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La relativita' di einstein




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LA RELATIVITA' DI EINSTEIN

Per intendere la teoria della relatività bisogna premettere alcune considerazioni.

Se si dice «una nuvola staziona su Piazza S. Pietro a Roma», la posizione della nuvola è individuabile numericamente attraverso un sistema di coordinate cartesiane. E se si dice «una nuvola si muove su Piazza S. Pietro», le posizioni occupate successivamente dalla nuvola sono sempre individuabili con un sistema di coordinate. Naturalmente si dà per inteso che il luogo «Piazza S. Pietro» sia situato su di un corpo di riferimento rigido e immobile, la Terra.

Ora, se si dice che un treno viaggia ad 80 km all'ora, le posizioni occupate dal treno in un'ora sono individuabili anch'esse in un sistema di coordinate; 80 km all' ora, dunque, ma relativamente alla strada ferrata che si dà per immobile, situata su un corpo rigido.

E se si afferma che un passeggero di quel treno si muove in esso a 3 km all'ora, anche le posizioni occupate in successione da tale viaggiatore sono individuabili in un sistema di coordinate; naturalmente però supponendo il treno, corpo di riferimento, come immobile.

Dunque ogni cosa ed ogni evento sono individuabili, in termini di misura, rispetto a un corpo di riferimento, e in un sistema di coordinate. E tutte le leggi della meccanica classica hanno valore, per un determinato fenomeno, all'interno di un sistema di riferimento, in relazione ad un preciso sistema di coordinate.

Ma un fenomeno fisico è lo stesso se considerato dall'interno del sistema di coordinate in cui esso ha luogo, o dall'esterno, cioè da un osservatore che si trova in un altro sistema di riferimento? Le leggi della meccanica sono valide anche se il fenomeno sia considerato da un osservatore «situato» in un «altro» sistema di riferimento?

Se io dicessi, senza seria riflessione ed opportuni chiarimenti, che la meccanica classica ha per scopo di determinare come i corpi mutano col tempo la loro posizione nello spazio, verrei meno, e gravemente, alle leggi della chiarezza. Non è chiaro a questo punto che cosa s'intenda per posizione e spazio.

Dal finestrino di un treno che viaggia a velocità uniforme lascio cadere un sasso sull'argine della strada, senza imprimere ad esso alcuna spinta. Prescindendo all'azione della resistenza dell'aria, vedo cadere il sasso secondo una linea retta. Un osservatore, che dalla strada osserva il fatto, vede la pietra cadere a terra con una traiettoria ad arco di parabola.


Chiediamoci allora:


  • i luoghi pei quali il sasso passa si trovano effettivamente su una retta o su una parabola?
  • che significa moto nello spazio?

Eliminiamo anzitutto il generico termine «spazio n, col quale non si designa nulla di preciso, e tanto meno un oggetto, e consideriamo invece l'espressione «movimento relativamente ad un corpo di riferimento concretamente rigido» Sostituiamo a «corpo di riferimento» la nozione di «sistema di coordinate» di cui si vale la matematica; si può affermare che rispetto ad un sistema di coordinate rigidamente connesso alla vettura, il sasso descrive una retta, mentre, rispetto ad un sistema di coordinate rigidamente collegato al suolo stradale, descrive una parabola.

È evidente allora che non si può parlare di una traiettoria in senso assoluto, ma di traiettoria rispetto a un determinato corpo di riferimento. (La teoria generale della Relatività)

Già Galilei, in relazione ai fenomeni meccanici e a sistemi in moto rettilineo uniforme, aveva scoperto il «principio di relatività»: tutti i fenomeni si svolgono allo stesso modo, sia in un sistema in moto rettilineo uniforme, sia in un sistema in quiete; pertanto non è possibile stabilire, tra un sistema in moto e uno in quiete, quale dei due effettivamente si muova; dunque non esiste moto rettilineo uniforme assoluto, ma solo moto relativo.

Ritorniamo all'esempio del treno, che marcia con moto uniforme. Diremo che il suo moto è di traslazione (la vettura cambia di luogo rispetto al suolo stradale - e naturalmente rispetto alle rotaie fisse al suolo - senza subire rotazioni) e uniforme (perché il suo moto è a velocità e direzione costanti).


Supponiamo ora che un uccello voli per l'aria con un moto che, osservato dalla sede stradale, appaia rettilineo ed uniforme. Dal treno in corsa sembrerà che velocità e direzione del moto dell'uccello - moto pur sempre rettilineo ed uniforme - siano diversi.

In astratto si può dire che una massa (m) che si muova con moto rettilineo uniforme rispetto ad un sistema di coordinate K, avrà ugualmente moto rettilineo uniforme rispetto ad un sistema di coordinate K', se questo si muove rispetto a K con moto traslativo uniforme.

Ne consegue che: se K è un sistema di coordinate galileiane, sarà anche galileiano ogni altro sistema K', rispetto al quale K si muova di moto traslativo uniforme.

Le leggi delle meccanica galileo-newtoniana hanno validità sia rispetto a K che a K'.


Possiamo ancora ulteriormente procedere verso la generalizzazione formulando la proposizione cosí:


"se K è un sistema di coordinate che si muove rispetto a K' con moto uniforme e non rotatorio, i fenomeni naturali si svolgono, rispetto a K', precisamente con le stesse leggi generali come rispetto a K.


In questo consiste il Principio di Relatività Ristretta.

Sicché, con la legge di trasformazione di Galilei, posto che, ad esempio, siano note le posizioni e la velocità di un viaggiatore nel sistema di coordinate connesso al pavimento del suo treno, supposto immobile, è sempre possibile individuarle in un altro sistema di riferimento, quale, ad esempio, quello connesso alla strada ferrata su cui si muove il treno. È sempre possibile, in generale, trovare le coordinate di eventi in un sistema, se esse sono note in un altro sistema.


Ci si soffermi ora sulla legge meccanica della somma delle velocità.

