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Il '600 italiano ed europeo - barocco e classicismo - i centri principali e le maggiori personalita' della pitura italiana




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IL '600 ITALIANO ED EUROPEO - BAROCCO E CLASSICISMO - I CENTRI PRINCIPALI E LE MAGGIORI PERSONALITA' DELLA PITURA ITALIANA


ROMA-BOLOGNA:

Guido Reni ( 1575-1642)

Guido Reni nacque nel 1575 a Bologna. Si formò alla bottega del pittore Denijs Calvaert, dopodichè frequentò l'accademia dei Carracci.

Le opere che eseguì tra il 1604 e 1614 mostrano il superamente dei modi manieristici, per lasciare il posto ad un modo di dipingere più personale, in cui prevale l'armonia delle forme e l'equilibrio della composizione.

Le opere appartenenti a questo periodo sono: gli affreschi della Cappella Paolina in Santa maria Maggiore a Roma, gli affreschi della sala Delle Dame e della sala delle Nozze Aldobrandini in Vaticano, gli affreschi della Cappella dell'Annunciata al Quirinale. seguono a questi i suoi capolavori quali l'Aurora del Casino di Palazzo Rospigliosi Pallavicini a Roma, la Strage degli Innocenti, il Sansone vittorioso e il Ritratto della madre alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Il periodo successivo segna la piena maturità artistica del pittore, con opere quali Atalanta e Ippomene alla galleria di Capodimonte a Napoli, la Madonna del Rosario alla Pinacoteca di Bologna, le Fatiche di Ercole al Louvre, la Lucrezia e la Cleopatra che si trovano alla Pinacoteca Capitolina di Roma.

Nelle utime opere lo stile del pittore si modifica: il colore si fa più spento e la forma perde consistenza come nel San Sebastiano della Pinacoteca di Bologna e l'Adorazione dei Magi della Certosa di San Martino a Napoli.

Guido Reni morì a Bologna nel 1642.


Guercino (1591-1666)

Giovanni Francesco Barbieri (Cento, 8 febbraio 1591 - Bologna, 22 dicembre 1666), detto il Guercino, fu un famoso pittore attivo nel XVII secolo; figlio di Andrea Barbieri ed Elena Ghisellini, fu sepolto assieme al fratello Paolo Antonio nella chiesa di San Salvatore. Il soprannome gli viene dallo strabismo all'occhio destro dovuto ad un trauma subito in tenerissima età. È famoso per i suoi quadri con soggetti a sfondo religioso.

Guercino nacque a Cento, un paese situato tra Bologna e Ferrara. Genio precoce (iniziò a disegnare a neppure sei anni e a dipingere a otto), rivelò fin dalle prime opere un'attenzione particolare per gli impasti cromatici e gli effetti della luce sui dipinti.

A 17 anni conobbe Benedetto Gennari, un pittore della Scuola Bolognese. Nel 1615 si trasferì a Bologna, dove le sue opere furono notate dal vecchio Ludovico Carracci. Dipinse due grandi tele, Elia nutrito dai corvi e Sansone catturato dai Filistei, nel quale mostra un forte stile caravaggesco naturalista (sebbene sia improbabile che avesse potuto vedere dei quadri di Caravaggio originali). Le tele furono dipinte per il cardinale Serra, legato pontificio a Ferrara.

I pastori dell'Arcadia (Et in Arcadia ego) fu dipinto nel 1618 contemporaneamente alla tela sulla trasformazione di Marsia a Palazzo Pitti. Il suo stile giovanile - diceva spesso - era stato influenzato da delle tele dei Carracci a Cento. Alcuni delle sue opere successive si avvicinano di più allo stile di Guido Reni, a lui contemporaneo e sono dipinte con luminosità e chiarezza.

Fu poi raccomandato dal Marchese Enzo Bentivoglio al papa bolognese Gregorio XV Ludovisi. Nei due anni passati a Roma (1621-23) fu molto produttivo. A questo periodo risalgono i suoi affreschi nella palazzina di Villa Ludovisi e nella chiesa dedicata a San Crisogono, il suo ritratto di papa Gregorio (ora al Museo Getty) e quello che è considerato il suo capolavoro: La sepoltura di Santa Petronilla, per il Vaticano (ora ai Musei Capitolini).

Nella chiesa del Rosario di Cento, da lui progettata, il 13 giugno del 1645 inaugurò l'altare di famiglia con tele e statue a ricordare se stesso e il fratello Paolo Antonio. Nella chiesa si conservano ancora oggi 5 tele dell'autore.

L'ordine francescano di Reggio Emilia nel 1655 gli pagò 300 ducati per la pala da altare di San Luca che dipinge la Vergine (ora al Nelson-Atkins Museum of Art a Kansas City). Il Corsini gli pagò altrettanto per la Flagellazione di Cristo, dipinto del 1657.

Il Guercino dipingeva le sue tele molto rapidamente: completò almeno 106 grandi dipinti da altari per chiese e circa 144 altri dipinti. Nel 1626 iniziò ad affrescare il Duomo di Piacenza.

Il Guercino continuò a dipingere e ad insegnare fino alla sua morte nel 1666. Famoso e apprezzato, aveva guadagnato non poco.


NAPOLI:

Luca Giordano ( 1634-1705)

Luca Giordano nacque a Napoli nel 1634. Studiò a Napoli nella cerchia di Jusepe de Ribera. Nel 1652 si recò a Roma, dove venne in contatto con l'ambiente di Pietro da Cortona. Lavorò ancora a Napoli e poi a Montecassino, dove lasciò numerosi affreschi tra i quali: gli affreschi per la cupola di Santa Brigida, la decorazione per la chiesa e il monastero di San Gregorio Armeno.
Nel 1667 si recò a Venezia dove rimase fortemente suggestionato dalla pittura di Tiziano e dal colorismo di Veronese.

