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Unificazione delle interazioni




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UNIFICAZIONE DELLE INTERAZIONI




Una sommaria indagine sul microcosmo (scala atomica e subatomica) è già sufficiente per darci evidenza del tipo e delle intensità delle interazioni esistenti fra le particelle.

Consideriamo le particelle nucleari, come il protone e il neutrone, senza spingerci ad indagare scale ancora più piccole. Protoni e neutroni sono costituiti da quark, i quali sono tenuti assieme da una forza a corto raggio, la più intensa fra quelle note, detta nucleare forte. Tale interazione provvede anche a costipare i protoni e i neutroni in un nucleo atomico. Un'altra forza, meno intensa, denominata nucleare debole, è responsabile del decadimento beta di certi nuclei radioattivi (espulsione di elettroni o positroni dal nucleo) e del decadimento del neutrone in protone ed elettrone.

Su scala atomica, la forza elettromagnetica, dovuta a cariche in movimento, tiene legati gli elettroni ai nuclei per costituire gli atomi e le molecole e provvede ad agglomerare queste ultime agendo fino alla scala cellulare e oltre. Per scale maggiori la forza elettromagnetica sembra perdere d'effetto e nel contempo anche d'importanza. In realtà, su scala microscopica, le forze biomolecolari, che consentono ad ogni organismo vivente di spostarsi nel proprio ambiente, sono il risultato di forze elettromagnetiche che si esplicano fra molecole in reazione chimica. Tuttavia, per corpi di massa crescente, acquista importanza un'altra forza, quella gravitazionale, sempre presente, (o perlomeno così si pensa) anche fra i quark o fra elettroni e nucleo, ma mascherata dalla sua stessa debolissima intensità. Su scala macroscopica, sulla Terra, nel sistema solare e nel cosmo, a causa delle grandi masse dei corpi, la gravitazione diviene intensa ed è l'unica ad operare. Essa aggrega la materia in satelliti, asteroidi, pianeti, stelle e galassie. È la forza che sorregge il sistema solare e che riunisce le stelle in aggregazioni galattiche e queste in ammassi e super ammassi, fino all'ultimo più complesso gradino d'aggregazione della materia cosmica, che ci è concesso di indagare.

Fra quelle discusse, le uniche forze ad avere il privilegio di agire ad ogni scala, da quella microcosmica a quella cosmica sono la gravitazionale e l'elettromagnetica, mentre le altre hanno ambiti più o meno ristretti. Tuttavia, su scala cosmica, non si hanno prove dirette della possibile interazione fra cariche elettriche e su scala microcosmica non si ha prova evidente dell'interazione gravitazionale.

Riflettendo su ciò che conosciamo, qualche perplessità, nello stato di cose, diviene evidente sia a livello di scala microcosmica, sia a livello di scala cosmica. Nella scala microcosmica le forze note giustificano la consistenza del protone, del neutrone, del nucleo atomico, (particelle pesanti) ma non vi è alcuna interazione, o loro combinazione, che giustifica la consistenza di particelle leggere come l'elettrone. Per tal motivo, sembrerebbe che la sua carica e la sua massa siano costipate in un punto dalle dimensioni nulle e ciò genera densità di massa e carica infinite. In alternativa, potrebbe esserci qualche interazione, ancora non nota, presumibilmente a corto raggio, che, agendo sulla materia stessa dell'elettrone, lo confina in un volume proprio, conferendogli densità finite di carica e di massa.

Per contro, nessuna supposizione è lecita quando si tratta di prevedere i comportamenti, ancor più se a livello della scala atomica e sub-atomica. Ne abbiamo avuto un grande esempio quando fu scoperta la meccanica quantistica, reale, ma generante comportamenti così fuori dal comune e da quell'intuizione che stiamo implorando, da dover fare, ancora oggi, sforzi enormi solo per capirne i meccanismi. Se vi fossero delle cause i cui effetti mostrassero lo scenario quantistico, per ognuno di noi sarebbe tutto più semplice da comprendere. Tuttavia, non è detto che vi siano cause che possano generare la meccanica quantistica, palesemente evidente nel dominio microcosmico, ma completamente insignificante su scale ordinarie.

Nonostante ciò, la nostra osservazione era e resta legittima, perché mentre esiste una forza o una combinazione di forze che giustifica la consistenza delle particelle pesanti come il protone, non esiste un equivalente che ci giustifichi la consistenza dell'elettrone. Questo sembrerebbe generare una frattura profonda perché mentre è ammissibile pensare, in maniera classica, al protone come un granulo dotato di massa, carica e volume propri, così non si potrà mai fare dell'elettrone, il quale pur avendo una massa e una carica, non si potrà mai immaginarla come un granulo dotato di dimensioni proprie. Questa sostanziale differenza fra protone ed elettrone potrebbe essere giustificata dalle notevoli differenze che esistono fra le due particelle. Tuttavia, tale differenza potrebbe essere solo apparente perché generata dalla nostra non sufficiente conoscenza delle leggi microcosmiche.

Per rafforzare o indebolire questo nostro sospetto, oltre che sulle forze note e i loro ambiti d'azione, la nostra indagine dovrà essere svolta sul modo di operare e sugli effetti che esse determinano. Nel microcosmo, se non vogliamo considerare le stranezze quantistiche, che giocano un brutto tiro alle energie delle particelle nel tempo o alla loro velocità in funzione della posizione o alla loro identità (onda o corpuscolo) ci possiamo focalizzare sul comportamento generale delle interazioni.

Ciò che osserviamo, partendo dalla scala subatomica, è finalizzato alla generazione di strutture sempre più complesse man mano che ci rivolgiamo all'osservazione di scale più grandi. Infatti, le interazioni a corto raggio rendono stabili le particelle elementari pesanti, sia cariche, sia neutre e regolano i comportamenti dei nuclei instabili, mentre l'interazione elettromagnetica, a più lungo raggio, (ma sicuramente non infinito) le mette in moto per generare atomi, molecole e strutture complesse, almeno fino alla scala umana.

La gravitazione, partendo dall'aggregazione di gas e polveri genera le stelle e i pianeti, li mette in moto nei sistemi stellari e li dispone e organizza all'interno delle galassie. Riunisce queste ultime in ammassi e superammassi e potrebbe creare maxi strutture che possono andare oltre le estreme scale oggi indagabili nel cosmo.

Da un'analisi degli effetti si osserva che nel cosmo la gravitazione svolge lo stesso ruolo organizzativo che le altre forze svolgono dal microcosmo fino alla scala umana. Infatti, la complessità cosmica è generata da un'unica interazione, mentre quella microcosmica ha bisogno di più interazioni (almeno tre) per poter essere sorretta.

Nonostante la sostanziale differenza, osservazioni di carattere diverso, ci mostrano delle similitudini impressionanti fra cosmo e microcosmo. Ad esempio, un nucleo atomico stabile è caratterizzato da un equilibrio tra la forza di repulsione coulombiana fra i protoni e quella attrattiva nucleare forte fra i nucleoni (protoni e neutroni). È chiaro che il numero e il tipo di nucleoni e le dimensioni di un nucleo non possono che dipendere da quest'equilibrio. Nelle stelle stabili, un equilibrio analogo svolge lo stesso ruolo.

Una forza d'espansione termica (di repulsione sulle porzioni di materia) è bilanciata dalla compressione gravitazionale. Anche per le stelle stabili, come per i nuclei atomici stabili, la quantità di materia e le dimensioni dipendono fortemente dagli equilibri fra le rispettive forze contrastanti.

In un atomo la maggior parte dei nuclei e tutti gli elettroni sono dotati di rotazioni sul proprio asse (spin) e possiedono momenti magnetici. Nel sistema solare il Sole e i pianeti ruotano su se stessi e la maggior parte di essi sono fonti di campi magnetici.

Le forze elettromagnetiche e leggi quantistiche coordinano gli elettroni su orbitali sia a simmetria sferica, sia simmetria ellittica. Nel sistema solare i pianeti sono distribuiti su orbite ordinate quasi circolari (caso particolare della simmetria sferica) e le comete sono disposte su orbite ellittiche.

Se si considera il rapporto fra il volume di un atomo e quello di un nucleo e lo si confronta con il rapporto fra il volume del sistema solare e quello solare, si ottengono numeri molto simili. Analogamente, il rapporto fra la massa di un pianeta e la massa solare dà proporzioni che sono già note nella scala atomica.

Le distanze interstellari e i vuoti cosmici, se confrontati con le distanze fra nuclei e i vuoti nell'ordinaria materia terrestre, ci danno un quadro di similitudini veramente sconcertante.

Pensiamo che nel vuoto che contiene le particelle elementari vi sia materia oscura, costituita da neutrini dotati di massa piccolissima e particelle esotiche come gli assioni, dalla massa di qualche miliardesimo di quella elettronica. Vi è evidenza che nel vuoto che contiene i corpi celesti ci sono gas, polveri, detriti e meteoriti di massa molto inferiore a quella planetaria.

Alla luce di queste analogie esposte troviamo veramente curioso che la scala cosmica debba scimmiottare così maldestramente quella microcosmica e che la forza gravitazionale, (interazione puramente attrattiva) da sola, avrebbe il privilegio di generare e sorreggere un cosmo che, nel suo assetto generale, assomiglia così tanto al microcosmo. Le analogie osservate sarebbero coincidenze prive di significato, tuttavia, non possiamo trascurare che sono molte e notevoli.

Se la logica non ci potesse guidare, perché è di per sé non scientifica, allora ciò che è il cosmo e le similitudini col microcosmo, così evidenti, sarebbero solo un caso. Noi vogliamo indagare più profondamente perché le similitudini sono un caso troppo grosso per lasciarselo sfuggire senza riflettere. Ci chiediamo se un'eventuale nostra ignoranza su leggi che non abbiamo ancora scoperto sul cosmo e sul microcosmo non potrebbero colmare le differenze osservate, per rendere completamente simili le due scale dell'im-mensamente piccolo e dell'immensamente grande. Se queste leggi non ci fossero, comunque dovremmo poter spiegare perché il sistema solare debba così maldestramente scimmiottare l'atomo.

Non possiamo lavorare da scienziati ortodossi, ma ipotizzeremo le leggi nascoste e ne verificheremo le implicazioni. Questo perché dietro queste analogie potrebbe nascondersi una realtà ben più profonda, da dover operare una revisione dell'intera nostra concezione dell'Universo.

Ci domandiamo se il cosmo non sia una condizione spazio-temporale espansa del microcosmo e se le differenze osservate non siano in realtà apparenti. Inoltre, proprio come il microcosmo nel suo organizzarsi ai vari livelli genera ciò che è visibile nella scala umana, così la gravitazione, operando ai livelli cosmici, può organizzarlo in strutture via via più complesse, fino ad una scala X (fuori da ogni possibilità umana di misurazione) e così, come già è successo fra microcosmo e cosmo, vi potrebbe essere ulteriore aggregazione della materia in un ultra-cosmo. La nostra speculazione, induttiva verso una crescente organizzazione della materia, non avrebbe motivo per esaurirsi ad un livello finito di strutture e potrebbe proseguire all'infinito.

Per contro, spingendosi con l'indagine scientifica su scale delle dimensioni di Planck, (10 cm) incontriamo un'entità che dai fisici teorici è chiamata superstringa. È affascinante, e intrigante allo stesso momento, scoprire che l'indagine odierna sulle piccolissime porzioni dello spazio pare fermarsi proprio a quelle scale che dovrebbero essere proprie delle dimensioni di un atomo di un atomo (piccolo da essere in rapporto con il nucleo atomico così come il nucleo atomico lo è col Sole!). A queste scale, da un'iper-vuoto, prossimo al nulla, dovremmo veder spuntare delle strutture ultra-microcosmiche, con tutta la loro incredibile complessità! È ciò che realmente accade e la struttura stessa dello spazio, a queste scale, si lacera!

