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Giovanni bellini (venezia 1430-1516)




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GIOVANNI BELLINI (Venezia 1430-1516)


I primi anni di attività di Giovanni come pittore furono in qualità di apprendista e assistente di Jacopo. L'opera di Giovanni è molte volte simile a quella di gentile, ma con gli anni arrivò a superare sia il padre che il fratello. Pittore ufficiale della Repubblica di Venezia nel 1483, rimase l'artista più eminente della città fino alla sua morte nel 1516, come testimonia A. Durer in una lettera scritta durante una visita alla città nel 1506 'è molto vecchio ed è ancora il miglior pittore di tutti'. I suoi allievi più famosi furono Giorgine e Tiziano, il quale influenzò a sua volta lo stile tardo del maestro. Nell'ambito della sua carriera ufficiale gli furono commissionati il ritratto del doge, e numerose immagini votive. Lavorò con Gentile in alcuni ampi cicli narrativi e creò un'importante gruppo di pale d'altare. Il suo tema più sentito fu la Vergine e il Bambino, al quale prestò una sorprendente gamma di interpretazioni, come la Madonna con le iscrizioni greche (1470, Milano, Pinacoteca di Brera) e la Madonna degli alberi (1487, Venezia, Galleria dell'Accademia). Ignoriamo fino a qual punto Giovanni fosse attratto dal soggetto profano, ma due delle sue migliori opere riguardano questo tema: l'imponente Banchetto degli dei (Washington, National Gallery) iniziato alla fine della sua carriera (1514) per Alfonso d'Este, signore di Ferrara, e finito più tardi con qualche contributo di Tiziano; e la Venere al bagno (1515, Vienna, Kunsthistorisches Museum), unico nudo femminile conosciuto di Giovanni. Nella sua tecnica si riscontra il graduale passaggio dalla pittura a tempera a quella ad olio, occorso tra la fine del sec.XV e gli inizi dl XVI, ma non si conosce a fondo la natura materia dei suoi dipinti; è tuttavia evidente che egli divenne sempre più abile nell'uso delle velature (stesure di colori in trasparenza). Le ultime opere di Giovanni, come la Madonna in trono con i santi (1505, Venezia, S. Zaccaria) penetrano lo spirito dell'età aurea del Rinascimento.