Si supponga che un treno si muova alla velocità di 90 km all'ora; esso percorrerà 1500 metri ogni minuto; un viaggiatore, immobile sul treno, percorrerà cosí 1500 metri di strada ferrata ogni minuto.

Si supponga ora che il viaggiatore si muova all'interno del treno nella stessa direzione del moto del treno, percorrendo 80 metri a minuto.

Quale sarà la sua velocità per un osservatore che si trova fermo al suolo?

1500 + 80 metri al minuto, naturalmente rispetto alla strada ferrata.


È questo, appunto, il teorema della somma delle velocità indicato con la formula


W = v + w


dove W rappresenta la velocità del viaggiatore rispetto all'osservatore al suolo,

v la velocità del treno e

w la velocità del viaggiatore all'interno del treno.


Pertanto supponendo che il viaggiatore si muova percorrendo nello stesso tempo gli 80 metri in direzione opposta a quella del movimento del treno, per quel teorema la sua velocità, per un osservatore al suolo, sarà di 1500-80 metri al minuto (W = v - w).

Ma è sempre valido tale teorema?

Esso è certamente verificato anche nel caso della propagazione delle onde sonore. Ma a ben vedere esso non è valido, apparentemente, in un caso, quello della propagazione della luce.

Naturalmente occorre rapportare il processo di propagazione della luce, come qualsiasi altro movimento, ad un corpo di riferimento rigido sistema di coordinate.


Poniamo come tale la sede stradale ferroviaria. Immaginiamo di aver creato attorno a questa un vuoto d'aria. Si lanci un raggio luminoso, lungo la sede stradale, con la velocità c.

Immaginiamo che la vettura ferroviaria corra nella stessa direzione del raggio luminoso, ma naturalmente con una velocità v di gran lunga minore.

Quale sarà la velocità di propagazione della luce rispetto alla vettura in corsa?

Dobbiamo evidentemente applicare la considerazione di modo che il raggio di luce tenga il posto del viaggiatore in movimento rispetto alla vettura.

Allora, invece della velocità w del viaggiatore rispetto alla sede stradale, avremo la velocità della luce rispetto alla sede stradale sicché sarà w la velocità della luce, e si avrà


w = c - v


La velocità di propagazione della luce rispetto alla vettura risulta pertanto minore di c.


Ma, nota Einstein, si sa che la luce si propaga in linea retta ad una velocità c = 300.000 km al secondo; si sa poi, dagli studi dell' astronomo olandese De Sitter, che tale velocità non può essere determinata dalla velocità del moto del corpo da cui la luce viene emessa; si sa pure, in base alle sperimentazioni dei due scienziati americani Michelson e Morley, che, esaminando la velocità della luce in due direzioni diverse, essa rimane comunque identica; e infine si sa, dalle notazioni di Lorentz e di Fitzgerald che non esiste velocità superiore a quella della luce, per cui «qualsiasi velocità sommata a quella della luce, dà sempre una velocità uguale a quella della luce».

Orbene, si rifletta: secondo il galileiano «principio di relatività», la legge della costanza della velocità di propagazione della luce nel vuoto dovrebbe avere la stessa validità, sia rispetto alla vettura in corsa, sia rispetto alla sede stradale; ma la teoria della somma delle velocità lo esclude, perché nel caso prima indicato la velocità di propagazione rispetto alla sede stradale è diversa da quella rispetto alla vettura in corsa (rispetto alla vettura, essa è minore di c ).

Non c'è alternativa: o si nega il principio di relatività (che però è valido per tutte le leggi generali della natura) e si ammette la legge di propagazione della luce nel vuoto, oppure si sconfessa questa legge e si assume vero il principio di relatività.


Ma, si chiede Einstein, davvero non c'è alternativa?

Davvero non si può accogliere insieme quel principio e quella legge?

Poiché ogni fenomeno fisico avviene nello spazio e nel tempo, se si ammette che ogni sistema di coordinate ha un «suo» spazio e un «suo» tempo, cioè che spazio e tempo sono relativi al sistema di coordinate, e non assoluti, e se si ammette che in un sistema di coordinate spazio e tempo sono interdipendenti, allora si può mostrare sia la validità del principio galileiano di relatività, sia quella della legge di propagazione della luce.

Questo è il nucleo di quella che Einstein stesso ha definito «teoria della relatività speciale, o ristretta».


Relatività del tempo e dello spazio

Bisogna allora dimostrare la relatività del «tempo»; ciò è possibile dimostrando la relatività della «simultaneità».


Come concepiamo la simultaneità?


Il binario della linea ferroviaria è stato colpito dalla folgore in due punti A e B, molto distanti l'uno dall'altro.

Suppongo che i due colpi siano avvenuti simultaneamente.

Dobbiamo riuscire a determinare la simultaneità in modo da poter stabilire sperimentalmente se i due colpi di fulmine siano stati contemporanei o no.
Il lettore potrà proporre di costatare la simultaneità cosí: si misuri, lungo le rotaie, la distanza tra A e B e nel punto medio M si collochi un osservatore munito di un apparecchio (per esempio, due specchi inclinati a 90deg.) con cui egli possa tener d'occhio contemporaneamente A e B. Se l'osservatore percepirà nello stesso istante i due bagliori della folgore, questi saranno simultanei.

Ma, osserva Einstein, l'esperimento sarebbe perfetto se sapessimo già prima che la luce impiega lo stesso tempo nel percorrere BM e AM; cioè che essa percorre AM alla stessa velocità di quella con cui percorre BM; per saperlo dovremmo misurare il tempo delle due percorrenze; ma anche posto tutto ciò si esamini il caso che segue:


fin qui abbiamo come corpo di riferimento la sede stradale ferroviaria. Supponiamo ora che sul binario marci con velocità costante c un lungo treno nella direzione indicata nella seguente figura:





I viaggiatori si valgono del treno come corpo rigido di riferimento (sistema di coordinate) al quale riferiscono tutti gli avvenimenti. Ogni avvenimento che si verifica lungo il binario, ha luogo anche in un determinato punto del treno.

