione, al contrario di quanto avviene:

" All'invito delle stagioni, in primavera la rosa, le messi nella calura, le viti in autunno ".


inoltre anche la loro crescita potrebbe essere subitanea; invece essa è graduale, per permettere nel tempo l'aggregazione della materia necessaria. Questo anche se molti elementi sono comuni a più     

esseri, che però si differenziano nettamente tra loro:

" E poi per l'accrescimento delle cose non occorrerebbe tempo se nulla potesse crescere. I bimbi diverrebbero presto adulti e gli alberi balzerebbero in alto ".


4) perché poi non esistono uomini giganteschi in grado di superare la vita di molte generazioni? Evidentemente perché per ciascun essere la materia è assegnata in modo specifico e limitato:

" Perché la natura non è riuscita a produrre uomini così smisurati, che coi piedi potessero passare a guado il mare e con le mani svellere grandi montagne e sorpassare vivendo molte generazioni viventi, se non perché alla creazione degli esseri è assegnata certa materia, da cui è stabilito quel che può nascere? Bisogna dunque ammettere che nulla può crearsi dal nulla, quando alle cose è necessario un seme, dal quale generata ciascuna possa espandersi nei molli aliti dell'aria" .



5) i terreni sono migliorati dal lavoro umano, perché contengono in sé i semi; se questi non esistessero, i terreni potrebbero migliorare da soli:

" E se vediamo le terre coltivate vincere i luoghi incolti e per l'opera delle mani rendere frutti migliori, è chiaro che ci sono nella terra degli elementi che noi, rivoltando col vomere le zolle feconde e domando il suolo della terra, sforziamo a germinare. Se non ci fossero, vedresti ogni frutto senza nostra fatica crescere spontaneamente molto più rigoglioso ".




Corollario del principio prima dimostrato è che nulla si riduce al nulla; Lucrezio ne dà quattro prove:


1) se le cose perissero del tutto, ciò avverrebbe spontaneamente e ad un tratto; ma la loro dissoluzione ne esige tempo:

" La natura scompone ogni corpo nei suoi elementi, ma non lo distrugge fino all'annientamento. Se un corpo dovesse del tutto perire, ogni cosa potrebbe ad un tratto togliersi ai nostri occhi e cessare

d'esistere: nessuna forza sarebbe necessaria per separarne le parti e disfarne la trama. Le cose si compongono di elementi eterni, e fino al giorno in cui sopravviene una forza capace di ridurle

in frantumi con il suo urto, o di introdursi nei vuoti ch'esse presentano, per disgregarle, mai la natura ci permette di vederne la fine ".


2) se le cose scomparendo perissero totalmente, non esisterebbe oggi più materia per ricostruirne delle nuove; il che avviene, perché nascite e morti continuano:

" Se il tempo sottrae ai nostri occhi le cose, le distrugge in mille pezzi e ne consuma tutta la sostanza, da dove Venere riporta alla luce della vita le generazioni delle specie viventi? E, dopo la loro

nascita, dove la terra industriosa la terra attinge gli elementi che fornisce a ognuna per il loro nutrimento e per la crescita? Da dove vengono al mare le sorgenti e i fiumi che da lontano gli portano il

tributo delle acque? Dove trova l'etere il nutrimento degli astri? Tutto ciò ch'è di sostanza peritura, l'infinità del tempo passato e dei giorni compiuti dovrebbe averlo già consumato. Se in tutto il

periodo di tempo trascorso ha potuto trovare gli elementi propri a ricostruire senza sosta il nostro universo, è perché essi sono senza dubbio dotati di natura immortale ".


un'uguale forza potrebbe distruggere tutte le cose, se non le tenesse insieme una materia eterna; ma i diversi composti esigono forze diverse per disgregarsi e, disgregandosi, ridursi agli eterni elementi che li

compongono:

" La stessa forza, la stessa causa, potrebbe distruggere indistintamente tutte le cose, se la materia eterna non la mantenesse dentro le maglie più o meno fitte del suo tessuto. Il semplice contatto

sarebbe causa sufficiente di morte, e non esisterebbero più corpi formati da una sostanza eterna, la cui trama solo una forza appropriata potrebbe distruggere. In realtà, poiché nodi di tipo diverso

legano fra loro gli elementi dei corpi, e la loro materia è imperitura, i corpi conservano la propria integrità fin quando si trovi una forza il cui urto sia abbastanza potente da distruggere il loro tessuto ".


