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Genio e follia nell'arte: van gogh




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GENIO E FOLLIA NELL'ARTE: VAN GOGH



1 Karl Jaspers: Van Gogh


Karl Jaspers analizzò dettagliatamente la vita di Van Gogh per poter fornire un'immagine di come pazzia e genialità abbiano agito nella vita di questo grande artista. Egli stesso fu fortemente affascinato dai risultati che ottenne. Illustriamo ora le conclusioni che trasse al termine della sua analisi.


Il 1888 risulta come anno fondamentale nella vita di Van Gogh: esso coincide con l'inizio della malattia; gli appunti di Van Gogh riportano la testimonianza di allucinazioni intollerabili. Parallelamente all'inizio della malattia si verifica un periodo di "furore creativo" dove l'artista lavora intensamente alle proprie tele. C'è una notevole differenza tra le opere di Van Gogh precedenti e successive al 1888. Le opere precedenti appaiono legate di più all'impressionismo mentre nelle opere successive appaiono quei segni caratteristici e producono quell' effetto sconvolgente; impressione condivisa da molti ma pur sempre soggettiva. In fondo Van Gogh voleva dipingere Cristo, i santi e gli angeli; ci rinunciava perché ciò lo turbava e sceglieva con modestia gli oggetti più umili; anche in questi si avverte lo slancio religioso, pur non conoscendo le lettere, e non sapendo niente delle sue aspirazioni. Le sensazioni che assalgono il fruitore delle opere di Van Gogh si susseguono in una vorticosa ascesa; ogni opera resta sempre un inizio, una ricerca appassionata. Per quanto riguarda la tecnica pittorica non bisogna dimenticare che ogni elemento appartiene a un tutto e se esso viene isolato e assolutizzato risulta privo di senso.

All'inizio del 1888 s'impone una tecnica, che diviene prevalente: la dissoluzione della superficie pittorica in pennellate di forma geometrica regolare, ma di immensa varietà; non solo linee o semicerchi ma anche figure tortuose, spirali, forme che ricordano il 3 o il 6, angoli. Le linee producono così effetti multiformi, in quanto sono disposte non solo parallelamente ma in curve o raggi. I quadri appaiono dotati, così, di un movimento inquietante. La terra dei paesaggi pare vivere, si solleva e s'abbassa in onde, gli alberi sono come fiamme, tutto si torce e si tormenta, il cielo palpita. I colori ardono. Giustapponendo e mescolando le tinte Van Gogh raggiunge effetti straordinariamente crudi e intensi. In conclusione potremmo dire che Van Gogh ebbe un bisogno di realismo che lo fece indietreggiare davanti ai soggetti mitici, alla pittura d' idee, anche se ne fu attratto, per rivolgersi con modestia a ciò che lo circonda. Questo mondo circostante, che egli trascese, diventò mito. Non vuole il particolar, il sensazionale, ciò che gli preme è il naturale, il necessario, la chiarezza; ritiene che i suoi quadri siano sempre malriusciti. I suoi ultimi quadri sono dipinti con colori più stridenti e crudi. Aumentano gli errori prospettici, di cui era solito non curarsi. Con l'eccitazione pare venir meno il controllo interiore: la tecnica diviene più grossolana. (vedi "Campo di grano"). Van Gogh si trovava allo stadio finale, stadio che lo avrebbe condotto al suicidio. Riassumendo, l'arte di Van Gogh non è un artificio ma un ritorno all'origine. In essa si incarna l'esperienza vissuta di una personalità in sfacelo.


Classificazione dell'evoluzione stilistica


  1. Fino al 1886. Studi dignitosi di stile naturalista, poi impressionista. Superficie distese. Nessun accenno a scomposizioni in forme tratteggiate.
  2. . Prosegue lo sviluppo del colore. Nature morte e fiori di prim' ordine. Tutto è ancora abbastanza calmo.
  3. Seconda metà del 1887 fino alla primavera del 1888. Continua l'evoluzione. Lento avvio alla schizofrenia, non ancora visibile nelle opere. Periodi di transizione. Appare la pennellata che scompone l'unità del quadro, soprattutto nei paesaggi, che restano complessivamente calmi.
  4. Estate 1888. La potente tensione interiore si esprime con perfetta sicurezza nelle opere. (vedi "Il caffè di Arles")
  5. Dalla fine del 1888 fino al 1889. Prima crisi violenta nel dicembre del 1888. La capacità di sintesi non è più così libera: le opere diventano più regolari, i manierismi, nel senso migliore, aumentano. Il dettaglio si ritira sempre di più davanti al movimento delle sole linee.
  6. - 1990. Appaiono segni di impoverimento e di incertezza accompagnati da una grande agitazione. I quadri diventano più poveri, i dettagli più casuali[1]. Energia senza oggetto, disperazione e terrore senza espressione. Non c'è più nuova "formazione concettuale".