Possiamo applicare la nozione di simultaneità rispetto al treno così come l'abbiamo applicata rispetto alla sede stradale ferroviaria.


Sorge allora il quesito:


le due scariche di folgore A e B, simultanee rispetto alla strada, sono anche simultanee rispetto al treno in corsa?


La risposta è decisamente negativa.


Se diciamo che le scariche di folgore in A e in B sono contemporanee, significa che i raggi luminosi emananti da A e da B si incontrano nel punto medio M della sede stradale. Ma agli avvenimenti A e B corrispondono anche due punti A e B sul treno. Sia M' il punto medio del tratto AB sul treno in corsa. Nel momento della scarica, osservata dalla sede stradale, il punto M' coincide con M, ma esso si sposta verso destra con la velocità (v) del treno. Se l'osservatore situato in M' sul treno non avesse velocità v, egli permarrebbe sempre in M e i bagliori uscenti da A e da B arriverebbero a lui simultaneamente, cioè coinciderebbero nella sua posizione.


Invece in realtà egli si sposta velocemente rispetto alla sede stradale, muovendo incontro al raggio proveniente da B e avanzando rispetto a quello proveniente da A.

Egli perciò dovrà vedere prima il raggio proveniente da B e dopo il raggio proveniente da A, e concluderà affermando che la scarica luminosa B è avvenuta prima della scarica luminosa A.


Di qui l'importante illazione: "avvenimenti simultanei rispetto alla sede stradale non sono simultanei rispetto al treno, e viceversa"; di qui la relatività della simultaneità, ogni sistema di riferimento ha il suo proprio tempo; un dato temporale ha senso solo perchè si determina il corpo di riferimento al quale esso va riportato.


Dunque un dato temporale non è assoluto, indipendente dallo stato di moto del sistema di riferimento.

Allora una legge meccanica è relativa ad un sistema di riferimento che abbia il «suo» tempo; ma essa può ritenersi valida anche in un altro sistema di riferimento, a condizione che si tenga conto che anche questo ha il «suo» tempo; pertanto può rimanere in piedi il principio galileiano di relatività, in modo che questo non contraddica la legge di propagazione della luce e si potrà pertanto dire che detta propagazione avviene sempre a 300.000 km al secondo.


Ma ogni sistema di coordinate non ha solo il suo «tempo», bensí anche il suo «spazio». Si deve mostrare quindi anche la relatività dello spazio; o meglio della «distanza spaziale».


La cosa cambia se la distanza deve essere valutata dalla sede stradale. Indichiamo con A' e B' i punti del treno dei quali si cerca la distanza; sappiamo che rispetto alla sede stradale essi si muovono con velocità v. Dovremo individuare i punti A e B della sede stradale che a un determinato tempo t vengono osservati (da terra) in coincidenza con A' e B'. La distanza tra A e B si misura poi col regolo lungo la sede stradale.

A priori non si può esser certi che questa seconda misura dia lo stesso risultato della prima: misurata dalla sede stradale la lunghezza può essere diversa da quella misurata dal treno.
E infatti: se il viaggiatore nel treno percorre nell'unità di tempo (misurata dal treno) lo spazio w, questo, misurato dalla strada, può non essere uguale a w.

Insomma è impossibile separare la distanza spaziale dal tempo; qualunque evento è, insieme, sia spaziale che temporale, indivisibilmente; perciò è un'astrazione determinare la distanza in cui ha luogo l'evento dal tempo in cui esso avviene.

Spazio e tempo non devono esser considerati né distinti né separati, ma un tutt'uno.

Se lo spazio viene individuato da tre coordinate spaziali x, y, z, e il tempo da t, allora bisogna parlare di un continuo a quattro dimensioni x, y, z, t ; e ogni evento deve esser considerato in queste quattro dimensioni, in queste quattro coordinate variabili relativamente ad ogni sistema di riferimento.


Pertanto, nota Einstein:


la meccanica classica riteneva, ma arbitrariamente, che:


1) la distanza di tempo tra due avvenimenti è indipendente dallo stato di moto del corpo di riferimento;


2) la distanza spaziale fra due punti di un corpo rigido è indipendente dallo stato di moto del corpo di riferimento;


cadute queste due ipotesi il dilemma (o il Principio di Relatività, o la legge di costanza di propagazione della luce nel vuoto) scompare, e con esso cade l'assunto dell'incompatibilità tra Relatività e legge di propagazione della luce.


Naturalmente per far ciò si devono «correggere» i ragionamenti relativi alla somma delle velocità. Conoscendo tempo e luogo di un evento rispetto alla sede stradale, com'è possibile determinare luogo e tempo dello stesso avvenimento rispetto al treno in corsa, senza che la legge di propagazione della luce contrasti col Principio di relatività?

Basta una legge che permetta la trasformazione delle grandezze di spazio e tempo di un fatto quando si passa da un sistema di riferimento all'altro.

Essa esiste, ed è la legge di trasformazione di Lorentz. Ogni avvenimento individuato rispetto a K (sistema, ad esempio, relativo alla strada ferrata) con valori x, y, z e t , può essere individuato, grazie ad un sistema di equazioni dette appunto «equazioni di Lorentz», con valori x', y', z' e t' rispetto a K' (sistema relativo al treno), conservando la verità che la propagazione della luce è costante sia rispetto a K che rispetto a K'.


Quali le conseguenze di questa teoria della relatività?


Poiché spazio e tempo sono interdipendenti e relativi ad uno specifico sistema di coordinate, un regolo ha una «misura» se sta fermo, e un'altra se è in movimento; infatti in moto esso si accorcia; inoltre le lancette di un orologio in quiete hanno una velocità superiore rispetto a quella che esse hanno quando l'orologio è in movimento. Ma la conseguenza importante si ha nella concezione della massa.