4) le piogge scompaiono ma crescono messi e frutti; e animali e uomini se ne cibano rinnovando la vita. Dunque, nulla perisce, ma la morte di una cosa favorisce la nascita di un'altra:

" Le piogge si disperdono quando l'etere fecondatore le ha fatte precipitare nel seno della terra, madre di tutte le cose; di rimando, sorgono le messi dorate, verdeggiano i rami degli alberi, che a loro

volta ingrandiscono caricandosi di frutti. Da qui traggono il nutrimento sia la razza umana sia le specie selvagge, ecco perché vediamo le prospere città tutte fiorite di nuovi nati e, grazie alle giovani

nidiate, le frondose foreste sono tutte un canto. Le pecore affaticate dalla pinguedine riposano distese nei grassi pascoli e il bianco liquore del latte cola dalle gonfie mammelle: gli agnelli nuovi nati

dalle gracili zampette giocano e folleggiano nell'erba tenera, con le giovani teste inebriate da un latte generoso. Nulla di quel che sembra perire, si distrugge affatto: la natura riforma i corpi gli uni con

l'aiuto degli altri, e non ne lascia crearsi alcuno senza l'aiuto fornito dalla morte di un altro ".




LEOPARDI E LUCREZIO A CONFRONTO:


IL TRIONFO DI EPICURO (I, 62- 79)


" Quando la vita umana giaceva sulla terra alla vista di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione che mostrava il capo delle regioni celesti, con un orribile aspetto incombendo dall'alto sugli uomini, per primo un uomo Greco osò levare gli occhi mortali contro di lei; ed egli non fu trattenuto né dalle dicerie sugli dei, né dai fulmini, né dal cielo col suo minaccioso rimbombo, ma tanto più ciò stimolò l'ardente vigore del suo spirito, al punto che desiderava infrangere per primo gli stretti serrami delle porte della natura. Pertanto prevalse il vivido vigore dell'animo, ed egli avanzò lontano oltre le fiammeggianti mura del mondo, e percorse tutta l'immensità con la potenza del suo ingegno, da là, vincitore, riporta a noi che cosa può nascere, che cosa non può farlo, infine per quale ragione ciascuna cosa abbia potere definito e un limite profondamente fisso. Perciò la religione è a sua volta sottomessa e calpestata, mentre la vittoria ci innalza al cielo " .


LA GINESTRA ( vv. 111- 117 )


" Nobil natura è quella

che a sollevar s'ardisce

gli occhi mortali incontra

al comun fato, e con franca lingua,

nulla al ver detraendo,

confessa il mal che ci fu dato in sorte,

e il basso stato e frale ".


Quasi certamente quando Leopardi scrisse questi versi doveva aver presenta il modello lucreziano di Epicuro che " osò sollevare gli occhi mortali " contro la religio, mostruoso e greve spauracchio degli uomini.

Spesso i lettori del poeta recanatese non resistono alla tentazione di accostare il suo materialismo e il suo pessimismo a quelli del latino Lucrezio.

Così di fronte a " De rerum natura " ( V, 195- 234 ) sorge spontaneo il confronto con vari passi leopardiani, in particolare del " Dialogo della Natura e di un Islandese " e del "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" :


De rerum natura " Madre o matrigna? " ( V, 195-234 )


" Ché, se pure ignorassi quali siano i primordi delle cose,

ciò, tuttavia, dallo stesso comportarsi del cielo oserei

asserire, e dimostrare in base a molti altri fatti,

che assolutamente non per noi divinamente fu apprestata

la natura del mondo: che dí grande colpa è ricolma.

Prima di tutto: di quanto è coperto dall'ampia estensione del cielo

un'ingorda metà i monti e le selve abitate da fiere

ne trattengono, o la dominano rupi o paludi deserte

e il mare che a gran distanza separa le rive delle terre.

Inoltre, ancora circa due terzi il torrido caldo

e il cadere incessante del gelo strappa ai mortali.

E quanto resta di terra, tuttavia, Natura con la sua forza

ricoprirebbe di sterpi, se umana forza non s'opponesse,

avvezza, per regger la vita, a gemere sul forte bidente,

e a spezzare avanti a sé la terra con l'aratro schiacciato.

Se, rovesciando le zolle feconde con il vomere, e rivoltando

la superficie della terra non spingiamo i frutti alla nascita,

spontaneamente non potrebbero sbocciare nelle limpide aure;

e pure, talvolta, ottenuti con grande fatica,

quando già sulla terra sono pieni i raccolti di fronde e di fiori,

o per onde eccessive di caldo li brucia il fulgido sole,

o piogge improvvise e gelide brine li annientano,

e soffi di vento, con turbinare violento, li scuotono.

Inoltre: la stirpe delle belve, che incute paura,

nemica al genere umano, per terra e per mare perché Natura

nutre e fa crescere? Perché le stagioni dell'anno apportano

morbi? Perché s'aggira Morte immatura?

continuando: il bimbo, come navigante gettato da onde

crudeli, nudo a terra giace, senza parola, bisognoso di ogni

aiuto per vivere, ora che appena alle spiagge di luce

con faticoso parto fuori dal ventre materno Natura ha gettato,

e di luttuoso vagito riempie il luogo, come è giusto per lui

cui tanti restano in vita mali da attraversare.