Analizziamo ora l'atteggiamento che Van Gogh ebbe nei confronti della malattia: egli la dominò. Negli intervalli di lucidità si dedicò, infatti, ad un lavoro intimo e continuo per comprendere il suo stato e il suo destino. Leggiamo nel febbraio del 1890 " In ogni caso, cercare di essere vicino alla realtà è forse un modo per combattere il male che continua sempre a tenermi inquieto". Sappiamo come tutto in lui era slancio religioso, come l'arte lo toccasse perché gli faceva "sentire l'infinito". Ma egli rifugge da quella che potrebbe essere una rappresentazione del soprannaturale. Si stupisce -atteggiamento singolare in uno schizofrenico - degli elementi "superstiziosi" delle sue crisi acute, li rifiuta e non vuole lasciarsi influenzare da loro. E' per questo che ha riversato nella semplicità, nel suo amore della sincerità, nel suo modo di dipingere gli oggetti quotidiani, questa forza concentrata, quest'informulabile pensiero (che lo si voglia chiamare religioso o filosofico). Nel 1889 a causa delle ripetute crisi Van Gogh viene internato nel manicomio di St. Rémy, qui vede per la prima volta dei malati di mente. Scrive a proposito: "Credo di aver fatto bene a venire qui, perché vedendo la realtà della vita dei pazzi o dei diversi squilibrati di questo serraglio, mi passa il timore vago, la paura della cosa in se stessa. E poco per volta posso arrivare a considerare la follia una malattia come un'altra." Van Gogh rimane dunque consapevole della propria malattia : "Dentro di me ci dev'essere stata qualche emozione troppo grande, che mi ha fregato in questo modo [.]. C'è effettivamente qualcosa di rotto nel mio cervello." Il suo atteggiamento nei confronti del manicomio cambia molto tra il maggio 1889 e l'inverno: è spaventato dall'idea di essere rinchiuso e privato della possibilità di dipingere. Nel maggio 1890 ha luogo il trasferimento ha Auvers, Van Gogh ritrova la speranza. L'ottimismo non dura però a lungo; scrive: "Mi sento alla fine, alla resa dei conti. E' il mio destino devo accettarlo, non cambierà [.]. Il futuro si oscura non vedo un avvenire felice." Poco tempo dopo Van Gogh si tolse la vita.


2 Antonin Artaud: Van Gogh


"Quando si sono trascorsi nove anni in un manicomio, non c'è più pittura né vita che tenga, e non so perché l'idea di scrivere qualcosa su Van Gogh mi abbia affascinato. Venuto fuori da una clausura di nove anni ho visto cadere davanti a me tutte le opere scritte o dipinte, solo Van Gogh conserva il suo pregio". Con queste parole Artaud motiva la scelta di voler scrivere un saggio a favore di Van Gogh contro chi lo riteneva uno squilibrato con eccitazioni violente di tipo maniacale. Artaud parlerà sempre, infatti, di buona salute mentale di Van Gogh.


Vediamo ora come Artaud definisce la sua pittura. "Van Gogh dipingeva, non linee o forme, ma cose della natura inerte, come in piene convulsioni. E inerti.". Le pitture  di Van Gogh non attaccano il conformismo dei costumi ma il conformismo stesso delle istituzioni in modo che neanche la natura stessa "dopo il passaggio di Van Gogh in terra, può mantenere la stessa gravitazione." Egli è il pittore di tutti i pittori che senza andare oltre la pittura, senza uscire dal "tubo", dal pennello e dall'inquadratura è riuscito ad appassionare la natura e gli oggetti a tal punto che nemmeno i più favolosi racconti di Edgar Allan Poe dicono di più sul piano psicologico e drammatico delle sue tele. "Non ci sono fantasmi nei quadri di Van Gogh, né visioni, né allucinazioni. E' la verità torrida del sole alle due del pomeriggio." La genialità di Van Gogh consiste proprio in questo, nel saper interpretare la realtà, perché la realtà è terribilmente superiore a ogni storia, a ogni favola, a ogni surrealtà. Artaud si rifiuta di descrive i quadri di Van Gogh dopo Van Gogh stesso ma si limita a dire che egli ha "ricomposto la natura" frammentandola. La natura presente in Van Gogh è nuda e pura, vista come si rivela quando la si sa accostare da abbastanza vicino. Egli è solo pittore e niente di più. Niente filosofia, né mistica, niente storia, né letteratura o poesia. "Pittore, solo pittore, ha preso i mezzi della pura pittura e non li ha superati".