Dopo un soggiorno a Firenze tra il 1682 e il 1686, dove eseguì gli affreschi in palazzo Medici Riccardi, nel 1692 venne invitato da Carlo II in Spagna dove realizzò i cicli di affreschi all'Escorial, al Cason di Buen Retiro, nella sagrestia della cattedrale di Toledo e nel monastero di Nostra Signora di Guadalupe.

Nel 1704 tornò a Napoli dove lasciò ancora testimonianze della sua fervida fantasia: le tele per la chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella e gli affreschi della certosa di S. Martino.
Luca Giordano morì a Napoli nel 1705


F.Solimena (1657-1747)

Francesco Solimena nacque a Canale di Serino nel 1657, dopo un primo periodo di collaborazione con il padre Angelo, nel 1674 si trasferì a Napoli. Qui conobbe la pittura di Lanfranco, di Luca Giordano e di Mattia Preti, che lo portò verso nuove esperienze pittoriche.
Le opere eseguite tra il 1675 e il 1680 come il Paradiso nel duomo di Nocera e la Visione di S. Cirillo d'Alessandria nella chiesa di San Domenico a Sofra, sono eseguite il collaborazione con il padre.
Le opere eseguite a partire dal 1680 come gli affreschi di San Giorgio a Salerno e le tele di San Nicola alla Carità a Napoli e culminanti con gli affreschi rappresentanti le Virtù, che si trovano nella sacrestia di San Paolo Maggiore, mostrano un'adesione verso il gusto barocco romano misto alla tradizione pittorica napoletana.

In seguito si fa più evidente nella sua pittura l'approfondimento della formula di Mattia Preti in alcune pale come il Miracolo di S. Giovanni a Napoli all'ospedale di S. Maria della Pace e in San Francesco rinuncia al Sacerdozio sempre a Napoli, nella chiesa di S. Anna dei Lombardi, cercando un linguaggio alternativo a quello di Luca Giordano. Nello stesso tempo ricercò uno stile pittorico nuovo, che mirava alla nobilitazione della forma e ad un maggiore equilibrio compositivo; questa ricerca culmina con La cacciata di Eliodoro dal tempio a Napoli nella chiesa del Gesù Nuovo e negli affreschi della cappella di San Filippo Neri, nella chiesa dei Gerolamini (a Napoli).
Negli anni tra il 1734-35 si assiste ad un importante cambiamento nei modi di dipingere del maestro che si avvicina di più ai suoi lavori giovanili, questo è avvertibile nei dipinti che realizza per Carlo III di Borbone al palazzo Reale di Caserta.

Francesco Solimena morirà a Barra nel 1747.


Savator Rosa (1615-1673)

Salvator Rosa nacque a Napoli nel 1615, fu allievo prima di Jusepe de Ribera, in seguito di Aniello Falcone, Fracanzano e Greco.

Si dedicò prevalentemente alla pittura di paesaggi e fu anche poeta e attore.
Intorno al 1635 si stabilì a Roma dove venne im contatto con pittori dai gusti classicheggianti come Puossin e Lorenese.

Fu chiamato a Firenze come pittore alla corte di Mattia de' Medici e per il quale dipinse Battaglie, paesaggi e vedute fantastiche.

Nel 1649 ritornò a Roma dove comiciò per lui un periodo di riflessione durante il quale dipinse in prevalenza soggetti biblici, religiosi e mitologici, comuque sempre con un'intenzione moralizzante.
Tra le più importanti opere ricordiamo: Le tentazioni di S.Antonio a palazzo Pitti di Firenze, il Martirio dei SS. Cosma e Damiano a S.Giovannni dei Fiorentini a Roma, Humanan Fragilitas al museo di Cambridge.

Salvator Rosa morì a Roma nel 1673.


GENOVA:

Grechetto (1610-1665)

Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (Genova, 23 marzo 1609 - Mantova, 5 maggio 1664), fu un pittore e incisore italiano del XVII secolo.

Si formò presso le botteghe di Giovanni Battista Paggi, Giovanni Andrea De Ferrari e Sinibaldo Scorza nella sua città natale, dove aveva da poco soggiornato Anton van Dyck.

Nel 1632 si trasferì, col fratello Salvatore, a Roma, dove è documentato negli stati d'anime della parrocchia di Sant'Andrea delle Fratte. Divenne un'artista apprezzato: viene ammesso nell'Accademia di San Luca (1634) e inizia a frequentare artisti del calibro di Gian Lorenzo Bernini, Mattia Preti e Pietro da Cortona.

Si specializzò in nature morte e scene a soggetto biblico e mitologico, sempre affollate di animali; fu anche no stimato incisore, specializzato nella tecnica dell'acquaforte e inventore della tecnica del monotipo: probabilmente le sue stampe influenzarono anche l'opera di Rembrandt.

Soggiornò spesso anche a Napoli, Parma e Venezia.

Dal 1651 fu a Mantova, dove divenne pittore di corte presso i Gonzaga.


A.Magnasco ( 1667-1749)

Alessandro Magnasco, detto Il Lissandrino (Genova, 4 febbraio 1667 - 1749), fu un pittore italiano del periodo rococò.

Con la morte del padre Stefano, anche lui pittore allievo di Valerio Castello, Alessandro Magnasco venne affidato a un mercante della sua città natale che, nel 1682 circa, lo condusse a Milano come allievo di Filippo Abbiati; qui venne influenzato soprattutto dalla coeva pittura veneziana, fatta di materia pastosa e sfaldata con violenti contrasti sia cromatici che luministici che in seguito avranno una forte influenza anche nella pittura di suoi contemporanei, in particolare il vedutista veneziano Marco Ricci.

Considerato uno dei pittori più originali del Settecento italiano, si distinse, nella pittura di genere popolaresco, per la pennellata densa di contrasti luminosi che tendevano a costruire apparati oscuri e figure distorte, anticipando la pittura dei secoli successivi da Turner agli Impressionisti.