Lasciamo indietro sia gli ultra-cosmi, sia gli ultra-microcosmi che, anche se esistessero, non saranno evidenziabili con gli attuali mezzi tecnico-scientifici perché la fisica teorica non è ancora pronta per prendere in considerazione, senza indugi, la pura speculazione da cui essi prendono forma. Ma possiamo efficacemente focalizzare tutta la nostra attenzione sul cosmo e sul microcosmo e sulle quattro interazioni fondamentali che conosciamo abbastanza bene.

Va osservato che vi sono interazioni come la nucleare forte e debole che operano in ambito sub-nucleare e che sono già ininfluenti su scale appena più grandi. L'interazione elettro-magnetica ha un largo campo d'azione, sembra da 10 m a pochi chilometri (potrebbe andare anche oltre, ma non ne abbiamo prova diretta). La forza gravitazionale si pensa che agisca ad ogni livello di scala, ma ne abbiamo prova diretta solo sulle grandi e grandissime scale.

Una considerevole differenza fra lo status del microcosmo e quello cosmico è dovuta ad una sostanziale differenza fra le due grandi interazioni che li governano, quella elettromagnetica nel microcosmo e quella gravitazionale nel cosmo.

A causa del bipolarismo dell'interazione elettromagnetica (attrattivo-repulsivo) il micro-cosmo è auto-sussistente. Per contro, la gravitazione, essendo attrattiva a tutte le scale, genera un cosmo auto-sussistente solo se in perenne espansione o in perenne compressione.

Ritornando alle impressionanti analogie che abbiamo discusso, e all'eventualità che le differenze possano essere solo apparenti, potremmo anche supporre che una delle due interazioni o addirittura tutte e due possono nasconderci dei segreti, così che ciò che accade in un nucleo atomico o in una stella, all'interno dell'atomo o nel sistema solare, non è espressione di leggi analoghe, ma addirittura è un effetto delle stesse leggi.

Ciò che abbiamo affermato è un asserto fortissimo e ha come dato implicito il fatto che se così fosse ci deve essere un legame molto forte fra alcune interazioni e, addirittura, qualcuna può essere compresa in altre.

Se riuscissimo a dimostrare questo asserto avremo scardinato la fondamentalità delle quattro interazioni e addirittura si potrebbero prevedere le cause comuni che le generano. È ciò che i fisici teorici hanno perseguito da sempre, unificare le interazioni e finalmente accalappiare la fuggitiva gravitazione universale in uno schema più comprensibile e meno libertino (l'interazione gravitazionale è sempre stata la più difficile da inserire in un contesto unico).

Prima di proseguire è doveroso ricordare che nel cosmo esistono ancora molti dilemmi, uno dei più importanti è la velocità di rotazione delle galassie. Dalla misura della velocità di rotazione di molte galassie, ci si è resi conto che questa può essere generata da effetti gravitazionali solo se oltre alla materia visibile c'è un'enorme quantità di materia oscura, distribuita uniformemente anche nel vuoto, che in quantità supera abbondantemente quella visibile. Ancora oggi non si sa in quale misteriosa forma esiste tale materia o se esiste veramente. Il fatto è che la forza gravitazionale, generata da ciò che di materia è visibile, non sembra essere affatto in grado di giustificare le grandi velocità dei bracci degli agglomerati galattici. In realtà, la gravitazione, intesa come unico motore del cosmo, potrebbe essere inadeguata a giustificare ciò che osserviamo, perciò, siamo costretti ad inventarci un'ingente forma fantasma di materia oscura, irrilevabile per strade diverse che non sia il suo presunto effetto.

Cominciamo col rendere le scale microcosmica e cosmica perfettamente simili, con un ugual numero e tipo di leggi fisiche che le governano e vediamo dove possono sorgere le difficoltà, per verificare se possono essere superate facendo ricorso a ciò che conosciamo o se dobbiamo ricorrere a qualcos'altro, criticandone il peso e la plausibilità.

Durante la nostra indagine iniziale sul microcosmo ci ha assalito un dilemma: cosa tiene realmente unite le varie parti dell'elettrone, cariche tutte negativamente? Ebbene, c'è qual­che forza che mantiene insieme le varie porzioni di materia o dobbiamo ammettere che, alle distanze paragonabili alle di­mensioni della particella, viene meno la forza elettromagnetica. In realtà, ciò è stato sperimental­mente provato, ma la maggior parte degli scienziati preferisce pensare che, alle brevi distanze, l'interazione elettromagnetica viene meno, poiché, il protone e, forse, anche l'elettrone sono par­ticelle non punti­formi, le cui cariche sono diffuse nello spa­zio immediata­mente circostante. Tuttavia, anche un'eventuale diffusione spaziale della carica elettronica non giustificherebbe la possibilità di esistenza della particella stessa.

Se l'elettrone non potesse essere costituito da parti, essendo esso stesso la più piccola parte di un qualcosa e così anche il quark, tutto tornerebbe, perché, le parti­celle così, sono gli elementi indivisibili, dai quali tutto si ge­nera.

Il fatto che una situazione analoga si ripresenta nelle stelle e i nei pianeti, anche se per opera di una forza diversa, ci induce a supporre che l'elemento, realmente indivisibile, non esiste, perciò, anche la superstringa dovrebbe avere una struttura interna più elementare. L'ammissione, a priori, della similitudine fra ciò che si osserva su scala cosmica e quello che esiste su scala microcosmica, come dato di fatto, la­scia in­tuire che vi sia un'altra interazione, responsabile del­l'auto-aggre­gazione e la consistenza delle particelle leggere, siano esse elettricamente cariche o meno, siano esse cosmiche o micro­cosmiche. Se tale interazione esistesse, allora, il nu­mero di forze fon­damentali salirebbe a cinque. Tuttavia, quando ci si focalizza sul cosmo, tale numero è destinato a salire an­cora, infatti, per l'analogia che abbiamo evidenziato, la forza che aggrega la materia stellare, quella che aggrega la materia dei pianeti e governa i sistemi satelli­tari, quella che governa il sistema solare, do­vrebbero tutte essere diverse e fondamentali. Come abbiamo osservato, nel Sole e nelle altre stelle vi è una forza d'espansione termonucleare, oltre a quella at­trattiva gravitazionale, che ne evita il collasso.

Il quadro delle interazioni sembra si sia improvvisamente espanso e complicato. Tuttavia, dobbiamo avere il sospetto che la materia cosmica non sia neutra elettricamente e che il Sole e la Terra siano rispettivamente carichi positiva­mente e negativamente. Ciò annullerebbe quell'interazione Terra-Sole, che abbiamo sem­pre imputato all'azione gravitazionale. Già, ma i vecchi problemi si ri­percuotono sulle singole parti­celle dei pianeti e delle stelle.

È ovvio che se i sistemi planetari non fossero generati dalla gravitazione, ma da una sorta di forza elettromagnetica cosmica, non potrebbe essere la gravitazione, così come la cono­sciamo, a tenere assieme la materia dei pianeti e delle stelle o a formare i sistemi satellitari. In teoria, noi dovremmo cadere al suolo e la Luna e la Terra interagire a causa di una forza diversa da quella che si manifesta fra Terra e Sole. Eppure, utilizzando la teoria gravitazionale o la più precisa Relatività Generale, ab­biamo risolto molti, ma ve­ramente molti problemi, sia del moto dei corpi cosmici, sia del moto satellitare, allora, cosa ci inventiamo? Le Scienze, in genere, sanno bene che la giusta risposta è quella che, oltre a dare i corretti numeri dei fenomeni osservati, ne individua an­che le cause. Quello che cerchiamo è l'origine della caduta dei gravi e dei satelliti (naturali e non) e l'origine del moto dei pianeti. Anticipiamo, che la causa di queste intera­zioni, va ri­cercata nella carica elettrica residua posseduta dai corpi materiali, freddi (non stellari) o caldi (stellari).


La legge di gravitazione universale, mostra che le accele­ra­zioni su­bite dalle particelle che interagiscono sono inver­sa­mente proporzionali alle rela­tive masse, sicché, la Terra è sottoposta ad una grande accele­razione centripeta e il Sole ad un'accelera­zione esigua.

La legge gravitazionale mostra, inoltre, che il Sole attira la Terra come questa attira il Sole. Tuttavia, la teoria di Newton, che esprime in forma matematica perfetta la legge gravi­tazionale, non ha la pretesa di spie­gare la causa della forza, ma solo gli effetti di essa. La teoria della Re­latività Generale, che fa risa­lire la gravitazione ad una de­formazione dello spazio-tempo, che le masse stesse produ­cono, risolve il problema dell'inte­razione a distanza, (problema scomodo per Newton) ma non risolverebbe il problema del bipolarismo che stiamo ipotizzando, ossia, non prevede un effetto re­pul­sivo, fra masse analo­ghe, (o en­trambe calde o entrambe fredde) a grandi distanze.

L'effetto delle masse sullo spazio-tempo è stato spesso divulgato con la deformazione di una membrana di gomma tesa e delle sfere pe­santi che la deformano. Il tutto può essere rappresentato come in figura 1, che ne riporta solo una sezione.

Figura 1. L'effetto risultante della deformazione dello spazio-tempo (deformazione della membrana) è la forza d'attrazione fra la massa 1 e la massa 2.


Chiaramente, la Relatività Generale, considerando solo l'aspetto unipolare della gravitazione, genera un unico modo (unico verso) di deformazione dello spazio-tempo. Ammettendo l'ef­fetto repulsivo, a grandi distanze, di masse analoghe, (cariche dello stesso se­gno) dovremmo considerare la possibilità di avere due versi di deforma­zione sullo stesso spazio-tempo. L'ef­fetto repulsivo fra due masse analoghe o due cariche dello stesso segno, può ancora essere rappresen­tato con una mem­brana tesa, ma le defor­mazioni prodotte de­vono es­sere sim­metriche. Rappresen­tiamo l'effetto in fi­gura 2.



Figura 2. Le due cariche rappresentate sono entrambe positive, ma una situa­zione analoga si sarebbe generata se le due cariche fos­sero state en­trambe negative.


In un tale modello è evi­dente come una deforma­zione simmetrica dello spazio-tempo, possa produrre una forza re­pul­siva, anziché attrattiva. È chiaro che tutto ciò è una gran­dissima astrazione matematica della realtà e, per avere senso, bisognerebbe interpretare fisicamente la curvatura simmetrica dello spazio-tempo, generata da due cariche dello stesso se­gno. Vedremo che la realtà è molto più complessa di quanto ora esposto, se analizziamo il resto delle interazioni da un punto di vista ancora più generale.

Ritorniamo ai fenomeni sostanziali, che devono essere analizzati per comprendere se è possibile che abbiamo potuto confon­dere, nel sistema solare, la forza elettromagnetica, che si manifesta fra cariche in moto, con una forza che conferi­rebbe ca­ratteristiche speciali alla massa dei corpi: la gravita­zione.

Se qualcuno, prima di Newton, avesse misurato una forza di repulsione fra i pianeti solari, sarebbe stato arduo per chiun­que, compreso Newton stesso, assimilare l'interazione pia­neti-Sole all'interazione Terra-Luna o Terra-corpo.

In tempi più recenti, si è mostrata l'evidenza di una carica elettrica terrestre, che genera un campo elettrico attorno al pia­neta. Ciò può lasciare perplessi molti, non solo fra i profani, ma anche fra gli scienziati non specialisti e per noi, po­trebbe essere la chiave d'interpretazione dei fenomeni che ge­nerano la caduta dei gravi e l'interazione lunare. Analiz­ziamo, tale aspetto, an­cora poco noto, del campo elettrico ter­restre.


Spostandosi dal livello del mare, oppure da un terreno de­sertico, verso l'alto, si misura un potenziale elettrico di circa 130 V/m. Quindi, esiste un campo elettrico verticale E, corrispondente ad una carica negativa, sulla superficie terre­stre.