Per quanto riguarda la malattia di Van Gogh, Artaud non si sofferma molto, in quanto abbiamo già detto che egli ritiene che Van Gogh non sia pazzo ma sia, solamente, una personalità superiore. Giustifica anche l'atto psicotico dell'autolesionismo definendolo eroismo, logica diretta. Scrive: " Quanto alla mano cotta, è puro e semplice eroismo, quanto all'orecchio tagliato è logica diretta, e, lo ripeto, un mondo il quale, giorno e notte, e sempre di più, mangia l'immangiabile, per condurre la propria cattiva volontà ai propri fini, deve, su questo punto, solo chiudere il becco." Artaud sostiene, al contrario di Jaspers, che Van Gogh non sia morto a forza di aver cercato l'infinito ma che a forza di vederselo rifiutare dalla società si sia tolto la vita. "Inoltre, non ci si suicida da soli. Nessuno è mai nato da solo. Così come nessuno mai muore da solo." Così Van Gogh è stato indotto dalla società a suicidarsi, è stato cacciato via dal mondo anzitutto da suo fratello, con l'annuncio della nascita di un nipote, è stato poi cacciato dal dottor Gachet, che lo mandava a dipingere dal vero per sfuggire alla malattia del pensare. La coscienza di Van Gogh era una di quelle coscienze estremamente sensibili che, in certi giorni, si sarebbero uccise per essere state semplicemente contraddette e non c'è bisogno di catalogarle come pazze per questo motivo.



3 Van Gogh: opere e descrizioni


"Disegnare è l'azione di aprirsi un varco attraverso un invisibile muro di ferro, che sembra trovarsi fra ciò che si sente, e ciò che si può. In che modo bisogna attraversare questo muro, dato che non serve a niente colpire con forza, bisogna minare questo muro e attraversarlo con la lima, lentamente e con pazienza secondo me".


Il caffè di notte (1888)



"Nel mio quadro del caffè di notte, ho cercato di esprimere che il caffè è un luogo in cui ci si può rovinare, diventare pazzi, commettere crimini [.] Ho tentato di esprimere qualcosa come la potenza delle tenebre di una bettola"

(Vincent Van Gogh)

La camera da letto (1888)



"Occulta è anche la sua camera da letto, così adorabilmente contadina, e come seminata di una fragranza capace di tenere in conserva le messi che si vedono fremere nel paesaggio, lontano, dietro la finestra che le nasconderebbe. Contadino anche il colore del vecchio piumino, di un rosso di cozza, di riccio, di gambero, di triglia del Mezzogiorno, di un rosso di peperoncino bruciato."

(Antonin Artaud)


Autoritratto (1889)



"Questo sguardo divorante, penetrante, acutissimo, osceno quasi a forza di penetrazione, di sincerità, e che è al contempo uno sguardo vuoto, cavo, rigirato, riafferrato indietro, riverso su un difuori subesterno più tremendo di tutti gli interni, è stato dipinto da un immenso psicologo."

(Antonin Artaud)


Notte stellata (1889)



"Guardare le stelle mi fa sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che rappresentano le città e i villaggi su una cartina. Perché mi chiedo i puntini luminosi del cielo non possono essere accessibili come quelli sulla cartina della Francia? Come prendiamo il treno per andare a Tarascona o a Rouen così prendiamo la morte per raggiungere le stelle."

(Vincent Van Gogh)


Campo di grano con corvi (1890)



"Non è comune vedere un uomo, con nel ventre la fucilata che lo uccise, ficcare su una tela corvi neri e sotto una specie di pianura livida forse, vuota in ogni caso, in cui il colore vinaccia della terra si scontra perdutamente con il giallo sporco delle messi.[.] E di che si lamenta in basso la terra sotto le ali dei corvi fasti, fasti indubbiamente solo per Van Gogh e, d'altra parte, fastoso presagio di un male del quale non sarà, lui, mai più colpito? Perché nessuno fino ad allora aveva fatto come lui della terra questo panno sporco, strizzato di vino e di sangue inzuppato.[.] Il cielo del quadro è bassissimo, schiacciato, violaceo, come i margini di una folgore. E la frangia tenebrosa insolita del vuoto risale inseguendo il lampo. Van Gogh ha scagliato i suoi corvi seguendo come dal basso della tela, seguendo lo sfregio nero della linea in cui il battito del loro ricco piumaggio fa pesare, sul rimescolarsi della tempesta terrestre, la minaccia di un soffocamento dall'alto. Eppure tutto il quadro è ricco. Ricco, sontuoso e calmo il quadro. Degno accompagnamento per la morte di colui che in vita sua, fece volteggiare tanti soli ebbri su tanti covoni liberi da ogni vincolo, e che, disperato, con una fucilata nel ventre, non seppe non inondare di sangue e di vino un paesaggio, inzuppare la terra di un'ultima emulsione, gioiosa al contempo, e tenebrosa, con un sapore di vino inacidito e di aceto andato a male. E' così che il tono dell'ultima tela dipinta da Van Gogh evoca il timbro aspro e barbaro del dramma elisabettiano più patetico, passionale e appassionato."

(Antonin Artaud)










Non tutte le opere deboli sono del 1890, anche in quest'anno se ne trovano di prim' ordine. Tuttavia la classificazione di Jaspers risulta relativamente precisa anche se non può essere verificata caso per caso.

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