Ma vari crescono gli animali, gli armenti, le fiere,

né servono a loro sonagli da bimbi, né alcuno ha bisogno

di dolce e infantile parlare di buona nutrice,

né ricercano vestiti mutevoli secondo stagione del cielo:

e infine non d'armi abbisognano, non di alte mura,

con cui difendere le proprie cose, poiché per ognuno ogni cosa

largamente produce la terra stessa, e Natura, artefice delle cose ".



Anche Giacomo Leopardi, come ben sappiamo, giunge alla concezione della Natura matrigna, che nega all'uomo ogni possibile felicità, coinvolgendo nel suo moto implacabile e incomprensibile di trasformazione della materia. La Ragione, rifiutando poco per volta le " consolazioni " dei miti e della religione, e rivelando la nullità di ogni cosa, conduce il poeta verso una lucida e disincantata disperazione. E' questo il periodo più "lucreziano " di Leopardi, quello della più recisa negazione dell'antropocentrismo e del finalismo. La persuasione dell'infelicità radicale di tutti gli esseri viventi fa apparire inutile e vano ogni sforzo volto a migliorare la sorte degli uomini.

Stralciamo ora qualche passo dalle opere citate per accostarle al poema lucreziano:




NATURA : Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?

Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed

Ho l'intenzione a tutt'altro , che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e

con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi

benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi.

E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.


NATURA : Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest' universo è un perpetuo circuito di produzione e

Distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo;

il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui

cosa alcuna libera da patimento.


( Operette morali, " Dialogo della Natura e di un Islandese " ).



" De rerum natura " ( III, 964-969 )


" Cede sempre il suo posto l'antico estromesso dal nuovo,

ed è legge che tutte le cose si rinnovino l' una dall'altra;

né alcuno discende giammai nell'abisso tenebroso del Tartaro.

Occorre materia perché crescano le stirpi future,

che pure, trascorsa la vita, seguiranno la stessa tua sorte

e, non meno di quelle perite già prima di te, periranno " .





" Nasce l'uomo a fatica,

ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento

per prima cosa; e in sul principio stesso

la madre eil genitore

il prende a consolar dell'esser nato.

Poi che crescendo viene,

l'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre

con atti e con parole

studiasi fargli core,

e consolarlo dell'umano stato:

altro ufficio più grato non si a da parenti alla lor prole.

Ma perché dare al sole,

perché reggere in vita

chi poi di quella consolar convenga?

Se la vita è sventura,

perché da noi si dura?


Oh greggia mia che posi, oh te beata,

che la miseria tua, credo, non sai!

Quanta invidia ti porto!

Non sol perché d'affanno

quasi libera vai;

ch'ogni stento, ogni danno, ogni estremo timor subito scordi;

ma più perché giammai tedio non provi " .


( " Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv.39-56; 105-112 ).



" De rerum natura " ( V, 222-227 )


" Ed ecco il fanciullo, come un naufrago buttato a riva

dalle onde infuriate, giace nudo sul suolo, incapace di parlare,

bisognoso d'ogni aiuto vitale appena la natura lo getta

sulle prode della vita, con doglie del grembo materno,

e riempie lo spazio d'un disperato vagire, come è giusto che faccia

colui cui in vitaè serbato il passare per tante sventure ".



A tanti secoli di distanza, i due poeti figurano concordi nel denunciare la mortalità del tutto, dovuta al " perpetuo circuito di produzione e distruzione", nell'irridere il tradizionale antropocentrismo e il secolare

" progresso " dell'umanità, nel rilevare la sostanziale infelicità del genere umano di contro all'apparente serenità degli altri animali, nell'esaltare la ragione come unico strumento dato all'uomo per elevarsi.


Ma i messaggi finali di Lucrezio e Leopardi si diversificano assai.


- Per Lucrezio: la ragione concede all'umanità di riscattarsi dalla sua abiezione, giungendo a comprendere i meccanismi della natura e la propria limitatezza, ma al tempo stesso a rendersi conto della sua libera

volontà e della sua autonomia da qualsiasi giogo soprannaturale.

Per Leopardi: non è sufficiente constatare l'indifferenza della Natura alle sorti dell'uomo, né di vedersi accomunato agli altri esseri della mortalità; e certamente non si sente libero; la ragione è per lui motivo di

di grandezza, ma anche di infelicità, perché spinge l'uomo - a differenza degli altri animali - a porsi domande cui non sa dare risposte. Pure se privo di dolori e di desideri, l'uomo è, poi afflitto dalla noia, male suo

peculiare. Il tedio leopardiano è altra cosa da quello lucreziano: in Lucrezio prova tedio lo stolto, che inquieto, cerca di occupare il tempo in vane attività, non certamente colui che fa uso della ragione per riflettere

sui fenomeni cosmici. Per Leopardi, insomma, l'uomo non ha scampo alla sua infelicità; un barlume di conforto viene solo dal tardo messaggio rappresentato da " La ginestra ". Leopardi qui propugna

la morale laica della solidarietà tra gli uomini, necessaria a condurre la battaglia nobile e disperata contro la Natura.



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