Un qualsiasi oggetto, posto sul suolo, (sia esso isolante o conduttore elettrico nel senso classico) distorce le superfici equipotenziali del campo, fino a rendere nulla, o quasi, la differenza di po­tenziale ai suoi estremi (in pratica si comporta come un per­fetto conduttore ed acquista lo stesso potenziale in tutti i punti). Per questo motivo, non prendiamo la scossa quando camminiamo, dovendoci essere, fra piedi e naso, più di 200 Volt.

La distorsione delle linee equipotenziali, avviene per merito di cariche negative, che raggiungono la sommità dell'oggetto, così da annullare il campo elettrico all'interno di esso.

La carica Qa che si trova accumulata sulla superficie di in­terfaccia fra suolo ed atmosfera, può essere calcolata misu­rando la corrente di ioni positivi che, attratti dal campo terre­stre, cadono al suolo, per unità di su­perficie e unità di tempo. Tale carica è pari a 5.86 ·10 C.

Il campo elettrico terrestre continua ad esistere anche se si va a grandi altezze, ma diminuisce rapidamente, in funzione della quota. A circa 20 Km d'altezza, il campo elettrico è al­l'incirca nullo, in ogni caso, la differenza di potenziale, fra la superficie della Terra e il limite superiore dell'atmosfera, è di circa 400 mila Volt. Tale variazione di potenziale avviene nei primi 20 - 30 Km d'altezza. A circa 30 Km d'altitu­dine, non vi è più variazione di potenziale in direzione orizzon­tale e l'a­ria può essere considerata, effettivamente, un condut­tore.

Nonostante che una corrente di ioni positivi di circa 1800 Ampere per ogni secondo attraversa tutta l'atmosfera e si de­posita al suolo negativo, la Terra non si scarica, poiché, c'è un pompaggio continuo di ritorno di elettroni dal cielo verso il suolo o di cariche positive dal suolo verso il cielo, feno­meni che avvengono, in parte, attraverso i fulmini nei tempo­rali.

Durante un temporale, il potenziale di 400 mila Volt, che abbiamo nelle giornate serene, viene abbondantemente supe­rato, infatti, fra la parte inferiore delle nuvole cariche negati­vamente e il suolo, possono esservi anche differenze di po­ten­ziale di 20, 30, o anche di 100 milioni di Volt ed è ciò che in­nesca il fulmine.

I problemi nello studio dei meccanismi di un temporale non sono ancora totalmente risolti, poiché, non è chiaro, ad esempio, perché la carica al suolo non può essere neutraliz­zata, o ciò che è lo stesso, non si sa perché non può variare il potenziale elettrico del suolo terrestre. Inoltre, non si conosce ancora il meccanismo di separazione di cariche che genera, du­rante un temporale, nella parte bassa della nuvola, un po­tenziale negativo così elevato.

In una formazione temporalesca le cariche negative si tro­vano a circa 3 - 4 Km d'altezza, ove la temperatura è com­presa fra 0 e -10 °C, mentre, quelle positive a 5 -7 Km.

Il potenziale dell'atmosfera, è modificato da una lenta e costante corrente di ioni positivi in direzione del suolo e, poi, rapida­mente ripristinato dalle scariche elettriche dei tem­porali o da fenomeni meno appariscenti, come le cosiddette scariche oscure, che avvengono per perdita di cariche positive, che dalle punte, che emergono dal suolo, si trasferiscono alle nubi negative.


Dopo questa parentesi, ritorniamo al nostro problema cen­trale. Abbiamo già accennato che l'interazione o le interazioni che sorreggono il cosmo e le particelle che in esso si agitano, debbano dipendere da una carica elettrica trasportata dalla materia (non perfettamente neutra elettricamente). Per com­prendere come ciò possa avvenire, dobbiamo analizzare a fondo la forza elettrostatica di Coulomb, che si manifesta fra due cariche q e q poste nel vuoto: F=(q ·q /r )K. La forza F è proporzionale al prodotto delle cariche e ad una costante K=1/4πεo o è la costante dielettrica del vuoto) e inversamente proporzionale al quadrato della distanza r che le separa. Come vedremo, per molti aspetti, il comportamento della legge di Coulomb, è noto nella più ampia casistica.

Cominciamo a chiederci se il campo elettrostatico, gene­rato da una carica o da un guscio sferico, varia esattamente con l'inverso della distanza al quadrato (1/r . L'evidenza di una tale dipendenza, giustifica la legge di Gauss (con­ferma sperimentale del fatto che all'interno di un guscio sfe­rico ca­rico, il campo elettrico è perfettamente nullo ovunque). In questa sede, ci dobbiamo chiedere "quanto perfettamente nullo" è il campo all'interno di una sfera vuota carica, ossia con che grado di approssimazione è vera la legge di Coulomb dell'in­verso di r o, ciò che è la stessa cosa, con che approssimazione è vera la legge di Gauss. È molto importante saperlo, perché un'eventuale diffor­mità, anche molto piccola, della legge di Gauss, in determi­nate circostanze, potrebbe avere delle conseguenze, poco o per niente note, sul comportamento generale delle cariche in con­dizioni poco con­suete come, ad esempio, le grandissime o le piccolissime di­stanze reciproche.

Fortunatamente, esperimenti molto accurati di misure di campo elettrico, in grandi sfere cave, possono fissare un limite superiore alla deviazione dell'esponente dal valore due, nella legge di Coulomb, per distanze da centimetri a qualche metro. Nel 1936, Plimpton e Laughton, misurarono che l'esponente poteva differire da due, per meno che una parte su un miliardo. La stessa approssi­ma­zione per la legge di Coulomb, fu ottenuta nel 1947, da Lamb e Retheford, per distanze d'ordine atomico, indagando sulle posizioni relative di due particolari livelli energetici del­l'atomo d'idro­geno.

Da misure effettuate nel campo della fisica nucleare, anche a distanze di 10 m esistono forze elettrostatiche che variano ancora approssimativamente con 1/r . Indagini su distanze di 10 m, compiute bombardando protoni con elettroni molto energetici e osservando la loro diffusione, confermano che la legge di Coulomb viene meno e la forza elettrostatica è circa 10 volte più debole. Vi sono due possibili spiegazioni per questo fatto, una è che la legge di Coulomb non è più valida a tali distanze, l'altra è che le cariche del protone o dell'elet­trone o entrambe non siano puntiformi. La maggior parte dei fisici, preferisce pensare che le cariche delle particelle, siano diffuse in un piccolo spazio e non concentrate, infinitamente, in un punto senza dimensioni, come dovrebbe essere nel caso dell'elettrone.

Come abbiamo visto, passando da distanze che vanno dal me­tro a 10 m, la legge di Coulomb è da considerare valida, ma non solo, è stato dimostrato che, anche la costante K=1/4πεo rimane la stessa, al­meno con una precisione di 15 parti su un milione.

Ci sono abbastanza dati che si ricavano dai fatti speri­men­tali e sono chiari. Cosa possiamo dire della legge di Cou­lomb, per distanze che vanno da qualche metro fino alle centi­naia, migliaia o milioni di chilometri? Non abbiamo nes­suna possibilità sperimentale diretta di verificare se, per tali distanze, la legge di Coulomb sia corretta o meno, salvo qual­che rela­zione indiretta, che darebbe valida la legge fino a pa­recchi chi­lometri. Però, confronti per similitudine, fra il mi­crocosmo e il cosmo, ci danno delle indicazioni preziose.

Nei pressi di un protone, per distanze dell'ordine di 10 m, ab­biamo constatato due condizioni, quella della non validità della legge di Coulomb (conseguenza della probabile diffusione di carica della particella) e quella dell'inapplicabilità del fattore εo relativo alla costante dielettrica del vuoto, che compare nella costante K. È probabile, che ciò accada in prossimità di qualsiasi particella. È come se, nei pressi di una particella subatomica, oltre ad esserci una carica elettrica diffusa, lo spazio che la cir­conda, non può essere considerato vuoto, di conse­guenza, il fattore K andrebbe corretto.

Per analogia, lo spazio che circonda la Terra e quello che circonda il Sole dovrebbero essere spazi "carichi" elettrica­mente, poiché, devono contenere, in qualche modo, la loro carica elettrica cosmica che, su tale scala, le rende delle particelle.

Sempre per analogia, consideriamo, per adesso, la Terra. A grandi distanze, essa dovrebbe essere dotata di una certa ca­rica negativa, che interagirebbe con la carica positiva solare, tramite una forza attrattiva che deve variare con l'inverso di r (legge di Coulomb cosmica). A distanze più brevi, la forza non varierebbe più con l'inverso di r , né per l'interazione della Terra con il Sole, né per l'interazione di un qualsiasi corpo con la Terra. Sempre per analogia, se la Terra è da conside­rare un corpo dotato di una carica diffusa in una sorta d'alone, come una grandissima atmosfera, così deve essere an­che per un qualsiasi corpo materiale, di qualsiasi dimensione.

Descriviamo, per grandi linee, cosa dovrebbe accadere fra un corpo qualsiasi e la Terra, a diverse distanze, sempre tenendo conto delle analogie con il microcosmo e le osservazioni spe­rimentali fatte su di esso.

Quando un corpo è sufficientemente lontano dalla Terra, la sua carica negativa interagisce repulsivamente con la carica negativa terrestre, secondo la legge di Coulomb cosmica, che varia esattamente con l'inverso di r . Quando il corpo entra nell'alone di carica negativa terrestre, la carica effettiva di quest'ultima diminuisce e, quindi, la forza repulsiva, al dimi­nuire di r, non cresce più come dovrebbe.

La consistenza e l'auto-coesione delle particelle microcosmi­che può nascere dal venir meno della legge dell'inverso di r e, quindi, della legge di Gauss, nei pressi delle particelle stesse. Nel microcosmo, il venir meno della legge di Gauss, a di­stanze di 10 m, come abbiamo visto, è un fatto sperimen­tale e può portare a conseguenze estreme, invertendo la forza elettrostatica da repulsiva ad attrattiva.

La validità della legge di Gauss, dipendendo dalla propor­zionalità della forza con l'inverso di r , che si ha nella legge di Coulomb, è ad essa collegata in maniera biunivoca. Se la legge dell'interazione elettrostatica non variasse esat­tamente secondo l'inverso di r , non sarebbe vero che il campo all'in­terno di una sfera cava, uniformemente carica in superficie, è esattamente nullo e cadrebbe la legge di Gauss. Ad esempio, se la forza variasse più rapi­damente che con 1/r , all'interno di una sfera, la porzione della superficie che è più vicina ad un punto interno, produrrebbe un campo più grande di quello generato dalla superficie che si trova più lontano e, conse­guentemente, il campo interno alla sfera cava non sa­rebbe nullo ovunque, anzi, varierebbe da punto a punto. In tal caso, per valutare il campo in un punto di una sfera carica elettricamente, distante r dal centro, non sa­rebbe sufficiente tener conto del solo campo prodotto dal vo­lume interno alla superficie gaussiana di rag­gio r, ma si dovrebbe consi­derare anche il campo prodotto dal volume esterno alla super­ficie stessa. Poiché, è una prova sperimentale la non validità della legge di Gauss nelle imme­diate vicinanze di una parti­cella subatomica, quale indizio più potente abbiamo, per con­cepire una non validità della stessa legge di Gauss, nelle im­mediate vici­nanze di particelle cosmi­che come la Terra?

Cominciamo con l'ipotizzare che la Terra abbia una carica ne­gativa diffusa nello spazio circostante e cerchiamo di capire da quale fenomeno è generata la caduta dei gravi e l'in­terazione di tipo satellitare. La non validità della legge di Gauss, nello spazio circostante la Terra, fa sì che su un corpo, che è immerso in esso, agiscono due forze. Una forza repul­siva, dovuta alla carica negativa racchiusa nel volume in­terno, è di­retta radialmente verso l'esterno e l'altra, sempre repul­siva, dovuta alla carica negativa racchiusa nel volume del mantello esterno, è diretta radialmente verso il centro del­l'a­lone di ca­rica (che, nella simmetria sferica, coincide con il cen­tro della Terra). L'interazione ri­sultante, è la diffe­renza fra queste due forze descritte, ed è responsabile della ca­duta dei gravi e dei sistemi satellitari e corrisponde, numeri­camente, alla forza gravitazionale di Newton, misurata sulla Terra.

