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Gli etruschi




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La locandiera - Carlo Goldoni


La locandiera Carlo Goldoni (Venezia metà '700) GENERE: Teatrale. CONTENUTO:            
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GLI ETRUSCHI


LA STORIA

Del popolo etrusco, che da principio si stabilì lungo la costa e il retroterra tirrenico, tra l'Arno e il Tevere, è incerta la provenienza; né molto si sa, nonostante l'abbondanza dei documenti e il progresso degli studi relativi, circa la loro lingua, la religione, il costume.



Le prime manifestazioni culturali risalgono alla fine del IX e al principio dell'VIII secolo a.C.; nel II secolo il ciclo della civiltà etrusca si chiude dopo avere compreso nel proprio ambito la pianura padana (con la città di Spina presso Ferrara) al nord e la costa tirrenica fino alla Campania, a sud. Roma stessa, fino al I secolo a.C. é sotto la diretta influenza della cultura etrusca.

Il popolo etrusco era industrioso, sapeva sfruttare i ricchi giacimenti metalliferi, la fertilità del suolo, la posizione geografica propizia ai traffici marittimi con tutti i paesi mediterranei.

La sua civiltà era essenzialmente urbana: le città, protette da forti cinte murarie, si succedevano a brevi distanze lungo le vallate del Tevere e dell'Arno.

La società era chiusa e conservatrice, gelosa delle proprie tradizioni e costumanze.

Aveva un profondo, oscuro sentimento del sacro; a lungo ha conservato culti arcaici, della protostoria italica. Regnava sul mondo una sorta di Fortuna, forza misteriosa che veniva evocata o scongiurata con pratiche divinatorie (ars aruspicina). Proprio il senso concreto, positivo, pratico della vita rende più misteriosa e paurosa la dimensione della morte. Per il popolo etrusco la visione dell'aldilà era incombente e terrificante, un luogo gremito di geni infernali: bisognava contrastare, annullare gli effetti della morte, conservare al di là di essa le sembianze, i modi, la sostanza stessa della vita.


L'ARTE
Tutta l'arte etrusca è destinata alla tomba, ma partendo dell'idea che nella tomba si deve conservare qualcosa della vita reale, anche fisica. Quanto alla tomba, al ricetto del morto, può essere casa o immagine della casa oppure del corpo umano stesso: l'importante è che, attraverso la tomba o l'urna, la persona possa in qualche modo reintegrarsi alla realtà, seguitare a vivere.

L'influenza della cultura figurativa greca si fa sentire lungo quasi tutta la parabola della civiltà etrusca. Ma è un'influenza dall'esterno, formalistica: un'arte come quella greca, espansione assoluta e totale della vita, non poteva agire profondamente su un'arte ossessionata, come l'etrusca, dal pensiero e dal timore della morte. Né un'arte siffatta, tutta rivolta a scongiurare la morte o a strapparle la sua preda, poteva avere uno sviluppo consapevole e orientato, profondamente collegato con la vita storica, con i grandi valori religiosi o civili.

Un'arte che voglia essere protezione e scongiuro contro la morte non è tanto religiosa quanto superstiziosa; e poiché la superstizione è credenza incolta e popolare, l'arte etrusca non si spoglia mai completamente di un carattere popolaresco.

E' un'arte che nasce dalla vita pratica, quotidiana, da quella vita appunto che si vive con la paura della morte a cui è come contesa e strappata, giorno per giorno. Per la medesima ragione, l'arte etrusca è fondamentalmente realistica. E' realistica perché ciò che si vuole strappare alla morte è la realtà materiale dell'esistenza o almeno una sua traccia: perché, insomma, mediante l'arte la realtà seguita ad essere pur nel terrificante dominio del non - reale e del non - essere.

Ciò spiega perché l'arte etrusca, pure attingendo largamente alle forme dell'arte greca come si attinge a un repertorio di forme, sia fondamentalmente anti-classica.


LA PITTURA

La pittura etrusca è il completamento dell'architettura delle tombe. La tecnica è una specie di affresco, con colori disciolti nell'acqua ed assorbiti dallo strato sottile dell'intonaco.

Quanto ai temi, poiché lo scopo è di circondare il morto con le immagini della vita sostituendo lo spettacolo del mondo, prevalgono le scene di costume, con musicanti, danzatori, ginnasti, partite di caccia e di pesca. Non mancano, tuttavia, le figurazioni mitologiche, derivate dalla pittura vascolare greca o dovute ad artisti greci immigrati.

Lo scopo delle figurazioni tombali spiega il loro realismo, che però si riduce all'accentuazione della mimica delle figure e all'intensificazione, che spesso diventa crudezza, dei colori. Si vuole rompere l'oscurità del sepolcro con le immagini della vita; si vuole che queste immagini siano vedute dai morti, la cui condizione è indeterminata, precaria, sospesa tra l'essere e il non-essere.



La qualità artistica ha un'importanza secondaria: è importante che le figure spicchino nette sul fondo, che i loro contorni siano fortemente segnati, che i loro gesti siano esagerati, che i colori siano rafforzati.

Nel V secolo si fa più sensibile l'influenza della pittura classica: le linee di contorno sono più sottili ma più costruttive della forma plastica, i colori sono meno aspri ma più variati, i movimenti delle figure più sciolti. Ma non muta lo spirito: nella finzione pittorica l'immagine deve sostituire una realtà perduta, anzi è la sola realtà che penetri nella sensibilità assopita di che ha varcato l'orizzonte della vita.


LA SCULTURA

La scultura etrusca, sebbene rechi profonda l'impronta della concezione escatologica, è per altri versi legata al mondo della tecnica e dell'industria, cioè al mondo reale della società etrusca.