La meccanica classica distingue l'energia dalla massa e stabilisce due principi: quello della conservazione dell'energia e quello della conservazione della massa.

La relatività invece fonde i due concetti, e insieme i due principi.


La massa (quantità di materia) non è piú invariante, ma varia con l'aumento della velocità di un corpo in moto e aumenta proporzionalmente all'energia cinetica del corpo. Pertanto ogni energia ha una massa e ogni massa ha un'energia; sicché, in generale, c'è equivalenza di materia ed energia: in ogni corpo la massa può esser designata col valore della sua energia, e viceversa.

Un corpo in riposo possiede una massa determinata, la cosiddetta massa di riposo. La meccanica insegna che qualsiasi corpo oppone resistenza ad un mutamento del suo moto.

Ma la teoria della relatività ci dice qualcosa di più. La resistenza che i corpi oppongono ad un mutamento è tanto piú forte non soltanto quanto maggiore è la loro massa di riposo, ma altresì quanto maggiore è la loro velocità.

Corpi dotati di velocità vicine a quella della luce opporrebbero resistenze enormi alle forze esterne.

Secondo la meccanica classica, la resistenza di un dato corpo è invariabile e caratterizzata unicamente dalla sua massa.

Nella teoria della relatività la resistenza dipende da ambo i fattori: massa di riposo e velocità del corpo. La resistenza diventa infinitamente grande, allorché la velocità raggiunge quella della luce.
Cosa che è rilevabile dall'osservazione degli atomi del radio, ad esempio, o di qualunque materia radioattiva; essi infatti si muovono a velocità enormi; c'è bisogno pertanto di forze molto grandi per «deviare» i loro elettroni dalla loro orbita, in modo che l'atomo si disintegri. Sicché tra due corpi che possiedono la stessa massa di riposo, offre maggiore resistenza quella dotata di energia cinetica maggiore.


Di qui altre conclusioni: poiché ogni energia ha una massa e ogni massa ha un'energia, un pezzo di ferro caldo, che «incorpora» più energia di uno freddo, pesa più di quello freddo, e inoltre il sole, emettendo energia coi suoi raggi, con la radiazione perde massa; e ancora, data l'unificazione del principio di conservazione della massa con quello di conservazione dell'energia, è possibile stabilire l'equazione


E = mc^2


dove c è la velocità della luce.


La teoria della relatività generale


Ma Einstein non limitò la sua indagine teorica alla scoperta della relatività del tempo e dello spazio. Egli infatti si pose questo quesito:


"le leggi naturali possono avere un'identica formulazione e una stessa validità rispetto a qualunque corpo di riferimento mediante la trasformazione di Lorentz, ma solo limitatamente ai sistemi cosiddetti galileiani, il cui moto è rettilineo ed uniforme; ora, è possibile delineare una teoria della relatività che sia valida per tutti i sistemi, anche per quelli che si muovono con moto di diversa natura? Ossia, dato che la teoria della relatività finora delineata è «ristretta» ad un caso particolare di sistemi in movimento, è possibile formulare una teoria «generale», valida ad esempio anche per i sistemi dotati di moto uniformemente accelerato?"





La risposta di Einstein fu positiva:


«È possibile stabilire che tutti i sistemi di riferimento (K, K'ecc) sono equivalenti ai fini della descrizione dei fenomeni naturali, qualunque sia la loro condizione di moto».


Poniamoci sul treno in moto uniforme, sediamoci; seduti, non avvertiremo il moto, anzi potremo credere che la vettura stia ferma e che sia la strada a correre sotto di noi, cosa, questa, conforme al Principio speciale di relatività. Ora, improvvisamente, per una brusca frenata, il moto non è piú uniforme: io che viaggiavo seduto subisco una brusca spinta in avanti.

L'accelerazione - positiva o negativa - della vettura si manifesta nel comportamento del mio corpo rispetto a questa: comportamento del tutto diverso dall'altro precedentemente descritto, per cui sembra doversi escludere che rispetto alla vettura che si muove non uniformemente valgano le stesse leggi meccaniche valide per la vettura in quiete o in moto uniforme.
È chiaro allora che rispetto alla vettura che viaggia con moto non uniforme non vale il principio di Galilei).

Per sciogliere questo nodo Einstein invita a considerare un nuovo concetto, cioè quello di «campo».


Se lasciamo cadere a terra un sasso e ci chiediamo il perché del fenomeno, in genere rispondiamo: perché esso è attratto dalla terra.


La fisica moderna dà una risposta alquanto diversa, giacché lo studio dei fenomeni elettromagnetici ci impone di concludere che in natura in ogni azione a distanza interviene un mezzo intermediario.

Per esempio, se una calamita attrae un pezzo di ferro non ci si deve limitare a credere che essa abbia una diretta azione sul ferro attraverso lo spazio vuoto, ma si deve immaginare, grazie a Faraday, che esso suscita nello spazio circostante una certa realtà fisica che si chiama «campo magnetico».
Ed è questo campo che agisce sul pezzo di ferro, e lo fa muovere verso la calamita.
In modo analogo si concepisce anche la forza di gravitazione. La terra agisce sul sasso indirettamente: essa produce intorno a sé un campo di gravitazione che agisce sul sasso e ne provoca la caduta. Via via che ci si allontana dalla Terra, l'intensità di azione su un corpo diminuisce secondo una legge ben precisa. Ciò significa per noi che la legge che regola le proprietà spaziali del campo gravitazionale deve essere esattamente determinata in modo da descrivere con precisione la progressiva diminuzione dell'azione gravitazionale via via che aumenta la distanza.


Possiamo immaginare il fenomeno cosí: il corpo, per esempio la Terra, comporta intorno a sé un campo; sarà appunto la legge che regola le proprietà spaziali dei campi di gravitazione a determinare intensità e direzione del campo in zone via via piú lontane dal corpo.