La non validità della legge di Gauss, nelle vicinanze di un pianeta, inoltre, spiega l'impossibilità di schermare la forza gravitazionale, che da punto a punto, è sempre la risultante di due forze opposte, dalle differenti intensità.

Avvicinandoci man mano alla Terra, da molto lontano, l'interazione repulsiva si discosta sempre di più dall'andamento di 1/r . Quando il corpo si immerge nell'alone carico sente una forza repulsiva che diviene sem­pre meno intensa, poiché, cresce la carica nel mantello. Ad una certa distanza, il corpo, prima si ferma e poi viene respinto dalla carica nel mantello, verso il centro della Terra, inizialmente con andamento complesso, poi, sempre più approssimativamente a 1/r

Affinché questo comportamento generale dell'interazione elettrostatica, possa essere l'origine dell'effetto gravitazionale, così come la conosciamo nel cosmo, deve essere compreso un altro aspetto caratteristico della gravitazione: il legame fra la massa di un corpo e la carica elettrica che essa trasporta.

La proporzionalità fra la massa fredda (planetaria) e la carica elet­trica negativa associata è indispensabile per giustificare la causa ge­nerale della gravitazione e anche per avere da essa lo stesso esatto ri­sultato numerico espresso dalla legge di Newton. Per poter concepire un legame fra massa e carica elettrica associata ad un corpo, dobbiamo analiz­zare la nota legge di quantizzazione della carica. Un grande enigma, non ancora oggi compreso, è la per­fetta uguaglianza della carica elettrica assoluta posseduta da particelle molto diverse come il protone e l'elettrone.

Intorno agli anni '60, fu eseguito un esperi­mento per evi­denziare un'eventuale piccolissima diffe­renza, fra la carica elettrica delle due particelle. Una gran quantità d'idrogeno, fu compressa all'interno di un conteni­tore isolato elettrica­mente dall'ambiente circostante e fu poi fatta fuoriu­scire, evi­tando, con particolari sistemi, l'emis­sione d'even­tuali ioni. Anche con una piccolissima diffe­renza di carica fra protone ed elettrone, si sarebbe dovuta mi­surare, sul conteni­tore, una certa carica residua, tuttavia, dopo la com­pleta fuoriuscita del gas, nulla fu osservato.

Tenendo conto della precisione dell'espe-rimento, si po­teva asserire che se c'era una differenza fra le cariche dell'elet­trone e del protone, questa doveva essere più piccola di 1 su 10 , ossia, la carica residua di un atomo, doveva essere più piccola di 10 volte la carica elettronica (1.6·10 C).

In realtà, ci rendiamo conto che in tal modo misu­riamo un'eventuale carica elet­trica residua, nelle immediate vicinanze del corpo, ma non a grandi di­stanze. Capiremo meglio fra poco il significato di ciò.

Se la carica del protone, fosse esattamente uguale a quella dell'elettrone e il campo elettrico da loro prodotto, variasse allo stesso modo con la distanza, la carica residua della ma­teria, sa­rebbe esattamente nulla ovunque.

Per le analogie tirate in gioco, è chiaro che la carica del protone e dell'elet­trone non sono esattamente uguali o non generano campi elettrici che si comportano allo stesso modo nello spazio. Una piccolissima differenza, sa­rebbe in grado di giustificare la carica negativa nell'alone che accom­pagna la materia cosmica. Del resto, neanche le più odierne teorie riescono a giustificare un'uguaglianza così spinta fra le cariche di particelle così notevolmente differenti.

Oltre a dover comprendere com'è possibile l'esistenza di una proporziona­lità fra massa e carica di un corpo, dobbiamo esplorare le cause della lieve difformità della legge elettrostatica, che fa venir meno la validità della legge di Gauss, sia nelle vici­nanze delle particelle subatomiche, sia nelle vicinanze di quelle co­smiche.

Una proporzionalità fra massa di un corpo e carica residua, ad essa associata, implicherebbe che tutte le particelle pesanti, vale a dire, i nucleoni, (sia protoni, sia neutroni) di un nucleo atomico, debbano contribuire alla ca­rica residua.

Un atomo neutro è costituito da tanti elettroni quanti pro­toni ci sono nel nucleo, ma vi è in più un certo numero di neutroni, privi di carica elettrica. Se considerassimo la carica residua come derivante dalla differenza di carica fra quella degli elettroni e quella dei protoni del nucleo, non si avrebbe la dipendenza dalla massa dell'atomo. È evidente, allora, che a questa carica residua debbano contribuire, in uguale misura, o quasi, anche i neutroni.

È importante osservare che i neutroni possono essere considerati come una coppia virtuale protone-elettrone, infatti, in certe condizioni, (fuori dal nucleo atomico) essi decadono in tali particelle. In realtà, a grandi di­stanze, non dovrebbe quasi esserci alcuna differenza fra la carica residua di un atomo d'idrogeno (costituito da un protone e un elettrone) e quella di un neutrone, costituito potenzialmente anch'esso dalle stesse particelle. Pertanto, se in un atomo il numero di nucleoni (protoni più neutroni) è N, vi saranno anche N elet­troni, alcuni dei quali orbitano intorno al nucleo e altri sono costi­pati nei neutroni. Vi sarà uno stesso numero anche di pro­toni, alcuni dei quali, costipati nei neutroni.

In base a ciò, a temperature non stellari, la carica residua q di un atomo può essere così espressa: q=N(p-e) ove p-e è la differenza fra la carica del protone e quella dell'elettrone. Cosa importante, se mo è la massa del nucleone, la carica q può essere così espressa: q=m(p-e)/mo ove m è la massa dell'atomo considerato. Tutto ciò può es­sere esteso ad un corpo con un numero qualsiasi di atomi, di specie differenti e la carica residua risulterà essere proporzio­nale alla massa del corpo e alla differenza di carica fra pro­tone ed elet­trone, essendo mo una costante. Tutto ciò, è plau­sibile e rende molto meno misteriosa la dipendenza dell'in­terazione gravitazionale dalle masse dei corpi.

La non validità della legge di Gauss, nello spazio che cir­conda le particelle, siano esse microcosmiche o cosmiche, es­sendo la causa dell'interazione a brevi distanze, ci dà indizi su un altro aspetto importantissimo.

L'alone di carica negativa terrestre si deve estendere per molti chilometri nello spazio, si tenga presente che la Luna, si trova a circa 60 raggi terrestri di distanza (quasi 4·10 m) e la legge gravitazionale è ancora valida.

Poiché, non esiste un equilibrio elet-trostatico stabile di cariche elettriche (od ioni) diffuse nello spazio, la presenza dell'alone di carica attorno alla Terra è da spiegare attraverso un meccanismo diverso.

Si deve ammettere che nella materia fredda (non stellare) il campo elet­trico protonico e quello elettronico, al variare della distanza, abbiano andamenti lieve­mente differenti ed è ciò, che va a generare un alone di carica negativa attorno ai corpi materiali.

Come abbiamo visto, in un corpo di massa m vi sono m/mo protoni, (di cui un certo numero sono costituenti dei neutroni) ed m/mo elettroni (di cui lo stesso numero sono anch'essi costituenti dei neu­troni). Gli m/mo protoni, generano un campo positivo E e un altrettanto numero d'elettroni, generano un campo negativo E . Come ab­biamo visto, nelle imme­diate vicinanze del corpo, E ed E sono quasi uguali e, per l'idrogeno, la dif­ferenza di carica per atomo, è più piccola di 1.6·10 C. Però, man mano che ci si allontana dal corpo, la differenza fra E+ ed E si esalta ed esso comincia ad apparire con una carica nega­tiva che aumenta al­l'aumentare della di­stanza, il che si ripercuote con un compor­tamento del campo elettrico totale non dipen­dente perfettamente da 1/r . È come se mano a mano che ci si allontanasse da un corpo, gli elettroni esterni ai nuclei atomici riuscirebbero a schermare una parte sempre più grande della carica positiva. Ciò, come abbiamo visto, in questo dominio di distanze, infrange la legge di Gauss.

A causa di ciò, la differenza di carica p-e, come effetto schermante degli elettroni sui protoni, dipende dalla distanza alla quale le particelle vengono osser­vate, tendendo, all'aumentare di questa, ad un valore costante: p-e≠0=cost. Per questo motivo, anche la carica q di un corpo di massa m, dipenderà dalla distanza.

Vediamo, ora, di ricavare la forma matematica della legge di Newton a partire dalle interazioni di tipo elettrostatico e dalle ipotesi fin qui descritte, non dimostrate, ma plausibili, poiché, non contraddette da fatti sperimentali. Calcoliamo le forze elettrostatiche che agi­scono su un corpo che si trova ad una certa altezza dal suolo (ad una distanza r dal centro della Terra). La carica ne­gativa presente nel volume di raggio r è -Q(r) e varia con la distanza; analogamente la carica negativa del mantello è -Qest.(r) e an­ch'essa varia con distanza. Se l'intera carica ter­restre è -Qo (percepibile a grandissime distanze) si può scrivere la relazione:


- Qest.(r) = - Qo - [-Q(r)] cioè: Qest. = Qo - Q(r).


Sul corpo di carica -q si hanno due forze, una repulsiva, radiale e diretta verso l'esterno, Fr, e l'altra sempre repulsiva, radiale, ma diretta verso il centro della Terra, Fa. Se poniamo che c sia la co­stante d'interazione fra le cariche cosmiche poste nel vuoto, si può scrivere l'espressione per queste due forze:


Fr = Q(r)qc/r e Fa = - [Qo - Q(r)]qc/r


Qui il segno positivo indica il verso che va dal suolo terre­stre in alto, lungo la con­giungente del corpo e il centro della Terra e il segno negativo indica il verso opposto. La forza ri­sultante F sarà la somma delle due forze:


F = 2Q(r)qc/r - Qoqc/r


Vediamo che per r medio-piccolo, Qo»Q(r), pertanto, il termine negativo prevale nettamente sul termine positivo e, con buon'approssimazione, si ha:


F = - Qoqc/r


ed è una forza attrattiva. Invece, per r sufficientemente grandi, poi­ché, il va­lore di Q(r) tende a Qo, si ha che:


F = Qoqc/r


ed è una forza repulsiva. Per r tali per cui il valore di Q(r) non è trascurabile rispetto a Qo, si ha una forza risultante al­quanto complessa, il cui an­damento non è approssimabile a 1/r e di­pende dalla reale funzione matematica di Q(r).

Quando r è medio-piccolo l'espressione della forza deve dare un valore pari a quello che la legge di Newton dà sulla Terra e si deve verificare:


- Qoqc/r = - mMG/r


ove M è la massa ter­restre, m la massa del corpo e G la costante di gravitazione universale. Semplificando si ha:


Qoqc = mMG.


Da qui si ricava che: G=Qoqc/mM, ma essendo Qo/M=q/m, si può anche scrivere che: G=q c/m =Qo c/M oppure, in generale, per un corpo qualsiasi di carica residua q e massa m si ha: q=m√G/c

Ricordando la re­lazione fra carica di un corpo e massa, già discussa, possiamo scrivere:


Qo = M(p-e)/mo e q = m(p-e)/mo


Per variazioni di r non troppo ampie, in prima approssi­mazione, p-e è da consi­derare un valore indipendente dalla distanza. Sostituendo queste relazioni nell'equazione iniziale e semplificando abbiamo:


G = (p-e) c/mo2


Per trasformare numericamente l'interazione gravitazionale in quella di Coulomb cosmica, si deve sostituire al valore G, quello ricavato sopra e alle masse, le relative cariche cosmiche date da: q=m(p-e)/mo, oppure q=m√G/c

La prima conseguenza delle nostre osservazioni, è di aver reso vano l'artificio gravitazionale, che assegna alle masse, una proprietà meno chiara che non quella delle cariche elettriche che esse, inevitabilmente, trasportano. Abbiamo ucciso una delle quattro interazioni con cui il mondo fisico si manifesta? Se è così non è poco, davvero, in quanto anche la Relatività Generale risulterebbe un artificio, esprimendo soltanto l'aspetto attrattivo di corpi materiali quasi sempre naturalmente non neutri elettricamente!