Le funzioni della plastica, in quella società, sono molte e non tutte relative al culto dei morti: v'è una grande scultura decorativa, v'è la piccola plastica collegata all'arredamento della casa e all'ornamento della persona e v'è naturalmente, la scultura funeraria dei canopi, urne cinerarie col coperchio a forma di testa umana, e quella dei sarcofagi.

I canopi della regione chiusina risalgono al secolo VII: il corpo del vaso evoca schematicamente il busto umano, i manici ricurvi le braccia, la testa sul coperchio è caratterizzata come maschera o ritratto del defunto. Ve ne sono di terracotta e di metallo.

La plastica, per piani semplificati e tratti fortemente incisi, è ancora quella della protostoria mediterranea. Con il VI secolo comincia a farsi sentire l'influenza della scultura arcaica ionica.

A Vulca, il solo artista etrusco arcaico di cui si conosca il nome, appartiene la grande statua dell'Apollo di Veio, parte della decorazione esterna, in terracotta, di un tempio. E' ionica l'impostazione della figura, in cui la massa, spianandosi in ampie superfici si risolve nelle sottili, vibranti nervature luminose delle pieghe della veste; ma è diversa la modellazione, che espande la forma nello spazio per un contatto più crudo, quasi d'attrito, con la luce.

Così nella Lupa Capitolina, in bronzo, l'influenza ionica è evidente nella modulazione finissima della luce sul corpo dell'animale e nella stilizzazione del pelo sul collo, ma è nuovo, e dovuto ad un'acuta lettura del vero, il modo con cui è accennata la tensione dei muscoli sotto la pelle.

Poco dopo (V secolo) la Chimera d'Arezzo, uno dei massimi capolavori dell'antica arte del bronzo, intensifica i motivi della stilizzazione ionica fino a rovesciare il significato, a tradurli in fattori di concisione e tensione espressiva.

Il corpo inarcato, la coda-serpente flessa come una molla, contraggono la forma nello spazio; la materia dura e brillante diventa la sostanza viva dell'immagine; vene affioranti, tendini, muscoli, perfino le ciocche della criniera, più che descrivere l'anatomia del corpo, fanno scorrere nel bronzo correnti di energia vitale.

I sarcofagi, per lo più in terracotta, sono la creazione più originale della scultura etrusca.

Il coperchio della cassa ha la forma del letto per il simposio: su di esso, appoggiandosi sul gomito, è il defunto, e spesso gli è accanto la moglie.



Le figure, specialmente nei volti, sono acutamente caratterizzate, con una fedeltà ritrattistica che va facendosi, col tempo, sempre più insistente, quasi indiscreta.

Le deformità fisiche, i segni dell'infermità, della vecchiaia, del vizio sono descritti senza ombra di pietà.

A partire dal IV secolo, il rapporto tra l'arte etrusca e l'ellenistica è storicamente provato dai temi e dallo stile dei rilievi frontali dei sarcofagi stessi; ma è un'esigenza ben più profonda che determina il realismo tutt'altro che superficiale e descrittivo della ritrattistica funeraria etrusca.

L'antica volontà di appesantire l'immagine, di darle corpo e materia reali diventa più ansiosa, si complica. La persona che viene rappresentata vivente, nell'atto di banchettare, è morta: quella che vediamo è un'immagine a cui non corrisponde più una cosa o persona reale. L'etrusco, industriale o mercante, che ha il senso concreto della vita pratica, si smarrisce davanti al vuoto della morte. Cerca di riempirlo con le immagini, le vuote forme di sé, delle cose del mondo; ma le medesime forme che si muovono e vivono nel contesto di relazioni infinite di cui è fatto il mondo, rimangono immobili e immutabili nello spazio vuoto dell'al di là. Tutto è veduto dal punto di vista del morto, in una prospettiva rovesciata, con una passione per la vita che non può più essere soddisfatta e che non ammette scelte: non v'è più il bello e il brutto, il buono e il cattivo, tutto è ugualmente pieno di significato. Le tare, i mali, le deformità sono pur sempre indizi di vita, segni concreti dell'esistere: oggetti di rimpianto, perfino, per colui cui sovrasta l'insopportabile minaccia di non essere più. Della persona si avrà la forma, non la struttura.

Ma l'immagine cesserà di essere finzione, avrà una propria e sia pur diversa realtà, se avrà una propria struttura: sarà questa a seguitare la vita della persona, a far sì che l'immagine sia qualcosa di assoluto e non di relativo a una realtà non più esistente.

La ritrattistica etrusca è la prima ritrattistica con celebrativa, commemorativa, interpretativa: perciò può dirsi veramente realistica. Non c'è ricerca psicologica, non c'è giudizio in questi ritratti: qualità e difetti sono ridotti al minimo comun denominatore dell'indizio vitale, della prova dell'esistere.

Perciò l'arte etrusca, nonostante i suoi rapporti col classicismo, è nettamente anti-classica: per l'arte classica le sembianze mutano e la sostanza resta, per l'etrusca la sostanza non esiste più, le sembianze diventano sostanziali.

Dalla passione per la vita, del senso concreto del valore delle cose sono documenti le forme piene di animazione che gli etruschi hanno dato alle suppellettili delle loro case, agli ornamenti delle loro persone: creando una ceramica d'alto livello, un'oreficeria raffinata, preziosi arredi metallici, piccole sculture bronzee.

Forse proprio nella civiltà etrusca l'arte è stata concepita per la prima volta come momento supremo, metafisico, della tecnica o del lavoro umano.





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