Il campo gravitazionale, a differenza dell'elettrico e del magnetico, presenta una sua caratteristica peculiare assai importante per quanto diciamo appresso. I corpi, che si muovono sotto l'azione esclusiva del campo gravitazionale, acquistano un'accelerazione che non dipende affatto né dalla materia né dallo stato fisico del corpo.

Un pezzo di piombo e un pezzo di legno cadono nello stesso identico modo, in uno spazio vuoto d'aria, se partono ambedue dallo stesso stato di quiete o con la stessa velocità iniziale.
Se in un campo gravitazionale l'accelerazione non dipende dalla natura del corpo né dal suo stato fisico, il rapporto tra massa inerziale e massa ponderale deve essere uguale per tutti i corpi.

Quindi la massa ponderale (o gravitazionale) di un corpo è uguale alla sua massa inerziale.


La meccanica classica accettò questa legge, ma senza offrirne un'interpretazione. Un'interpretazione soddisfacente si può avere solo riconoscendo che una stessa qualità di un corpo si manifesta secondo le circostanze come inerzia o come peso.


Sulla base di questo concetto di «campo» si faccia questa ipotesi:

immaginiamo una vasta zona di spazio vuoto abbastanza lontano dai corpi celesti e da altre masse considerevoli, sia, per noi, corpo di riferimento un'immaginaria cabina, entro la quale si trovi un osservatore munito di apparecchi. Naturalmente per questo osservatore non c'è gravità: egli deve essere assicurato con corde al pavimento, altrimenti al primo urto con questo volerebbe verso il soffitto della cabina.

Supponiamo che al centro del tetto, all'esterno, sia infisso saldamente un gancio a cui venisse legata una corda; supponiamo ancora che su questa corda agisse un essere che con forza costante tiri in su. La cabina, e con essa l'osservatore, comincerà a salire con moto uniformemente accelerato, e se potessimo collocarci in un altro sistema di riferimento non collegato alla cabina, vedremmo che questa - con l'osservatore interno - acquisterebbe una velocità enormemente crescente.
Ma l'osservatore nella cabina come giudicherà il movimento?

L'accelerazione della cabina gli viene comunicata dal pavimento mediante una spinta che egli riceve, se è in piedi, attraverso le gambe. Egli starà ritto nella cabina come qualunque uomo nella stanza della sua casa sulla terra. Se lascia andare un oggetto che aveva in mano, questo non subirà più l'accelerazione impressa dal moto della cabina, ma cadrà sul pavimento con moto relativo accelerato. L'osservatore si convincerà che l'accelerazione verso il pavimento sarà sempre la stessa, qualunque sia il corpo col quale egli fa questo esperimento. Cosí l'uomo in cabina, utilizzando la cognizione che egli ha del campo gravitazionale, trae la conclusione che egli si trova con la cabina in un campo gravitazionale costante nel tempo. Per un momento egli rimarrà meravigliato dal fatto che la cabina non sia attirata in questo campo gravitazionale, ma poi si accorgerà del gancio fissato sul tetto e della fune che vi è legata e ne trarrà la conclusione logica che la cabina è immobile nel campo gravitazionale.


Dall'esempio indicato della cabina, dunque, si può ricavare il principio di equivalenza:


gli effetti di un campo gravitazionale uniforme, quello della terra, e quelli prodottisi in un sistema uniformemente accelerato, quello della cabina, sono equivalenti; infatti è possibile stabilire che se la cabina subisce un movimento accelerato di m. 9,81 al secondo quadrato, si verificano in essa gli stessi fenomeni che hanno luogo sulla terra.

Dunque è possibile indicare, in generale, delle equazioni valide per individuare un fenomeno in qualsiasi sistema di riferimento, qualunque sia il tipo del suo moto.

Pertanto un qualsivoglia fenomeno che ha luogo in un sistema di coordinate K, attraverso calcoli può esser determinato nei termini in cui esso viene considerato da un osservatore in un sistema K' che si muova di moto accelerato rispetto a K, supponendo che su K' agisca un campo gravitazionale che influisca in termini conoscibili sull' osservazione del fenomeno stesso.


Ricordiamo solo le conseguenze, indicate pure da Einstein, relative al comportamento di regoli situati su un corpo rotante (dunque non in moto rettilineo) su se stesso.

Un regolo posto al bordo del disco, tangenzialmente, considerato da un osservatore fuori del disco e in quiete su un corpo di riferimento non rotante, è più corto di quello «uguale» che l'osservatore ha in mano; e se un operatore posto sul disco misurasse con quel regolo circonferenza e diametro del disco stesso e ponesse in rapporto i due valori, otterrebbe un numero maggiore di 3,14, che sarebbe quello - costante - che si otterrebbe dal rapporto se con lo stesso regolo si misurasse la circonferenza ed il diametro dello stesso disco in stato di quiete.

Ma la cosa piú importante è che su un disco rotante il regolo con cui si effettuano le misurazioni cambierà grandezza a seconda del punto del disco in cui viene usato, e pertanto viene compromesso il rigore della geometria euclidea, in quanto su quel disco è impossibile utilizzare, ad esempio, il concetto euclideo di linea. Tutto ciò comporta che non è possibile definire le coordinate spaziali di un punto qualsiasi rispetto al disco, che si basano appunto sulla geometria euclidea, e che sono valide solo per un sistema riferito a un corpo rigido e immobile o supposto tale.

Di qui, afferma Einstein, non bisogna trarre la conclusione che la Relatività generale è contraddittoria con se stessa e con la Relatività ristretta; occorre piuttosto abbandonare le coordinate cartesiane e la concezione euclidea di spazio. Nella sua ricerca egli trova nelle coordinate gaussiane la possibilità di estendere il criterio delle coordinate cartesiane anche a continui non euclidei.



Analizzando più nel dettaglio tale argomento, si può descrivere la Relatività nel seguente modo.



Il tempo assoluto


La luce è un'onda luminosa che ha la capacità di propagarsi attraverso il vuoto; perciò è facile dedurre per via teorica la sua velocità c. Ma risulta evidente che anche cambiando sistema di riferimento essa non varia.

