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La questione epistemologica: La crisi dei fondamenti




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La questione epistemologica: La crisi dei fondamenti



La prospettiva che si apre alla fisica del Novecento è quindi profondamente mutata. Non vi è più

posto per le certezze del determinismo di un tempo: in molti credettero che stesse ormai per estinguersi il modello della causalità. Una tale rivoluzione del mondo scientifico non poteva certo trovare tutti di comune accordo.


Lo stesso Einstein fu fin dall'inizio critico nei confronti della meccanica quantistica; celebre è la sua

frase "Dio non gioca a dadi con l'universo". Einstein era scettico verso il principio di

indeterminazione, tanto che cercò sempre di proporre esperimenti ideali per dimostrarne l'inattendibilità (l'esperimento della scatola confutato da Bohr, il paradosso EPR.): non concepiva infatti come una teoria fisica potesse essere valida e completa descrivendo una realtà basata esclusivamente su probabilità di osservare alcuni eventi.

Anche altri scienziati, tra cui Schrödinger e de Broglie, criticarono le teorie sviluppate dalla

scuola di Copenaghen. Tutti infatti avevano difficoltà nell'accettare una teoria che prospettava un

universo senza leggi deterministiche.


Il dibattito tra dissenzienti e ortodossi riguardò più precisamente la questione se la meccanica

quantistica rappresentasse una teoria completa.

Questo dibattito non ha mai trovato soluzione e continua ancora ai giorni nostri.


Ma dire che questa "rivoluzione scientifica" ha avuto riflessi solo nel mondo scientifico sarebbe quanto mai inappropriato: altrettanto profonde furono le implicazioni conoscitive, filosofiche e letterarie che questa rivoluzione portò con sé.

Tutto il grande castello della Fisica costruito da Newton in poi, a fine ottocento appariva gravare su fondamenta di sabbia e con esso tutte le certezze dell'uomo.


Per prime le geometrie non euclidee fecero crollare quello che appariva ancora ai tempi di Kant come un modello di rigore scientifico che rispecchiava "l'architettura stessa della realtà".

Il dibattito aperto intorno alle nuove questioni prese il nome di "crisi dei fondamenti".



Ad anticipare gli argomenti del dibattito scientifico fu Nietzsche con il prospettivismo che in opposizione al mito positivistico afferma che "non ci sono fatti, bensì solo interpretazioni"; non esistono quindi verità oggettive, ma soltanto infinite interpretazioni, un "gioco di dadi": conoscere significa valutare, e sono i valori a stabilire ciò che è ritenuto vero.

Inoltre alcuni anni dopo, formatosi una cultura scientifica, continua a rifiutare le scienza positive come nemiche della cultura affermando che la vera scienza deve invece essere analisi critica, metodo del sospetto.


Nel XX secolo poi con l'avvento della meccanica quantistica venne addirittura messo in crisi il fondamento, presente sin dai tempi dell'aristotelismo, che la natura fosse retta da leggi deterministiche: il determinismo veniva così cacciato dalla scienza e questo faceva crollare il pensiero positivista che aveva dominato il XIX secolo.


Mach costituisce una delle critiche più radicali al positivismo: a suo parere la scienza non è altro che un ordinamento convenzionale dei dati dell'esperienza operato dal soggetto (e quindi non oggettivo) compiuto con fini utilitaristici.


Il dibattito iniziato all'alba del XX secolo non si fermò comunque a quegli anni: ma gli sviluppi del pensiero intorno alla filosofia della scienza si estendono praticamente fino ai giorni nostri:

Karl Popper, uno dei più importanti filosofi della scienza dell'età contemporanea, morto nel '94, ritiene che l'esperienza non debba essere intesa come un mondo di dati, ma come un metodo, e, precisamente, il metodo di sottoporre a controllo i vari sistemi teoretici logicamente possibili.

Su queste basi, egli propone di adoperare come criterio di demarcazione non la verificabilità, ma la falsificabilità delle proposizioni: cioè di considerare come contrassegno di un sistema scientifico la possibilità di essere confutato dall'esperienza.

La superiorità di questo criterio si fonda, secondo Popper, sulla asimmetria tra verificabilità e falsificabilità: mentre le proposizioni universali non possono mai essere derivate da proposizioni particolari, possono però essere smentite da una sola di esse: non basta aver verificato che "quest'uomo è mortale" per asserire che "tutti gli uomini sono mortali"; tuttavia basta aver verificato quell'asserzione per smentire la proposizione universale "gli uomini sono immortali".

In virtù di questa linea di pensiero la teoria classica risulta falsificata quando esce dai suoi limiti di applicabilità e deve essere quindi sostituita da altre teorie, i cui campi di applicabilità siano più vasti di quelli della precedente teoria e li contengano. Queste teorie sono appunto la Relatività e la Fisica Quantistica.

In questo modo la scienza è vista come falsificazione delle teorie precedenti.


Per Thomas Kuhn invece sono i paradigmi a far mutare il mondo stesso: lo scienziato attribuisce all'osservazione diversi significati a seconda del quadro teorico in cui esse si colloca (come l'esempio dell'astronomo tolemaico e quello copernicano che guardando entrambi il Sole attribuiscono significati diversi a ciò che vedono). Ciò che permette di passare da un paradigma all'altro è un'anomalia che non si lascia risolvere: la scienza entra in una fase di crisi e si ha una rivoluzione scientifica.






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