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Gli artisti e la religiosità




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Gli artisti e la religiosità


"L'opera d'arte è caratterizzata dal fatto che ha un senso, ma non uno scopo. (.) Non propone nulla ma significa, non vuole ma è. E' creata per essere e rivelare".

Così Romano Guardini (1885-1968), figura di spicco della storia culturale europea del Novecento, parlava della dimensione sacrale dell'arte e definiva pittori, scultori e architetti "intermediari" fra l'umanità e l'Assoluto per quella capacità che è a loro propria di tradurre il mistero della vita e la bellezza del Creato nel linguaggio delle forme e delle figure.

Al tema del fare artistico come "eco" della creazione divina e medium per avvicinarsi alla comprensione della sfera ultraterrena è dedicata un'ampia letteratura. Basti pensare a Goethe, che definì l'arte "mediatrice dell'ineffabile", oppure a Franz Marc (1880-1914), che parlò di colori e pennelli come "un ponte che conduce alla vita spirituale". Anche Pablo Picasso (1881-1973) s'interessò a quest'argomento: per lui la pittura era "qualcosa di benedetto (.) perché sfiorata da Dio".


Nel corso del XIX secolo si assiste ad un progressivo allontanamento della "grande arte" dalla Chiesa: i soggetti religiosi diventano sempre meno frequenti, l'arte sacra, come disse François Boespflug, viene considerata sempre più una "questione di parroci". L'Ottocento è il secolo delle tensioni sociali, delle rivoluzioni, delle guerre d'indipendenza; da questi disagi nascono, nelle arti figurative, fughe verso l'evocazione fantastica oppure tensioni sperimentali verso una maggiore attenzione al naturale e ai fenomeni sociali. Molti artisti sentono quindi il bisogno di ripiegarsi su se stessi, di riflettere su una realtà che ha profondamente alterato il complesso equilibrio fra arte e società instauratosi negli anni successivi alla Restaurazione; pochi sono coloro che cercheranno conforto nella Chiesa e nella fede cattolica.

Tra quest'ultimi si collocano i NAZARENI, un movimento romantico di esplicita opposizione al neoclassicismo che si forma a Roma nel 1810, sotto la guida del tedesco Overbeck. Si tratta di una confraternita di pittori fortemente convinti che l'arte debba rappresentare tematiche religiose, anche divenendo un mezzo di propaganda religiosa; il loro ideale, sulla scia del Rinascimento, è quello di restituire purezza e umiltà all'immagine di Cristo e della Madonna.

Non a caso la pittura dei Nazareni fa continuo riferimento all'arte rinascimentale; lo stesso papa Giovanni Paolo II infatti, nella lunga Lettera agli artisti del 1999, afferma che:

"L'arte sacra ha trovato, in questo complesso straordinario [dell'Umanesimo e del Rinascimento], un'espressione di eccezionale potenza, raggiungendo livelli di imperituro valore insieme estetico e religioso".

L'esempio dei Nazareni non sarà privo di influenze sul secolo: nel 1848 in Inghilterra nascerà infatti la confraternita dei PRERAFFAELLITI (tra cui il pittore italiano Rossetti), anch'essa fortemente anticlassicista, che si prefiggerà l'obiettivo di ricondurre l'arte alla sua autenticità contro il dilagante materialismo delle nuove tecnologie.

La grande corrente del Romanticismo ottocentesco si articola però in diverse componenti: accanto a Nazareni e Preraffaelliti, infatti, di afferma in Germania una pittura di paesaggio volta alla rappresentazione di un'anima universale, comprendente tanto l'uomo quanto la natura. L'artista che meglio trasferì nelle sue opere tale concenzione è FRIEDRICH, secondo il quale il compito dell'arte è "di riconoscere lo spirito della natura, comprenderlo, registrarlo e renderlo con tutto il cuore ed il sentimento".

Compare quindi un nuovo modo di approcciarsi a Dio: è infatti nell'idea che il paesaggio racchiuda una dimensione intima e infinita che nasce la concezione della natura come pura  manifestazione di Dio, legame indistruttibile tra anima e cosmo. Nell'opera di Friedrich Abbazia nel querceto (1809, Berlino) i monaci, dipinti piccoli e senza volto, danno vita ad un lungo corteo spettrale, che procede in direzione delle rovine di un convento. La presenza umana è qui confinata in un angolo; gli uomini appaiono schiacciati dai simboli cristiani, che sono immersi in un cielo livido e in un sottile senso del mistero.