Si può quindi riscontrare una contraddizione tra la teoria della meccanica classica, che affermava che, tramite le trasformazioni di Galileo, la velocità di un qualsiasi oggetto varia cambiando sistema di riferimento, e la teoria dell'elettromagnetismo.

Essendo ambedue dimostrate grazie ad un campo di applicabilità molto vasto, risulta che una delle due presenta un errore o un'incompletezza che va modificata al fine di eliminare la contraddizione.


Un'ipotesi alla base della fisica di quel periodo (considerata corretta ed assoluta, ma in realtà non così ovvia come sembrava), era l'esistenza di un tempo assoluto, cioè un tempo che scorre immutabile ed indifferente, identico in tutti i sistemi di riferimento.

Grazie all'intervento di Einstein si riuscì a dimostrare che, in realtà, esso era un concetto errato.

Bisogna innanzitutto spiegare cosa significa misurare un intervallo di tempo: ossia formulare due giudizi di simultaneità. Ad esempio si può parlare di simultaneità quando nel momento in cui un atleta, simultaneamente allo sparo del giudice, comincia una corsa, il cronometro segna un certo valore, mentre all'arrivo, nel momento che l'atleta attraversa il traguardo, ne segna un altro. In ambedue i casi si verifica l'applicazione del concetto di simultaneità tra i due eventi.

Nel caso in cui, però, si debba verificare il fenomeno con oggetti molto distanti con velocità prossime a quella della luce, questo tipo di misurazione può risultare molto meno semplice.


Einstein risolse la contraddizione proponendo di rifondare la fisica partendo da due soli postulati:


Le leggi e i principi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento

inerziali.

La velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali, in modo indipendente dal sistema stesso o della sorgente da cui la luce è emessa.


Formulato il postulato sulla costanza della velocità della luce si può ora stabilire effettivamente se due oggetti siano o meno simultanei.

Per definizione si può dire che due fenomeni F1 e F2 sono simultanei se la luce che essi emettono giunge nello stesso istante in un punto P equidistante dai punti P1 e P2 in cui si verificano i due fenomeni.


Il giudizio di simultaneità, però, risulta relativo dato che, cambiando sistema di riferimento con uno in moto rispetto al primo, i due eventi non risultano più simultanei basandosi sull'invarianza della velocità della luce. Ne consegue che il concetto di simultaneità assoluta è impossibile e che quindi non si può definire un tempo assoluto che scorra uguale per tutti gli osservatori.

Verificato ciò, ne derivano alcune conseguenze che sono: la dilazione dei tempi, la contrazione delle lunghezze nella direzione del moto relativo e l'invarianza delle lunghezze perpendicolari al moto relativo.


La dilatazione dei tempi


La durata di qualunque fenomeno risulta minima se è misurata nel sistema di riferimento S solidale con il fenomeno stesso, cioè in quel sistema in cui il fenomeno inizia e finisce nello stesso punto. In tutti i sistemi di riferimento in moto rispetto a S, però, la durata del fenomeno risulta maggiore e la misura di uno stesso intervallo di tempo dipende dal sistema di riferimento in cui questo è misurato. Anche questo fatto conferma la non esistenza del tempo assoluto in fisica.

La dilatazione dei tempi è espressa dalla formula:


∆t=      1 .

_______

1- (v/c)2



Si può definire intervallo di tempo proprio (∆t) la durata di un fenomeno che viene misurato in un sistema di riferimento solidale con esso.


Indicato inoltre con il simbolo β il rapporto tra il modulo della velocità di un oggetto e la velocità della luce nel vuoto,


β = v/c


prende il nome di coefficiente di dilatazione nel vuoto,



= 1 .

_______

1- (β)2




La contrazione delle lunghezze nella direzione del moto relativo



Se un osservatore effettua la misurazione della lunghezza di un segmento in un dato sistema di riferimento e un secondo osservatore compie la stessa azione in un secondo sistema in moto rispetto al primo, ne risulterà che nel secondo la lunghezza del segmento è uguale alla differenza tra le posizioni dei suoi estremi misurate nello stesso intervallo di tempo, rispetto agli orologi di quel sistema. Effettuato ciò, risulta che all'intervallo di tempo ∆t, che è l'intervallo di tempo <<proprio>> di quel sistema, corrisponde un intervallo di tempo ∆t più lungo. Ne consegue che la lunghezza propria del segmento nel secondo sistema risulta minore.

Come per il tempo, anche lo spazio assoluto della meccanica classica non esiste, poiché lo stesso oggetto ha misure diverse a seconda del sistema di riferimento.


L'invarianza delle lunghezze perpendicolari al moto relativo


Dimostrata la dilatazione degli intervalli di tempo e la contrazione delle distanze poste nella direzione del moto di un secondo sistema di riferimento non solidale, è lecito dubitare che un segmento posto in direzione perpendicolare ad un sistema di riferimento in movimento, ad esempio un treno, appaia uguale ad ambedue i sistemi di riferimento.

Si può procedere per assurdo asserendo che non sia vera l'affermazione che si vuole dimostrare.

Utilizzando l'esempio del treno che passa in una galleria abbiamo due situazioni distinte:


Il riferimento del terreno: in esso la galleria è ferme e il treno è in movimento. Secondo l'ipotesi della contrazione il treno, visto da terra, appare più stretto e più basso di prima: non c'è dubbio che riesca a passare sotto la galleria.


Il riferimento del treno: in esso il treno è fermo e la galleria è in movimento. Ora sono l'altezza e la larghezza della galleria a diminuire, mentre quelle del treno rimangono costanti. Il risultato dovrebbe essere un drammatico incidente quando il treno tenta di entrare in una galleria troppo piccola.

Naturalmente ciò è impossibile o non avvenga a seconda del sistema di riferimento che si adotta. L'unico modo per rimediare a tale assurdità è ammettere che le dimensioni trasversali rimangano uguali.