Milano: Suoi primi lavori, secondo le fonti, sono stati i ritratti, un genere abbandonato presto per dedicarsi a paesaggi con scene animate da piccole figure allampanate di frati, zingari, boscaioli e saltimbanchi inserite in grandi e tetri scenari, ricorrendo soprattuto a fondali con paesaggi burrascosi o tenebrose scenografie conventuali. La prima opera nota è un Paesaggio di rovine databile al 1697 e ora in collezione privata a Milano.

Alla corte dei Medici: Dal 1703 al 1710 Magnasco fu a Firenze al servizio di colui che diverrà l'ultimo Granduca di Toscana della stirpe medicea: Gian Gastone secondogenito di Cosimo III. Magnasco a Firenze s'imbatté in una serie di pittori e incisori che tra il '600 e il '700 si erano dedicati allo sviluppo del genere cosiddetto della pittura 'caricata e giocosa' come Stefano della Bella, Baccio del Bianco, Jacques Callot, Giuseppe Maria Crespi e Giovanni Domenico Ferretti, tutti frequentatori della corte degli ultimi granduchi medicei.

Nel 1711, tornato a Milano, fu chiamato ad eseguire la decorazione per l'entrata trionfale dell'Imperatore Carlo VI.

Tra il 1720 e il 1725 dipinse per il conte Colloredo, governatore di Milano, nove quadri, tra cui le Lezione di catechismo e la Sinagoga. Tornato a Genova nel 1735 esegue il Trattenimento in un giardino di Albaro, ora conservato nella Galleria di Palazzo Bianco.

Spirito inquieto: Spesso la sua pittura viene paragonata a quella degli spiriti inquieti come il visionario, suo contemporaneo, Monsù Bernardo ed a certe caratteristiche coloristiche e formali del grande El Greco pure se, rispetto alle grandi pale d'altare di quest'ultimo, Magnasco opponeva una sua visione della luminosità pur nei piccoli formati dei quadri 'di genere' settecenteschi con scenette nelle quali Magnasco aggiunse una forte dose di drammaticità ed un certo gusto tutto rococò di stampo scenografico, ruinista e teatrale. Furono famosi i suoi quadri con la presenza inquientante della maschera di Pulcinella in paesaggi dalla scenografia improbabile.

Grande Pittura scenografica a Roma:

G.B. Gaulli (1639-1709)

Formatosi in patria (dove conobbe l'arte di Rubens e Anton van Dyck) e stabilitosi a Roma fin dal 1657, Gaulli entrò presto nell'entourage di Gian Lorenzo Bernini, di cui divenne uno dei più dotati collaboratori. Fu infatti Bernini a raccomandarlo per decorare i pennacchi della cupola di Sant'Agnese in Agone (dal cui cantiere Borromini era appena stato estromesso; 1668 - 1669) e ad introdurlo presso i Gesuiti, facendo sì che ottenesse il compito di decorare la Chiesa del Gesù (1674 - 1679), affrescandone la volta, il presbiterio e la cappella di Sant'Ignazio (che propprio in quegli anni veniva rifatta da Andrea Pozzo e ornata di statue da Pierre Legros).

Il ciclo del Gesù, impensabile senza il completamento a stucco del ticinese Ercole Antonio Raggi (ma ultimamente è stata ipotizzata la regia di Bernini per l'intero impianto) è unanimemente considerato il capolavoro di Baciccio, per il vorticoso e vertiginoso moto dei personaggi che traboccano illusionisticamente dalla cornice, creando un unicum tra pittura, scultura, e architettura tipicamente barocco. Il Trionfo del nome di Gesù (questo il tema della decorazione della volta) può essere considerato il vero parallelo pittorico del berniniano Altare della Cattedra, fondale prospettico della Basilica di San Pietro. Alla Galleria Spada esiste un bozzetto (m. 1,81x1,12) dell'affresco.

Fu sempre Bernini a richiederne l'operato per pale d'altare a Sant'Andrea al Quirinale e a San Francesco a Ripa (dietro alla celebre statua della Beata Ludovica Albertoni). Molti sono infatti i motivi stilistici ripresi direttamente dal grande scultore, in primo luogo il vorticoso movimento barocco che anima vistosamente figure e panneggi, ma anche il trasporto patetico dei personaggi raffigurati. Tra le sue fonti stilistiche non va dimenticato il grande Correggio.

Dopo un breve ritorno in patria, per decorare il palazzo della Repubblica (ma la commissione non ebbe buon esito), Baciccio rientrò trionfalmente a Roma, dove affrescò la volta della Basilica dei Santi Apostoli con il Trionfo dell'ordine francescano (1707) e diede inizio ad una serie di cartoni per i mosaici della cappella battesimale della Basilica di San Pietro (dopo la morte fu sostituito da Francesco Trevisani).

Gaulli fu anche ritrattista di ottima qualità: fra i suoi effigiati ci sono Clemente IX, Clemente X, il cardinale Alfonso Litta, l'abate Giuseppe Renato Imperiali, Gian Lorenzo Bernini. Altre opere sue sono presenti a San Rocco in Augusteo (Madonna con Bambino e i santi Rocco e Antonio abate, del 1660 circa) a Santa Marta, Santa Maria in Campitelli, Santa Maria Maddalena, Palazzo Chigi, a Genova e ad Ascoli Piceno (la conversione di san Paolo).

Contraltare della vorticosa e berniniana pittura di Gaulli fu quella, più eclettica e composta, di Carlo Maratta, che alla fine risultò la linea dominante di tutta l'arte romana del XVIII secolo.


Andrea pozzo (1642-1709)

Andrea Pozzo (Trento, 30 novembre 1642 - Vienna, 31 agosto 1709) fu un pittore barocco italiano particolarmente noto per i suoi capolavori, gli affreschi nel soffitto della navata della chiesa di San Ignazio a Roma.

Fu un artista straordinariamente versatile, un architetto, decoratore, pittore, teorico dell'arte e una figura significativa del tardo Barocco.