Ci chiediamo come mai una soluzione tutto sommato semplice, ci possa essere stata nascosta meticolosamente. In effetti, il gran segnale, che avrebbe dovuto spingerci ad intraprendere, già molto tempo fa, questa strada, era l'osservazione che le leggi gravitazionale ed elettrostatica variano entrambe esattamente secondo l'inverso di r . Tuttavia, abbiamo visto come l'unificazione, fra le due fenomenologie, deve tener conto di tante conoscenze, che non si avevano al tempo della scoperta della forza elettrostatica, avvenuta più tardi di quella gravitazionale. Solo oggi, con le nostre attuali conoscenze, e una serie di osservazioni e d'ipotesi, possiamo pensare di incastrare tanti tasselli, al posto giusto, apparentemente senza legami, per dare, al mondo scientifico, uno stimolo molto potente.

Se attribuissimo alla costante c, dell'interazione cosmica, lo stesso valore K=1/4πεo dell'interazione microcosmica, si ri­caverebbe che, in valore assoluto e a grandi distanze, p-e=1.4 ·10 C.

Se quest'assunzione avesse una qualche validità, affinché la carica residua della materia, sia la vera responsabile degli effetti gravitazionali, la differenza media di carica, fra protone ed elettrone, a grandi distanze, non deve essere molto lontana dai limiti di misurabilità, ottenuti negli espe­ri­menti di laboratorio a brevi distanze, ove p-e<1.6·10 C.

Per completezza, si tenga presente che andando a considerare lo spazio ter­restre dell'alone di carica, non dovremmo considerarlo alla stessa stregua dello spazio vuoto, per analogia con il micro­co­smo, pertanto, la costante c d'interazione elettrica co­smica fra Terra e corpi, non dovrebbe, a rigore, essere paragonata a K, che non tiene conto di e, costante dielettrica relativa del mezzo.

Il valore di c, che è re­lativo all'intera­zione elettrica fra corpi cosmici posti nel vuoto, è il valore più grande che si può avere, fra i vari casi, e avendolo posto uguale a K valido nel microco­smo, possiamo stimare le cariche elettriche dei corpi cosmici freddi. La carica Qo che la Terra avrebbe, vista da grandi di­stanze, è: Qo= M(p-e)/ mo C.

Nulla ci assicura che c nello spazio circostante la Terra debba mantenersi costante con la distanza, anzi, siamo partiti dall'osservazione dell'opposto, pertanto, la reale interazione elettrostatica, che so­stituisce la legge di Newton di caduta dei gravi, po­trebbe es­sere, in realtà, molto complessa. Fortu-natamente, abbiamo visto che questa complessità diviene importante quando c'interessiamo a grosse variazioni di distanze, ed essere co­stretti a considerare il corretto aspetto matematico (il reale scostamento dalla legge di Gauss). Del resto, la variazione delle grandezze elettriche, passando da brevi a grandi distanze e la non validità della legge di Gauss, stravol­gono l'andamento puramente attrattivo della legge gravitazio­nale classica.


Analizziamo, ora, un altro aspetto importante e fondamentale, quello della differenziazione delle cariche fra i corpi caldi e freddi.

Una delle condizioni fisiche, che può rendere diversa la ma­teria del Sole da quella terrestre, è la temperatura, perciò, è in questa direzione che va cercata la causa della differenzia­zione di ca­rica fra i due corpi celesti.

In effetti, la materia fredda dei corpi celesti (che non siano stellari) ha una struttura definita dalla chimica e dalla fisica operanti sulla Terra, mentre, la materia stellare, in forma di plasma, ha una struttura totalmente governata dalla fisica delle alte temperature. È questa differenza di base fra la materia fredda e quella stellare che genera due opposti comportamenti a livello di cariche elettriche residue.

Consideriamo l'atomo d'idrogeno. Quando la tempera­tura è quella dello zero assoluto, la carica dell'atomo è ne­ga­tiva. Ma a questa tem­peratura, con buona approssima­zione, l'atomo possiede l'energia del solo elettrone. Il cre­scere della temperatura, entro certi limiti, va ad aumentare l'energia cinetica media dell'a­tomo (in pratica coincidente con l'energia cine­tica del protone) e va a mitigare la carica negativa.

Conseguenza di ciò è che una relazione fra energia cinetica e carica si associa non solo al­l'a­tomo nella globalità, ma anche ai sin­goli costituenti, elet­trone e nucleo. Questo significa che un elettrone fermo deve avere una carica elettrica, in valore asso­luto, più pic­cola di quella di un elettrone in movimento e così deve essere anche per il protone! In altri termini, la carica di un corpo, al pari della massa, deve essere relativa allo stato di moto.

Va osservato che la velocità del protone non raggiunge mai quella dell'elettrone, a qualunque temperatura; causa di ciò è la diversità di massa esistente fra le due particelle.

Pertanto, se fra carica e velocità del protone ci fosse la stessa re­la­zione mate­matica esistente fra carica e velocità del­l'elet­trone, si desumerebbe che la ca­rica Qo del protone da fermo debba es­sere maggiore della carica qo dell'elettrone a riposo. Così, a diverse velocità, sempre minori di quelle elettroniche, il pro­tone potrà avere carica Q minore, maggiore o uguale alla ca­rica q dell'elettrone.

Si può assumere per il protone e per l'elettrone la seguente re­lazione relativistica:



ove v è la velocità del protone e v è quella dell'elet­trone e c è la velocità della luce nel vuoto.

Tale relazione non è nuova, per la verità, ma compare anche nelle trasfor­mazioni di Lorentz del po­tenziale elettrico f(x,y,z,t) di una carica qo che si muove a velocità v, rispetto ad un sistema di riferimento, però, naturalmente, là non è assegnato lo stesso signifi­cato che stiamo qui attribuendo. La formula del potenziale di Lorentz è la seguente:



Il termine chiuso nelle parentesi tonde rappresenta la trasformazione della coordinata x nel sistema che vede in moto la particella. La relazione in testa a tale formula, invece, che è quella riportata in precedenza, è associata al potenziale vettore A che ha le caratteristiche di un quadrivettore. Notiamo che qualunque sia l'interpretazione matematica della relazione, il significato fisico è abbastanza eloquente. La formula di Lorentz deriva direttamente dalla risoluzione delle equazioni di Maxwell che non sono una curiosità matematica, ma rap-presentano una condizione fisica corretta, perciò il potenziale, nel sistema che vede la carica in moto, è come se fosse generato da una carica q pari a: q=qo/√1-v /c

Dall'analisi del potenziale di Lorentz, possiamo aggiungere che la relatività della carica è già implicita nelle equazioni fondamentali dell'elettrodinamica, perciò la teoria di Einstein non ha dovuto correggerle come è successo con le equazioni della dinamica, ove un'analoga relazione non era stata prevista per la massa.

Le due relazioni relativistiche ci permettono di valutare la carica elet­trica residua Qt asso­ciata ad un atomo d'idrogeno. Nelle due equazioni relativistiche, se i radicali sono rispettivamente indicati con b e b , si può scrivere:


; e


Ricordiamo le equazioni relativistiche relative all'energia cinetica Ep del protone e a quella Ee dell'elettrone:


e


Qui con Mo ed mo si indica rispettivamente la massa a riposo del protone e quella dell'elettrone.

Focalizzandoci sull'equazione relativa al protone si ha:



Se poniamo: qo/mo w e Qo/Mo l si ha che Mo=Qo l Sostituendo otteniamo:



Da qui si ricava b


e in modo analogo


Sostituendo nelle equazioni precedenti Q=Qo b e q=qo b le relazioni ricavate per b e b ed essendo la carica totale (o residua) Qt=Q-q, si ha:



Da qui, riarrangiando i termini, si ricava la seguente equazione:



In effetti, la carica residua dell'atomo d'idrogeno dipende da tre termini, il primo riguarda l'energia del protone, il se­condo l'energia dell'elettrone e il terzo (che è costante), la differenza delle ca­riche a riposo del protone e dell'elettrone. Quando la tempe­ratura non è di tipo stellare, il termine che contiene l'energia del protone è trascurabile, mentre entrano in competizione i restanti due termini.

Quando la tempera­tura è di tipo stellare il primo termine diventa pre­dominante sugli altri due, pertanto, la carica residua dell'a­tomo d'idro­geno diviene positiva e cresce col crescere della temperatura, almeno entro certi limiti.

Nella condizione di bassa temperatura, (materia planetaria) Ep l è piccolo e trascurabile, pertanto, l'equazione della carica residua Qt dell'atomo d'idrogeno può essere così scritta:



In queste condizioni la carica totale residua è nota, l'abbiamo già determinata in precedenza e vale (p-e).

Essendo Ee=1.089·10 J, si ricava: (p-e)=Eew + Qo-qo e quindi:


Qo - qo = 2.12 10 C


Essendo e = 1.6 10 C (carica dell'elettrone in moto attorno al nucleo) si può scrivere:


Qo - qo = (2.12 10 )e = 1.3 10 e


Così, la carica del protone fermo risulta essere maggiore di quella dell'elettrone fermo e il moto di quest'ultimo, come effetto relativistico, ne aumenta il valore fino ad avere una quasi neutralizzazione della carica totale (con un lieve eccesso di carica negativa).

Quando Ep·l/c è minore di 2.12 10 C (basse temperature) la carica positiva del protone non è influente per determinare né il segno, né l'entità della carica residua dell'atomo, ma quando la temperatura cresce, diviene importante.

A temperature tali per cui Qt



Se al secondo membro si trascurasse il termine che contiene le cariche e che è costante, rispetto ad Eew e considerando che Ep = 3/2 KT° (con K costante di Boltzmann e temperatura di neutralità della materia) si può ricavare il valore di T°, pari a: T° = 9.3∙10 Kelvin.

Teniamo conto, però, che il termine che abbiamo trascurato è sicuramente dello stesso ordine di Eew. Anzi, la temperatura dipende strettamente dalla differenza fra Eew e il termine positivo dovuto alla maggiore carica a riposo del protone rispetto a quella a riposo dell'elettrone.

A temperature alte accadono all'atomo fenomeni che abbiamo trascurato, primo dei quali l'eccitazione dell'elettrone a livelli energetici superiori. Quando ciò avviene, l'elettrone acquista energia totale sempre più alta, ma energia cinetica via via più bassa (poiché, si allontana dal nucleo). A temperatura tale che l'atomo è prossimo alla ionizzazione, il protone ha un'elevata energia cinetica, ma l'elettrone ha energia cinetica più bassa che nello stato fondamentale, questo fa sì che la sua carica diminuisce e l'atomo avrà un residuo di carica positiva.

Tenendo conto di ciò, si ha che in realtà la carica residua di un atomo si annulla a temperatura molto più bassa di quella valutata. Temperature maggiori di conferiscono all'atomo un residuo di carica positiva.

L'ipotesi della relatività della carica elettrica, sviluppata dall'analisi delle trasformazioni di Lorentz del potenziale elettrico, ci risolve sia il problema qualitativo, (differenziazione della carica stellare da quella planetaria) sia quello quantitativo, in quanto, rispetto alla situazione della materia fredda terrestre, prevede variazioni rilevanti nella carica residua della materia alle temperature stellari o quanto meno a quelle sub stellari.