Le trasformazioni di Lorentz


Nella meccanica classica per indicare le trasformazioni da un sistema ad un altro, venivano utilizzate le trasformazioni di Galileo che presupponevano, però, l'esistenza di un tempo assoluto. Esse, quindi, non sono corrette per indicare le trasformazioni da un sistema di riferimento ad un altro. Sono quindi sostituite da quelle formulate dal fisico olandese Lorentz note appunto come trasformazioni di Lorentz



x= x - vt = γ( x - vt ) z= z


1- (v/c)2 y= y



t= t - vx/ c2 = ( t - /c .x)

1- (v/c)2


La Relatività ristretta


Per descrivere un qualsiasi fenomeno fisico si deve partire dal fatto che un certo fenomeno è avvenuto in un certo istante, in un certo punto dello spazio. Introdotto quindi un sistema di riferimento ( t, x, y, z) in cui t indica l'istante in cui tale fenomeno è avvenuto e le altre tre lettere le coordinate spaziali del luogo dove esso è avvenuto, si definisce evento la quaterna ordinata ( t, x, y, z).

La descrizione dello spazio con tre assi cartesiani particolari, però, non ha alcun significato fisico; è soltanto una scelta arbitraria che può variare da osservatore ad osservatore.

Un discorso analogo, nella teoria della relatività, si può fare pure per l'intervallo di tempo ∆t.


Dati due eventi separati dagli incrementi delle quantità ∆t ∆x ∆y ∆z, esiste una quantità chiamata intervallo invariante ∆σ equivalente alla radice della quantità


(∆σ)= (c∆t)2 - (∆x)2 - (∆y)2 - (∆z)2



Nel sistema di riferimento solidale con il fenomeno dove i due eventi di inizio e di fine del fenomeno hanno le stesse coordinate spaziali, mentre la sua durata ∆t è pari all'intervallo di tempo proprio τ,


∆t = ∆τ con ∆x = ∆y = ∆z =0


ne risulta quindi che


∆σ = c∆τ


In definitiva lo spazio quadrimensionale ( t, x, y, z) nel quale l'intervallo invariante tra due eventi è


(∆σ)2= (c∆t)2 - (∆x)2 - (∆y)2 - (∆z)2


prende il nome di Spazio-tempo.


L'equivalenza tra massa ed energia


Nella meccanica classica vi sono due leggi separate ed indipendenti che riguardano la conservazione della massa e la conservazione dell'energia. Nella relatività si scopre, invece, che la grandezza fisica <<massa>> non si conserva separatamente dall'energia. La massa non è altro che una forma di energia che si somma all'energia cinetica e potenziale enunciando la conservazione dell'energia meccanica.

La teoria della relatività afferma che, se un corpo assume una quantità di energia E, la sua massa non si conserva bensì aumenta della quantità


∆m = E .

c2


al contrario, nel momento in cui il corpo perde energia, la sua massa diminuisce. E' stato compiuto un esperimento per dimostrare che la massa di un corpo a cui è ceduta l'energia E, aumenta proprio della quantità E .

c2


Si è partiti dal fatto che la luce non trasporta solamente energia, ma pure una quantità di moto p = E/c.


Preso un corpo di massa m, fermo in un sistema di riferimento S si fa in modo che esso assorba nello stesso istante due lampi di luce provenienti da due direzioni opposte trasportanti entrambi una quantità di energia p = E/2.

Questo implica che entrambi cedano al corpo una quantità di moto


p =   E

2c


Poiché esse hanno stesso modulo, stessa direzione, ma versi opposti, la loro somma vettoriale è uguale al vettore nullo; di conseguenza dopo l'assorbimento di energia il corpo rimane fermo nello spazio.

Osservando il fenomeno da un secondo sistema di riferimento in moto rispetto al primo, però, si nota che la somma vettoriale non risulta uguale al vettore nullo ma pari al doppio componente orizzontale px di uno dei due vettori.


p x= vE

2c


Ne consegue che la quantità di moto del corpo aumenta della quantità ∆p= vE/ c2 . Poiché il moto del corpo, prima di ricevere i due pacchetti, aveva moto p1 = mv in seguito il moto p2 dopo aver ricevuto i "pacchetti" sarà p2= mv + vE/ c2 .

Si può osservare un fatto strano: pur essendo cambiata la quantità di moto, la velocità rimane uguale; di conseguenza l'unica grandezza ad essere cambiata non può che essere la sua massa.

Il corpo ha quindi una nuova massa mv.


p2 = mv + vE/c2 = mv                           m- m = E/c2


In questo modo abbiamo dimostrato quello che voleva dimostrare.


Grazie a questa formula si può affermare che la massa stessa è una forma di energia che scompare quando compare energia e viceversa. Tutte le trasformazioni sono regolate dalla relazione di Einstein E=mc2. Ne risulta quindi che un corpo fermo possiede un'energia E0 = m0 c02 che prende il nome di energia di quiete o riposo.



LA RELATIVITA' GENERALE


La teoria della relatività ristretta nasce per accogliere al suo interno l'elettromagnetismo classico, infatti non a caso la riflessione sull'invarianza della velocità della luce nel vuoto è uno dei punti di partenza da cui poi si è sviluppata tutta la teoria.

Fin dall'inizio, si pose il problema se fosse possibile introdurre l'attrazione gravitazionale nella teoria della relatività ristretta e nello stesso tempo Einstein si chiese se fosse possibile ampliare il primo dei due assiomi della relatività ristretta secondo cui le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Infine si rese conto che i due problemi si fondevano in uno unico e la sua risoluzione costituiva l'ossatura della nuova relatività generale, che andava a completare quella ristretta.


La massa gravitazionale e la massa inerziale sono sempre direttamente proporzionali tra loro e grazie a questa proprietà sono state scelte delle unità di misura in modo che esse risultino addirittura uguali. Indipendentemente dalla loro massa e dal materiale da cui sono costruiti, l'uguaglianza tra le masse giustifica il fatto che tutti i corpi che si trovano in una stessa zona di spazio risentono della stessa accelerazione di gravità.