Entrò nel 1665 nella Compagnia di Gesù. Continuò a studiare pittura a Milano, Genova e Venezia. Gian Paolo Oliva, il generale dei Gesuiti, lo invitò a Roma nel 1681. Fra gli altri, Pozzo ha lavorato per Livio Odescalchi, nipote del papa. La sua attività artistica è inoltre collegata con le enormi imprese artistiche dell'ordine.

Il suo capolavoro, la decorazione delle chiese dei Gesuiti di Roma Il Gesù e San Ignazio, ha influenzato a lungo lo stile della decorazione interna delle chiese del tardo barocco nell'Europa cattolica. Le sue prospettive illusorie negli affreschi della cupola, dell'abside e del soffitto di San Ignazio, costituiscono una delle viste più notevoli della Roma barocca. Sul soffitto piatto della chiesa ha dipinto un affresco, in prospettiva, dello missionario spirito di due secoli di avventurosi esploratori e missionari Gesuiti. La luce viene dal Dio Padre al Figlio che la trasmette a sant'Ignazio e si rompe in quattro raggi che conducono ai quattro continenti. Con la sua prospettiva, l'architettura illusoria che dilata lo spazio e con l'insieme celeste che sta in alto, offrì un esempio che è stato copiato in parecchie chiese italiane, austriache e tedesche dell'ordine dei Gesuiti. A Roma, per la chiesa del Gesù ha anche realizzato l'altare di Sant'Ignazio

Pozzo ha anche pubblicato le sue idee artistiche in un celebre lavoro teorico, intitolato Perspectiva pictorum et architectorum (2 volumi, 1693, 1698) illustrato con incisioni. Una versione italiana, , Prospettiva de' pittori a architetti (Roma 1693, 1700) fu tradotta e pubblicata a Londra (1707) ed Augusta (1708, 1711). In questo trattato ha presentato le istruzioni per dipingere prospettive architettoniche ed insiemi di regola. Il lavoro fu uno dei primi manuali sulla prospettiva per artisti e architetti ed uscì in molte edizioni, anche nel diciannovesimo secolo ed è stato tradotto dagli originali latino e dall'italiano in lingue numerose come francese, tedesco, l'inglese e, grazie ai Gesuiti, cinese.

Nel 1700 progetta la cattedrale (stolnica) di Lubiana dedicata a San Nicola. Su invito di Leopoldo I, all'inizio del XVIII secolo si recò a Vienna, dove lavorò per il sovrano, la corte, il principe Johann Adam von Liechtenstein e vari ordini religiosi e chiese. Alcune delle sue mansioni erano decorative e di carattere occasionale (scenari per chiese o teatri) e presto furono distrutti. Nel 1703 dipinge la falsa cupola nella Chiesa dei Gesuiti di Vienna.

Il suo lavoro più significativo a Vienna è il monumentale affresco del soffitto del palazzo del Liechtenstein, un un trionfo di Ercole, che, secondo le fonti, fu molto ammirato dai contemporanei. Sono inoltre rimasti alcune dei suoi dipinti d'altare viennesi (Chiesa dei Gesuiti di Vienna). Le sue composizioni di dipinti d'altare e di affreschi illusori dei soffitti hanno avuto molti seguaci in Ungheria, Boemia, Moravia e del perfino in Polonia.


Pittura classicista francese a Roma:

Nicolas Poussin (1594-1665)

Nicolas Poussin (1594-1665) benché francese di nascita, può considerarsi un artista italiano a tutti gli effetti, sia perché in Italia ha quasi sempre vissuto ed operato, sia perché la sua arte è frutto essenzialmente della grande tradizione italiana del rinascimento. La sua prima attività giovanile avviene a Parigi, influenzato dai manieristi della Scuola di Fontainebleau. Decise quindi di intraprendere un viaggio in Italia. Dopo un periodo trascorso a Venezia, nel 1624 Poussin giunse a Roma e in pratica vi rimase fino alla morte avvenuta oltre quarant'anni dopo. Nella città eterna si è quindi svolta la maggiore attività di Poussin, così come al tempo non era infrequente per molti artisti europei quali il suo connazionale Claude Lorrain che scelse anche lui Roma per svolgere la sua attività artistica.

Poussin, come era d'obbligo per gli artisti di quel tempo, dovette necessariamente confrontarsi con i grandi modelli del secolo precedente, quali Tiziano o Raffaello. E sono proprio questi due artisti a fornire i parametri della pittura di Poussin: da un lato il colore veneto con tutta la sua vitalità e dall'altro la cifra di classica compostezza dell'artista urbinate. Poussin è quindi un pittore che si muove nell'ambito della tradizione classicheggiante, rappresentando uno dei principali interpreti di questa tendenza molto presente nella pittura seicentesca. Lontano quindi sia dal naturalismo caravaggesco sia dall'eccentrico virtuosismo rubensiano, Poussin è l'interprete di quella tradizione del classico che trova negli artisti emiliani (dai Carracci al Domenichino e a Guido Reni) gli interpreti più ortodossi di quell'eredità classicheggiante della pittura rinascimentale.

Accanto alla sua produzione di soggetto storico e mitologico, notevole importanza nella pittura di Poussin riveste anche il tema del paesaggio. Paesaggio che prende anch'esso la misura della compostezza classica, divenendo la rappresentazione più chiara di quell'atteggiamento aulico o bucolico che gli intellettuali seicenteschi avevano nei confronti della natura.