Temperature altissime svincolano gli elettroni dal nucleo ed essi non interagiscono più energicamente. Questo stato si raggiunge nel core di stelle ad alte pressioni e alte temperature e vien detto di "degenerazione elettronica". In stato di degenerazione elettronica, elettroni e protoni acquistano l'energia cinetica pari a 3/2 KT ed essendo la massa dell'elettrone circa 2000 volte più piccola, essi avranno una velocità molto più grande di quella dei protoni. In tali condizioni la pressione all'interno della stella non dipende più dalla temperatura (generata dal moto dei protoni come gas ideale), ma è generata dagli elettroni e dipende solo dalla densità di materia.

Nelle stelle normali l'espansione termica e le reazioni nucleari bloccano la stella in uno stato di equilibrio meccanico appena prima della possibilità di degenerazione elettronica.

Le nane bianche e le stelle di neutroni sono stelle in cui la degenerazione elettronica è il fattore predominante e la pressione è generata non dal moto dei protoni, bensì da quello degli elettroni. In queste stelle, però, moltissimi elettroni sono catturati dai protoni che, trasformandosi in neutroni, generano uno stato particolare della materia che deve essere ben studiato dal punto di vista elettrico, secondo la nostra previsione relativistica delle cariche.

Tuttavia, anche in tali stelle, nonostante la velocità media dei protoni e dei neutroni sia molto più bassa di quella degli elettroni restanti, a causa della differenza di carica fra Qo e qo e del diverso numero fra particelle pesanti e leggere, non è difficile prevedere che la carica residua, per atomo, risulti ancora positiva.


Consideriamo, ora, le masse calde stellari e, più da vi­cino, la massa solare. Quando abbiamo considerato la Terra e un corpo freddo e le interazioni elettrostatiche che li coinvol­ge­vano, abbiamo dovuto necessariamente ammettere una pro­porzionalità fra carica negativa residua e la massa che la ge­ne­rava. Però, il Sole deve avere una carica elettrica cosmica legata alla massa in maniera di­versa che non per la Terra. In sostanza, molta della materia solare ha carica residua nulla, il che può essere tradotto nel fatto che nel Sole c'è una carica residua complessiva positiva, per atomo, più piccola di quella negativa che si ha nei corpi freddi.

Circa la questione del legame fra carica e massa, in un discorso più rigoroso, non è esatto assumere che, per temperature non stellari, l'atomo d'idrogeno (1p + 1e) ha la stessa carica residua del neutrone (1n), entrambi visti da gran distanza. Con p, e, n, indichiamo, rispet-tivamente, protone elettrone e neutrone. Infatti, il neutrone è virtualmente composto da un protone e un elettrone freddi, ossia dotati d'energia cinetica 3/2 kT, mentre, nell'atomo d'idrogeno, il protone ha la stessa energia 3/2 kT, ma l'elettrone ha energia pari a quella dello stato fondamentale, nettamente superiore. Perciò, le stesse particelle nel neutrone e nell'atomo d'idrogeno si trovano in stati cinetici notevolmente differenti e per questo non hanno la stessa carica residua e la differenza, a favore dell'atomo d'idrogeno, è da imputare al differente stato di moto dell'elettrone che accompagna il neutrone, da quello che accompagna l'atomo d'idrogeno. Tutto questo, si traduce nel fatto sperimentale che possiamo adesso analizzare.

Prendiamo, come esempio, un atomo di elio (2n + 2p + 2e) e 4 atomi d'idrogeno. La cosiddetta differenza di massa, che esiste fra i due sistemi, ci garantisce che l'atomo di elio pesa meno (carica residua inferiore) dei suoi costituenti (4 atomi d'idrogeno). Ciò che è vero per l'elio, lo è per tutti gli atomi più pesanti dell'idrogeno e la differenza di massa (ossia, differenza di carica), fra i nuclei e i liberi costituenti, è un indizio fortissimo sulla relatività della carica elettrica.

In realtà, ogni atomo e isotopo hanno una loro massa caratteristica, (che è la misura con cui interagiscono con la Terra) e la loro carica residua è dovuta alla somma delle cariche di tutte le particelle che possiedono, ai loro moti relativi.

Il neutrone, nel nucleo, si trova in uno stato differente dal neutrone libero. Infatti, nel nucleo la sua massa è inferiore a quella dell'atomo d'idrogeno, mentre, allo stato libero, ha una massa leggermente superiore.

Potremmo supporre che il neutrone libero, (durante la sua breve vita) sia costituito da un protone e un elettrone ruotante a cortissimo raggio, quindi, velocissimo e ciò, conferendogli una maggiore carica negativa residua, gli fa assumere una massa maggiore dell'atomo d'idrogeno. Tuttavia, immaginiamo che il neutrone, all'esterno del nucleo, sia soltanto una particella in evoluzione, di breve vita, molto espansa e lievemente negativa ed è così che la dobbiamo considerare.

Quando la temperatura della materia è di tipo stellare, i neutroni e i protoni che la costituiscono hanno vicende diverse, anche se essi fanno parte dello stesso nucleo. Prendiamo, come esempio, il deuterio, (1p, 1n, 1e) presente in una stella. Essendo l'energia cinetica del nucleo di deuterio, mediamente molto alta, la carica residua totale è positiva. Tuttavia, il neutrone, che si trova nel nucleo, non può contribuire a questa carica, poiché, essendo costituito da una particella lievemente negativa, ad alte temperature, avrà una carica negativa maggiore. Quindi, mentre nella materia fredda dei pianeti, il neutrone "pesa" (contribuisce ad incrementare la carica negativa totale) nella stella, si contrappone alla carica positiva totale della materia. Tutto questo evidenzia che il rapporto carica/massa, in un pianeta, deve essere molto più grande che non per una stella. Cosa ancora più importante, questo fenomeno, operante nella scala microcosmica, giustifica l'evidenza sperimentale dei diversi rapporti carica/massa del protone e dell'elettrone.

Analizzando le conside­razioni fatte per la Terra, si osserva che molte potrebbero non essere valide quando si considera il Sole. Prima di tutto, la differenza p-e, per atomo, nel Sole è positiva e cresce con la distanza dal Sole. Questo sarà generato dal fatto che gli elettroni, orbitando a distanze dal nucleo mediamente più grandi, non solo non riescono a schermarne parte della carica positiva, come avviene nei corpi freddi, ma essendo più lenti, addirittura la loro carica elettrica è più piccola. Inoltre, come già osservato, questa differenza, per atomo, deve essere alquanto più bassa che non per la materia fredda.

Anche attorno al Sole deve svilupparsi uno spazio positi­vamente carico che, infrangendo la legge di Gauss, genera l'interazione attrattiva, a corto raggio, sulle porzioni di materia positiva che lo costituiscono. Tale fenomenologia, sommata a fattori d'espansione termonucleare ed effetti magnetici, genera quella che, con un altro nome, potremmo chiamare interazione nucleare forte su scala cosmica. A causa della presenza simultanea dei tre effetti, tale interazione è sicuramente più complessa che non quella che si genera su un pianeta.

La ma­te­ria solare, in forma di plasma, si trova in uno stato speciale, che è di gran lunga lo stato più diffuso della materia dell'in­tero Universo. Per questo motivo, in realtà, noi non sappiamo ancora prevedere esattamente il comportamento a brevi distanze della maggior parte della materia dell'Universo. Purtroppo, sappiamo che nelle immediate vicinanze del Sole, nell'interazione con una por­zione di materia solare, non può essere valida la stessa forza gravitazionale, misurata da Cavendish, nel suo esperimento condotto sulla Terra. Perciò, non è lecito utilizzare il valore G, in tale interazione. Il tutto, si traduce nel non poter stimare la carica elettrica cosmica so­lare (e in realtà nemmeno la massa gravitazionale che non coincide con quella inerziale, per il fatto che nel Sole il rapporta carica/massa è differente da quello di un pianeta) mentre abbiamo potuto farlo per la Terra. Però, sappiamo che il rapporto fra la carica positiva solare e la somma di tutta la carica nega­tiva della materia fredda, presente nel sistema solare, è molto prossimo ad 1, nonostante che, la quasi totalità della massa del sistema, sia concentrata nel Sole.


Il metodo che abbiamo utilizzato, fondato su analogie con il microcosmo e su una serie d'ipotesi, ci ha condotto abba­stanza lontano, al punto di averci fatto individuare le cause di un'interazione tanto misteriosa, come la gravitazione. Il tra­sfe­rimento continuo d'informazioni, dal microcosmo al co­smo e viceversa, ha non solo ricondotto la gravitazione co­smica a cause note, ma ci ha dato indizi potenti sulle cause dell'inte­razione nucleare forte del microcosmo e, in generale, sull'in­terazione che agisce nelle immediate vicinanze di una particella. Cosa possiamo dire sull'interazione nucleare debole? Quale feno­meno può gene­rarsi, alle distanze caratteristiche delle dimen­sioni nucleari, affinché una particella carica, come l'elet­trone o il positrone, possa essere espulsa da un nucleo ra­dioattivo, mediante un de­cadimento b

Con le attuali conoscenze possiamo affrontare il problema da un punto di vista cosmico. Cerchiamo di evidenziare com­portamenti nuovi, che nella trattazione classica della gravitazione non esistono, ma che sono impliciti nella nostra trattazione. Ad esempio, se la Terra non possedesse la sua energia cinetica di rivoluzione, la forza d'interazione con il Sole la fa­rebbe precipitare verso di esso con un'accelerazione che cre­sce con il diminuire della distanza.

Quando la Terra, ve­locis­sima, penetra nell'alone di carica positiva solare, ma ancora molto lontano dal Sole, la forza at­trattiva comincia a diminuire e così anche l'accelerazione. Negli strati più profondi la forza attrattiva prima si annulla, poi s'inverte e diviene repulsiva. Infatti, negli strati profon­dissimi, la carica positiva interna è molto più piccola di quella nel mantello dell'alone solare e la Terra, negativa, è richiamata all'esterno con una forza sempre maggiore col procedere di essa verso il Sole.

Se l'energia di partenza della Terra non era sufficiente, essa rimbalza di nuovo fuori dall'alone carico, prima di rag­giungere il Sole. Questa forza fa sì che un pianeta, in condi­zioni normali, non possa mai cascare verso il Sole, per es­serne assorbito. Ciò è un primo aspetto dell'interazione nucle­are de­bole nel cosmo e giustifica l'evidenza sperimentale, che la forza nucleare microcosmica, non agisce sugli elettroni, ma solo sulle particelle pesanti del nucleo (nucleoni).

Il decadimento b negativo prevede reazioni interne ad un neutrone, tali da fargli emettere un elettrone e trasformarlo in protone. Trascuriamo, per adesso l'antineutrino che si genera dallo stesso decadimento, che trasporta via una certa quantità di moto e cerchiamo di prevedere cosa possa accadere ad un neutrone fuori dal nucleo atomico, ove il decadimento è alquanto lento, se paragonato alle velocissime reazioni nucleari, governate dall'interazione nucleare forte.

Qualunque sia il reale scenario, dobbiamo considerare quanto già affermato, che una cosa è il neutrone costipato nel nucleo di un atomo (forse non esiste come particella individuale) e un'altra cosa è il neutrone fuori dal nucleo.

Può darsi che l'instabilità della particella lo costringa a re­spingere lontano il piccolo granulo di materia fredda che contiene (non ci dimentichiamo che la forza d'interazione, fra un protone e un elettrone, alle piccole distanze, dovrebbe essere repul­siva). È probabile, che il neutrone sia una sorta di particella in forma­zione, (una protostella, su scala cosmica) molto dilatata nel volume, con una distribuzione di campo elettrico diversa da quella di un protone.