L'attenzione dimostrata dal Romanticismo di matrice storica nei confronti dei grandi cambiamenti sociali avvenuti in Europa nel corso dell'Ottocento, sarà ripresa con grande vigore  a partire dalla produzione realistica di Courbet; da questo momento in poi, infatti, dilaga in tutta Europa la parola d'ordine "Essere del proprio tempo", in netta opposizione con la minuziosa cura dei Preraffaelliti inglesi. E' su questa nuova attenzione per l'uomo che più di un secolo dopo scriverà Giovanni Paolo II:

"Ciò che sempre di più caratterizza l'arte, sotto l'impulso dell'Umanesimo e del Rinascimento, e poi delle successive tendenze della cultura e della scienza, è un interesse crescente per l'uomo, il mondo, la realtà della storia. Questa attenzione, di per sé, non è affatto un pericolo per la fede cristiana, centrata sul mistero dell'Incarnazione, e dunque sulla valorizzazione dell'uomo da parte di Dio".

Nel XIX secolo, e anche nella prima metà del XX, la religione si sgancia dal significato classico del termine, divenendo il mezzo con cui l'artista entra in contatto con il divino, non più identificato con il Dio cattolico.

Il divino per CEZANNE è eternità e mistero: il suo dipinto Le grandi bagnanti (1895, Fondazione Barnes di Filadelfia) appare immerso in una dimensione atemporale, accentuata dall'indeterminatezza dei volti delle donne. In esso i riferimenti alla pittura e alla scultura del passato sono numerosi: il nudo centrale, per esempio, è ripreso da una Venere classica che l'artista ha copiato spesso al Louvre, mentre la figura di sinistra, che incede maestosa, è stata paragonata a certe Veneri di Rubens. L'atmosfera complessiva, di mistero prima dello svelamento, richiama un'arte monumentale, eterna, da museo.


Il divino per VAN GOGH è spiritualità nel dipinto Notte stellata (1889, Museum of Modern Art di New York) la fragilità psicologica dell'artista è resa visibile dalla rappresentazione di immensi vortici nel cielo, in un linguaggio che asseconda il progetto di una pittura di sintesi tra sguardo interiore e percezione del mondo esteriore. L'elemento umano è ridotto al minimo, e sembra quasi soccombere sotto la forza prorompente della natura: le piantagioni di olivi, infatti, sono onde pronte a sommergere la città. Una spiritualità pessimista e angosciata è qui dominante.



Il divino per GAUGUIN è primitivismo e religiosità pagana: nel dipinto Da dove veniamo, che siamo, dove andiamo (1897-98, Boston) un idolo pagano color azzurrino troneggia, davanti al quale è inginocchiata una ragazza in preghiera. Il richiamo all'ultraterreno domina l'intera tela, che raffigura il passaggio dalla vita alla morte; un unico uomo, posto al centro, simboleggia forse la giovinezza, forse il peccato originale. Il Cristianesimo in Gauguin non è mai esplicitamente menzionato; non è però questo suo modo di dipingere estremamente pervaso in ogni suo tratto di religiosità?


Il divino per MATISSE è slancio vitale e armonia: il suo dipinto La danza (1909, Museum of Modern Art di New York) è visione simbolica di un abbraccio universale in cui la vita è interpretata come un'armonia ciclica. Pace, fratellanza, semplicità: tutti valori cristiani di cui Matisse si fa portavoce in quest'opera senza essersi mai avvicinato alla fede cattolica.


Nel Novecento l'istituzione ecclesiastica rimane, come nel secolo precedente, del tutto marginale, e l'appoggio della Chiesa non rappresenta più un porto sicuro come invece lo era stato nel Rinascimento. Pittori come Pablo PICASSO, fondatore del Cubismo, ricercano la propria religiosità in un'arte volta all'impegno civile, donando alla propria fede un risvolto di concretezza. Se da una parte l'allontanamento della "grande arte" dalla Chiesa appare definitivo, dall'altra si assiste ad una stretta vicinanza tra gli artisti e la religiosità, forse ancor più forte di quella presente in epoche considerate più in linea con i precetti del Cristianesimo.

"E' vero però che nell'età moderna, accanto a questo umanesimo cristiano che ha continuato a produrre significative espressioni di cultura e di arte, si è progressivamente affermata anche una forma di umanesimo caratterizzato dall'assenza di Dio e spesso dall'opposizione a Lui. Questo clima ha portato talvolta ad un certo distacco tra il mondo dell'arte e quello della fede, almeno nel senso di un diminuito interesse di molti artisti per i temi religiosi".

"Voi sapete tuttavia che la Chiesa ha continuato a nutrire un grande apprezzamento per il valore dell'arte come tale. Questa, infatti, anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha un'intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle condizioni di maggior distacco della cultura dalla Chiesa, proprio l'arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso l'esperienza religiosa".

(Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti)






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