Claude Lorrain (1600-1682)

Claude Gellée nacque esattamente all'inizio del XVII secolo a Chamagne, in Lorena, da cui deriva il nome con cui è stato sempre conosciuto: Claude Lorrain, o, in italiano, il Lorenese. Si trasferì a Roma giovanissimo per imparare l'arte pittorica. A Roma in quegli anni le botteghe d'arte prosperavano, e si confrontavano e si mescolavano il realismo caravaggesco, con la sua cruda poesia, e il classicismo che considerava come suo principale modello la pittura di Raffaello. Senza dubbio il Lorenese dovette assorbire gli stimoli provenienti da entrambi questi filoni. Si sa che nel 1626 egli tornò per un anno in Lorena dove lavorò come apprendista nella bottega di Claude Deruet, per tornare successivamente a Roma da dove non si mosse più fino alla morte avvenuta nel 1682. Purtroppo la sua opera pittorica dei primi anni è andata tutta distrutta o smarrita. Le opere databili al periodo più antico risalgono al 1630 circa. Una di esse è il Paesaggio con mercanti oggi alla National Gallery di Washington. A partire dalla metà degli anni Trenta Lorrain cominciò a stendere il Liber Veritatis in cui, oltre ai disegni dei dipinti realizzati, vi è il nome del committente. Una sorta di diario, prezioso per la ricostruzione filologicamente precisa di quasi cinquant'anni di carriera artistica.

C'è senza dubbio in Lorrain una profonda conoscenza della pittura di paesaggio del Cinquecento e di quella a lui contemporanea, ma anche alcune peculiarità che lo collocano al di sopra di una produzione paesaggistica di maniera. Il Paesaggio con mercanti a cui si è accennato, e il Paesaggio con capraio, del 1636, denotano una piena padronanza della pittura di paesaggio. Ma nel Paesaggio con il ritrovamento di Mosè (al Museo del Prado), nella Veduta di un porto con Villa Medici e nell'Imbarco di Sant'Orsola, Lo sbarco di Cleopatra a Tarso, tutte opere eseguite tra la seconda metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta, emerge un luminismo molto più sapiente, in cui la luce di un sole basso dà a tutto l'insieme (natura, figure umane, edifici) una patina dorata dal forte effetto poetico. È un elemento che non resterà episodico, ma tornerà anche nelle opere più tarde (si pensi al Porto di mare all'alba della Alte Pinakothek di Monaco del 1674).
Si è inserito spesso il Lorrain nel filone del classicismo, dove viene associato a Nicolas Poussin, anch'egli francese trapiantato a Roma di cui il Lorenese subì certamente l'influenza. È importante tuttavia rilevare, accanto agli elementi che accomunano i due artisti, anche quelli che li differenziano.
Se, infatti, è vero che anche nel Poussin vi è un'attenzione spiccata agli elementi paesaggistici, in Poussin il cielo e l'effetto della luce del sole dànno ancora un senso di stilizzazione molto marcata, senza una vera amalgama cromatica (che invece in Lorrain è un risultato acquisito). In secondo luogo, va tenuto in considerazione l'aspetto tematico. Qui gli elementi di affinità sono innegabili: tanto in Poussin che in Lorrain vi è un'integrazione che si potrebbe definire perfetta tra gli elementi biblici e quelli classico-mitologici, secondo una poetica che trova il suo compendio in autori come Raffaello e Guido Reni (mentre nei "realisti" e nei caravaggeschi la mitologia antica riceve attenzione minore). Questo perché, anche in un'epoca di imperante Controriforma cattolica, questi artisti comprendono bene le profonde affinità tra l'epopea della storia romana e le vicende narrate nella Bibbia. Tuttavia, mentre in Nicolas Poussin le figure umane occupano uno spazio notevolmente più vasto nella realizzazione pittorica, in Lorrain passano in secondo piano, e non è un caso che, da quanto risulta, non sarebbero di mano dell'autore ma di allievi della sua bottega. Ne è un esempio manifesto la differenza tra il Ritrovamento di Mosè di Poussin, un'opera tarda del maestro conservata alla National Gallery di Londra,  con le figure allegre e festevoli in primo piano, e il Ritrovamento di Mosè di Lorrain del Prado, in cui l'evidenza maggiore viene conceduta alla luce del sole che, in lontananza, illumina l'evento sacro come l'occhio di Dio. Ciò spiega perché, mentre l'arte pittorica di Poussin, pur pregevolissima, difficilmente poteva ispirare le nuove correnti pittoriche dell'Ottocento, il fascino e la profonda influenza del paesaggio di Lorrain si manifesta con tutta evidenza in molti successori, tra cui Turner e gli Impressionisti.

Pittura Olandese del '600:

Rembrandt (1606-1669)

Rembrandt Harmenszoon Van Rijn (Leida, 15 luglio 1606 - Amsterdam, 4 ottobre 1669) è stato un famoso pittore olandese.

Nacque in quella che a quel tempo era una delle più importanti città dei Paesi Bassi. Il padre Harmen era un mugnaio (infatti Harmenszoon significa figlio di Harmen) e la madre Cornelia era figlia di un fornaio. I suoi genitori ebbero dieci figli e Rembrandt era il penultimo (tre fratelli morirono in tenera età). Della sua famiglia si conosce poco, eccetto che doveva essere di condizione piuttosto agiata.

Nel 2006 - quattrocentesimo anniversario della sua nascita - numerose mostre e manifestazioni commemorative sono state organizzate in ogni parte del mondo.

Rembrandt fu l'unico della sua famiglia a non seguire la strada del padre, infatti frequentò la Scuola Latina di Leida e nel maggio 1620 si iscrisse all'Università di Leida, la più antica del paese, conosciuta in tutta Europa. Non aveva ancora quattordici anni, ma a quel tempo era abbastanza usuale entrare in Università a quell'età.

Interruppe gli studi universitari per fare pratica da un pittore del luogo, Jacob Van Swanenburgh, con lui rimase tre anni, per poi passare circa sei mesi ad Amsterdam con Pietre Lastman, un artista molto stimato, prima di aprire un proprio studio a Leida.

Tra il 1625 o 1626 Rembrandt fece ritorno a Leida, dove la sua reputazione crebbe rapidamente.
A quei tempi c'era un altro pittore famoso in quella città, Jan Lievens, anche lui allievo di Lastman, che pare abbia cominciato a dipingere ancora adolescente.