Una contrazione nelle dimensioni, dovuta all'interazione nucleare, accompagnata da quello che nel cosmo chiameremo "incremento di tempera­tura", va a generare la distribuzione positiva di carica nello spazio circostante e crea le condizioni per l'espulsione della materia fredda dell'e­lettrone (sempre secondo un riferimento cosmico). Durante tale contrazione, nel conformarsi dell'alone carico, della sub-materia, (analogo a polveri e gas su scala cosmica) si troverà oltre la zona attrattiva e sarà scagliata lontano, assieme all'elettrone. Tale sub-mate­ria, in quantità esigua, trasporterà della quantità di moto e si presen­terà, alla nostra indagine, come la particella dell'antineutrino. Un siffatto scena­rio, nel cosmo, equivale alla nascita di una nana rossa da gas e polveri molto concentrati, con l'avvio della sequenza principale (innesco delle reazioni termonucleari nel suo interno).

Come può un protone del nucleo, emettere un positrone, per trasformarsi in neutrone, (decadimento b positivo) resta ancora un mistero. Per capirne qualcosa bisognerebbe co­noscere i meccanismi interni di un nucleo, ciò che lo rende stabile o instabile e tante altre cose, per le quali non abbiamo ancora molti indizi. Si può procedere con qualche ipotesi, ma discutendola su scala cosmica. Il positrone, su scala cosmica, corrisponde ad un pianeta composto da plasma stellare, ossia, di materia ultra calda che per instabilità stellare è stato scagliato via a gran velocità. Questo potrebbe accadere quando l'avvio improvviso di reazioni termonucleari all'interno di una stella instabile, in fase di compressione gravitazionale, la fanno espandere rapidamente. Vi potranno essere, in zone molto esterne della stella, dei granuli ultra caldi, quindi, carichi positivamente, che non si raffredderanno con la stessa rapidità con cui avviene l'espansione. Questi, saranno respinti violentemente lontano dalla stella, a causa della forte interazione repulsiva positivo/positivo a brevissima distanza e si mostreranno alla nostra indagine come particelle b positive (positroni).


Le costanti della natura (ad esempio c K e G) che compaiono nelle leggi che re­go­lano la fenomenologia delle interazioni, esprimono, in un certo senso, il tono con cui le interazioni stesse si sviluppano e non possono essere dedotte a livello teorico, ma solo misu­rate sperimentalmente. Nel caso della costante gravitazionale G, abbiamo visto, tuttavia, come essa può essere messa in relazione con la costante dell'interazione elettrostatica cosmica c nell'equazione: G=Qo2c/M valida per la Terra. Applicando questa stessa equazione all'elet­trone, si può ricavare approssimativamente il tono g dell'inte­razione fra le porzioni della sua materia a brevi distanze: g=e K/m2 ove e ed m sono rispettivamente carica e massa elettronica. Abbiamo sostituito c con K e probabilmente commetteremo un errore di pochi ordini di grandezza in ec­cesso, ma non di più. Si ricava che il tono g è: g=2.78·10 N·m ·Kg e governa l'interazione a brevissima di­stanza dei lep­toni, particelle di massa inferiore al nucleone, di cui oltre al positrone e all'elettrone, fanno parte anche i me­soni e i neu­trini con le rispettive antiparticelle. Al pari delle forze: nucleare forte e nucleare debole, tale interazione po­trebbe essere de­nominata: forza leptonica.

Applicando l'equazione al protone valutiamo il tono g' dell'interazione nucleare forte, considerando, in prima ap­prossimazione, valida la costante K, allora: g'=p K/mo2 che equivale a: g'=8.26·10 N·m ·Kg

A parte il fatto che il tono dell'interazione nucleare forte è circa dieci milioni di volte minore del tono dell'interazione leptonica, si prevede che per i leptoni il tono non varia al va­riare della massa delle particelle, (poiché, non varia il rap­porto carica/massa) mentre varia per i nucleoni. Per esempio, se valutiamo g'' per il neutrone, si ha: g''=(p-e) K/mo2=G=6.67·10 N·m ·Kg che equivale allo stesso tono che ha l'interazione gravita­zionale sulla Terra! Ciò è valido se il neutrone veramente non è intrinsecamente formato da un protone ed un elettrone ruotante a corto raggio. Però, per un nucleo qualsiasi il tono g si modifica in funzione del rapporto fra numero di protoni (che influenza la carica e la massa) e numero di neutroni, (che influenza solo la massa).

La variazione di tono che si ha in funzione del diverso rap­porto fra carica e massa di un nucleo, non è in grado da sola di giustificare le stabilità o le instabilità nucleari, infatti, il di­protone H (nucleo costituito da due protoni) non è stabile, mentre il nucleo di deuterio lo è, pur non essendo molto dissimile. Per il diprotone g=8.26·10 , mentre per il deuterio g ha un valore 4 volte più piccolo. No­nostante ciò, il deuterio è stabile e il diprotone non lo è.

È evidente, che la stabilità di un nucleo o una stella non di­pendono solo dall'alto valore del tono che determina l'intensità dell'interazione attrattiva sulle proprie porzioni, ma anche da fattori diversi. Un importante fattore, è sicuramente la forza d'espansione termonucleare, (su scala cosmica) che si oppone alla forza attrattiva. Quando la forza d'espansione è inferiore alla forza attrattiva, la stella subi­sce una contrazione, fino a che le due forze si bi­lanciano. Quando è maggiore, la stella, espandendosi, la in­debolisce. Se è possibile un equilibrio fra le due forze, la stella diviene stabile, se no, continua ad espandersi, fino ad oltrepassare il raggio d'interazione attrattiva e decade emet­tendo (respingendo dal suo interno) particelle cosmiche. Su scala microcosmica, nel caso del diprotone, evidentemente si ha inizialmente una forte compressione e poi l'equivalente della temperatura raggiunge valori così alti che una rapida espansione predomina, dilatando il nucleo fino all'emissione di un positrone e di un neutrino. Ciò tra­sforma il dipro­tone instabile, in un nucleo di deuterio che conserverà la sua stabilità a causa dell'esistenza di un possibile equilibrio fra espansione e forza di compressione che, dopo varie oscillazioni, (emissione di radiazione g) stabilizza la dimensione del nucleo.

Nel caso di un dineutrone, (nucleo costituito da due neutroni) invece, l'equivalente della temperatura è basso. Mancando un effetto espansivo, si ha una lenta contrazione e ciò crea l'alone carico che, nel contempo, scaglia nello spazio un elettrone e un antineutrino, così da formare di nuovo, dopo varie oscillazioni, un nucleo di deuterio stabile.

Queste reazioni di decadimento b che abbiamo descritto, guardate in scala cosmica, sono gli effetti dell'inte­razione nucleare debole, molto lenta, rispetto alle reazioni governate dall'interazione nucleare forte e, come abbiamo visto, sono connesse alle oscillazioni delle dimensioni stellari, dovute alla mancanza d'equilibrio fra l'espansione termonucleare e la forza di compressione gravitazionale. Invece, la reazione d'urto ad alta ener­gia di due protoni, che porta ad un diprotone e a produzione di radiazione g, dovuta all'interazione nucleare forte, è rapidissima, rispetto ai decadimenti b

La relativa lentezza (rispetto agli altri fenomeni nucleari) con cui avvengono le trasformazioni legate all'interazione nucleare debole nei nuclei atomici instabili è sufficiente a giustificare la teoria dell'evoluzione stellare su scala cosmica. Infatti, l'enorme lentezza con cui avvengono le trasformazioni evolutive delle stelle instabili, ci presenta nel cosmo un ampio scenario di stelle che, in un modo o nell'altro, si trovano lontano dalla sequenza principale o da un equilibrio meccanico stabile tra forza di compressione gravitazionale e d'espansione termonucleare.

Un sistema di due nucleoni è stabile se si verifica che: Vb >h /16mo g·cm ·sec ove V e b sono rispetti­vamente profondità e larghezza della buca di potenziale; h è la costante di Planck. Per il sistema formato da due protoni o da due neutroni il valore Vb è leggermente più basso di quello necessario per la stabilità: Vb g·cm ·sec . Nel caso del nucleo di deuterio: Vb g·cm ·sec , quindi, un valore più alto di quello richiesto per la stabilità. In questa espressione comparendo b con l'esponente 2 e V con esponente 1, si deduce che la larghezza della buca di potenziale, sulla stabilità o instabilità del nucleo, è più influente del potenziale stesso.

Quando un diprotone evolve espandendosi o un dineutrone si contrae, il prodotto Vb varia costantemente fino a che si raggiunge l'equilibrio, dopo l'emissione particellare dell'elettrone o del positrone. In questa fase si raggiunge il valore minimo di Vb necessario per la stabilità del nucleo di deuterio che va a formarsi.

Generalmente, dopo un'emissione b si ha la formazione di un nucleo eccitato e segue un'emissione g che asportando l'energia in eccesso stabilizza definitivamente il nucleo. La radiazione g è senz'altro causata dall'oscillazione delle dimensioni del nucleo, dovuta al superamento del punto d'equilibrio una volta in espansione e una volta in compressione. I nuclei oscillando nelle dimensioni, oscillano contemporaneamente anche termicamente e nella carica elettrica, perciò, perdono energia in forma elettromagnetica (emettono fotoni g) e si stabilizzano definitivamente alle dimensioni d'equilibrio, corrispondenti al bilancio delle due forze d'espansione e di compressione. Nel cosmo abbiamo moltissimi esempi di stelle instabili e in continua oscillazione. Esse sono dette "cefeidi". Queste stelle sono la testimonianza di nuclei cosmici radioattivi che stanno cercando di raggiungere l'equilibrio delle proprie dimensioni e che emettono radiazione g cosmica, dalla frequenza pari a quella di oscillazione (bassissima secondo i classici riferimenti microcosmici) e di enorme ampiezza.


Abbiamo fuso e confuso ciò che conosciamo sul cosmo e sul microcosmo, in un'unica scala fenomenologica di tempi e di dimensioni, ma lo sforzo non è stato vano, poiché, adesso, abbiamo senz'altro una visione più ampia sulle comuni cause delle interazioni e sui meccanismi che possono rendere stabile o instabile un nucleo atomico o una stella.

Come già discusso, la teoria della Relatività Generale, fa risalire l'interazione gravitazionale alla deformazione dello spazio-tempo, dovuta alle masse. Comprendiamo che una tale gran­diosa trattazione, ci risolve il problema dell'interazione a di­stanza, fra le masse, per niente chiara, nella meccanica newto­niana.

Alla luce del nuovo assetto delle interazioni che abbiamo generato, potrebbe essere artificiosa l'in­terpretazione dovuta alla curvatura dello spazio-tempo che cir­conda la materia. Tuttavia, possiamo sempre pensare che le interazioni siano dovute alla curvatura dello spazio-tempo, ma il quadro do­vrebbe essere molto più complesso di quanto abbiamo analizzato all'inizio di questo articolo. Infatti, l'analisi approfondita di un'interazione dovrebbe tener conto non solo dei differenti comportamenti, a lungo e a corto raggio, ma anche delle differenti particelle che interagiscono.

Potremmo sostituire la carica alla massa e continuare a pensare alla causa delle interazioni, come ad una deforma­zione o curvatura dello spazio-tempo, a breve e lunga di­stanza dalla particella carica. Tuttavia, bisogna considerare deformazioni positive e negative dello spazio-tempo che contiene le due tipologie di cariche.

Se non teniamo conto dei differenti toni con cui si manifestano le forze nel nostro Universo, ma ne consideriamo la sola fenomenologia, possiamo trattare l'interazione gravitazionale di caduta dei gravi e l'interazione satellitare planetaria allo stesso modo dell'interazione leptonica e dell'interazione nucleare forte (trascurando, in questa, gli altri fenomeni nucleari come l'interazione fra campi magnetici e l'equivalente dell'espansione termica). Analogamente, l'in­terazione pianeti-Sole e l'interazione elet­troni-nucleo, possono essere assimilate.

La fenomenologia di curvatura dello spazio-tempo, in termini qualitativi, può essere an­cora rappresentata, abba­stanza semplicemente, con la defor­ma­zione di una membrana di gomma, dovuta, questa volta, alle cariche e non alle masse. La deformazione assume una sorta di crespatura, la cui profondità è pro­porzionale alla quantità di carica e alle dimensioni della particella. Nella figura 3, a e b, sono riportati in sezione i casi di cari­che dello stesso se­gno e di cariche di segno opposto, una più pic­cola dell'altra.