Il modulo della forza di interazione gravitazionale tra un pianeta e un punto materiale di massa mg e massa inerziale mi posto ad una distanza r dal centro del pianeta è:


F = G Mg mg

r2


dove Mg è la massa gravitazionale del pianeta G è la costante di gravitazione universale.

L'accelerazione del punto materiale dovuta alla forza gravitazionale si può calcolare grazie al secondo principio della dinamica e corrisponde all'equazione:


F = mia


Sostituendo questa formula con la precedente e ricavando da questa l'accelerazione a, si ottiene


a = G Mg mg

r2 mi


In quest'ultima espressione si potrebbe pensare che l'accelerazione possa dipendere dal rapporto mg / mi e che quindi potrebbe variare da corpo a corpo, ma con accurate misure sperimentali si scopre che esso equivale ad 1, perciò l'equazione risulta quindi:


a = G Mg

r2


poiché l'accelerazione dipende quindi solamente dalle costanti G e Mg se ne deduce che anche essa sia una costante uguale per tutti i corpi.


È possibile effettuare alcuni esperimenti ideali con i quali si è in grado di simulare l'esistenza di un campo gravitazionale o eliminarlo e proprio grazie a questi Einstein fu in grado di formulare uno degli assiomi fondamentali della nuova teoria della relatività generale: il principio di equivalenza, che afferma che in una zona delimitata dello spazio-tempo è sempre possibile scegliere un opportuno sistema di riferimento in modo da simulare l'esistenza di un campo gravitazionale uniforme o reciprocamente, in modo da eliminare l'effetto della forza di gravità.

Grazie a questo principio Einstein poté fare una serie di riflessioni tramite le quali guardò alla fisica ed in modo particolare alla gravità, in un modo assolutamente nuovo. Il fisico riuscì, infatti, finalmente, ad ampliare il primo assioma della relatività ristretta, considerando i sistemi inerziali non più "privilegiati" rispetto agli altri sistemi di riferimento poiché quello che avviene al loro interno si verificava tranquillamente anche in un sistema accelerato o in uno in caduta libera.

Einstein formulò, quindi, il principio di relatività generale in cui diceva che le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento.

In seguito, il fisico tedesco, riuscì a superare anche il secondo postulato, secondo cui la velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali.


Se la luce si propaga in linea retta con velocità costante in un sistema di riferimento, passando ad uno accelerato rispetto al primo, essa risulterà avere una traiettoria curva.


Grazie a questi punti di partenza Einstein fu in grado di formulare una teoria organica e completa che prese il nome di teoria della relatività generale che si basava su due assiomi fondamentali:


La presenza di masse incurva lo spazio tempo

I corpi soggetti alla forza di gravità devono essere considerati come particelle libere, che si muovono seguendo le geodetiche dello spazio.


Poiché la teoria della relatività ristretta non prende in considerazione l'attrazione gravitazionale tra le masse, lo spazio-tempo di questa viene considerato piatto. Nella generale è importante conoscere la distribuzione delle masse poiché, come si vedrà, esse influenzano la curvatura dello spazio-tempo.

Il termine spazio-tempo, in realtà, è una definizione non proprio corretta poiché dal punto di vista geometrico non si parla di altro che spazi a quattro dimensioni.

Viene formulata, quindi, una concezione nuova di geometria, in cui non vale il quinto postulato di Euclide ossia che per un punto esiste una sola retta parallela ad una retta data. Queste nuove geometrie prendono il nome di "non euclidee" e possono essere di due tipi: iperboliche e ellittiche. Nelle prime per un punto esterno ad una retta è possibile condurre infinite rette parallele, mentre nelle seconde non esistono rette parallele ad una retta data passanti per un punto esterno ad essa. Esse hanno una proprietà particolare che è la curvatura che risulta positiva negli spazi con geometria ellittica, negativa negli altri.

Nel complesso essi si chiamano curvi, mentre quello Euclideo o quello di Minkowski hanno curvatura nulla e vengono definiti piatti.

Di rilevante importanza è conoscere la distribuzione delle masse dato che esse influiscono sulla curvatura dello spazio-tempo: difatti le zone più vicine ad una massa presentano una curvatura più accentuata.

Prendono il nome di Geodetiche le curvature di minima lunghezza, che hanno la funzione di unire i vari punti: esse sono segmenti di retta nella geometria euclidea, mentre in uno spazio-tempo sferico assumono la forma di archi di circonferenza massima.


Una volta nota la distribuzione delle masse si è in grado di calcolare la geometria dello spazio-tempo grazie all'equazione di campo di Einstein che è il cuore della sua teoria.


Tra le previsioni teoriche della relatività generale ve ne è una particolarmente affascinante: se la geometria dello spazio è determinata dalla distribuzione delle masse e se tale distribuzione viene modificata, si ha di conseguenza una variazione della geometria dello spazio-tempo che, però, non può essere istantanea in tutto l'universo ma si propaga dal punto in cui si è generata con la velocità della luce c. Tale propagazione prende il nome di onda gravitazionale.



Una conseguenza della curvatura dello spazio è la deflessione gravitazionale della luce. La luce subisce una deflessione in presenza di un campo gravitazionale e quindi in presenza della curvatura dello spazio-tempo. Una conseguenza che si può osservare, ad esempio è che alcune stelle osservabili vengono viste in una posizione diversa rispetto a quella che realmente occupano. Ciò dimostra la variazione della traiettoria percorsa dalla luce.

Secondo la teoria della relatività generale, la luce trasporta energia, ma poiché essa ci giunge con una frequenza minore di quella con cui è stata emessa e poiché nell'ambito della luce visibile il rosso è il colore a cui corrisponde la frequenza minore, questo fenomeno prende il nome di spostamento verso il rosso o in inglese redshift gravitazionale




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