Lui e Rembrandt divennero amici e per molti anni lavorarono a stretto contatto condividendo i modelli e forse anche lo studio e dipingendo gli stessi soggetti in una sorta di amichevole rivalità.

Alla fine del 1631, o all'inizio del 1632, Rembrandt si trasferì ad Amsterdam, qui cominciò ad ottenere le prime commissioni ed ottenne i primi successi.

Il pittore si dimostrò subito superiore agli altri colleghi e a questo successo contribuì l'amicizia con un importante mercante d'arte, Hendrick Van Uylenburgh, presso il quale visse per due anni.

Nel giugno del 1633 si fidanzò con una cugina di Uylenburgh, Saskia, che sposò un anno dopo.
Oramai Rembrandt si era affermato come uno dei maggiori pittore della città ed era senza problemi economici. Nel 1639 acquistò un'imponente dimora che attestava visibilmente la sua ricchezza e la sua condizione.

Tra il 1635 e il 1640 Saskia ebbe tre figli, che morirono tutti dopo poche settimane di vita: il primo si chiavama Rombartus e le due bambine che seguirono vennero battezzate entrambe con il nome di Cornelia, la madre del pittore.

Saskia ebbe un quarto ed ultimo figlio, Titus, nel 1641 che, contrariamente agli altri, sopravvisse, ma fu Saskia poco dopo a morire, a soli ventinove anni, il 14 giugno 1642, anno particolarmente importante nella vita dell'artista perché fu quello in cui realizzò 'La ronda di notte': la sua opere più famosa e più grande, il quadro più ambizioso mai dipinto fino ad allora da un artista olandese.

Dopo la morte della moglie e con un figlio piccolo da accudire per il pittore fu molto difficile dedicarsi ai suoi quadri. Trovò conforto nella religione, ma aveva bisogno anche di una governante per accudire Titus, allora assunse Geertge Dircks.

I due finirono per diventare amanti, fino a quando, qualche anno dopo, entrò in casa la giovane cameriera Hendrickje Stoffels, che prese il posto di Geertge nel cuore di Rembrandt.
Lasciata la casa, nel 1649, Geertge fece causa al pittore accusandolo di non aver mantenuto la promessa di matrimonio. Ne segui una serie di odiose azioni legali che terminarono con la condanna della donna a cinque anni di carcere; rilasciata nel 1655, morì l'anno successivo.

Intanto Hendrickje, che era di fatto la seconda moglie di Rembrandt, mise al mondo due figli: il primo morì poco dopo la nascita nel 1652; la seconda, chiamata anche le Cornelia, fu l'unica dei sei figli a sopravvivere all'artista.

Mentre la vita privata del pittore attraversava tali traumatici cambiamenti, quella artistica proseguiva nel suo declino.

L'artista non guadagnava più come in passato per i suoi ritratti, ma spendeva ugualmente grandi somme, dilapidando le sue ricchezze, per arricchire una stravagante collezione d'arte di oggetti rari che comprendeva dipinti del Rinascimento italiano, armi, armature, oggetti orientali, ecc.

Ad aggravare la situazione arrivò lo scoppio della guerra contro l'Inghilterra del 1652-1654 che fu deleteria per l'economia olandese in generale e per il mercato dell'arte in particolare. La crisi fu tale che il pittore si trovò costretto a vendere parte della propria collezione ed a chiedere prestiti che non sarebbe stato in grado di restituire.

Nel 1656 non fu più in grado di arginare le richieste dei suoi creditori e dovette affrontare il fallimento ed il rischio del carcere. Riuscì tuttavia ad evitare le conseguenze peggiori ricorrendo alla cessione dei beni, provvedimento grazie al quale un debitore, se dimostrava di aver agito con onestà e buona fede, poteva conservare la libertà ed un certo livello di dignità di vita.
Dal 1660 visse in una modesta abitazione in una delle zone più povere della città.

Nel 1660 Titus, ormai adulto, creò con Hendrickje una società di commercio d'arte in cui Rembrandt figurava formalmente come dipendente.

La sua fama si estese anche all'estero, tanto che nel 1699 un collezionista italiano, Antonio Ruffo, gli commissionò alcuni dipinti.

Nel 1663 morì Hendrickje, seguito nel 1668 da Titus, che si era spostato appena sei mesi prima. Nel marzo dell'anno successivo la vedova diede alla luce una figlia, Titia.

Rembrandt continuò a lavorare con immutata abilità fino alla fine dei suoi giorno; morì il 4 ottobre 1669, a sessantatre anni, e quattro giorni dopo venne sepolto ad Amsterdam.
Purtroppo non si conosce il luogo esatto dove si trova la sua tomba.

Il genio di Rembrandt sia come disegnatore sia come pittore dominò il mondo dell'arte olandese nel Diciassettesimo secolo e rafforzò la sua fama di artista tra i più grandi di tutti i tempi.

Benché assiduo osservatore della vita circostante, il pittore non dipingeva quel genere di scene aneddotiche tanto amate da molti pittori olandesi del Seicento.
Dipinse vari tipi di quadri che vengono spesso classificati come scene di vita, anche se talvolta si fondono con altre categorie e, anzi, alcuni rappresentano temi non identificabili con certezza.

Per esempio, agli inizi della carriera e, più raramente, dopo, creò dipinti di teste, spesso vecchi, che, più che ritratti, sono dei veri e propri studi di carattere e più in là negli anni dipinse molti quadri di ragazze o di giovani donne che hanno l'aspetto di domestiche.

La nature morte di Rembrandt sono rare, ma comprendono due quadri che raffigurano la carcassa di un bue appesa ad un'apposita struttura in legno considerati tra i dipinti più potenti ed originali del genere.

Ad eccezione degli ultimi dieci anni di vita, dedicati quasi esclusivamente alla pittura, Rembrandt fu sempre un fecondo disegnatore.