Figura 3. Deformazione dello spazio-tempo nel caso delle va­rie in­terazioni.


Nel caso a, si ha una sorta di cratere, ove la forza è repul­siva lungo tutto il pendio, fino alla sommità, poi diviene at­trattiva e la carica piccola cade nella profonda buca generata dalla carica grande. Nel caso b, invece, c'è una buca con al centro una sorta d'obelisco e la forza è attrattiva fino a che si arriva nel fondo, poi diviene repulsiva lungo il pendio dell'obelisco, generato dalla carica grande. Il caso b evidenzia la non azione della forza nucleare sull'elettrone o i leptoni in genere. Questo comportamento ha delle profonde analogie con la fenomenologia descritta dalla Relatività Generale e la deformazione dello spazio-tempo. Infatti, mentre la Relatività Generale prevede la presenza di una massa in una struttura spazio-temporale elastica che si deforma e si curva come in figura 1, possiamo immaginare, invece, che le particelle cariche distorcono in maniera eruttiva la stessa struttura spazio-temporale elastica. In tal modo generano un'onda di crespatura nelle immediate vicinanze, che può avere un verso positivo/negativo o destro/sinistro (simmetria generata dal bipolarismo delle cariche elettriche).


Qualche considerazione va fatta sulle implicazioni delle ipotesi che abbiamo avanzato, per identificare la forza gravitazionale pianeti-Sole con quella elettromagnetica cosmica.

Le forze repulsive fra stella e stella non solo non sono ammesse dalla legge gravitazionale, ma non sono ricavabili nemmeno deducendole dalla forza elettromagnetica cosmica. Se cono­scessimo con esattezza le cariche di due stelle vicine, la forza di repulsione fra loro, in ogni caso, non sarebbe evidente, a causa dell'esistenza di forze d'interazione attrattive, più intense.

Basta far mente locale agli atomi, per rendersi conto che nello stato normale, a distanze non troppo piccole, fra due atomi, si manifestano forze attrattive notevolmente più intense della repulsione coulombiana fra i due nuclei. Tali forze, go­vernano i legami chimici e giustificano l'esistenza e la consi­stenza di quanto ci circonda sulla Terra, dalla materia inor­ganica, alla complessa materia organico-biologica della vita. Si parte dalle intense forze attrattive dei legami ionici, (fra atomi di specie molto diversa) per giungere ai legami ionico-covalenti, (fra atomi non molto dissimili) ai legami covalenti, (fra atomi della stessa specie o molto simili) per finire alle più deboli interazioni del legame idro­geno e alle blande forze dipolo-dipolo di van der Waals.

In definitiva, fra gli atomi e le molecole, presenti sulla Terra, le forze attrat­tive, delle diverse tipologie, sono le interazioni più intense e numerose, mentre, le forze repulsive vanno a dominare parte degli stati eccitati delle molecole o campi di distanze ravvici­nate, fra atomi o molecole, sicuramente poco comuni alle temperature del pianeta.

Per esprimere una situazione analoga, nel cosmo, le interazioni attrattive, in nu­mero, devono superare abbondantemente quelle repulsive. Ciò potrebbe giustificare la mancata scoperta di esse.

Tuttavia, già nel solo sistema solare, le interazioni repulsive, do­vendo manifestarsi fra pianeta e pianeta, basterebbe la verifica della presenza o dell'assenza di tali forze, per confutare o comprovare quanto abbiamo descritto in questo articolo. Come abbiamo già osservato, un'eventuale scoperta di forze repulsive fra i pianeti, avrebbe confutato la teoria della gravitazione, se posteriore, o ne avrebbe impedito la formulazione nell'at­tuale forma, se antecedente.

L'evoluzione storica delle conoscenze, sembrerebbe con­durci irrimediabilmente verso la confutazione dei nostri as­serti. L'ipotesi di forze repulsive fra pianeti, è un qualcosa di plausibile o di completamente improbabile? Non abbiamo molte strade da percorrere: o la repulsione fra pianeti è un fe­nomeno non facilmente verificabile (perciò non è stato ancora osservato) o tutto quanto descritto in questo articolo è falso. La seconda eventualità parrebbe essere la più plausibile! Del resto, la formulazione della gravitazione clas­sica nasce proprio dall'osservazione che nel cosmo le interazioni fra i corpi sono esclusiva­mente attrattive e per questo, tutti i passati tentativi d'unificazione della scala cosmica a quella microcosmica, precedenti a questo articolo, si son dovuti scontrare con quest'evidenza.

Come abbiamo visto, mentre può essere plausibile la non misurabilità della forza di repulsione fra le stelle, a prima vi­sta, sembrerebbe non plausibile la non evidenza della repul­sione planetaria.

Tenendo conto delle distanze planetarie si stima che la forza di repulsione, fra due pianeti vicini, nel punto di minima distanza, a seconda dei pianeti, è da 100 a 10.000 volte meno intensa della forza con cui gli stessi pia­neti sono attratti al Sole.

La più intensa forza d'attrazione col Sole, può mascherare le eventuali repulsioni planetarie? A questa domanda molti direbbero che abbiamo già la risposta, ma dobbiamo considerare che le distanze planetarie non sono casuali e seguono approssimativamente la legge di Titius e Bode (la distanza di un pianeta dal Sole è circa doppia di quella del pianeta che lo precede in ordine di distanza). È probabile, che i pianeti, come gli elettroni in un atomo, si dispongano in maniera da intera­gire fra di loro nel minor modo possibile. Del resto, non è conciliabile l'enorme reciproca distanza a cui si trovano i pianeti (tenendo conto di una forza attrattiva che li dovrebbe legare). Inoltre, è da considerare anche un'altra ipotesi: quella che cambiando tutte le interazioni repulsive elettromagnetiche fra i pianeti, con quelle attrattive di Newton, non cambi nulla o poco dello scenario attuale del sistema solare, ove il calcolo preciso delle orbite, già nel caso dei tre corpi è impossibile da ottenere.

Si tenga presente, però, che la repulsione opererebbe solo a grandi distanze e fra corpi di massa (e carica) considerevole. Corpi pic­coli come asteroidi o comete, possono possedere energie tali e cariche elettriche così piccole, (rispetto a quelle planetarie) da superare le barriere repulsive dei grossi pianeti, avvicinan­dosi, per entrare nel raggio d'azione dell'interazione leptonica cosmica (la gravitazionale classica) e cadervi sopra.

Un satellite artificiale, lanciato dall'uomo nello spazio, superata la barriera attrattiva della forza leptonica terrestre, e di quella lunare, dovrebbe ricevere una lieve spinta verso l'esterno, dovuta all'in­terazione repulsiva col sistema Terra-Luna. Tale forza non è stata mai scoperta, ma deve essere veramente molto piccola (con buon'approssimazione equivale, come intensità, alla forza gravitazionale, ma repulsiva) e l'energia cinetica del satellite, la maschererebbe ab­bondantemente. Molto lontano dalla Terra, nei pressi di un altro pianeta, tale interazione si tramuta in lieve frenata, ma è lo stesso piccola, per essere avvertita. Superata la barriera repulsiva del pianeta, il satellite penetra nel dominio delle forze leptoniche, molto più intense (poiché, sono in­terazioni che variano con l'inverso del quadrato della distanza, in un dominio di r abbastanza piccolo).

Potremmo utilizzare un satellite, per sondare le lievi forze repulsive, generate da un pianeta a grandi distanze, e così, con­futare o meno, quanto abbiamo previsto?

Potrà essere una sfida non solo per l'avvenuto ingresso nel nuovo millennio, ma anche per l'accesso ad una nuova dimensione di conoscenze. Noi siamo qui, pronti a dare la spiegazione ad una forza nuova, ma al tempo stesso debolissima, che non potrà avere altra spiegazione, se non quella di illuminarci su uno dei più grandi segreti dell'Universo. Un mistero che è alla base della consistenza stessa dell'Universo: l'unificazione di tutte le scale, dalla microcosmica a quella cosmica, che fa risalire tutte le interazioni ad una causa prima, forse, alla deformazione, più o meno ampia, che le particelle, di tutti i tipi e a tutte le scale, generano nello spazio-tempo circostante.


Questo articolo contribuisce in maniera seria all'avverarsi di uno dei più grandi sogni d'ogni fisico, quello di vedere unificate tutte le forze. Nelle situazioni che abbiamo descritto, quest'eventualità è diventa una possibilità non molto remota, ma lo scotto da pagare è immenso. Bisognerebbe ripetere in maniera critica tutti i più grandi esperimenti di base che hanno costruito le fondamenta dello scibile scientifico fino ad oggi, per rimetterlo in discussione, un po' come abbiamo fatto in questo articolo.

Ci chiediamo: è la natura comune delle forze che genera uno stato di unificazione delle scale o il contrario? Forse, non lo sapremo mai. Le conseguenze dell'unificazione delle scale che abbiamo analizzato, sembrano non essere in conflitto con l'Universo che osserviamo, anzi, lo armonizzano, mentre le ipotesi di partenza sono in forte contrasto con le basi stesse e l'infrastruttura della nostra attuale scienza.

L'eventuale espansione dell'Universo, come stato dinamico perenne, è soltanto un'osservazione, sicuramente non necessaria alla giustificazione della sua consistenza, poiché, in sua assenza, non si avrebbe alcun collasso della materia cosmica, come previsto dalla gravitazione classica o dalla Relatività Generale. Anzi, dovremmo essere pronti, oggi più che mai, a scoprire cosa genera realmente le alte velocità di rotazione delle galassie e ad interpretare nel verso giusto il red-shift e la radiazione di fondo, fatti che sorreggono l'Universo in origine caldo e in espansione (che potrebbe essere solo apparente). Eventuali nuove scoperte o interpretazioni differenti dei fatti osservati, potrebbero condurci ad un Universo ancora più spettacolare di quello che abbiamo mostrato in quest'indagine, che volutamente abbiamo solo sfiorato. Potremmo veramente trovarci di fronte ad un Universo sconosciuto, ma elegante, la cui bellezza mostrata in queste pagine appare soltanto un piccolo riflesso di ciò che è in realtà.


In questo articolo, sono stati affrontati e risolti tutti i problemi inerenti l'inspiegabile consistenza d'ogni particella carica. Inoltre, le due interazioni: nucleare forte e debole, imputate ad effetti delle cariche possedute dalle particelle, divengono meno astratte e incomprensibili di quanto lo sono in realtà.

Osserviamo che la forza nucleare debole, su scala cosmica, data la sua lentezza, è la responsabile delle trasformazioni subite dalle stelle instabili e di tutte le vicende che esse assumono nel tempo, prima di raggiungere un equilibrio interno. Le trasformazioni possono generare, in queste stelle, stati fisici molto differenti da quelli comuni alla maggior parte di loro, tanto da giustificare l'odierna teoria dell'evoluzione stellare. Ma la maggior parte delle stelle, al pari dei nuclei atomici, dovrebbero avere una vita eterna o quasi!

Tuttavia, una considerazione profonda ci assicura, indipendentemente dalle osservazioni che portano alla teoria del Big Bang, che l'Universo non può essere sempre stato in questa forma. Se così fosse, non sapremmo giustificare perché le attuali stelle instabili non siano già tutte estinte. Forse, con le nostre elucubrazioni, spostiamo in un tempo remoto e indefinito l'evento di un cataclisma cosmico, simile al Big Bang, ma non lo evitiamo.

Per completezza, e per finire, riportiamo che molti aspetti, come quello poc'anzi citato e la meccanica quantistica o la cosmologia in generale, intimamente connessi con questa trattazione, non sono stati qui affrontati, ma fanno parte di un testo unico, relativo ad un'altra pubblicazione, dello stesso autore, da cui questo articolo è stato tratto.


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