L'influenza del Mantenga è verificabile anche nella limitata produzione grafica del giovane Bellini, specie nelle linee secche e metalliche. Ma nei disegni dei primi anni, quale ad esempio la Pietà di Venezia, Giovanni mostra la propria personalità. La linea è più fluida e l'effetto cercato non è quello volumetrico e scultoreo ma quello chiaroscurale, perciò pittorico. Mentre per il Mantegna, come per i fiorentini, l'essere umano è il vero soggetto del dipinto, per il Bellini l'uomo è solo una parte del mondo naturale. Tali differenze si colgono anche nell'Orazione dell'orto; la roccia su cui Cristo è inginocchiato è costruita in modo teatrale, ma possiede più morbidezza. È soprattutto il paesaggio ad aver perduto ogni artificiosità attenendosi maggiormente al vero, così anche gli edifici vengono ripresi da costruzioni del tempo. La luce dell'aurora all'orizzonte non è la sola fonte luminosa del dipinto, ve n'è infatti un'altra che investe da dietro il Cristo: una calda luce che pervade tutte le cose e le unifica. La profondità è data dalla sinuosità delle strade e dal disegno dello steccato sulla destra, ma, in special modo, dall'uso sapiente di colori caldi per i primi piani e dei colori freddi per i piani successivi. Con il Bellini si ha infatti l'impiego della prospettiva cromatica. L'artista dispone in primo piano i colori caldi, nell'ultimo quelli freddi e nelle posizioni intermedie quei colori che costituiscono il graduale passaggio dagli uni agli altri. Infatti i colori caldi danno l'impressione di venire avanti rispetto al piano del quadro (salienti), quelli freddi sembrano recedere (rientranti). Tale innovazione belliniana sarà alla base della pittura tonale dei veneti. Tra il 1470 e il 1475 Giovanni realizza una grande pala d'altare per la richiesta di S. Francesco a Pesaro. La pale si compone della tavola centrale con l'Incoronazione di Maria della predella e della base dei pilastri con 6 storie di vite di santi affiancanti una Natività, dei pilastri con 8 santi e sante entro nicchie e di una cimasa con l'Imbalsamazione di Cristo (Pinacoteca Vaticana). Nella tavola con l'incoronazione Giovanni per la prima volta ambienta la scena all'aperto, fra dolci e verdeggianti colline, trattandola come una 'Sacra conversazione'. Alla prospettiva cromatica si aggiunge una prospettiva lineare rigorosissima nello scorcio della geometrica pavimentazione marmorea e nel trono ampio quasi quanto la base della tavola. All'interno della scatola prospettica sono disposti tutti i personaggi. Dietro di loro il paesaggio è visibile, in parte, attraverso l'ampio varco quadrangolare nella spalliera del trono (un quadro nel quadro). Giovanni pone l'accento sull'effetto pittorico basato sull'uso del colore. I suoi personaggi sono infatti delle pure masse di colore che variano in funzione della luce. Ai primi del '500 risale l'Allegoria sacra (Uffizi) che già risente della pittura di Giorgine. Anche in questa occasione Giovanni abbina la prospettiva geometrica a quella cromatica. All'estremità sinistra di una terrazza recintata la Vergine, con due figure femminili, è seduta in trono sotto un baldacchino a ombrellino. Dall'estremità opposta avanzano due santi; tra questi e la Vergine dei bambini sembrano giocare attorno ad un alberello piantato in un vaso posto esattamente al centro della terrazza. Oltre il recinto altre figure sono colte in atteggiamenti diversi. Il paesaggio è roccioso e della stesa materia sembra anche il piccolo borgo al di sotto del monte di sinistra. Le rocce cedono infine il passo alle colline boscose che muoiono in lontananza. Fra la terrazza e i rilievi si stende un placido specchio d'acqua che si insinua tra i declivi e che ne costituiscono le sponde e che si rende visibile tra i montanti dei recinto marmoreo. L'acqua ne assume i colori e fa da fusione tra il primo piano della terrazza e l'ambiente circostante. La collocazione dei pochi personaggi nella scena impedisce di concentrare l'attenzione su uno di essi in particolare. La luce sui toni del giallo unifica cielo, acqua, uomini e alberi, spazio naturale e spazio geometrico. Pare che il soggetto della tavoletta sia un'allegoria della resurrezione. Il bambino seduto sul cuscino è infatti il Cristo. A lui alcuni putti consegnano i frutti di un albero piantato in un vaso, simbolo dell'albero della vita. Il Cristo intermediario fra la Vergine vista come Sede di Sapienza e San Giobbe -il santo vecchio- che incarna la speranza di resurrezione dell'uomo. Del 1505 è la Pala di San Zaccheria, inizialmente collocata in un altare laterale della chiesa veneziana diverso da quello che la ospita attualmente, continua a mostrare il rapporto fra l'architettura reale e quella dipinta. La tavola finge un portico absidato che dilata lo spazio della cappella. Tale portico è aperto su due lati dai quali penetra la luce del sole, che rende dorate le figure, e dai quali si intravede anche la natura retrostante (fusione tra uomo e natura). Al di qua dell'abside con la conca mosaicata sta la Vergine in trono col bambino; sopra di essa sono sospesi una sobria lampada veneziana e un uovo, simbolo della verginale maternità di Maria. Un angelo musicante le è ai piedi, mentre quattro santi occupano i quattro angoli della campata, a formare una sorta di architettura vivente. Di particolare rilievo è la figura di San Gerolamo al quale anche Giorgione si ispirerà per la rappresentazione di uno dei Tre Filosofi. Si noti la solida positura del vecchio penoso ammantato di un ampio abito cardinalizio: l'iconografia insolita per il santo abitualmente raffigurato. La composizione è tra le più equilibrate e assorte dell'artista veneziano, segno di una conquistata, composta classicità che sarà una costante nelle opere dei suoi ultimi anni.


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