I disegni servivano talvolta da bozzetti per dipinti o, più raramente, per acqueforti, ma la grande maggioranza sono a sé stanti. Fino al 1650 circa si serviva spesso del gesso rosso o nero, ma il suo mezzo preferito per il disegno era sempre l'inchiostro. Circa due terzi dei dipinti ed un quarto delle acqueforti di Rembrandt sono ritratti.

Il periodo di massima attività in questo genere si svolse dal 1630 al 1640, quando era subissato da commissioni da parte di ricchi cittadini di Amsterdam.

Molti riprendono solo la testa e le spalle o sono a mezzobusto, ma alcuni sono ritratti a figura intera.

Dipinse anche ritratti meno formali, soprattutto della moglie, della compagna e del figlio.
Esistono una trentina di autoritratti di Rembrandt, appare anche in una dozzina di disegni ed in due dozzine di acqueforti.

Talvolta inseriva il proprio autoritratto tra le figure marginali dei dipinti religiosi.

A parte i ritratti, i soggetti religiosi costituiscono la categoria più ampia della produzione di Rembrandt come pittore.

La devozione per i soggetti religiosi potrebbe essere il frutto di una forte inclinazione personale, perché il genere non era molto richiesto nei Paesi Bassi; dipinse anche molti dei più grandi episodi della Bibbia e numerose immagini di Cristo.

Soggetti del mondo antico non sono molto comuni nei dipinti di Rembrandt, anche se vi sono tre ritratti immaginari di figure storiche della Grecia antica, dipinti verso la fine della sua carriera per il collezionista siciliano Don Antonio Ruffo.


Frans Hals 1580-1666

Frans Hals (Anversa, 1580 - Haarlem, 1666) è stato un pittore olandese.

Quasi contemporaneo a Rembrandt operò in Olanda durante il suo cosiddetto periodo d'oro della pittura. Da molti considerato secondo solo a Rembrandt stesso in fatto di innovazioni stilistiche, formali e compositive, Frans Hals fu uno dei pittori più prolifici del periodo olandese ed è autore di alcuni tra i più noti ritratti del barocco, divenendo un punto chiave nella storia della fisiognomica.

Hals nacque ad Anversa nel 1580 e presto si trasferì ad Haarlem con la propria famiglia, in seguito alla conquista spagnola della sua città natale. All'età di 27 anni divenne membro della Sint-Lucasgilde, la Gilda di San Luca, una delle più prestigiose associazioni di artisti ed artigiani con sedi tra Anversa, Utrecht, Delft e Leida. Fonti biografiche tramandano notizia delle sue lezioni presso il pittore fiammingo Karel van Mander (1548-1606), ma nessuno dei tratti distintivi di questo artista è riconoscibile in Hals, né nelle opere mature né nei lavori giovanili, rapidamente sviluppati attraverso una straordinaria consapevolezza della propria poetica. L'opera che lo portò alla notorietà, ad esempio, è la tela a grandezza naturale intitolata Il banchetto degli ufficiali della Compagnia di San Giorgio ed è datata 1616, ovvero cinque anni dopo il suo primo lavoro (ritratto di Jacobus Zaffius). Dopo una parentesi da militante nell'esercito durante gli anni della rivoluzione, Hals divenne presidente della Corporazione dei Pittori di Haarlem nel 1644 e, nonostante l'incarcerazione per debiti, rimase un personaggio rispettato negli ambienti della pittura fino alla sua morte nel 1666.

È probabile che alcuni dei soggetti preferiti delle sue opere non su commissione, ovvero tutte le tele non costituite da ritratti di nobili, alti prelati e borghesi, fossero ispirati ad Hals dalle proprie frequentazioni nella vita quotidiana. Dopo la morte della sua prima moglie Anneke Hermansz nel 1616 ed il suo successivo matrimonio don Lysbeth Reyniers nel 1617, infatti, le fonti attestano il suo amore per l'alcool e per i locali malfamati di Haarlem. Anche a causa del suo stile di vita, non gli furono estranei i problemi economici che tormentarono anche molti altri pittori suoi connazionali: tra le sue attività secondarie alla pittura, si contano il banditore ed il restauratore, ma ben poche testimonianze sono rimaste della sua attività in questi settori.

Il suo filone ritrattistico, invece, nasce probabilmente in seguito alla grande richiesta di questo genere di lavori, anche se non manca di originalità ed innovazione. Difficilmente i visi sono idealizzati e, piuttosto, il pittore si concentra sui moti dell'animo e su uno schietto realismo nelle forme. In questa attività, è probabile che i suoi maestri siano stati prima Adam Van Noort e successivamente Carel van Mander. Si nota anche, nei lavori giovanili, un approfondito studio di Jan van Scorel e Antonio Moro, dal cui solco tuttavia Hals si staccò presto alla ricerca di un proprio originale stile espressivo.

Nonostante sia stato spesso paragonato a Rembrandt, Hals mantiene una propria originalità al di là del suo più illustre contemporaneo. Nella scelta delle atmosfere, innanzitutto, Hals ha sempre privilegiato la luce del giorno ed i giochi del sole sulle ombre argentate, mentre Rembrandt è famoso per i propri studi di contrasti notturni ed il proprio utilizzo di innaturali e ricercati effetti di luminescenza. Si può affermare, in un certo senso, che i due autori siano in qualche modo complementari: stilisticamente Rembrandt costituisce un'ombra laddove Hals si concentra sulla luce, mentre la scelta dei soggetti li vede ricoprire i due ruoli opposti.


J. Vermeer (1632-1675)

Johannes Vermeer, più conosciuto come Jan Vermeer (Delft, 31 ottobre 1632 - 15 luglio 1675), è stato un famoso pittore olandese del XVII secolo. La figura di Jan, o Jannis, Vermeer è sempre stata avvolta nel mistero. Sulla sua vita e sulla sua formazione artistica si conoscono solo pochi dettagli.

Nacque a Delft, in Olanda e fu battezzato presso la Nieuwe Kerk (Chiesa Nuova). Suo padre era Reynier Janszoon e svolgeva tre attività (tessitore, albergatore e mercante d'arte). Non si hanno notizie certe relative alla sua infanzia ed alla sua educazione.

Di certo si sa che Vermeer subì il fascino dei numerosi artisti che vendevano i quadri al padre. È difficile attribuire anche il suo primo maestro d'arte, forse Leonaert Bramer o Carel Fabricius. Si sa che fu battezzato il 31 ottobre 1632. Era il secondogenito e unico figlio di maschio di Reyner Jansz, nato nel 1591

Nell'ottobre 1652 muore il padre e Jan si trova a gestire sia la locanda sia il commercio di opere d'arte.

L'anno dopo decide di sposarsi con Catharina Bolnes, una ragazza appartenente ad una ricca famiglia cattolica (20 aprile 1653), anche se trovò notevoli resistenze da parte della suocera e per questo decise di convertirsi al Cattolicesimo per compiacerla. All'inizio la coppia abitò a 'Mechelen' per trasferirsi nel 1660 nella casa di Maria Thins all'Oude Langendijk.

Della vita coniugale del pittore non si sa molto, ebbe molti figli (quattro morirono in giovane età, altri undici raggiunsero la maggiore età, anche se soltanto uno era maggiorenne quando l'artista morì).

Poco si sa della sua carriera artistica, eccetto che sicuramente la sua fama crebbe molto rapidamente. Il primo documento sulla presenza di Jan nel mondo dell'arte risale al 29 settembre 1653 quando venne accolto nella corporazione di San Luca con la qualifica di pittore.

L'artista era molto lento nel dipingere i suoi quadri e in media creava 2 quadri l'anno, quindi considerato la quantità di figli l'artista non poteva provvedere alle necessità della famiglia con i proventi della pittura. Quindi è certo che l'artista abbia continuato l'attività di mercante d'arte come il padre e vendendo i quadri degli altri riusciva a guadagnare di più che vendendo i propri.

Nel 1662 venne eletto alla prestigiosa carica di decano della corporazione che conservò per due anni e l'onore gli toccò nuovamente nel 1670.

A causa della sua tecnica lenta e laboriosa - nonostante le sollecitazioni del suo facoltoso mecenate e committente van Rujiven - la sua produzione era molto limitata e di conseguenza i prezzi risultavano elevati e le vendite erano scarse. Per queste ragioni l'artista fu sempre assillato da problemi economici.

Nel 1672 l'esercito francese invase l'Olanda gettando in crisi l'intera economia, compreso il mercato dell'arte e così Vermeer non riuscì più a vendere nessun quadro.

Nel luglio 1675 morì lasciando la famiglia in condizioni disperate. La moglie dovette vendere tutte le opere del marito e così l'artista finì nell'oblio.

Fra i dipinti più noti di Vermeer (tra la quarantina giunti fino ad oggi, quasi tutti di piccole dimensioni) figurano quelli presenti in questa pagina: La lattaia e la Ragazza col turbante, il quadro che ha ispirato la scrittrice Tracy Chevalier per il romanzo La ragazza con l'orecchino di perla in cui immagina che la giovane domestica Griet sia la vera e propria musa ispiratrice e sogno proibito del pittore.

Non solo la vita di Vermeer, ma anche il suo stile è avvolto nel mistero.
Non si conoscono i suoi maestri né la sua formazione artistica, e poco o nulla si sa della tecnica da lui usata e dei suoi modelli d'ispirazione.

Il pittore visse in un'epoca di rapidi progressi tecnologici e gli storici hanno a lungo parlato di un suo grande interesse per le ricerche avanzate nel campo dell'ottica e dell'impiego della camera oscura.
L'assoluta perfezione dei quadri di Vermeer ha indotto molti a credere che facesse uso di una camera oscura.

Questo strumento, che proietta un'immagine su un foglio di carta e permette all'artista di disegnare una copia, era noto fin dai tempi antichi.

Lo strumento aveva come scopo primario quello di ingrandire i dettagli dello sfondo, più o meno come una lente a grandangolo di una moderna macchina fotografica.

Nell'opera di Vermeer si contano quattro ritratti di giovani donne, tutti databili dal 1660 in poi.
Si tratta di studi di natura intima, a mezzo busto, con figure in primo piano.
In molti casi, le donne sedute hanno lo sguardo rivolto all'osservatore, come se l'artista avesse attratto all'improvviso la loro attenzione.

Il fiorente mercato d'arte nell'Olanda del Seicento rifletteva i gusti delle prospere classi mercantili, stimolando una ricca produzione di vari generi, fra cui paesaggi, nature morte, marine e dipinti morali.
Questi ultimi erano spesso commissionati in alternativa ai tradizionali soggetti religiosi.
I pittori preferivano solitamente ambientazioni contemporanee e riconoscibili, utilizzando una serie di simbologie ricavate dai libri di emblemi.

Si è discusso a lungo sull'interesse di Vermeer per questa pratica.

I suoi interni sono così inconsueti che non è sempre facile riconoscere esattamente il valore simbolico attribuito all'artista.

La maggior parte delle tele di Vermeer appartiene alla categoria della pittura di genere, termine che definisce la scena della vita di tutti i giorni, solitamente di ambiente domestico.
Nel caso di Vermeer, molti dipinti celebrano l'amore, sia direttamente, attraverso la lettura di lettere, sia attraverso il concetto allegorico della musica.

Si conoscono soltanto due quadri di Vermeer che raffigurano scene all'aperto ed entrambi sono capolavori assoluti.

Appaiono fortemente ispirati alla tradizione paesaggistica olandese, anche se si tratta di dipinti di soggetto urbano, e tuttavia mostrano segni di grande originalità ('Veduta di Delft' e 'Strada di Delft').



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